125675.fb2 Pianeta di caccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 17

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Va sempre a finire così, vero? pensò Marjorie. Quale che sia il suggerimento della nostra coscienza, quale che sia la dottrina che ci è stata insegnata, quale che sia l’etica che abbiamo discusso e che abbiamo tentato di assimilare, finiamo sempre coll’impugnare le armi più mortali di cui disponiamo, e combattere.

Dovrei essere spaventata, eppure mi sento più o meno come prima di una competizione, durante la quale esiste sempre il rischio di cadere e restare feriti gravemente, o anche uccisi. Non è certo lo sport più sicuro del mondo. Comunque si tratta soltanto di resistenza, di vigore, di abilità, di fiducia nel cavallo. Pensare assieme al cavallo, non per il cavallo.

In realtà non devo pensare a niente altro che ad uccidere il maggior numero possibile di Hippae, senza curarmi dell’etica. Devo dimenticare che tutti gli Hippae che si trovano là, in fondo al colle, sono potenzialmente in grado di tramutarsi in volpi, ossia esseri che sono più intelligenti di noi. Ogni Hippae che storpierò o che ucciderò sarà un essere come Lui in meno. Ma non devo pensare a Lui. È stato soltanto delirio: pura immaginazione.

Dov’è la giustizia in tutto questo? Se gli Arbai e l’umanità non fossero mai giunti su Grass, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto. Se nessuno andasse mai da nessuna parte, nulla del genere accadrebbe.

E invece no: accadrebbe ugualmente. Qualche virus violento e malvagio ci raggiungerebbe anche nelle nostre case, e creature simili agli Hippae sfonderebbero urlando le nostre porte e le nostre finestre per ucciderci, stuprarci e mutilarci.

Oh, Signore! Che brava ragazza sono stata! Ho sempre partecipato alla messa, mi sono sempre confessata, ho sempre fatto penitenza, mi sono dedicata alle opere filantropiche, ho amato e accudito i miei figli, per quanto talvolta fosse difficile, e ho sempre maledettamente cercato di fare del mio meglio per amare mio marito. Ho pensato al suicidio, ma me ne sono pentita. Insomma, ho sempre vissuto una vita degna e accettabile, a casa, là sulla Terra.

Tutte sciocchezze!

Preferisco essere qui. Anche se morirò, preferisco essere qui. Se c’è qualcosa di importante che un microrganismo può fare, è proprio combattere la peste. Questa è la priorità assoluta. Dobbiamo guadagnare tempo per trovare una risposta. L’unica cosa che conta, adesso, è la peste. Dobbiamo trovare una cura, ma anche garantire che la Santità non se ne impossessi per prima. E se riusciremo a far questo poi ci sarà qualcos’altro. Oh, Dio! Se Lui mi parlasse! Voglio che Lui mi parli!

Questa dannata lancia non è perfettamente bilanciata, pensò Rigo. Se avesse l’impugnatura più pesante sarebbe più maneggevole. O forse sono io che mi sento male e sono debole. Dovrei essere a riposo su una sedia, con un panno sulle gambe. E invece, eccomi qui! Ma qui dove? Come diavolo sono arrivato qui? Be’, di sicuro nessuno mi ha obbligato. Sono l’unico del gruppo che abbia mai combattuto gli Hippae, quindi sono anche l’unico che sappia dove colpirli: prima di tutto alle zampe, e poi alle fauci. Proprio così: bisogna amputar loro le zampe, staccar loro le fauci, e poi lasciarli crepare, quei dannati, fetidi mostri!

Eppure non mi sono ancora rimesso. Sono debole. Mi sento le gambe molli come spugne imbevute, quasi che fossero prive di muscoli. Oggi qualcuno morirà: io, forse. Ma meglio io, che Marjorie o Tony. Loro non si sono comportati da stupidi come ho fatto io.

Comunque, se toccherà a me, lei sarà libera di fare quello che vorrà, e di andare con chi vorrà. Sylvan! Eccolo lì: non ha mai cavalcato in vita sua, eppure sembra un cavallerizzo nato. Be’, andare a cavallo non è poi tanto diverso che montare un Hippae: bisogna sempre usare la schiena e le gambe.

Se ci lascerò la pelle, lei andrà con lui?

E se lo farà, sarà forse peggio della mia relazione con Eugenie? Povera Eugenie. Dannazione! Vorrei che l’avessero salvata. La bella Eugenie. A veva la testa vuota, ma aveva il senso del bello e sapeva infondere bellezza in ogni cosa. Non aveva grandi aspirazioni, né innocenza e modestia da offendere, né nobiltà da tradire, né speranze da deludere. Pensava soltanto alle frivolezze, tuttavia meritava di meglio che una fine del genere.

Ammesso che sia morta. Dio! Forse è ancora viva. Può anche darsi che sia stata rapita dai veltri e dagli Hippae, come è successo a Stella.

Non devo pensare niente del genere! Adesso quello che conta è soltanto la peste. Dobbiamo salvare il Comune dall’invasione e guadagnare tempo, affinché si possa trovare una risposta. Ci riusciremo! L’umanità troverà una risposta! In un modo o nell’altro ci salviamo sempre, all’ultimo momento. Dio interverrà. Avremo il tempo necessario. Marjorie tornerà da me, come sempre. Sì, come sempre, qualsiasi cosa succeda.

Bisogna riconoscerlo, pensò Sylvan. È stato quasi ucciso dalle cavalcature, è in piedi da meno di un giorno, eppure non si è tirato indietro. E mi guarda di traverso, in continuazione. So cosa sta pensando: crede che io avrò Marjorie, se lui resterà ucciso. Stupido! Se lui resterà ucciso, Marjorie farà tutto quello che vorrà, e io non sarò certo preso in considerazione. Non riesco a capire perché. Ho sempre avuto senza problemi tutte le donne che ho desiderato. Con lei invece non ottengo nulla. Sono io il vero stupido. Pensavo che lei fosse come noi. Come direbbero in Terrestre? Edonista. Una persona che cerca il piacere. Be’, ma noi a cosa possiamo pensare, se non al piacere? Quei dannati Hippae non ci hanno mai permesso di pensare a nient’altro. Hanno invaso le nostre menti e ci hanno resi schiavi, facendoci fare tutto quello che hanno voluto.

E Marjorie! Sembra una regina! Alta e regale, cavalca come se fosse un solo essere con quella creatura. Quella creatura. Ehm. Un cavallo. Sì, un cavallo! Rispondono con voce dolce, quando li si accarezza, e guardando gentilmente, quando li si monta. Questa giumenta, Sua Maestà, fa tutto quello che le chiedo. È quasi come amare una donna. I cavalli non sono come gli Hippae.

Anche Tony mi osserva: non gli sono simpatico. Sulle prime pensavo che fosse a causa di Marjorie, ma non è affatto così. Per qualche ragione, lo offendo. Forse si tratta delle mie maniere da bon, o del fatto che non ho preso seriamente la faccenda della peste. Non so. Mi sono mai davvero preoccupato per il rischio che l’umanità si estingua? Agli Hippae non importa, e noi pensiamo quello che pensano loro. Da quanto tempo pensano per noi? Non vogliono che esìstano altre razze intelligenti, e non credono di essere destinati a trasformarsi in un’altra razza intelligente: le volpi. Cosa ha detto frate Maìnoa? Come noi non crediamo che invecchieremo, così gli Hippae non sanno che si trasformeranno. Hanno bloccato il loro sviluppo all’adolescenza: una età violenta e piena di odio, in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti, ma pieni di forza e di furore che non si sa come impiegare.

Be’, gli Hippae hanno bloccato anche noi all’adolescenza. Marjorie, infatti, mi guarda allo stesso modo in cui guarda Tony: come se fossi un ragazzo. E quando mai ho avuto la possibilità di essere diverso?

Ah, mamma, mamma. Tu non dovresti essere con noi. Oh, mamma! Credi davvero che tutto ciò possa vendicare Dimity?

Facciamola finita e torniamo a casa, pensò Tony. Se morirò, morirò e basta, ma se sopravviverò, voglio tornare a casa, lontano da questa gente, da questi pazzi bon! Via! Passate queste ore, ce ne andremo, o almeno, io in qualche modo me ne andrò. Facciamola finita. E se morirò…

Dimity! pensò Rowena. Per Dimity, per Emmy, per Stavenger. E per gli altri miei figli, morti da tanto tempo, che ho quasi dimenticato i loro nomi. Per tutti voi, e per tutti noi!

Sylvan! Oh, Sylvan! Qualunque cosa accada, rammenta che ti amo: che vi amo tutti.

Lei ci guida, pensò Don Chisciotte. Fidatevi di lei. Fidatevi di quello che fa. E ascoltate tutti: ascoltate le voci.

Alla base del colle, soltanto una frangia di foresta e alcuni stagni separavano i cavalieri dagli Hippae che si trovavano all’uscita della galleria. Da solo, Rigo scese in avanscoperta fino agli alberi, poi tornò indietro a schierare i compagni a una distanza tale da poter sfruttare la pendenza e avere al tempo stesso spazio per manovrare in modo da non restare intrappolati nei pantani. In silenzio, tutti misero le lance in resta.

Finalmente, Rigo cominciò a percuotersi rumorosamente il petto con l’impugnatura della lancia, urlando insulti: — Hippae! Carogne! Caricature di cavalli! Bestie stupide! — Sapeva che i mostri non comprendevano le sue parole, ma ne captavano telepaticamente il significato.

— Massacratori! — strillò Marjorie, con tutto il fiato che aveva in corpo. — Traditori! Bestiacce ingrate, malvagie e codarde!

A sua volta, Tony gridò con tutta la voce che aveva, ma senza riuscire ad articolare parole.

— Per Dimity! — urlò Rowena. — Per Dimity! Dimity! Dimity!

— Codardi! — ruggì Sylvan. — Bestie vigliacche! Rane! Migerer che non hanno più onore di una talpa!

Gli Hippae si lanciarono fuori dalla vegetazione, ma si fermarono all’improvviso cessare delle grida. I cavalieri si erano aspettati di non vedere nessuno in groppa ai mostri. Eppure il primo Hippae del gruppo, enorme, grigio, era montato da una persona che tutti conoscevano: — Shevlok — mormorò Rowena. — Oh, per l’amor d’Iddio! Mio figlio!

— Non è Shevlok! — ringhiò Sylvan. — Guardalo in viso!

Infatti il volto di Shevlok era una maschera, inespressiva come una bottiglia rotta, senza nulla di umano.

— Dobbiamo combattere i mostri, non coloro che li montano — ruggì Rigo. — Rammentatelo: i mostri, non i cavalieri! — Poi spronò al trotto El Dia Octavo.

I suoi compagni lo seguirono in diagonale, affinché ciascuno avesse spazio per caricare e volteggiare senza intralciare gli altri.

Gli Hippae erano dieci. Quello con Shevlok in groppa era in prima fila, assieme ad altri tre sulla destra di Rigo, che così avrebbe potuto attaccare il grigio, risparmiando tale compito ai bon Damfels, per ovvi motivi. Gli altri Hippae erano montati da Lancel bon Laupmon, da Dimoth e Vince bon Maukerden, da un altro bon Maukerden di cui Rigo aveva dimenticato il nome, e da altri aristocratici che gli erano ignoti. Tutti erano completamente posseduti: le loro facce non sembravano più umane, bensì erano trasfigurate in qualcosa di meramente simbolico.

Quando fu a breve distanza da essi, Rigo si accorse che gli Hippae stavano cercando di impadronirsi della sua mente, ululò per respingerli, attivando il laser, e mise Octavo al piccolo galoppo. Quando il mostro grigio s’impennò, Rigo lo sorprese amputandogli le zampe anteriori, mentre Octavo deviava a destra senza esitare.

Il primo Hippae cadde strillando.

Intanto che Octavo galoppava a mezza costa, tre Hippae sbucarono dalla foresta sulla sinistra per tagliargli la strada. Imprecando, Rigo passò la lancia dalla sinistra alla destra, puntandola perpendicolarmente al cavallo. Così fendette una spalla e una zampa a un mostro, abbattendolo, e ferì gli altri due, che deviarono per allontanarsi, strillando.

E due!

Rapida come un uccello, Sua Maestà fuggiva davanti agli Hippae, seguendo Octavo. Sylvan sapeva che i mostri dovevano essere allontanati dalla galleria, e non uccisi, a meno che fosse necessario. Passò la lancia da una mano all’altra, imitando Rigo, e rapidamente pungolò un Hippae maculato di verde, strappandogli un grido di rabbia e di dolore. In questo modo riuscì ad attirarlo al proprio inseguimento. Soddisfatto, puntò innanzi la lancia, curvandosi a sussurrare all’orecchio di Sua Maestà dolci parole come quelle che aveva mormorato in passato alle sue amanti, senza che ciò gli sembrasse sconveniente.

Dietro a Sylvan veniva Rowena, la quale imitò la tattica del figlio, ma troppo lentamente, così che squarciò la gola ad un mostro color fango, invece di limitarsi a pungolarlo. Per fortuna Millefiori volteggiò e fuggì sulle tracce dei due cavalli che la precedevano. Strillando, il mostro color fango barcollò e perse terreno, mentre altri due Hippae lo superavano.

Tre sono eliminati, pensò Marjorie. Quattro Hippae, due dei quali lievemente feriti, inseguivano Rigo, Sylvan e Rowena, mentre altri tre attendevano lei e Tony. Il piccolo Tony, pensò. Così pallido, come sempre quando cavalca, e spaventato, ma senza avvedersene. Poi gli urlò all’orecchio: — Anthony! Seguimi! — Nell’attivare il laser, passò davanti a due Hippae, notando che il terzo, un mostro dalle chiazze purpuree, restava indietro, seminascosto fra gli alberi, come per prepararsi ad una imboscata. — Attento a quello! — gridò, indicando il mostro maculato.

Tony urlò una risposta incomprensibile.

Quando Don Chisciotte corse loro dinanzi, i due Hippae partirono alla carica, curvando i colli per protendere le corna.

Passata la lancia a sinistra come avevano fatto gli altri, Marjorie colpì, suscitando strilli e muggiti, poi fuggì a mezza costa. Con un’occhiata indietro, vide che Tony agitava la lancia e teneva a bada il terzo Hippae, ma da così vicino che se avesse volteggiato la giumenta per fuggire non avrebbe avuto scampo. Notando che gli altri due mostri erano feriti lievemente al collo, volteggiò Don Chisciotte in impennata: — Avanti! — gridò allo stallone, caricando il mostro che fronteggiava Tony, oltre il quale il suolo era pianeggiante. Il cuore le batteva così forte da assordarla, coprendo persino lo zoccolio: — Lo salteremo, ragazzo mio — disse a Don Chisciotte. — Lo salteremo. — E non ebbe il tempo di dire altro.

Lo stallone spiccò un balzo possente oltre l’Hippae, mentre Marjorie conficcava la cuspide laser; atterrò su un’isoletta, dove ebbe appena lo spazio necessario per fermarsi; volteggiò; e con un altro salto, oltre lo stagno, tornò sul solido versante del colle.

Intanto che i due mostri feriti gli si avvicinavano furtivamente, Tony fissava imbambolato l’Hippae dalle chiazze purpuree che giaceva sbavando, con la spina dorsale spezzata.

E quattro!

— Anthony! — gridò Marjorie, passando. — Avanti, Stella Azzurra!

Il ragazzo non udì, ma la giumenta seguì da presso Don Chisciotte, che saliva la china più rapidamente dell’Hippae ferito. Guadagnato un po’ di vantaggio, Marjorie deviò a meridione, poi, mentre Stella Azzurra le si affiancava, arrischiò un’occhiata a Tony, che era pallido e inespressivo quasi come Shevlok. Allora accostò maggiormente Don Chisciotte alla giumenta, sin quasi a sfiorarla, quindi si sporse a schiaffeggiare ripetutamente il figlio, col guanto.

Trasalendo, con gli occhi pieni di lacrime, Tony ritornò in sé: — Non riuscivo a pensare! Mi aveva invaso la mente e m’impediva di pensare!

— Non permetterlo! Urla! Strilla! Offendi! Ma non permetterlo!

Circa mezzo miglio più avanti, sul versante, Octavo e le due giumente correvano affiancati, inseguiti da quattro Hippae.

— Adesso! — gridò Marjorie, indicando innanzi, a destra. — Andiamo ad intercettarli! — E si allungò sul collo dello stallone.

Intanto, Rigo, Sylvan e Rowena giravano intorno alla collina, salendola gradualmente: per giungere al cancello avrebbero dovuto galoppare due o tre ore. Salendo un poco e deviando ad occidente, Marjorie e Tony li avrebbero incontrati poco oltre il punto più meridionale dell’arco del loro tragitto.

Come gemelli siamesi, Don Chisciotte e Stella Azzurra galopparono fianco a fianco, inseguiti dai due Hippae feriti che continuavano a strillare e a trasportare i bon privi di volontà. I mostri non erano abbastanza veloci da costituire una minaccia immediata, tuttavia non erano neppure indeboliti dall’emorragia, giacché il laser aveva cauterizzato la ferita che aveva prodotto.

— Stanno ancora cercando di invadermi la mente — avvertì Tony. — Perciò penso a tornare a casa.

Annuendo in segno di incoraggiamento, Marjorie sorrise al figlio: qualunque espediente era utile. Lei stessa percepiva telepaticamente qualcosa, ma non gli Hippae: si trattava di qualcosa di diverso, di qualcun altro.

Non hai ucciso i cattivi della tua razza, commentò una voce telepatica, in tono di tranquilla curiosità. Perché stai uccidendo quelli della nostra?

Perché a quelli della mia razza ho potuto impedire di nuocere, rispose mentalmente Marjorie. Ma non posso fare altrettanto con queste creature.

Avresti potuto trovare un’altra soluzione.

No! protestò rabbiosamente Marjorie. Dicono tutti così, ma non è affatto vero. Se si può trovare un’altra soluzione, lo si fa. Se non lo si fa, è perché non si può. E non si può perché non si ha tempo, o non si ha soldi, o non si ha materiale, o vi sono ostacoli insormontabili, o non si è abbastanza intelligenti.

Una specie di sospiro. Una sorta di carezza.

— Dannazione! — gridò Marjorie. — Non capisci che le risposte teoriche non sono affatto risposte? Bisogna agire!

Un silenzio colmo di sgomento.

Tony fissò la madre: — Cosa?

— Nulla — rispose Marjorie, sottovoce, concentrandosi nella corsa. — Assolutamente nulla.

Sembrava che il suolo scorresse rapidissimamente sotto gli zoccoli dei cavalli, mentre cespugli, sassi, buche e fossi sparivano, e qualche ciuffo di erba alta sferzava i cavalieri, e i mostri feriti continuavano l’inseguimento, ululando. Il tempo trascorse rapido, ma interminabile: il passato, per quanto lungo, era nulla, mentre il futuro, per quanto breve, era tutto. Tony aveva gli occhi vitrei per lo sforzo di resistere ai tentativi di controllo mentale degli Hippae. Marjorie trasmetteva la propria calma a Don Chisciotte, che era pronto a fare per lei qualsiasi cosa senza bisogno di incitamento.

Per quanto si protraessa la cavalcata, il crinale stagliato contro il cielo sembrò non avvicinarsi, ma finalmente Marjorie e Tony vi giunsero e videro gli altri arrivare sotto di loro a meridione, diretti al versante occidentale del lungo colle su cui era costruito il Comune, braccati sempre più da presso dai quattro Hippae.

— Avanti, Don Chisciotte! — gridò Marjorie, per avvertire Rigo, pur valutando che la distanza fosse troppa perché egli potesse udirla. Galoppò allungata sul collo dello stallone, e quando fu a metà della distanza che la separava dagli altri, urlò di nuovo.

Tutti e tre i cavalieri alzarono di scatto la testa. Subito dopo Rigo guardò indietro, comprendendo il piano di Marjorie: lei e Tony avrebbero attaccato alle spalle i quattro Hippae, mentre lui, Sylvan e Rowena avrebbero potuto volteggiare i cavalli e assalirli di fronte. Purtroppo vide apparire sul crinale gli altri due Hippae e subito li indicò alla moglie.

Nel gettare un’occhiata dietro di sé, Marjorie imprecò. Al contrario di quel che aveva previsto, i due Hippae feriti non si erano lasciati distanziare dai cavalli, quindi avrebbero potuto facilmente prendere alle spalle lei e Tony. Inoltre i mostri erano in lieve vantaggio, benché quattro di loro fossero feriti: erano sei contro cinque.

In quel momento si udì come uno scoppio di tuono che fece tremare il suolo. I due Hippae sul crinale strillarono di rabbia, comprendendo ancor prima dei loro avversari quello che era accaduto: gli artificieri avevano fatto saltare la galleria.

La galleria!

Per la prima volta, Marjorie si rese conto che la galleria era stata troppo bassa e stretta per consentire un’improvvisa invasione in massa. Gli Hippae avevano progettato da tempo l’assalto alla città, perciò disponevano probabilmente di altri cunicoli. Erano molto numerosi, i mostri che avevano aperto il grande sentiero nella prateria, dunque dovevano esistere altre gallerie.

Stiamo cercando, informò la voce telepatica. Finora non ne abbiamo trovata nessun’altra.

Tuttavia, ciò non significava che non ve ne fossero, e Marjorie ne era ben consapevole: Ci aiuterete? chiese. Oppure ci lascerete soli a farci ammazzare?

Nessuna risposta.

Udita l’esplosione, Rigo spronava Octavo, che correva come il vento, seguito da Sua Maestà e Millefiori, staccando sempre più gli Hippae.

Poiché non sarebbe servito a nulla arrivare in coda ai compagni, Marjorie deviò un poco più a nord: ormai non restava altro da fare che distanziare gli inseguitori e giungere al cancello che sbarrava il valico della Mug. Se si trattasse della tua gente, io cercherei di aiutarti, pensò Marjorie.

Gli umani hanno sempre aiutato gli Hippae a uccidere le volpi, rispose una voce limpida e tagliente, ma niente affatto allusiva, diversa dalla precedente.

Sapete dannatamente bene che non è così! Gli umani sono sempre stati usati dagli Hippae per uccidere le volpi. E ciò è del tutto diverso. Così ribatté Marjorie, pur sapendo che almeno in parte si trattava di una menzogna, giacché gli umani si erano dimostrati sin troppo desiderosi di prestarsi alla Caccia.

Nessuna risposta.

Intanto Don Chisciotte schiumava di sudore e ansimava. Tenendo le redini fra i denti, Marjorie prese di tasca il coltello laser e tagliò le cinghie dell’armatura che appesantiva lo stallone, il quale, nel momento in cui pettiera e fiancali cadevano, emise un nitrito simile a una preghiera.

Senza esitare, Tony imitò la madre, e fu imitato a sua volta da Rigo, che esortò i bon Damfels a fare lo stesso. Subito Sylvan alleggerì Sua Maestà dell’armatura, ma Rowena, che era arrivata per ultima e non aveva avuto il coltello laser, lanciò un grido disperato. Spaventata dall’urlo, Millefiori inciampò e cadde. Rotolando, Rowena si rialzò con gli occhi stralunati, rincorse la giumenta che si stava a sua volta rialzando, rimontò in sella d’un balzo, e ripartì al galoppo. Zoppicante, Millefiori non riuscì più a correre come prima e perse terreno.

Appena se ne accorse, Sylvan volteggiò Sua Maestà, tornò indietro per affiancarsi alla madre, e la trasse in sella dinanzi a sé. Millefiori perse velocità, restando accanto a Sua Maestà, che era rallentata dal doppio peso.

Mentre Sylvan scivolava indietro sulla sella per lasciar posto alla madre, un Hippae si avvicinò a velocità prodigiosa e con le fauci spalancate lo strappò di sella, mentre un altro mostro si affiancava a Millefiori, pronto a colpire. Pallida come la morte, Rowena rimase in sella, con la bocca spalancata in un urlo silenzioso.

Nulla si mosse dove Sylvan era scomparso.

Con il volto rigato di lacrime, Marjorie strillò d’ira e di dolore. Incendierò la foresta palustre! minacciò. Non sarà facile, ma in qualche modo ci riuscirò! E poi darò fuoco a tutta la prateria. Quando questo sarà fatto, potremo eliminare sia gli Hippae che la peste. Gli Hippae cesseranno di esistere!

E cosa ne sarà di noi? gridarono parecchie voci.

Cosa ne sarà di voi? ringhiò Marjorie. Rifiutate di agire, di aiutarci, e non vi curate di noi. Perché, dunque, noi dovremmo curarci di voi?

Un uggiolio, un ringhio, uno schiaffo, come se una volpe ne avesse colpita un’altra.

D’improvviso, dietro a Millefiori, come una increspatura nell’aria o un miraggio in movimento, sorse una creatura ad affrontare l’Hippae che la inseguiva: era malva, prugna e porpora, con la coda sferzante e i possenti muscoli delle spalle guizzanti.

Se Lui dovrà fare tutto da solo, protestò Marjorie, io darò fuoco ugualmente alla foresta, anche a costo di farlo da sola.

— I nostri inseguitori stanno guadagnando terreno — avvertì Tony. — Stella Azzurra è esausta.

— Siamo tutti esausti! — replicò Marjorie, con le lacrime che le scorrevano sul volto, perché aveva visto tumultuare i mostri, là dove Sylvan era scomparso fra le erbe. — Devia verso la strada! — Si gettò un’occhiata alle spalle, poi, alzando lo sguardo al sole, stimò che la corsa durasse da oltre un’ora, o quasi due. Circa trenta miglia erano state percorse su terreno impervio, in gran parte in salita. E il cancello distava ancora tredici o quattordici miglia. Se morirò qui, riprese a minacciare Marjorie, giuro su Dio che i miei famigliari incendieranno la foresta!

— Cosa succede laggiù? — gridò Tony. — Gli Hippae si fermano!

In effetti, i mostri si fermarono, poi volteggiarono e fuggirono, ma. non tornando indietro, purtroppo, bensì salendo verso Marjorie, la quale gridò: — Le volpi! Non è esattamente l’intervento che avevo sollecitato, però suppongo che sia meglio di niente! — Invano, stava cercando di affrontare filosoficamente la morte e di non lasciarsi spaventare. — Tony! Dobbiamo eliminare i due che ci seguono prima che gli altri ci raggiungano!

Il ragazzo la guardò atterrito.

— Dobbiamo farlo! Se gli altri quattro ci raggiungeranno per primi, rimarremo circondati.

Mordendosi un labbro, Tony annuì, e il sangue spiccò sul suo volto pallidissimo.

— Accendi il laser!

Tony si affrettò a premere il grilletto della lancia, ciò che aveva dimenticato di fare sino a quel momento, e guardò la lama ronzante quasi come se ne fosse ipnotizzato.

— Tony! Guardami! — A gesti, Marjorie spiegò al figlio la manovra che si proponeva di eseguire: separarsi, galoppando in opposte direzioni, e tornare indietro per assalire da ambo i lati gli Hippae feriti.

In pochi istanti, la tattica fu quasi completata. Presi del tutto alla sprovvista dalla rapidità dei cavalieri, i due mostri feriti si separarono a loro volta per correre incontro agli avversari.

Cercando di non pensare al figlio, Marjorie si concentrò sull’azione, con la lancia da cui scaturiva la lama di fiamma visibile anche alla luce del giorno. D’un tratto, sentendo un ruggito di motori sopra di sé, alzò lo sguardo e vide Asmir Tanlig e Roald Few gesticolare e strillare da un aeromobile. Leggendo sulle loro labbra, capì che intendevano prendere a bordo lei e Tony. Lasciar soli Don Chisciotte e Stella Azzurra ad affrontare quei mostri?! pensò. Poi scosse la testa, gesticolando per esortare l’aeromobile ad andarsene. Soltanto quando Asmir e Roald le obbedirono, si rese conto di quello che aveva fatto: Oh, Dio! Che sciocchezza! Che sciocchezza! pensò. Eppure.

Poi l’Hippae fu di fronte a Marjorie: avanzando, scartando, arretrando con enorme rapidità, si tenne a distanza. Benché più lento, Don Chisciotte era molto più agile e danzava come una ballerina in punta di piedi, sempre fronteggiando il mostro. Marjorie sentì un urlo di Tony alle proprie spalle, ma non osò volgersi. Lo stallone continuò a danzare per un poco, quindi partì alla carica senza essere incitato da Marjorie, portando la lancia a trovare una breccia, e di nuovo arretrò, sempre danzando, mentre l’Hippae si afflosciava urlando al cielo, con il collo quasi reciso.

E cinque! esultò Marjorie, volgendosi ad osservare Tony.

Stella Azzurra correva alla carriera verso il lontano cancello come se ne conoscesse l’ubicazione e sapesse che esso significava salvezza. Intanto il sesto Hippae, ululando con le fauci spalancate, si accingeva a staccare la testa con un sol morso a Tony, che giaceva nell’erba.

Don Chisciotte volteggiò e caricò nitrendo, ma proprio in quel momento uno spettro di folta pelliccia balzò sul dorso del mostro, un altro si parò tra le fauci e il ragazzo, un altro artigliò le zampe posteriori: tre volpi! Le possenti creature urlanti rotolarono combattendo giù per la china.

Accanto a Tony, che giaceva immoto, Marjorie smontò d’un balzo. Sollevò il figlio e si sforzò di issarlo in sella. Di nuovo senza essere incitato, Don Chisciotte si inginocchiò per facilitarla. Così, in breve, Marjorie ripartì con Tony in sella dinanzi a sé, sulle tracce di Stella Azzurra, benché molto più lentamente.

Più giù, sul versante, alcune altre volpi avevano assalito l’altro Hippae. In sella a Sua Maestà, Rowena seguiva Rigo da presso, e Millefiori seguiva lei, zoppicando vistosamente.

Adesso! pensò Marjorie. Portate adesso il vostro dannato aeromobile, o aviocarro, o quello che avete! Subito!

A breve distanza dai cavalieri, atterrò un aviocarro pilotato da Persun Pollut. Subito Sebastian Mechanic abbassò una passerella per far salire a bordo i quadrupedi.

— Sapevo che non avreste abbandonato i cavalli — gridò Persun. — L’ho anche detto ad Asmir, ma Roald ha sostenuto che non sareste stati tanto sciocchi!

Sciocchi. Ripeté Marjorie a se stessa. Sciocchi. Come in risposta a un problema che la tormentava da molto tempo, ricevette una manifestazione telepatica di enorme, assoluta approvazione.

Alla Capitaneria, dieci o dodici volontari pieni di entusiasmo si offrirono di strigliare i cavalli, che, a parte la zampa ferita di Millefiori, erano illesi. La dottoressa Bergrem osservò con preoccupazione Rowena, la quale, in seguito alla caduta, sembrava aver subìto un crollo fisico e psichico: sedeva immobile, pallida, chiusa in se stessa.

Quando le si avvicinò, Marjorie la sentì bisbigliare ripetutamente il nome di Sylvan: — Lo abbiamo trovato, Rowena. Siamo andati a cercarlo e lo abbiamo trovato.

— Cosa? Come?

— È morto, Rowena. Si è spezzato il collo nella caduta. Non lo hanno neppure toccato.

— Non… Oh, non…

— No, Rowena: no! Abbiamo riportato la sua salma affinché possa essere sepolta. — Ciò detto, Marjorie tornò da Tony, che sedeva in un angolo, pallidissimo, e si stava riprendendo lentamente. Nell’osservare frate Mainoa, che sedeva al dimmi, non lontano dal ragazzo, infilò una mano in tasca. Con le dita che parevano congelate, dopo aver stretto tanto a lungo la lancia e le redini, ebbe difficoltà ad estrarre la lettera, ma poi finalmente la posò dinanzi a frate Mainoa: — Credo che questa dovrebbe essere trasmessa a Semling.

Il vecchio monaco lesse la missiva, e il suo viso divenne cinereo: — Ah — mormorò. — Sì, ma.

— Ma cosa?

Frate Mainoa si massaggiò la fronte e fece per parlare, ma tacque. Dopo breve meditazione, rispose: — Diffondere questa notizia adesso susciterebbe panico, sommosse, rivolte. Poi, se trovassimo una cura, le autorità sarebbero tanto occupate a mantenere l’ordine, che non potrebbero somministrarla. Questa lettera non dovrà essere resa pubblica, Marjorie, se non dopo la scoperta di una cura in grado di debellare la peste.

— D’accordo. Però mi preoccupa questo: aspettando, rischieremo forse che non divenga mai di pubblico dominio. Chi può sapere che cosa quei…

— Demoni — disse frate Mainoa, pacato. — Quei demoni di santificati. Il Prelato e il suo seguito.

— Si tratta della vostra fede. Non intendevo…

— Tenete conto che si tratta di una fede che mi è stata imposta. Comunque, l’autore di questa lettera è indegno di qualsiasi religione.

Marjorie gesticolò: — Be’, in ogni modo avete capito cosa intendo dire, fratello: se quel Zoe si accorgerà della sparizione della missiva, probabilmente verrà a cercarla, e si avvarrà del suo potere per impedire che sia divulgata.

— Ne faremo varie copie. Limitarsi a diffonderne il contenuto su altri pianeti non servirebbe, perché il Prelato non dovrebbe far altro che smentire tutto. Ci occorrono copie della lettera, da cui risulti che è di pugno del Prelato. E poiché costui, come è spiegato nella lettera stessa, è diretto qui, dovremmo incaricare qualcuno di portare le copie su un altro pianeta. Attualmente lo Star-Lily, un mercantile di Semling, si trova all’astroporto, pronto a partire.

— Quanto dista il più vicino? Quanto dista Semling?

— Due settimane grassiane.

— Trenta giorni — mormorò Marjorie. — Sarebbe meraviglioso se riuscisse a trovare una cura entro questo periodo.

— Se riuscisse, chi?

— La dottoressa Bergrem. È una donna eccezionale, frate Mainoa. Ha studiato su Semling e su Pentimento, e dispone di alcuni giovani assistenti che hanno da poco terminato gli studi. Cominciò ad interessarsi di immunologia proprio perché, quando era ragazza, scoprì qualcosa su Grass.

— Qualcosa?

— Be’, non ho competenze scientifiche, ma ho letto il libro che la dottoressa ha scritto su questa scoperta. Si tratta di un composto organico, di cui non ricordo il nome, necessario alla vita delle nostre cellule. Su Grass esiste in due forme: quella, diciamo così, normale, e una che potremmo definire speculare, la quale non esiste su nessun altro mondo.

— Quando vi è stato spiegato tutto ciò?

— Mentre mi trovavo nella camera di Stella. La dottoressa parlava soltanto per distrarmi, ma la sua grande competenza mi ha infuso un po’ di speranza. — Marjorie riprese la lettera del Prelato, e la fissò, ancora incredula. — Supponiamo che abbiate ragione. Se falliremo, non avrà più nessuna importanza se la gente saprà o non saprà di questa missiva. Ma se riusciremo a trovare una cura? In tal caso la gente dovrà essere informata delle intenzioni della Santità!

— D’accordo, Marjorie. Invieremo copie della lettera su Semling, se non altro per precauzione. Lo Star-Lily dovrebbe partire domani. Adesso che la galleria è bloccata, possiamo chiedere ad Alverd Bee di riaprire l’astroporto.

— Manderemo Tony — decise Marjorie. Era convinta che ciò fosse un bene perché il ragazzo era troppo vulnerabile agli Hippae: voleva mandarlo via prima che subisse la medesima sorte di Stella. Non bisognava trascurare il fatto che forse la peste si era già diffusa su Semling; però tutti i rischi si equivalevano: era sempre questione di vita o di morte. — In ogni modo, è bene restare all’erta: può darsi benissimo che esista un’altra galleria. Altrimenti, perché tanti Hippae si sarebbero diretti qua al Comune?

Frate Mainoa annuì, battendo una mano di Marjorie in segno di incoraggiamento: — Basteranno un paio di pattuglie aeree per garantire la sicurezza di coloro che lavorano all’astroporto. Ma affrontiamo adesso un altro problema. Nel caso che il Prelato voglia interrogarmi, ciò che non mancherà certo di fare se Zoe gli parlerà di me, tornerò nella foresta e mi farò accompagnare da Rillibee affinché mi aiuti. Se il Prelato manderà qualcuno a cercarmi, dite pure la verità, ossia che sono tornato nella foresta. Ma se qualcuno vi chiederà della lettera, voi e vostro marito dovrete dichiarare di non saperne assolutamente nulla. Quando sarà trovata una cura, Tony si incaricherà di annunciarlo, e al tempo stesso divulgherà la lettera del Prelato.

— Sì, accompagnerò frate Mainoa — garantì Rillibee, che aveva udito la conversazione. — Lo porterò su un albero, poi attenderò con lui che una volpe venga a prenderci.

Più desiderosa di tornare nella foresta che di rimanere nella città affollata, Marjorie guardò attorno, cercando di escogitare un pretesto per partire, ma quando si rivolse, vide che i due monaci se n’erano già andati, e pensò: Dannazione! Quantunque si sentisse indicibilmente triste, si proibì di piangere. Nel tentativo di distrarsi, chiese a Roald Few: — Concordano tutti sul fatto che probabilmente esiste un’altra galleria?

— Oh, sì — rispose Roald. — Varie gallerie. Probabilmente però non sono ancora state ultimate, altrimenti gli Hippae ci sarebbero già addosso.

— Una galleria potrebbe facilmente sbucare da questa parte della Mug — sussurrò Marjorie, guardando attorno per accertarsi che nessun altro udisse. — Avete preso in considerazione questa eventualità?

Stancamente, Roald annuì: — Abbiamo meditato su questa, lady Westriding, nonché su altre tre o quattro possibilità ugualmente spaventose. La gente sta già cominciando a chiedersi quanto potrebbero resistere i sotterranei agli assalti degli Hippae.

— Supponiamo che esista una seconda galleria, non ancora ultimata. Quale sarà la prossima mossa degli Hippae?

— Incendiare le estancia, come è già successo a Collina d’Opale. Questa è una delle eventualità che abbiamo considerato mentre voi affrontavate i mostri rimasti a presidiare l’uscita della prima galleria. Ebbene, concordiamo tutti che gli Hippae, data la loro natura, appiccheranno il fuoco alle tenute, se non sono ancora in grado di invadere il Comune.

— Gli abitanti delle estancia sono già stati avvertiti?

Roald nascose il viso fra le mani: — Nessuno ne ha ancora avuto il tempo! D’altronde, a chi mai potrebbero credere i bon? Forse alla obermum bon Damfels, ma certo non a me.

Senza dire altro, Marjorie andò a procurarsi varie copie della lettera, ad avvertire Tony del viaggio che lo attendeva, e a tener compagnia a Rowena.

Nessuno rispose al dimmi da Klive. Dalla estancia dei bon Laupmon, qualcuno ricevette la chiamata, ma rifiutò di replicare all’annuncio che Taronce era sopravvissuto e che l’estancia avrebbe dovuto essere evacuata. Da Stane, invece, dopo aver appreso che Dimoth e Vince erano morti, Geraldria bon Maukerden pregò Rowena di inviare dalla Città Plebea i mezzi necessari all’evacuazione della villa e del villaggio. Frattanto, il sindaco Bee aveva già mandato tutti gli aviomezzi disponibili a tutti i villaggi, incluso quello dei bon Damfels: — I dannati bon possono anche rimanere ad arrostire, se vogliono — aveva ringhiato. — Ma porteremo in salvo tutti i villici.

Purtroppo, per Klive era troppo tardi: prima ancora che la galleria fosse bloccata con l’esplosivo, gli Hippae l’avevano assalita senza lasciare superstiti né alla villa né al villaggio, tranne Figor, il quale fu trovato mentre vagava tra le macerie carbonizzate, con un coltello laser in pugno.

Ricevuta la notizia, Rowena pianse, tergendosi le lacrime soltanto con la mano sinistra, perché aveva il braccio destro inserito fino alla spalla in una panacea: — Emmy è qui con Amy. Anche Shevlok è qui, e in un certo senso è vivo. Figor guarirà. Ma sono così addolorata per Sylvan, e per i miei cugini, e per la vecchia zia Jem.

Nessuno ebbe il tempo di condividere il suo cordoglio, perché un sentiero era stato tracciato nella prateria da Klive alla foresta palustre, dove sembrava che si stessero radunando tutti gli Hippae. La flotta aerea di evacuazione continuò a volare avanti e indietro sulla prateria anche dopo l’incendio di Stane e quello di Jorum, ossia l’estancia dei bon Bindersen, che l’obermun Kahrl e la obermum Lisian rifiutarono di lasciare. I loro figli, invece, Traven e Maude, accettarono di partire coi villici e con la servitù.

Alla estancia dei bon Haunser, Eric e il figlio dell’obermun, Jason, partirono assieme alla popolazione. Felitia era morta dai bon Laupmon, durante quello che Rigo chiamava ormai «il Torneo».

L’estancia dei bon Laupmon fu completamente distrutta, ma i villici riuscirono ad aprire una breccia nell’incendio che circondava il villaggio: all’arrivo dei soccorsi, stavano difendendo valorosamente i loro animali e loro stessi, armati di falci laser. Alla estancia dei bon Smaerlok, i piloti degli aviomezzi furono informati che nelle primissime ore di quella stessa mattina, all’arrivo di molti veltri e molte cavalcature, i bon erano andati a Caccia coi bon Tanlig, dal primo all’ultimo, inclusi i vecchi. In entrambe le estancia restavano soltanto i bambini, che furono evacuati insieme ai villici. Da ognuna delle due tenute, un ampio sentiero aperto dagli Hippae conduceva alla foresta palustre.

Sotto l’attenta supervisione di James Jellico, il quartier generale del Comune fu allestito alla Capitaneria, da cui era possibile sorvegliare l’astroporto e ricevere messaggi dalle astronavi in arrivo. Inoltre, da essa si sarebbe potuto organizzare la difesa, se gli Hippae fossero arrivati da un’altra galleria.

Nei sotterranei della Capitaneria fu approntato un ospedale per ricoverare Rowena, Stella, Emmy, Shevlok, Figor e una dozzina di altre persone che erano rimaste gravemente ferite prima o durante l’evacuazione. Coloro che presentavano soltanto ferite lievi furono curati e dimessi.

Quando si fu occupata dell’ultimo paziente, Lees Bergrem insistette per tornare all’ospedale dell’astroporto con alcuni assistenti: — Che esista o meno un’altra galleria, l’equipaggiamento che mi occorre si trova all’ospedale — spiegò a Marjorie. — Forse ho più possibilità di chiunque altro di riuscire a trovare una cura per la peste, però mi occorrono le attrezzature. Non posso lasciarmi spaventare ed ostacolare dagli Hippae.

— Avete qualche ipotesi precisa? — domandò Marjorie.

— No, ho soltanto qualche indizio. — La dottoressa respinse tutte le obiezioni di Gelatina, poi varcò il cancello assieme ai suoi assistenti, con parecchie provviste.

Ormai, Marjorie non sapeva più che cosa fare. Tony riposava nel dormitorio della Capitaneria, pronto a partire entro poche ore a bordo dello Star-Lily. Mainoa e Rillibee erano al sicuro nella foresta. Persun e Sebastian stavano assistendo il sindaco Bee nel sistemare i profughi e fortificare i sotterranei.

— Roald si è offerto di ospitarci a casa sua, in città — disse Marjorie al marito. — Sua moglie, Kinny, ci sta preparando la cena. Possiamo andare a piedi.

Barcollando, Rigo si alzò con una smorfia di scusa: — Non sono tanto sicuro di poter camminare.

Persun, che aveva sentito, si avvicinò: — Ho un piccolo automezzo parcheggiato qua fuori, signore. C’è posto abbastanza per voi e per lady Westriding, se siete disposti a stringervi un po’. Io devo andare comunque in città.

Con un sorriso, Rigo ringraziò.

E così, in un silenzio di spossatezza, si recarono nella casa estiva dei Few, dove Kinny, con le lacrime agli occhi, li accompagnò in un comodo appartamentino seminterrato: — Abbiamo perduto soltanto un villaggio su sette — spiegò, piangendo. — Ma tutti in città avevano parenti a Klive: tutti sono in lutto. — Scuotendo la testa, irritata e sbalordita, aggiunse: — Sapete che i bon stanno già cercando di imporre la loro autorità?

— No — rispose Rigo. — Cosa intendete dire, esattamente?

— Oh, ambasciatore, è incredibile! Vediamo un po’. Eric bon Haunser, fratello del defunto obermun Jerril, e Jason, figlio di Jerril, e Taronce bon Laupmon, nipote del defunto obermun Lance, e Traven, fratello del fu obermun bon Bindersen, hanno deciso di assumere temporaneamente il governo del Comune. — Irata e divertita al tempo stesso, Kinny rise. — Hanno annunciato a Roald di essersi costituiti in una sorta di quadrunvirato. Mio marito e Alverd stanno cercando di spiegar loro la situazione, ma vi assicuro che non è affatto facile.

— Si illudono forse che siate tutti disposti a prendere ordini da loro? — domandò Rigo, incredulo.

— Assolutamente sì. Be’, per la verità, quando ci recavamo alle estancia, abbiamo sempre finto di riconoscere la loro autorità, sia per compiacerli, sia perché non ne derivava alcun danno. Ma adesso c’è una posta troppo alta in gioco, per lasciare che loro si immischino: sono così ignoranti. — Kinny fece una smorfia, poi chiese agli ospiti se avessero voglia di mangiare qualcosa.

— Credo proprio di sì — sospirò Marjorie. — Non riesco a ricordare quand’è stata l’ultima volta che ho consumato un pasto. Alla Città Arborica, credo.

— Ah, voglio proprio che mi raccontiate questa esperienza! Adesso lavatevi pure a vostro comodo. Quando salirete, troverete la cena pronta.

Nel servire il pasto in cucina, Kinny chiacchierò della Città Arborica e di parecchi altri argomenti, interrompendosi di quando in quando per piangere, o per ridere di qualcosa che rammentava. Soltanto dopo cena, mentre erano tutti seduti a bere tè, ricordò: — Oh, a proposito. Roald ha chiamato mentre eravate dabbasso per dirmi di riferirvi che domani arriverà una grossa astronave della Santità. A bordo c’è il pezzo grosso in persona: il Prelato.

— Gli permetteranno di restare in orbita? — chiese Rigo, sentendosi serrare lo stomaco.

Kinny scosse la testa: — Roald e Alverd non ne hanno nessuna intenzione. Ma il punto è questo: come glielo si potrà impedire, se deciderà di farlo?

Intanto, Marjorie immaginò le possibili conseguenze dell’arrivo del Prelato: — Rigo, dobbiamo portar via la dottoressa Bergrem dall’ospedale, è proprio vicino all’astroporto: se la cosmonave atterra e la Santità scopre a cosa sta lavorando la dottoressa.

Con un gemito, Rigo si alzò: — Torniamo a parlare con Alverd Bee.

— Cos’è una «classe Galassia»? — volle sapere il sindaco Bee.

— Una cosmonave della Santità, chiamata Israfel - rispose un controllore di volo. — Non ne ho mai vista nessuna di questo genere.

Si trovavano nei sotterranei della Capitaneria. Dalle stanze adiacenti provenivano i lamenti dei feriti e i pianti dei bambini spaventati. Qualcuno passò turbinosamente nel corridoio e i lamenti cessarono, però i bimbi continuarono a piangere.

Senza badare a tutto ciò, il controllore seduto al dimmi spiegò, osservando un diagramma sullo schermo: — È una corazzata della flotta della Santità. È davvero enorme.

— Trasporta anche truppe — aggiunse Rigo, che si trovava alle spalle dell’operatore e scrutava il diagramma ad occhi socchiusi. — È vecchia, come tutte le cosmonavi della flotta militare della Santità.

— Trasporta mille uomini — precisò il controllore — ed è fornita di un vero armamento da guerra.

— La dottoressa Bergrem deve partire con lo Star-Lily - intervenne Marjorie. — Non può rimanere qui.

— La dottoressa Bergrem non intende andare da nessuna parte — annunciò la diretta interessata, entrando. — Cos’è questa faccenda? — Si tolse il mantello e si accomodò su una sedia. — Stavo andando in città a prendere alcuni testi che mi occorrono, quando ho sentito pronunciare il mio nome invano.

— Il nuovo Prelato della Santità, Cory Strange, sta per arrivare — annunciò Marjorie. — Senza dubbio non volete che vi trovi qui, vero?

— E perché diavolo non dovrei? — La dottoressa Bergrem si sistemò più saldamente sulla sedia.

— Avete trovato una cura per la peste?

— Non ancora. Tuttavia credo di essere sulla strada giusta. Se soltanto sapessi.

— Allora dovete andare — tagliò corto Rigo, in un tono così tagliente e autoritario, che la dottoressa arrossì di collera.

— Calma — intervenne Marjorie. — Nessuno vuole obbligarvi, dottoressa Bergrem. Ma prima di rifiutare, leggete questa. — Prese di tasca una copia della lettera perduta da Jhamlees Zoe e la consegnò alla dottoressa.

Dopo averla letta e riletta, Lees Bergrem sbottò: — Non posso crederlo!

Marjorie posò le dita sulle labbra di Rigo, che stava per ribattere: — Cosa non credete?

— Che qualcuno possa. Dev’essere un falso! — La dottoressa Bergrem scrutò i visi degli Yrarier, leggendovi soltanto angoscia. — Ma perché mai. Dannazione! — E porse la lettera ad Alverd Bee.

— Dovete andare — insistette Marjorie. — Forse siete prossima a trovare la cura, o qualcosa che vi condurrà alla cura, come voi stessa avete ammesso. Ma se ciò avverrà qui, mentre quella cosmonave si trova all’astroporto, non avrete mai la possibilità di divulgare la vostra scoperta. Mille soldati sono in grado di occupare senza sforzo la città. Noi stiamo per mandare nostro figlio a Semling con alcune copie di questa lettera, ma nel renderle pubbliche, voi potreste cavarvela ancor meglio di lui, visto che all’Università siete molto conosciuta.

— Se lasciassi il pianeta non potrei continuare il mio lavoro — spiegò Lees. — Mi occorrono campioni cellulari e geologici che non esistono su Semling. Perciò, il vostro piano è assolutamente da scartare.

Terminata la lettura della missiva, Alverd sollevò lo sguardo, col viso contratto dal furore: — Se non puoi lasciare il pianeta, Lees, allora devi nasconderti da qualche parte, e questo implica il trasferimento delle tue attrezzature. Spiegami rapidamente che cosa ti occorre. Abbiamo circa sei ore per nascondere te e far partire lo Star-Lily. Dopo sarà troppo tardi.

— Il nuovo Prelato non sa ancora niente — intervenne Rigo. — Prima di atterrare su Grass non può apprendere nulla da Jhamlees Zoe.

— Non potrà apprendere nulla da Jhamlees Zoe, punto e basta — corresse Persun Pollut, entrando nella stanza. — Sebastian ed io siamo andati al Monastero per chiedere ai frati se avessero cambiato idea sull’evacuazione, ma era ormai troppo tardi, perché gli Hippae li avevano già assaliti: le fiamme dell’incendio si vedevano fin da Klive. Tutta quella parte del pianeta sta bruciando.

— Stando così le cose, il Prelato non saprà nulla sulle mie attività — dichiarò Lees. — Posso anche restare all’ospedale. Mi ci sono appena risistemata: non voglio trasferirmi ancora.

— Cercate di capire, vi prego — implorò Marjorie. — Quando il Prelato sarà qui, voi potrete fare soltanto quello che vi sarà ordinato. Non avete mai avuto a che fare con la Santità, dottoressa Bergrem, ma Rigo ed io sì, quindi vi scongiuro di credermi. Persino i santificati hanno pochissimi diritti quando si oppongono alla Santità. Quanto a coloro che appartengono a fedi diverse, non ne hanno nessuno, tranne quelli che loro stessi hanno la forza di far valere. E se il Prelato schiererà le sue truppe, noi non potremo garantire neppure l’avvento dell’estate!

— E va bene, va bene! Mi nasconderò! Mi occorrono campioni cellulari, Alverd: manderò uno dei miei assistenti a prelevarne da tutti i bon sopravvissuti, bambini compresi. Inoltre mi servono campioni geologici presi un po’ dappertutto. Vieni con me, Persun: ti descriverò quello di cui ho bisogno. Poi andrò ad imballare le attrezzature, ma dato che sono pesanti, mi occorrerà un po’ d’aiuto. — Così dicendo, Lees se ne andò.

— E voi due? — domandò Alverd.

Rigo si alzò stancamente: — Non possiamo far nulla, per il momento, quindi andremo a riposare un po’, come Tony, che sta dormendo in attesa di salire a bordo dello Star-Lily. Dovremo essere svegli e riposati quando arriverà la cosmonave della Santità: potrebbe essere utile confondere un po’ le acque al Prelato.

La Israfel sbocciò come una stella, e come una stella rimase nel cielo. Una navetta spaziale scese a scaricare una pattuglia militare comandata da un serafino con angeli a sei ali sulle spalline, il quale fu ricevuto dal sindaco Bee: — Il Prelato desidera parlare col direttore Jhamlees Zoe del Monastero dei Frati Verdi. Non siamo riusciti a contattarlo mediante i nostri sistemi di comunicazione.

Alverd annuì mestamente: — Il Monastero è stato distrutto da un incendio della prateria. Attualmente stiamo cercando eventuali superstiti.

Dopo un breve silenzio meditativo, il serafino dichiarò: — Forse il Prelato vorrà venire a verificare personalmente.

— Abbiamo evacuato l’Albergo dell’Astroporto allo scopo di renderlo disponibile al Prelato — rispose Alverd. — Gli incendi hanno arso enormi estensioni di prateria e distrutto sette villaggi. La città è piena di profughi.

— Nondimeno può darsi che il Prelato preferisca la città — replicò il serafino.

— Ma certo, se questo è il suo desiderio — annuì Alverd. — Tuttavia sono tenuto ad avvertirvi che in città è diffusa una epidemia, a cui il Prelato desidera presumibilmente evitare di esporsi.

Pur rimanendo impassibile, il serafino chiese con una sfumatura di cautela: — Il portavoce del Prelato vi farà sapere. Ma di quale epidemia si tratta, esattamente?

— Lo ignoriamo. Il primo sintomo della malattia è la comparsa di piaghe fetide — rispose Alverd, prima di descrivere i sintomi della peste come glieli aveva illustrati Rillibee, con abbondanza di dettagli disgustosi e spaventevoli.

Così, la pattuglia prese alloggio all’albergo. Il Prelato non si trasferì su Grass, ma convocò Rigo a bordo della Israfel.

Marjorie insistette per accompagnare il marito: — Se non altro per salvare le apparenze. La missione è stata affidata ad entrambi, quindi aiutiamoci, almeno.

— Ho bisogno di te, Marjorie.

Lady Westriding scrutò pensierosamente il marito: — Non mi avevi mai detto niente del genere, Rigo. Lo dicevi spesso ad Eugenie?

Rigo arrossì: — Credo di sì.

— Essere necessari è ben diverso che essere desiderati. E molto tempo fa mi dicevi spesso che mi desideravi. Ma andiamo, ora: credo che il serafino ci stia aspettando.

— Serafino! — sbuffò Rigo. — Perché non lo chiamano colonnello o generale? Serafino! Bah!

— Non dobbiamo tradire i nostri preconcetti! L’attuale Prelato è ben diverso da tuo zio. Può anche darsi che già sospetti di noi per il semplice fatto che non siamo santificati.

Il Prelato non tradì alcuna diffidenza. Il suo viso era così anonimo da non restare impresso nella memoria, tuttavia gli sfolgoranti angeli d’oro dalle ali metalliche cuciti agli orli della sua veste bianca erano molto vistosi. — I miei consiglieri — spiegò, in tono di modesto ma irritante compiacimento, indicando lo schermo trasparente che lo proteggeva — non mi hanno permesso di espormi ad eventuali rischi.

— È stato un consiglio molto saggio — commentò Rigo.

— Ebbene, ambasciatore, questo rischio esiste veramente? Vi sono stati decessi inspiegabili, oppure causati dalla peste?

— Lo ignoriamo — rispose Rigo, per proteggersi il più possibile nel caso che il Prelato si stesse servendo di un analizzatore: quasi sempre, infatti, si poteva affermare con sincerità di non possedere conoscenze precise.

— Abbiamo saputo che spesso scompaiono persone su Grass — aggiunse Marjorie sinceramente — e abbiamo cercato di scoprire come e perché si verificano queste sparizioni. Dato che non possediamo informazioni molto precise, ci sarebbe utile sapere con esattezza che cosa ha indotto la Santità ad interessarsi di Grass.

Per alcuni istanti, il Prelato la scrutò in silenzio da capo a piedi, come se stesse pensando al modo migliore per macellarla. Marjorie, che non era mai stata osservata così, ne fu raggelata, rendendosi subito conto che il vecchio non era affatto interessato a lei come donna, né come persona.

— Bene — rispose infine il Prelato. — Vi dirò esattamente quello che abbiamo saputo. Un funzionario della Santità si trovava in visita alla famiglia, su Shafne. Un suo parente, che era controllore di volo all’astroporto, si fermava talvolta in una taverna, dopo il lavoro. In una di queste occasioni chiacchierò con un astronauta di un ignoto mercantile, il quale raccontò che un suo amico, ugualmente sconosciuto, si era accorto di avere alcune piaghe sulle braccia e sulle gambe proprio poco prima di giungere su Grass, dove era stato subito posto in quarantena. In seguito era ripartito normalmente col suo mercantile, ed era giunto ormai guarito allo scalo successivo.

— E questo è tutto?

— Al ritorno dalla sua visita alla famiglia, il nostro funzionario ci ripeté questo racconto. Secondo i nostri computer, è molto probabile che l’ignoto astronauta avesse davvero la peste, tuttavia non siamo stati in grado di verificare l’espisodio. Poco tempo dopo, il parente del nostro funzionario morì di peste. Non abbiamo potuto identificare né l’astronauta, né il suo mercantile, e neppure dove esso si recò dopo aver lasciato Grass.

Rigo gesticolò: — Anche presumendo che la storia sia vera, non possiamo stabilire se l’astronauta avesse davvero la peste, né se guari qui, oppure altrove. — Manifestando un timore e una frustrazione del tutto sinceri, riuscì a dissimulare il proprio turbamento. — Le piaghe non sono sintomo soltanto della peste!

Impassibile, il Prelato lo scrutò: — Avete trovato qualche superstite del Monastero?

Rigo annuì: — Sì, alcuni. I sopravvissuti che si sono accorti che li stiamo cercando, stanno ritornando al luogo in cui sorgeva il Monastero.

— E il mio vecchio amico Nods, o meglio, Jhamlees Zoe?

Poiché non sarebbe stato necessario un analizzatore per cogliere la soddisfazione nella sua voce se avesse parlato, Rigo si limitò a scuotere la testa: no, Jhamlees Zoe non era ricomparso.

Come se qualcuno gli avesse posto una domanda, il Prelato annuì: — Credo che rimarremo qui, per il momento. Può darsi che Zoe si sia salvato, o che voi possiate trovare informazioni più precise.

A bordo della navetta, Marjorie chiese: — Ammesso che l’episodio raccontato dal Prelato sia vero, Rigo, l’astronauta respirò aria grassiana, durante la quarantena, e bevve acqua grassiana e mangiò cibo grassiano, vero?

— Senza dubbio — annuì Rigo, accennando in segno di avvertimento ai soldati che occupavano i sedili dinanzi a loro e potevano udire la conversazione.

Meditando su un’idea che aveva avuto, Marjorie non chiese altro.

Quando alcuni militari ebbero riaccompagnato lei e il marito alla Capitaneria, Marjorie disse a Roald Few: — A bordo della cosmonave vi sono truppe sufficienti ad occupare il pianeta.

— Se il Prelato decidesse in questo senso — aggiunse Rigo.

— Voi cosa ne pensate, ambasciatore? — chiese Roald, guardando il sindaco con la coda dell’occhio.

— Credo che il Prelato sia indeciso — rispose Rigo. — Se fossi al suo posto, manderei qua un gruppo di scienziati a compiere ricerche.

— Credete che non vi avrebbe informato, se questa fosse la sua intenzione? — domandò Alverd.

Senza allegria, Marjorie rise: — Noi non siamo santificati, sindaco Bee. Il Prelato non ha simpatia né fiducia nei nostri confronti. Probabilmente, questo è il suo atteggiamento nei confronti della gente in generale. In ogni modo, cercherà di sfruttarci il più possibile senza compensarci in alcun modo.

— È un astuto bastardo — commentò Alverd. — Non è certo tipo da fidarsi di noi del Comune, che non abbiamo alcuna simpatia per la Santità. Meriterebbe di morire di peste.

— Forse si rammaricherà di non essere rimasto contagiato, quando la sua lettera diverrà di pubblico dominio — rispose Marjorie. — Fino ad allora, noi dovremo tener duro e ostacolarlo il più possibile.

Tuttavia non fu possibile ostacolare il Prelato: poco tempo dopo, gli scienziati della Santità occuparono l’ospedale e collocarono le loro misteriose attrezzature.

— Non importa che cosa riusciranno a scoprire — dichiarò Marjorie. — Basta che ci riesca anche la dottoressa Bergrem.

— Sarebbe di gran lunga preferibile che fosse lei la prima a trovare una cura per la peste — obiettò Rigo, prendendo la moglie a braccetto per condurla in un angolo tranquillo. — Dobbiamo accordarci su quello che diremo se il Prelato ci interrogherà ancora. Anzi, tutti al Comune dovranno riferire le stesse cose.

Concordata fra loro una strategia, Marjorie e Rigo ne parlarono con Roald e Alverd, poi tornarono al loro appartamentino, per dormire ancora e gustare di nuovo la cucina di Kinny. A tarda sera, Rillibee tornò dalla foresta palustre e li svegliò.

Sbadigliando, Marjorie uscì dalla propria stanza, avvolta in una vestaglia leggera, e trovò Rigo a sedere sul bordo, con Rillibee appollaiato ai piedi del letto.

— Sono venuto a prendere padre James, e anche l’altro prete, se accetterà di accompagnarci — spiegò il ragazzo.

— Cosa sta succedendo, Rillibee?

— Vorrei proprio saperlo con esattezza. Le volpi stanno cercando di appurare o decidere qualcosa. Sono state stimolate da una vostra osservazione, Marjorie. Avete comunicato con le volpi, vero?

— Sì. È stato durante quello che è accaduto sul colle, fuori dall’astroporto.

— Non me lo avevi detto! — rimproverò Rigo, quasi con ira.

— Mi sembrava quasi un sogno — rispose Marjorie, tranquilla. — Non mi sarebbe stato facile riferire la conversazione. Si è trattato più che altro di qualcosa che ho pensato fra me e me. A quanto pare, però, le volpi hanno compreso la mia minaccia.

— Credo che si tratti di ben altro che di una minaccia. Frate Mainoa si sta strappando quei pochi capelli che gli restano nel tentativo di capire. Qualunque cosa abbiate detto, di sicuro avete suscitato in loro un cambiamento. Nella foresta si sono radunate centinaia e centinaia di volpi a discutere e a meditare, brontolando e miagolando, scrutandosi a vicenda e picchiettando con gli artigli. È come avere intorno belve spettrali: non si vedono, ma sono presenti; si sentono, ma non si capiscono. Dopo un po’ non se ne può più: si desidera soltanto che se ne vadano. Comunque sono impegnate in una discussione fondamentale su qualcosa che deve accadere. Una volpe avrebbe voluto parlare con voi, Marjorie, ma quando le ho detto che forse non avreste potuto, ha risposto che si accontenterà di padre James.

Nonostante il suo vivo desiderio di tornare nella foresta, Marjorie scosse la testa: — Infatti non posso lasciare la città. Se lo facessi, il Prelato potrebbe insospettirsi. Dispone di mille soldati, e forse non esiterebbe a distruggere la foresta palustre, o la città. Ma padre James, probabilmente, ti accompagnerà.

— Mi piacerebbe portare anche Stella — disse Rillibee, con gli occhi fissi al pavimento.

Marjorie sospirò e distolse lo sguardo: — L’hai vista, Rillibee? — Pur non essendo più collegata alla panacea, Stella era ancora ricoverata all’ospedale provvisorio.

— Sì, sono andato a farle visita, prima di venire da voi.

— Lei non è più se stessa.

— È come una bambina — osservò Rillibee. — Una deliziosa bambina.

— A cosa ti serve una «deliziosa bambina»? — intervenne Rigo, con una smorfia torva.

Il ragazzo si erse in tutta la sua altezza e, data la circostanza, acquistò grande dignità dalla sua stessa bassa statura e dalla sua stessa magrezza: — Non intendo affatto molestarla, se è questo che pensate. Qui Stella si trova in pericolo come tutti voi, però, a differenza di voi, non può scegliere come agire. Per la stessa ragione, vorrei portare con me anche Dimity e Janetta. Poiché gli Hippae le hanno private della loro personalità, forse le volpi saranno in grado di contribuire a guarirle.

— Perché no? — convenne Marjorie. — Per Dimity e Janetta devi chiedere a Rowena e Geraldria, ma per quanto riguarda me, la risposta è sì: puoi prendere Stella con te.

— Marjorie! — rimbrottò Rigo, sdegnato.

— Piantala di infuriarti, Rigo! — ribatté Marjorie, in un tono autoritario che il marito non aveva mai udito da lei. — Smettila una buona volta con queste ostentazioni di orgoglio virile e cerca di riflettere!

— Ma è mia figlia!

— Be’, è anche mia figlia, e la sua mente è stata completamente cancellata, al punto che non mi riconosce neppure. Passa le sue giornate a giocare, facendo rimbalzare una palla contro un muro. Tu cosa intendi fare per lei? Riportarla sulla Terra e affidarla a una governante?

Rigo indicò Rillibee: — Ma questo…

— Questo giovanotto è stato vittima del dispotismo della Santità, come tutti noi, e inoltre possiede notevoli qualità. Cosa vuoi sapere sul suo conto?

— Tu ti fidi di lui? Credi davvero che…

— Mi fido eccome! — sbottò Marjorie. — In ogni modo non credo che possa nuocere a Stella più di quanto abbiano già fatto gli Hippae. Non dimenticare che sei stato a tu, Rigo, a permettere che nostra figlia fosse catturata da quei mostri! Sono convinta che Rillibee avrà per lei maggior cura di quanta ne abbiamo avuta noi, che siamo i suoi genitori! Non dubito affatto che la proteggerà!

Durante la breve discussione, Rillibee era rimasto in disparte, ad ascoltare, ma finalmente dichiarò: — Farò del mio meglio per Stella. Fin dal primo momento in cui l’ho vista, non desidero altro che il suo bene. Attualmente esiste un solo luogo sicuro su Grass: la Città Arborica. La foresta è immune dai disastri che stanno avvenendo sul pianeta.

Rigo non rispose.

Marjorie non riusciva a vedere in viso il marito, né lo desiderava, e nemmeno voleva più discutere con lui. Mediante il dimmi, spiegò a Geraldria e a Rowena la proposta di Rillibee, consigliando ad entrambe di accettarla. Poi si accorse che Rigo le era accanto e si volse con impazienza: — Ebbene?

— Sì — rispose Rigo, come se le stesse facendo un favore. — Accetto anch’io, per il momento. Forse Stella sarà davvero più al sicuro nella foresta che qui, almeno per qualche tempo.

Senza molto successo, Marjorie tentò di sorridere: — Spero di non sbagliare, Rigo. Ogni tanto mi piace aver ragione.

Senza rispondere, Rigo tornò nella propria stanza.

Invano Marjorie cercò di riprendere sonno. Era quasi l’alba, quando il serafino arrivò con la sua scorta, ed ella scoprì che anche Rigo non era più riuscito a dormire.

Gli Yrarier ebbero poco tempo a disposizione per vestirsi. Forse fu soltanto la loro immaginazione, ma si sentirono trattati con minor cortesia della volta precedente. Giunti al cospetto del Prelato, scoprirono che questi si trovava in compagnia di due persone, alla vista di una delle quali Rigo serrò un braccio di Marjorie, che contrasse per un istante i muscoli delle guance nel riconoscere anche l’altra: — Admit! — esclamò, cercando di fingersi lieta. — Lo riconosci, Rigo? è Admit Maukerden. Sono contenta che vi siate salvato dall’incendio di Collina d’Opale. Sebastian e Persun sono tornati più volte a cercare superstiti, ma invano. E voi non eravate fra i profughi.

— Il mio nome è Admit bon Maukerden.

— Davvero? Ma Jerril bon Haunser mi disse che mi avrebbe mandato come segretario un membro di una famiglia collaterale.

— Ero stato incaricato di scoprire il vero motivo della vostra presenza su Grass — rispose Admit. — Come i bon, anche costui vuole sapere che cosa state tramando. — E indicò il Prelato, che si trovava sempre dietro allo schermo trasparente.

— Be’, ma allora dite pure al Prelato tutto quello che desidera sapere — esortò Marjorie.

— Per la verità, sono molto più interessato al racconto di costui — dichiarò il Prelato, con voce melliflua.

L’individuo in questione era spaparanzato su una sedia come una lucertola su un sasso, ma i graffi e i lividi che aveva sul viso e sulle braccia contrastavano col suo apparente rilassamento: era Granbravone.

— Frate Flumzee? — chiese Marjorie, con voce calma. — Lui e i suoi compari hanno cercato di uccidermi, nella foresta palustre. — E scrutò gravemente l’arrampicatore: — Cos’altro vi ha dato ad intendere?

Nell’osservarla, Granbravone rammentò finalmente quello che aveva dimenticato sul conto delle donne: talvolta avevano pietà degli uomini, senza che costoro sapessero perché.

Sempre nello stesso tono, il Prelato replicò: — Mi ha detto che conoscete molto bene un certo frate Mainoa, il quale era accusato di apostasia, e inoltre sapeva qualcosa sulla peste.

— Davvero? E ditemi, frate Flumzee: cosa sapeva? Oppure preferite ancora esser chiamato Granbravone?

— Sapeva qualcosa! — gridò l’arrampicatore, detestando quello che leggeva sul volto di Marjorie. — Fuasoi lo voleva morto!

— Che cosa sapeva? — domandò il Prelato. — Sarebbe nel vostro interesse, lady Westriding, e nel vostro, ambasciatore, riferirmi tutto quello che il frate sapeva, o credeva di sapere.

— Ne saremo ben lieti — rispose Rigo. — Tuttavia, lui stesso sarebbe in grado di dirvi molto più di quel che noi.

— È ancora vivo? — interruppe il Prelato, con voce tagliente.

— Ma naturalmente — replicò Marjorie, pacata. — Granbravone lasciò ai suoi due compari il compito di uccidere frate Mainoa e frate Lourai, ma essi fallirono. Credo che Granbravone lo abbia fatto per odio personale nei confronti di frate Lourai.

— Fuasoi ordinò di uccidere Mainoa! — gridò l’arrampicatore.

Sempre con una calma assoluta, nonostante la tensione estrema che provava, Marjorie ammise: — Be’, suppongo che sia possibile, visto che frate Mainoa credeva che Fuasoi fosse un Ammuffito. — E si volse a Rigo, annuendo, nella speranza che capisse il suo intento benché non sapesse nulla dei sospetti di Mainoa.

Il furore con cui il Prelato si era accinto a ribattere fu sostituito da un improvviso sgomento: — Un Ammuffito?

— Frate Mainoa ne era convinto — spiegò Rigo, cogliendo al volo il suggerimento della moglie — perché?

— Perché altrimenti Fuasoi non avrebbe ordinato di assassinarlo — concluse Marjorie. — Se Fuasoi credeva che Mainoa sapesse qualcosa sulla peste, può averne voluto la morte soltanto perché era un Ammuffito. Chiunque non fosse stato un Ammuffito avrebbe desiderato che potesse divulgare quello che sapeva.

— Gli Ammuffiti, su Grass? — sussurrò il Prelato, pallidissimo, con le labbra contratte per l’orrore. — Qui, su Grass?

Rigo approfittò del suo terrore, osservando in tono pacato: — Be’, Vostra Eminenza, sapevano tutti che era soltanto questione di tempo prima che arrivassero qui. Persino Sender O’Neil mi avvertì, a suo tempo.

Bruscamente, l’udienza ebbe termine. Alcuni soldati ricondussero Marjorie e Rigo nella navetta, mentre altri scortarono Granbravone e Admit bon Maukerden altrove.

— Dove li stanno portando? — chiese Marjorie.

— Giù all’astroporto — rispose il capo della scorta. — Rimarranno là, sotto custodia, nel caso che il Prelato desideri nuovamente interrogarli.

Se ha creduto a quei due, forse il Prelato se ne andrà! pensò Marjorie. Forse non c’è bisogno d’altro per indurlo a partire! Però la sua speranza fu presto stroncata: al cosmodromo, lei e Rigo non poterono tornare in città, bensì furono condotti all’Albergo dell’Astroporto e confinati in un appartamento, la cui porta era sorvegliata da una sentinella.

— Dobbiamo restare qua senza cibo? — domandò Marjorie.

— Vi saranno serviti i pasti dalla mensa ufficiali — spiegò la sentinella. — Il Prelato vi vuole a disposizione, in caso di necessità.

Appena il soldato fu uscito ed ebbe chiuso l’uscio, Marjorie accostò le labbra a un orecchio del marito: — Probabilmente vi sono microfoni nascosti in tutto l’appartamento.

Rigo annuì: — Credo che frate Mainoa avesse ragione — dichiarò. — Sono convinto che quel Fuasoi fosse un Ammuffito. Probabilmente si era fatto spedire il virus e lo aveva già diffuso in città. Saremmo saggi se lasciassimo al più presto possibile il pianeta, Marjorie. — E scosse stancamente la testa. Cos’altro si può dire o fare, combinando menzogne parziali e mezze verità? pensò. Forse soltanto il terrore è in grado di indurre il Prelato ad andarsene da Grass. Sedette su un divano, addossandosi allo schienale, e chiuse gli occhi.

Mentre la stanza si colmava di sentimenti inespressi e di memorie inquietanti, Marjorie sedette accanto a lui. Nello scrutare il suo volto esausto, fu invasa da una tristezza quasi impersonale, come le era accaduto di frequente pensando agli abitanti della Città dei Procreatori. Allo stesso modo, era consapevole di non poter aiutare il marito più di quanto avesse potuto aiutare quei derelitti.

Intanto, Rigo si chiese se non fosse già troppo tardi, dopo tutto quello che era successo: Eugenie. Stella. Le accuse che ho lanciato contro Marjorie. Che stupido sono stato! Se mai so qualcosa di lei, so bene che non ha desideri di quel genere. Perché l’ho accusata? Be’, dopotutto so anche questo: perché dovevo pur accusarla di qualcosa! Ma adesso? è già troppo tardi per perdonarla di quello che non ha mai commesso?