125675.fb2 Pianeta di caccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 4

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— Sembra che sia inverno da sempre — osservò Marjorie Westriding Yrarier, badando a mantenere un tono neutro, dato che anche il minimo accenno di malcontento sarebbe stato ben poco diplomatico. Tuttavia era convinta che il suo ospite e la sua guida, l’obermun Jerril bon Haunser, non si sarebbe mai lasciato offendere da una semplice opinione, perché ciò sarebbe stato ancor meno diplomatico che insultare. Osservandone il volto angoloso, lungo ed energico, Marjorie si chiese se l’obermun sarebbe mai riuscito nell’incarico che senza dubbio gli era stato affidato, ossia quello di imparare a conoscerla il più presto possibile: a giudicare dal suo aspetto, infatti, sembrava che non gli importasse granché degli altri, né di quello che pensavano.

Benché ciò fosse del tutto insolito da parte sua, Jerril tentò un sorriso affascinante, e spiegò, nel Terrestre dall’accento molto marcato che usava come lingua diplomatica: — Anche quando arriverà l’estate, avrete l’impressione che non vi sia mai stata nessun’altra stagione. Su Grass, tutte le stagioni sono eterne. L’estate non finisce mai, e così pure l’autunno. E sebbene in questo momento non sia ancora percettibile, la primavera sta per cominciare.

Dalla finestra della villa, che sorgeva su un poggio, il paesaggio circostante sembrava un oceano sconfinato di grigi pastello e innumerevoli sfumature di oro pallido. Fra le erbe secche ondeggianti come flutti di un mare senza spiagge, erano sparse isole di grandi alberi nodosi, così ramoruti e frondosi da stagliarsi come solide masse nere contro il cielo torbido. Era un inizio di primavera molto dissimile da quello della Terra, dove le stagioni erano così diverse.

Nonostante l’entusiasmo suscitato in lei dalla missione diplomatica, Marjorie fu colta da uno struggente, nostalgico desiderio di tornare sul pianeta natale: — Come ci si accorge dell’arrivo della primavera? — domandò con sincera curiosità, volgendo le spalle alla finestra per riguardare bon Haunsen.

L’obermun e l’ambasciatrice si trovavano in una sala dell’estancia che era destinata a diventare l’ambasciata terrestre: la volta aveva costoloni color avorio; alte porte finestre si aprivano sul terrazzo; ogni movimento appariva riflesso dal pallido pavimento lucente come da una lastra di ghiaccio ricoperta da un sottile strato di polvere. Così alta, gelida ed echeggiante come le altre stanze che Jerril aveva mostrato a Marjorie, la sala sembrava talmente perfetta nella sua desolazione paralizzante, da non avere alcun bisogno di arredi e tendaggi.

L’estancia era diligentemente conservata, tuttavia era chiaro che non era più abitata da molto tempo, e Marjorie, lady Westriding, aveva l’impressione che la villa stessa preferisse la fredda semplicità dell’abbandono all’intrusione di mobili, tappeti e tendaggi, di cui si era abituata a fare a meno.

Ignaro della fantasticheria che l’ambasciatrice si era concessa, l’obermun suggerì: — Guardate le erbe lungo la scalinata del terrazzo. Cosa vedete?

Dopo aver osservato brevemente, Marjorie si convinse che l’ombra color ametista che vedeva, non era semplicemente una illusione dovuta alla luce così spesso ingannevole: — Erba purpurea? — chiese.

— Chiamiamo quella particolare varietà «manto regale». Su questo mondo esistono moltissime erbe di diverse forme e dimensioni, con una incredibilità varietà di colori e di sfumature. Anche i fiori non mancano, benché non corrispondano affatto al concetto che ne ha la Santità.

Al pari di quasi tutti coloro che gli Yrarier avevano incontrato su Grass, Jerril usava la parola «Santità» come sinonimo della Terra, però Marjorie resistette alla tentazione di correggerlo perché, se anche erano trascorse molte generazioni dall’epoca in cui la Santità era esistita soltanto sulla Terra, non si poteva negare che, sul pianeta natale dell’umanità, essa godesse di ubiquità e di una virtuale onnipotenza.

— Ho letto la descrizione dei Giardini d’Erba di Klive nell’opera di Snipopean — mormorò Marjorie, senza rivelare che quello era uno dei pochissimi libri su Grass che era riuscita a procurarsi. La Santità e la Terra non sapevano praticamente nulla sul pianeta d’erba. Occorrevano mesi per scambiare informazioni fra i due mondi, che non avevano mai intrattenuto relazioni diplomatiche. Quantunque si fosse proceduto con la massima celerità, erano trascorsi quasi due anni terrestri da quando gli aristocratici avevano accettato di accogliere un’ambasciata, e il vecchio zio Carlos, deceduto nel frattempo, aveva implorato Roderigo di recarsi con la famiglia in missione diplomatica. Dunque gli Yrarier dovevano recuperare il tempo perduto. In tono calmo, Marjorie soggiunse: — I Giardini d’Erba di Klive si trovano all’estancia dei Damfels, vero?

Jerril annuì: — Bon Damfels — precisò, accentuando il titolo onorifico. — Stavenger e Rowena bon Damfels sarebbero molto lieti di accogliervi, ma purtroppo in questo periodo sono in lutto.

— Ah — rispose Marjorie, in tono interrogativo.

— Di recente hanno perduto una figlia — spiegò Jerril, con ripugnanza e imbarazzo. — È accaduto durante la prima Caccia di primavera. Si è trattato, appunto, di un incidente di caccia.

— Mi dispiace molto. — replicò Marjorie. — Vorrei poter far loro le mie condoglianze. — Tacque per alcuni istanti, con una adeguata espressione di compassione, e intanto pensò: Cos’altro posso dire, senza rischiare di esagerare? Sarebbe offensivo manifestare curiosità? Di quale incidente di caccia può essersi mai trattato? Ma l’espressione dell’obermun indicava che sarebbe stato scortese porre domande, perciò Marjorie attese una spiegazione. Dopo un poco, quando le fu chiaro che l’obermun non intendeva fornirne alcuna, riprese l’argomento di poco prima, che non presentava alcun rischio: — Perché l’erba manto regale è purpurea alla base dello stelo?

— Fra pochi giorni il color porpora si diffonderà sino a metà dello stelo. Allora cominceranno a comparire gli splendidi colori che caratterizzano i giardini: rosa e ambra, turchese e smeraldo. Questa estancia è stata chiamata Collina d’Opale a causa dei colori che assume ogni primavera. Sono giardini giovani, questi, ma ben progettati. La zona pianeggiante alla base della scalinata è quella che chiamiamo una «prima superficie». Ogni giardino ha un prato pianeggiante di erba corta da cui si dipartono tutti i sentieri che lo percorrono. Entro una settimana, il vento intiepidirà. Siamo già entrati nella raccolta di primavera. Al termine del periodo.

— Quanto dura un periodo?

— Sessanta giorni. Si tratta di una suddivisione arbitraria compiuta dai primi coloni. Quando un anno dura oltre duemila giorni, non ha molto senso fissare durate più brevi. Dunque, sessanta giorni corrispondono ad un periodo, dieci periodi corrispondono a una raccolta, che è l’equivalente di una stagione, e quattro raccolte corrispondono a un anno. Riflettiamo il nostro retaggio terrestre nel dividere ogni periodo in quattro settimane di quindici giorni, ma senza attribuire a ciò alcun significato religioso.

Poiché aveva capito, Marjorie annuì e si arrischiò ad osservare: — Dunque non avete la festività del sabato.

— No, e neppure nessun’altra festività planetaria di alcun genere. Ciò non significa che non abbiamo religione, ma semplicemente che manteniamo una netta separazione fra la vita religiosa e la vita civile. I nostri antenati, pur essendo tutti nobili, provenivano dalle culture più diverse, quindi desideravano evitare ogni genere di conflitto.

— Abbiamo molto da imparare — commentò Marjorie, palpando il cuoio morbido del minuscolo Nuovo Testamento che teneva in tasca. Prima che lei e Rigo lasciassero la Terra, padre Sandoval aveva inviato il libriccino alla Chiesa in Esilio affinché fosse benedetto dal Papa: sostenendo di conoscerla meglio di quanto lei medesima si conoscesse, le aveva assicurato che, dileguato l’iniziale entusiasmo, il Vangelo l’avrebbe aiutata ad adattarsi alla nuova esperienza. Fino a quel momento, però, ella ne aveva tratto ben poco conforto. — Le autorità della Santità — aggiunse — non ci hanno detto quasi niente a proposito di Grass.

— Perdonatemi, se lo dico, ma i Terrestri non sanno nulla di Grass: in passato hanno dimostrato scarsissimo interesse nei nostri confronti.

Ancora una volta la Terra, il pianeta, era confusa con la Santità, l’impero religioso. Accettando il rimprovero, che d’altronde era stato espresso con gentilezza e probabilmente era giustificato, Marjorie annuì. In effetti, i Terrestri non si erano affatto curati di Grass, né di Semling, né di Cancelli Perlacei, né di Shafne, né di Pentimento, né di alcun altro dei cento remoti pianeti, perduti nell’oceano dello spazio, che erano stati colonizzati dall’umanità. La civiltà superstite sulla Terra era stata troppo impegnata a contenere la popolazione e a ripristinare l’ecologia virtualmente distrutta dallo sfruttamento dell’umanità insaziabile, per preoccuparsi delle emigrazioni che pure l’avevano salvata. Dall’estremo settentrione, la Santità controllava il comportamento dei suoi seguaci ovunque fosse possibile, mentre tutti gli altri abitanti della Terra si limitavano a cercar di sopravvivere. Però, a parte il periodo delle celebrazioni annuali, a cui partecipavano anche i fedeli provenienti da altri pianeti, sembrava che la Santità non esistesse; e infatti essa non corrispondeva alla Terra. Marjorie avrebbe voluto dichiarare a voce alta, con passione, che la Terra era la sua patria; tuttavia se ne astenne. Chiese invece: — Potrei vedere le stalle? I nostri cavalli sono già stati rianimati e condotti qui, vero?

Fino a quel momento il viso dell’aristocratico non aveva mai manifestato nulla di simile a un autentico disagio. Jerril aveva ricevuto gli Yrarier al porto, nel centro di accoglienza del rianimatorio, dove aveva dato disposizioni per il ritiro dei loro bagagli; poi, con due aeromobili, li aveva accompagnati all’estancia che era stata riservata al loro «soggiorno»; infine aveva mostrato a Marjorie gli appartamenti estivi, mentre Roderigo si era recato agli appartamenti invernali e agli uffici della nuova ambasciata insieme con Eric bon Haunser, che era più giovane dell’obermun, ma non era meno fedele all’aristocrazia grassiana, cui apparteneva. Nello svolgere la sua funzione tutt’altro che trascurabile di accompagnatore, Jerril si era dimostrato calmo, cortese, affabile; però la domanda a proposito dei cavalli lo mise a disagio, anche se tale stato d’animo fu tradito unicamente da un guizzar di muscoli agli angoli della bocca, e soltanto per un istante fugace.

Espertissima nel comunicare coi cavalli, e vincitrice di medaglie d’oro nel dressage, nella corsa ad ostacoli e nelle gare di resistenza, Marjorie era molto abile nell’interpretare il linguaggio somatico. In tono gentile, conservando un assoluto controllo di se stessa, domandò: — Qualcosa non va?

— Non siamo stati… — Jerril fece una pausa, cercando il modo migliore di esprimersi. — Non siamo stati preavvisati a proposito degli animali.

Animali? pensò Marjorie. E da quando i cavalli sono «animali»? Quindi chiese: — Ciò crea forse qualche problema? Da Semling ci hanno informato che l’estancia è fornita di stalle.

— No, non di stalle. Qua vicino vi sono ricoveri che, inutile dirlo, erano usati dagli Hippae prima della costruzione dell’estancia.

Perché inutile dirlo? pensò Marjorie. E cosa sono gli Hippae? Probabilmente si tratta di quegli animali, nativi del pianeta, che sono simili ai cavalli. E chiese di nuovo: — Gli Hippae sono dunque tanto diversi, che le nostre cavalcature non possono occuparne gli stallaggi?

— Gli Hippae non usano stallaggi — spiegò Jerril, senza però sembrare sincero. Era così imbarazzato, che si mordicchiò l’unghia di un pollice, prima di continuare: — Attualmente, il ricovero presso Collina d’Opale non è usato dagli Hippae, quindi credo che potrà ospitare in modo adeguato i vostri cavalli. Al momento, purtroppo, non abbiamo a disposizione alcun aviocarro. — Di nuovo tentò di sorridere: — Vi prego di scusarci, lady Marjorie. Abbiamo avuto qualche piccolo contrattempo, tuttavia sono certo che in un paio di giorni al massimo risolveremo il problema.

— Dunque i cavalli non sono stati rianimati — ribatté Marjorie, irata, in tono suo malgrado tagliente, pensando: Povere creature! Le hanno lasciate in quell’incubo di gelido nulla!

— Non ancora, ma provvederemo entro pochi giorni.

Decisa a non trovarsi in imbarazzo e a conservare la propria dignità, Marjorie recuperò prontamente il controllo di se stessa: — Vi dispiacerebbe se mi recassi all’astroporto, o se mandassi uno dei miei figli? Se non avete nessuno abituato a trattare i cavalli, Stella sarebbe lieta di andare, oppure Anthony. — E pensò: Oppure io stessa, o Rigo: chiunque di noi, per l’amor del cielo!

— Vostro figlio?

Il sollievo di Jerril fu così evidente, che Marjorie si rese conto che quell’aspetto del problema aveva una importanza notevole. Senza dubbio si trattava di qualche dettaglio di etichetta: forse era indegno sia dell’ambasciatore che di sua moglie occuparsi di faccende del genere. D’altra parte, chi altri avrebbe potuto incaricarsene? Ad ogni modo conveniva lasciar correre, e non mettere a repentaglio la missione per un ritardo di due soli giorni: sembrava proprio che l’incarico diplomatico fosse l’occasione, per cui Marjorie aveva tanto pregato, di compiere qualcosa di significativo. Dopotutto, Don Chisciotte e El Dia Octavo potevano continuare il loro sonno ancora per qualche tempo, insieme a Sua Maestà, Ragazza Irlandese, Millefiori e Stella Azzurra.

— Non vediamo l’ora di partecipare alla nostra prima Caccia — dichiarò Marjorie. Poi subito aggiunse, notando l’evidente costernazione dell’obermun: — Soltanto come spettatori, naturalmente. — Ma l’espressione di puro panico che trasformò il volto di bon Haunser le fece capire di aver soltanto peggiorato la situazione: Buon Dio! pensò. Cosa ho mai detto?

— A questo proposito abbiamo già predisposto un aerostato — rispose Jerril. — Almeno per la prima volta, fino a quando vi sarete un po’ ambientati.

— Qualunque cosa giudichiate opportuna — convenne Marjorie con voce ferma, convincendo l’obermun di non avere alcuna intenzione di creare difficoltà. — Ci affidiamo completamente a voi.

Il viso di Jerril si rischiarò: — Vi siamo molto grati della collaborazione, lady Marjorie.

Nonostante l’impazienza esasperante che provava, Marjorie riuscì a sorridere. Sin da quando era arrivata, si sentiva irritabile, e anche spiacevolmente affamata, quantunque avesse mangiato a sazietà. Disse: — A proposito, obermun bon Haunser. Occupiamoci della questione dei titoli.

Jerril si aggrondò: — Non capisco.

Marjorie decise di chiarire una volta per tutte la differenza fra la Santità e la Terra: — In patria, sul pianeta Terra, coloro che un tempo si definivano «santi» e ora si definiscono «santificati», mi chiamerebbero semplicemente matrona Yrarier. Infatti, un uomo è chiamato «ragazzo» oppure «marito», mentre una donna è chiamata «ragazza», o, brevemente, «moglie», oppure «matrona». Sia gli uomini che le donne ambiscono a sposarsi presto per assumere i titoli dell’età adulta. Ma noi, vale a dire la mia famiglia ed io, non apparteniamo ai santificati, perciò io non considero adeguato a me stessa nessun titolo femminile riconosciuto dalla Santità. D’altronde, sono terrestre. Nel paese in cui sono nata e in cui sono vissuta da fanciulla, ossia la Bretagna, sono Marjorie, lady Westriding, figlia maggiore di mio padre, vedovo. «Lady Marjorie» sarebbe corretto soltanto se fossi una figlia minore. Inoltre, ho l’onore di essere maestro di caccia dei Westriding: rango che mi è stato conferito, credo, a causa delle buone prove che ho dato alle Olimpiadi.

Interessato, ma senza comprendere, Jerril domandò: — Olimpiadi?

— Una manifestazione sportiva terrestre che comprende varie discipline, fra cui l’ippica — spiegò gentilmente Marjorie. Senza dubbio gli Yrarier sapevano ben poco a proposito di Grass, ma anche i Grassiani ignoravano molte cose sul conto degli Yrarier. — Ho partecipato alla corsa ad ostacoli, vale a dire una gara in cui il cavallo deve saltare una barriera così alta che gli impedisce di vedere oltre. — Accorgendosi che l’obermun non capiva, ella tagliò corto: — Oltre alla corsa ad ostacoli, ho partecipato anche al dressage, che è una competizione molto tranquilla, nonché alle gare di resistenza, che invece non lo sono affatto. In queste specialità ho vinto alcune medaglie d’oro. Anche Roderigo ha vinto varie competizioni. Per la verità, è proprio per questo che ci siamo conosciuti. — Sorrise, facendo un gesto di scusa, giacché era evidente che il poveraccio non capiva niente di tutto quello che gli stava raccontando. — Per concludere, posso essere chiamata lady Westriding, o signora Yrarier, oppure maestro di caccia, anche se naturalmente quest’ultimo titolo è appropriato soltanto durante la caccia. Non esiste forse, qua su Grass, un titolo specifico attribuito agli ambasciatori, o più in particolare alle loro mogli? Sarebbe conveniente se sapessi quale titolo è meglio accetto.

Nonostante l’ignoranza delle usanze terrestri, Jerril aveva seguito alla perfezione il discorso di Marjorie: — Non credo proprio che vi sia un titolo specifico, signora Yrarier — meditò. — I titoli coniugali sono usati soltanto dai capifamiglia, e soltanto tra le famiglie «bon». Ogni famiglia ha un obermun e una obermum, che sono quasi sempre marito e moglie, ma possono essere anche madre e figlio. Attualmente esistono sette famiglie aristocratiche, che sono ormai divenute molto vaste: Haunser, Damfels, Maukerden, Laupmon, Smaerlok, Bindersen, e Tanlig. Queste sono le famiglie i cui nomi sono preceduti dal «bon». Un figlio nato da una unione fra membri di queste famiglie riceve il cognome dal padre o dalla madre, a seconda della famiglia di cui è entrato a far parte, e lo conserva in futuro anche dopo il matrimonio.

— Ah — rifletté Marjorie. — Così, incontrando una donna o un fanciullo, non saprò.

— Non ne saprete la parentela, lady Westriding, o almeno, non la apprenderete dal nome. Siamo un popolo campagnolo, che occupa soltanto una piccola porzione del pianeta. Molto tempo fa, fuggimmo dall’oppressione della Santità e dall’affollamento della Terra. — Così dicendo, Jerril incarcò le sopracciglia, manifestando di aver compreso la distinzione sulla quale Marjorie aveva insistito. — Perciò non intendiamo permettere che la tirannia religiosa e l’eccessivo incremento demografico si sviluppino su Grass. Sebbene alcune estancia siano andate perdute, non ne abbiamo mai aggiunta nessuna a quelle originali, tranne naturalmente Collina d’Opale, che però non è stata costruita da noi. Non soltanto ci conosciamo a vicenda, bensì conosciamo anche tutti i nostri reciproci antenati fino all’epoca della colonizzazione, e tutte le relazioni, e la paternità e la maternità di tutti i figli. Mi sembra appropriato che siate chiamata Marjorie Westriding, oppure lady Westriding, in modo che il titolo vi collochi al livello sociale che vi spetta, secondo il vostro diritto. Quanto alle vostre conoscenze sull’appartenenza famigliare altrui, ebbene, avrete bisogno di qualcuno che ne sia al corrente, quindi credo di potervi raccomandare un segretario, magari membro di una famiglia collaterale.

— Collaterale? — Marjorie inarcò un sopracciglio, perplessa, rabbrividendo lievemente a causa del freddo che regnava nella sala.

Subito Jerril suggerì, sollecito: — Vedo che avete freddo. Volete tornare agli appartamenti invernali? Ancora per qualche settimana si starà meglio dabbasso, benché la primavera sia imminente.

Lasciarono così la fredda sala e i lunghi corridoi gelidi per scendere la scala che conduceva agli appartamenti invernali, dove le stanze erano riscaldate dal fuoco e illuminate dalle lampade.

Con un sospiro di sollievo, Marjorie si lasciò cadere su un soffice divano dai colori vivaci: — Ebbene, mi stavate suggerendo di assumere come segretario un «membro di una famiglia collaterale»?

— Una persona imparentata con un bon, ma per parte di un solo genitore, magari con lo stesso cognome, però senza «bon».

— Ah, la mancanza del «bon» è dunque un grave svantaggio? — Nel dir questo, Marjorie sorrise per far capire che scherzava.

Tuttavia Jerril rispose con una tale gravità da rendere inequivocabile che su quell’argomento non si poteva affatto scherzare: — Significa che si ha un genitore plebeo, e che quindi non si può vivere in una estancia, se non come servo o dipendente, né si può partecipare ai balli estivi. Chi ha un cognome senza «bon» non può intervenire alla Caccia.

Ah — mormorò Marjorie fra sé e sé, chiedendosi se lord Roderigo Yrarier e sua moglie sarebbero stati considerati abbastanza «bon» per cacciare o partecipare ai balli estivi.

Forse era proprio questa la ragione del ritardo coi cavalli, nonché dell’atteggiamento assunto dall’obermun quando Marjorie gli aveva accennato alla eventuale partecipazione degli Yrarier alla Caccia. Forse si dubitava in qualche modo dello status dei diplomatici. Poveri cavalli, che giacevano ancora freddi, come morti, incapaci persino di contrarre i muscoli, senza il calore della stalla, senza biada; e sognavano, ammesso che i cavalli sognassero, di un ostacolo troppo alto da saltare e di pascoli verdeggianti, sempre irraggiungibili.

— Vi sono estremamente grata per la vostra gentilezza, obermun bon Haunser — dichiarò Marjorie. — Domani manderò Anthony all’astroporto con uno degli aeromobili che ci avete così premurosamente fornito. Potreste inviare qualcuno ad aiutarlo con i cavalli, e magari procurarci un rimorchio oppure un autocarro?

— È proprio questo il nostro problema, lady Westriding: la nostra cultura non consente la circolazione di automezzi nelle praterie. I vostri cavalli dovranno essere trasportati con un velivolo. Su Grass non si guida da nessuna parte: si vola, e il più silenziosamente possibile. Naturalmente fanno eccezione l’astroporto e la Città Plebea, dove le strade sono del tutto lecite perché la zona è circondata dalla foresta.

— Molto interessante — mormorò Marjorie. — Comunque sono certa che vi occuperete del trasporto dei cavalli nel migliore dei modi. Poi, se sarete così gentile da raccomandarmi una o due persone che conoscano le usanze di Grass, potrei cominciare ad arredare la residenza e conoscere alcuni dei nostri vicini.

Jerril s’inchinò: — Certamente, lady Westriding, certamente. Requisiremo un aviocarro ai plebei. E fra una settimana organizzeremo tutto affinché possiate assistere alla Caccia che si terrà nell’estancia dei bon Damfels, così avrete occasione di conoscere molti dei vostri ospiti. — Ciò detto, si accomiatò con un inchino. Lasciata la stanza, salì la scala per uscire attraverso i vuoti appartamenti estivi, infine chiamò l’altro bon e se ne andò con lui.

Meditando sul fatto che bon Haunser aveva detto «ospiti» anziché «vicini», Marjorie si domandò se avesse voluto sottolineare il significato implicito di tale distinzione: personalmente, ella ne era ben consapevole.

— Cos’è successo? — domandò Rigo, dal corridoio che conduceva agli uffici.

— L’obermun bon Haunser mi stava spiegando che i cavalli non sono stati ancora rianimati — rispose Marjorie, volgendosi a fronteggiare il marito.

Snello e non meno aristocratico dell’obermun, Rigo vestiva completamente di nero, tranne il colletto a strisce rosse e purpuree che era la sua insegna di ambasciatore. La sua persona e le sue proprietà erano inviolabili, immuni da qualsiasi accusa o confisca, pena una rappresaglia da parte della Santità, la quale però era troppo remota, nonché troppo impegnata ad affrontare i suoi problemi interni e gli orrori dell’epoca, per poter compiere qualsiasi ritorsione. Poco prima, Rigo aveva ammesso di sentirsi inquieto. Ora sembrava circonfuso di tenebra e aveva la tipica espressione che Marjorie definiva, ma soltanto fra sé e sé, «faccia torva»: le labbra serrate in una sorta di dura smorfia, e gli occhi neri ombreggiati dalle folte sopracciglia, lievemente appannati dalla stanchezza.

Per scacciare la sua irritazione, Marjorie tentò di suscitarne l’interesse: — Sai, Rigo? Vorrei scoprire se anche i ragazzi ed io godremo di immunità diplomatica su questo pianeta.

— Perché non dovreste? — ribatté Roderigo, con gli occhi così sfolgoranti di furore come si conveniva al suo carattere collerico.

— A parte il fatto che su Grass la donna non assume il cognome del marito, una certa frase dell’obermun mi ha indotta a sospettare che non ne acquisti neppure lo status. — Marjorie sapeva bene che la sua famiglia era un po’ più nobile di quella di Rigo, però non vi avrebbe mai neppure accennato. — Dunque non sono affatto sicura che si attribuisca particolare considerazione alla moglie di un diplomatico. — In verità, non aveva mai desiderato diventare ambasciatrice, né Rigo era mai stato ambasciatore! Tante cose erano ben diverse da come avrebbe voluto che fossero. Tuttavia non si poteva escludere che la missione diplomatica si rivelasse degna di essere compiuta.

Senza alcuna allegria, Rigo sorrise: — Ecco un’altra cosa di cui non eravamo informati.

— Non sono sicura di avere ragione.

— Spesso le tue impressioni equivalgono alle certezze altrui, Marjorie — rispose Rigo, nel tono galante che usava spesso con le donne, inclusa la moglie. — Comunque dirò ad Asmir Tanlig di controllare.

— Asmir?

— Uno dei miei collaboratori grassiani. Stamane, dopo essermi sbarazzato di Haunser, ne ho assunti due. — Così dicendo, Rigo si passò l’indice di una mano sul palmo dell’altra e lo fece scattare, come per liberarsi di qualcosa di vischioso.

— Questo Tanlig è forse un bon?

— Certo che no! O almeno, non credo. Appartiene a una famiglia che circa due generazioni fa ebbe un figlio bastardo da un bon.

— Una famiglia collaterale! — rispose Marjorie, compiaciuta di poter sfoggiare tanta conoscenza. — I Tanlig devono essere una di quelle famiglie che sono definite «collaterali».

— Ho assunto anche un Mechanic.

— Hai assunto un meccanico? — chiese Marjorie, perplessa.

— Mechanic, «meccanico», è il cognome del mio secondo collaboratore: l’equivalente di antichi cognomi come Smith, «fabbro», o Wright, «falegname». Si tratta di Sebastian Mechanic, il quale non ha alcuna parentela con gli aristocratici, come si è subito premurato di garantirmi. — Rigo si lasciò cadere su una sedia e cominciò a massaggiarsi la nuca: — Dopo l’ibernazione, mi sento come se fossi convalescente di una lunga malattia.

— Io invece mi sento così languida e distante…

In tono galante, però con una sfumatura di ostilità, Rigo disse: — Mia cara.

— Lo so: tu credi che io sia sempre distante! — Marjorie cercò di ridere per celare il dolore che provava. Se non avesse giudicato la moglie così fredda e distante, Roderigo non avrebbe avuto bisogno di Eugenie Le Fevre. E se il marito non avesse avuto un’amante, forse Marjorie non sarebbe stata così gelida e riservata. Era come un circolo vizioso, o una successione di figure in una quadriglia ippica.

Avuta la meglio, Rigo cambiò argomento: — Ricorda bene, mia cara: Asmir Tanlig. Sebastian Mechanic.

— Appartengono alla borghesia? — chiese Marjorie.

— Forse sarebbero considerati borghesi nella Città Plebea, ma, no, io li definirei piuttosto contadini. E il loro compito sarà appunto quello di indagare nel contado, per scoprire se i villici sanno qualcosa. Probabilmente mi serviranno altri collaboratori per investigare nella Città Plebea, benché Tanlig saprebbe cavarsela abbastanza bene anche là, se volesse. Mechanic, invece, è in tutto e per tutto contadino, e ne è gelosamente fiero.

— Non sono certo i collaboratori più adatti ad aumentare la nostra reputazione presso i bon.

— Per portare a termine la nostra missione, dobbiamo avere rapporti con tutte le classi sociali, ma ciò deve avvenire senza che lo sappiano gli aristocratici. Asmir e Sebastian sanno bene che devono guardarsi dall’attirare l’attenzione dei bon, e se vuoi sapere in che modo sono riuscito ad ottenerne la collaborazione all’insaputa di bon Haunser, ti dirò che il rappresentante della Santità a Semling mi ha parlato di loro. Inoltre, ho già posto la domanda a tutti e due.

— Ah — Marjorie attese, trattenendo il fiato.

— Hanno risposto no.

— Ah — ripeté Marjorie. C’è speranza, pensò, riprendendo a respirare. E soggiunse — Qui la peste non si è ancora diffusa, dunque.

— Non si è verificata nessuna malattia inesplicabile. Come convenuto, ho spiegato che abbiamo incarico di compiere una ricerca.

— Forse non hanno saputo.

— Sia Asmir che Sebastian hanno parenti alla Città Plebea, perciò credo che sarebbero stati senz’altro informati dell’esistenza di qualunque malattia misteriosa. D’altra parte, gli aristocratici controllano praticamente il novantanove per cento della superficie del pianeta, quindi non si può escludere che i plebei semplicemente non siano al corrente di certi avvenimenti.

— Hai la situazione in pugno, a quanto pare. — Improvvisamente incapace di sopportare oltre la stanchezza e la fame, Marjorie sospirò. — Sai dov’è Anthony?

— Se mi ha obbedito, è con Stella, su negli appartamenti estivi, a tracciare una pianta della villa. Temo che dovremo arredarla piuttosto in fretta. Comunque ho saputo da Asmir che nella Città Plebea gli artigiani non mancano. Abitano un quartiere chiamato, con scarsa immaginazione, Strada Nuova. Soltanto il Signore sa dove fosse la strada vecchia!

— Sulla Terra, forse.

— O su chissà quale altro pianeta! Comunque, non ha nessuna importanza. Asmir mi ha garantito che gli artigiani della Strada Nuova sono in grado di arredare Collina d’Opale in modo del tutto accettabile entro due o tre settimane. Naturalmente, si tratta delle lunghe settimane di Grass. Lui stesso, servendosi di quello che chiama un «dimmi», ha già chiesto ad alcuni artigiani di recarsi qua da noi.

— Con «accettabile», Asmir si riferiva ai criteri dei bon, vero, Rigo? Ho la sensazione che tutto quello che faremo sarà attentamente valutato dagli aristocratici. Fra l’altro, credo che i nostri poveri cavalli non siano stati rianimati proprio perché i bon non hanno ancora deciso se accettare o meno la loro presenza, qua su Grass. Infatti, hanno già le loro creature.

— Gli Hippae.

— Esatto. E non li tengono mai negli stallaggi, stando a quello che mi ha detto l’obermun.

— E dove diavolo li tengono, allora?

— Ho il grave sospetto che non li «tengano» affatto, Rigo. Comunque sia, gli Hippae vivono in luoghi che non sono chiamati «stalle». Perché non andiamo subito ad esplorarli con Anthony e Stella?

I rifugi degli Hippae erano sei caverne colonnate simili a gallerie, che si aprivano nel versante di una collina. Ognuna aveva un unico ingresso, ed era provvista, in fondo, di una vasca di sasso, alimentata da una sorgente, che spandeva una pallida luminescenza sulla volta bassa.

— Qua dentro potremmo tenere gli stalloni, le giumente, e tutti i loro puledri per i prossimi cento anni — osservò Stella, annoiata, mordendo una mela. — Però sarebbe sempre un posto maledettamente inadeguato. — Con la chioma corvina, gli occhi neri e il carattere focoso, in tutto rapida, fragorosa e improvvisa come uno schiocco di frusta, la ragazza era identica al padre. Aveva diciassette anni, e la bellezza del suo corpo flessuoso era appena sbocciata. D’un tratto cominciò a gridare come si usava durante la caccia, per annunciare l’avvistamento della volpe: — Halloooo! Halloooo! — E si divertì ad ascoltare gli echi che rimbalzavano nel buio, fra le solide colonne.

In silenzio, Anthony si limitò a guardare attorno con sgomento, però cercando di conservare la calma che gli sembrava si addicesse al figlio di un ambasciatore. Aveva meditato a lungo sul proprio ruolo e pregava spesso di conservare sempre la forza sufficiente per sostenerlo. Come la madre, era biondo e bello, con gli occhi nocciola, il viso pallido e freddo, il corpo snello e agile, il carattere tranquillo e costante. Al pari di Marjorie, suscitava universale ammirazione, però era preda di innumerevoli dubbi ed orrori, anche se non li lasciava mai trasparire. A diciannove anni, era alto quasi quanto il padre, pur senza essere molto robusto.

La madre lo considerava un uomo e lo ammirava molto.

Al contrario, il padre lo giudicava ancora un ragazzino e se ne rammaricava, perché ciò gli impediva di informarlo sul vero scopo della missione, nonché di poter contare maggiormente sul suo aiuto.

Altrove, proprio in quell’istante, l’obermun bon Haunser stava dicendo ad alcuni aristocratici: — Da un punto di vista sociale, il ragazzo, Anthony, costituisce un problema tutt’altro che irrilevante. E lo stesso vale per la ragazza, Stella. Dobbiamo impedire ai nostri giovani di frequentarli. — E si chiese come avrebbero reagito gli Yrarier non appena si fossero resi conto della situazione. In particolare, temeva lo sguardo furente di lady Westriding: Ha gli occhi che sembrano coltelli molto affilati, pensò.

In quel momento, però, il temibile sguardo stava tagliando soltanto una parte della caverna degli Hippae: — Lungo questa parete potremmo costruire una mezza dozzina di comodi stallaggi, e in ognuno potremmo aprire un accesso diretto all’esterno. Fuori si potrebbe costruire un piccolo recinto, e poi, all’arrivo dell’inverno. — Sgomenta, Marjorie tacque, chiedendosi in che modo sarebbe stato possibile accudire i cavalli durante l’inverno grassiano, che le era stato descritto come terribile.

— Però ce ne andremo prima dell’inverno, vero? — Ciò detto, Anthony si accorse di aver tradito la propria apprensione, e subito rimediò chiedendo, con più calma: — È possibile che la missione duri tanto a lungo?

Rigo scosse la testa: — Non lo sappiamo, Tony.

— Ma che tipo di cavalli possono mai essere, questi Hippae? — meditò Marjorie, nel girarsi ad osservare gli angoli bui della vasta grotta. — Sembra la tana di una famiglia di tassi, però immensa.

— La tana di una famiglia di tassi? — ripeté Stella, beffarda. — Mi sorprendi, mamma. — Con un sorriso da sirena, scosse la lunga chioma che le fluiva sulle spalle come una cascata corvina. Poi guardò cupamente i genitori con gli occhi dalle lunghe ciglia, e aggiunse, senza cordialità: — Quand’è stata l’ultima volta che hai visitato una tana di tassi? — Senza tener conto dei suoi desideri, il padre e la madre avevano insistito affinché lei pure li accompagnasse su Grass, ma senza sapergliene spiegare il motivo. Quindi Stella si sentiva come se avesse subìto un affronto personale, o come se fosse stata vittima di una sorta di stupro, e non perdeva occasione per rinfacciarlo ai genitori: — In qualche altra vita, forse? — riprese, sempre in tono beffardo. — Oppure in un’altra epoca?

— Quando ero una bambina viziata — rispose Marjorie, con voce ferma. — Molto, molto tempo fa, quando ero inconsapevole della mia dignità, proprio come sto per tornare ad essere. Sì, sto per trasformarmi in una dolce vecchietta sedentaria. Ho bisogno di cibo, molto cibo, e di un buon libro, e di sonno. Qua ci sono troppe cose strane: persino i colori non sono giusti.

Infatti era così. Usciti dalle caverne, percorrendo il vialetto che conduceva alla residenza, gli Yrarier furono indotti dal commento di Marjorie ad osservare con particolare attenzione i colori, e così constatarono che non erano affatto giusti. Il cielo avrebbe dovuto essere azzurro, ma non lo era. La prateria avrebbe dovuto avere il colore dell’erba secca, eppure sembrava malva pallido e zaffiro ancor più pallido, come se fosse illuminata da un riflettore.

— È soltanto una impressione dovuta al fatto che questo mondo ci è estraneo — disse Tony, nel tentativo di confortare la madre, perché desiderava esser confortato a sua volta. Sulla Terra aveva lasciato una ragazza che contava molto per lui, e alcuni amici che gli erano cari, e molti progetti di studio e di vita; perciò desiderava che tale sacrificio avesse scopi e motivi che trascendessero un mero soggiorno, più o meno prolungato, in quel mondo gelido e ostile, dagli strani colori. Neppure a lui era stato rivelato il vero scopo della missione, tuttavia era convinto che esso fosse così importante come gli aveva assicurato la madre, perché aveva in lei una fiducia incrollabile. Era fiducioso per indole, proprio come Marjorie alla sua età, quando si era sposata.

— Parteciperemo alla Caccia — dichiarò Rigo, in tono risoluto. — Per allora i cavalli si saranno completamente ripresi.

— No — scosse la testa Marjorie. — A quanto pare, non ci è permesso.

— Non essere ridicola! — ribatté Rigo senza riflettere, come spesso faceva. E subito s’irritò nel notare l’espressione addolorata della moglie.

— Rigo, mio caro! Non puoi certo pensare che questa sia un’idea mia! — Nell’unico modo che le era possibile, ossia con una breve risata lieve, Marjorie mostrò di giudicare il marito ottuso e sgarbato. — L’obermun bon Haunser ha rischiato di perdere il suo impeccabile autocontrollo, quando ho suggerito semplicemente che potremmo partecipare alla Caccia come osservatori, a cavallo. A quanto pare, è già stato deciso altrimenti.

— Dannazione, Marjorie! E allora perché saremmo stati mandati qua, tu ed io, se non per i cavalli?

Non era una domanda a cui si potesse rispondere, perciò Marjorie non tentò neppure.

In silenzio, Rigo la fissò, furibondo, e Stella la scrutò a sua volta, ridacchiando fra sé e sé, godendo di quella discordia, mentre Tony manifestava il proprio disagio schiarendosi la gola, come sempre nell’assistere a un litigio fra i genitori, e mormorava: — Ehm. Sicuramente.

— Pensavo che fossimo qui per qualcosa d’importante — commentò Stella, in tono beffardo. E così distolse involontariamente da Marjorie l’ostilità del padre, attirandola su di sé.

— Se così non fosse, non saremmo certo partiti! — sbottò Rigo, con voce tagliente. — Anche le nostre vite sono state completamente sconvolte! E non siamo certo più affascinati da Grass di quanto lo sia tu! Anche noi, come te, preferiremmo essere ancora a casa, a continuare normalmente le nostre attività. — Col frustino che impugnava, sferzò un ciuffo d’erba che si curvava sul sentiero: — Perché non possiamo partecipare alla Caccia?

— Lo ignoro — rispose Marjorie, tranquilla, nel tentativo di calmare tutti. — Ma è chiaro che non ci è permesso. Per quello che vale, ambasciatore, il mio consiglio è questo: rispettare le disposizioni dello scostante e ostinato Haunser, fino a quando avremo scoperto cosa sta succedendo qui. Dopotutto, non siamo aristocratici. Inoltre, l’obermun bon Haunser mi ha fatto chiaramente capire che la Santità e la Terra non sanno assolutamente niente di Grass.

Forse Rigo avrebbe replicato, se in quel momento non si fosse udito una voce che sembrava quella di un’anima tormentata. Parve un rombo di tuono o di cascata, oppure l’esplosione di un piccolo pianeta, eppure non vi fu alcun dubbio che provenisse dalla gola, dai polmoni, dal corpo, di una creatura indescrivibile e innominabile. Comunque, fu un grido di solitudine disperata.

— Cosa… — ansimò Rigo, immobile, all’erta. — Cos’era?

Attesero tutti, pronti a scattare, forse a fuggire; ma nulla accadde.

In seguito, udirono di nuovo quell’urlo varie volte, ma per quanto chiedessero, nessuno seppe spiegare loro quale creatura lo lanciava.

Strappato dall’incubo, El Dia Octavo si ridestò alla spiacevole realtà, agitando le zampe a mezz’aria, seppur debolmente.

Una voce incomprensibile giunse velata di dolente severità: — Calate l’imbragatura, stupidi, e deponetelo al suolo!

Quando i suoi zoccoli toccarono finalmente una superficie solida, lo stallone rimase immobile, tutto tremante, a testa bassa. Fiutava l’odore degli altri, che erano vicini, però non riusciva ad alzare la testa per guardarli. Invece dilatò le narici, nel tentativo di distinguere i vari odori. Si sentì accarezzare un fianco e il collo, ma non era la mano di lei. Era una mano gentile, ma non quella di lei, e neppure quella di lui. Era quella del maschio più simile a lei, non quella della femmina più simile a lui.

— Shhh. Shhh — mormorò Tony. — Bravo ragazzo. Resta immobile ancora un po’ e ti riprenderai. Shhh. Shhh.

Allora il sogno riprese: galoppare, fuggire, braccato da una creatura enorme, rapida, minacciosa. Lo stallone nitrì, implorando di essere rassicurato, e subito si sentì accarezzare.

— Shhh. Shhh.

El Dia Octavo dormì in piedi, mentre il sogno svaniva.

In seguito, si riprese abbastanza da salire una rampa ed entrare in un oggetto, che in breve tempo si mosse. Si riaddormentò, ma appena l’oggetto si fu fermato, si ridestò abbastanza da scendere di nuovo la rampa, e lei era là.

Lei - nitrì Millefiori. — Va tutto bene. È lei.

El Dia Octavo scosse la testa in segno di assenso, con un nitrito gutturale, sforzandosi di seguire lei. Nessun odore era del tutto giusto: i rumori erano familiari, ma gli odori erano sbagliati, compreso quello del fieno nello stallaggio, sul quale giacque.

In quel momento, dall’esterno, provennero i nitriti dell’altro stallone.

El Dia Octavo rispose, assieme alle giumente, e subito Don Chisciotte si tranquillizzò, pur con un nitrito di sofferenza.

Infine arrivò lei, ad accarezzare, massaggiare, parlare, e mormorare, come aveva fatto Tony: — Shhh. Shhh. — E intanto abbeverò tutti i cavalli.

El Dia Octavo bevve, annegando l’arida paura, quindi si riaddormentò; e così, poco a poco, il suo sogno si perse nell’odore di quello strame alieno.

— Che strano — sussurrò Marjorie, fissando El Dia Octavo.

— Sembravano spaventati — disse Tony. — Per tutto il tempo mi sono parsi terrorizzati a morte, ma troppo insonnoliti per poter reagire.

— Ho fatto parecchi brutti sogni, la notte del nostro arrivo, e mi sono svegliata spesso, spaventata.

— Anch’io — Tony rabbrividì. — Non volevo dirlo, ma ho avuto veri e propri incubi.

— Che sia una conseguenza dell’ibernazione? — domandò Marjorie.

— Ho chiesto a parecchia gente, all’astroporto, ma nessuno, a quanto pare, crede che questa sia una conseguenza normale dell’ibernazione.

— Strano — ripeté Marjorie. — Be’, almeno gli stallaggi sono stati completati in tempo.

— È un buon lavoro. Lo hanno fatto i villici?

— Sì. Abbiamo una sorta di tacito accordo: noi offriamo lavoro, acquistiamo i loro prodotti, e i contadini ci aiutano ogni volta che ne abbiamo bisogno. Per anni si sono occupati del mantenimento dell’estancia, benché fosse disabitata. Ne ho scelti alcuni come stallieri. Forse ne troveremo altri due o tre, adatti come palafrenieri.

Lasciata la stalla, madre e figlio ritornarono alla villa, però volgendosi un paio di volte a guardare indietro, come per accertarsi che i cavalli stessero bene. Entrambi giudicavano strano che gli animali avessero manifestato in ogni modo di aver condiviso i loro incubi. Marjorie giurò a se stessa che avrebbe tenuto loro compagnia fino a quando avessero superato il trauma. Nei giorni successivi, tuttavia, fu costretta ad occuparsi di ben altro, fra cui l’arrivo degli artigiani di Strada Nuova, i quali, prendendo appunti, visitarono tutti gli appartamenti estivi di Collina d’Opale.

— Desiderate un arredamento consono all’usanza locale, vero? — chiese, in lingua franca, un individuo calvo, corpulento, con grosse borse sotto gli occhi e un sorriso accattivante, il cui nome era Roald Few. — Non volete niente che possa dispiacere ai bon, vero?

— Esatto — convenne Marjorie, sbalordita, ma anche divertita dal proprio sbalordimento. Cosa mi aspettavo? pensò. Gente povera, stupida e ignorante come gli abitanti della Città dei Procreatori? Quindi soggiunse: — Siete molto perspicace, signor Few. Credevo che fossimo i primi ambasciatori mai giunti su Grass.

— Attualmente siete gli unici — rispose Few — anche se avete avuto alcuni predecessori. Costoro, comunque, non sono riusciti a superare l’inverno, perché non sopportavano la solitudine. Qua, per un po’, ha vissuto un ambasciatore di Semling. E intendo dire proprio qui, a Collina d’Opale. L’estancia è stata costruita dalla gente di Semling, sapete?

— Come mai gli appartamenti estivi non sono stati arredati?

— Perché l’autunno era imminente, quando la costruzione della estancia fu terminata, e verso la metà dell’autunno l’ambasciatore di Semling tagliò la corda, senza potersi godere la stagione migliore dell’anno. Ebbene, quali sono le vostre preferenze, quanto a colori e cose del genere?

— Posso contare su di voi per rendere accettabile la residenza? In caso affermativo, vi guadagnerete una lauta gratifica. Mio marito predilige i colori caldi, come il rosso e l’ambra, mentre io preferisco quelli freddi: azzurro, grigio chiaro, verdemare. Ah! — Marjorie fece una pausa. — È vero che su Grass il mare non esiste, però avete capito, vero?

Few annuì.

— Potete offrirci un po’ di varietà, ammesso che ciò si accordi all’usanza locale?

— Varietà e rispetto della convenzione. — disse Few, imbronciato, nel prendere appunti. — Farò del mio meglio, lady. E consentitemi di affermare che dimostrate molto buon senso nel lasciar fare a noi della Strada Nuova: vi posso assicurare che collaboriamo nella massima armonia e trattiamo nel migliore dei modi i clienti che hanno fiducia in noi. — Ciò detto, scrutò Marjorie con franchezza e annuì: — E ora, se permettete, vorrei dirvi alcune cose in confidenza. Vi consiglio di prendere l’aeromobile, ogni tanto, e di recarvi con la vostra famiglia oltre la foresta, nella zona plebea. Gli aristocratici la chiamano Città Plebea, ma noi diciamo il Comune, perché la città appartiene a tutti noi. Là troverete cibi che qui non potrete mai avere, giacché li importiamo soltanto per il nostro fabbisogno. — Da queste parti si soffre maledettamente di solitudine, se non si è come i bon, quindi potreste anche preferire di svernare al Comune, se resterete tanto a lungo. Anche i vostri cavalli sverneranno molto meglio al Comune, visto che siamo perfettamente attrezzati a questo scopo. Abbiamo abbondanti provviste di fieno raccolto in estate, nonché stalle molto accoglienti, situate accanto alle nostre stesse case. In inverno, gli abitanti dei villaggi si trasferiscono in città. Se lo faceste anche voi, gli aristocratici non se ne accorgerebbero neanche. Vi basterà collegare il dimmi con Collina d’Opale per rispondere direttamente dal Comune ad ogni eventuale chiamata: chi noterà che non siete qui a subire l’inverno? A proposito, parlate Grassano?

— Credevo che i Grassiani parlassero il Terrestre o la lingua franca — rispose Marjorie, sgomenta. — L’obermun bon Haunser mi ha sempre parlato in Terrestre diplomatico.

— Sicuro che lo parlano, se vogliono — spiegò Few, con un sorriso cattivo. — Tutti quanti i bon parlano il diplomatico, all’inizio, e alcuni si abbassano persino alla lingua franca. Ma in seguito vi ignorano completamente, fingendo di non comprendervi affatto. Conoscendo il Grassano, invece, ve la caverete molto meglio. Secondo me, si tratta di un miscuglio delle lingue parlate dai bon all’epoca della colonizzazione, evolutosi coll’andar del tempo. Ogni famiglia parla una sorta di dialetto che le è tipico, ma se si conosce la lingua, si può capir bene il senso del discorso in qualsiasi dialetto, a parte certe parole caratteristiche. E ve la caverete ancor meglio se, prima di aver padroneggiato il Grassano, non permetterete ai bon di accorgersi che lo capite. Potrei mandarvi un insegnante.

— Sì, ve ne prego — rispose subito Marjorie, la quale scoprì di provar fiducia e simpatia nei confronti dell’artigiano. — Mandatemi un insegnante, signor Few, e non fatene parola con nessuno, se non vi dispiace.

— Oh, non mi dispiace affatto — sbuffò Few. — Vi manderò qualcuno fra due giorni. E chiamatemi pure Roald, come fanno tutti al Comune. Ah, quei dannati bon!

L’animosità dell’artigiano nei confronti degli aristocratici sembrava più un atteggiamento consuetudinario che una passione. Senza tentar di approfondire, Marjorie pensò che Rigo dovesse esserne informato, ammesso che non ne fosse già al corrente.

Oltre agli appartamenti comodi e spaziosi della villa, riservati all’ambasciatore, alla sua famiglia e alla servitù, l’estancia di Collina d’Opale comprendeva tre abitazioni indipendenti, più piccole, che furono occupate dal resto dell’ambasciata. Prima a scegliere, Andrea Chapelside, la fedele segretaria di Rigo, preferì la casetta più vicina alla villa, per poter essere sempre a disposizione. Sua sorella, Charlotte, abitò con lei. Padre Sandoval e padre James scelsero la dipendenza più grande, con l’intenzione di adibirla in parte a biblioteca e scuola per l’istruzione di Stella e Tony, nonché di usarne la sala come cappella per loro stessi e per l’ambasciata. Così, per Eugenie Le Fevre, rimase la casa più piccola, che aveva soltanto la cucina, il soggiorno, e la camera da letto al piano terreno, più un comodo appartamento invernale nel seminterrato. Ogni dipendenza era collegata alla villa mediante una galleria e aveva una diversa veduta sui giardini.

Dopo aver preso con Marjorie tutti gli accordi, Roald Few si recò da ciascuno degli altri residenti di Collina d’Opale per avere istruzioni su come arredare i soggiorni e le camere da letto degli appartamenti estivi. Le sorelle Chapelside, entrambe di mezza età, desideravano ricreare per quanto possibile l’arredamento della loro dimora terrestre, perciò fornirono i disegni necessari. I due preti, uno giovane e mite, l’altro anziano, austero e corpulento, chiesero la massima sobrietà per i loro alloggi. Quanto alla sala destinata a fungere da cappella, vollero lasciarla completamente spoglia, tranne i sedili con gli inginocchiatoi e una sorta di altare: il prete giovane tracciò un disegno che suscitò un severo cenno di approvazione da parte del vecchio.

— Spero che le nostre richieste non vi causino troppe difficoltà — disse il prete anziano, con voce metallica, in un tono di scusa che era soltanto apparente.

— Nessun problema — rispose Roald, con un sorriso accattivante. — A parte uno, che consiste semplicemente nel sapere quali sono i vostri titoli. Mi rendo conto che siete religiosi, quindi non vorrei mancarvi di rispetto. — Aveva capito subito che erano sacerdoti, quantunque indossassero strani colletti e non vestissero affatto come i Santificati.

Il vecchio prete annuì: — Siamo antichi cattolici. Io sono padre Sandoval, e questi è padre James. La madre di padre James è sorella di Sua Eccellenza, Roderigo Yrarier. Di solito, il nostro titolo è appunto «padre»: potete chiamarci così, se non vi offende. — E pronunciò quest’ultima frase in tono tale da lasciar chiaramente intendere che non avrebbe tollerato altro appellativo.

— Non rimarrei a lungo in affari, se mi offendessi facilmente — garantì Roald. — Sono disposto anche a chiamarvi «zio», se volete. Forse non riuscirei a chiamarvi «zia», ma «zio» senz’altro sì. — Poi, mentre padre James ridacchiava, se ne andò con un allegro cenno di saluto.

La dipendenza più piccola era anche la più lontana dalla villa, nonché l’ultima della lista. Là, nel vuoto appartamento estivo, Roald incontrò Eugenie, e in breve tempo comprese ogni cosa di lei: Tutto quello che bisogna sapere, pensò.

— Rosa! — disse Eugenie. — Rosa chiaro! E tutte le sfumature più calde di rosa, come l’interno di un fiore! Sento la mancanza dei fiori. Voglio tendine alle finestre per nascondere la notte e la vista di tutta quell’erba terribile. Mi raccomando: tendine soffici, che sventolino e si gonfino alila brezza. E grandi divani con mucchi di cuscini. — Così dicendo, muoveva molto le labbra e gesticolava, disegnando nell’aria quel che desiderava per mostrarlo a Roald: un morbido nido avorio e rosa, così dolcemente profumato come si diceva che fossero le mattine sulla Terra. Indossava una veste di seta che fluttuava ad ogni movimento come se fosse mossa da dolci refoli. Aveva una voluminosa chioma castano chiaro, con alcune piccole ciocche che cadevano sulla fronte e sulla nuca, e gli occhi di un azzurro senza età, ignari di tutto quello che era spiacevole o turbato dal pensiero.

Poiché sapeva già tutto in proposito, Roald sospirò in silenzio: quella signora assomigliava molto alla bambolina di porcellana che sua moglie teneva sulla tavola di casa. Povera lady Westriding, dopo aver suscitato in lui un enorme interesse, Marjorie suscitò anche la sua compassione. Chissà cos’è andato storto? pensò. Possono succedere tante cose. Ne parlerò con mia moglie. Le riferirò tutto: che aspetto hanno questi stranieri, cos’hanno detto. E lei capirà. Le dirò che questo Roderigo e questa lady Westriding sono stati quasi veri amanti, quasi una coppia naturale, ma poi è successo qualcosa, e adesso c’è questa dama in rosa per il letto del lord, mentre la gelida signora bionda è rimasta tutta sola. Ma forse non è stato lui a lasciarla sola: non si può escludere nessuna possibilità.

— Rosa come i fiori — disse Roald ad Eugenie, prendendo appunti. — E un gran mucchio di cuscini soffici.

Quando Roald ritornò a casa, sua moglie, Kinny, lo aspettava, pronta a servire la cena. Da quando Marthamay, dopo aver sposato Alverd Bee, si era trasferita all’altro capo della città, Roald e Kinny rimanevano soli ogni tanto, vale a dire quando non dovevano badare ai nipoti, o quando uno dei figli non tornava da loro dopo un litigio coniugale. Ad ognuno, Roald aveva spiegato che i litigi coniugali erano inevitabili come l’inverno, ma non mettevano affatto a repentaglio la felicità famigliare, purché si avesse l’accortezza di adottare qualche precauzione, come l’abitudine di tornare dai genitori per un giorno o due a ritrovare la calma, quando era necessario, e non insultare, né subìre insulti. Come la primavera succedeva all’inverno, così una miglior comprensione seguiva a un piccolo litigio.

In quel periodo, nessuno dei loro figli era in disaccordo con la moglie o il marito, e nessun nipote era loro affidato, perciò Roald e Kinny avevano tempo per dedicarsi a loro stessi, e ne erano molto contenti, come sempre quando ciò avveniva.

— Ho cucinato oca e cavoli — annunciò Kinny. — Jandra Jellico ha ucciso alcune oche e mi ha chiamata al dimmi per avvertirmi. Sono andata subito a prenderne una bella grassa.

Allora Roald si leccò le labbra, perché l’oca di primavera coi cavoli era uno dei suoi piatti preferiti, e Kinny non aveva rivali nel cucinarla. Era stato proprio a causa dell’oca coi cavoli che si era interessato a lei per la prima volta: lei, con le sue braccine paffute e il visetto rotondo. Da allora, l’oca coi cavoli aveva sempre intercalato felicemente le stagioni della loro esistenza in comune.

Di solito, l’oca coi cavoli accompagnava qualche celebrazione, perciò Roald chiese: — Ebbene, quale bella notizia devi comunicarmi?

— Marthamay è incinta.

— Ma è meraviglioso! Era così preoccupata, da qualche tempo.

— Non è che lo fosse davvero. Semplicemente, le sue sorelle la prendevano un po’ in giro, da quando aveva sposato Alverd, perché il tempo passava, e non succedeva niente.

— Alverd è pronto a mettersi a scavare, eh?

— Marthamay dice di sì — sorrise Kinny, portando una forchettata di cavolo alla bocca rosea. E intanto immaginò l’alto e solerte Alverd Bee che scendeva a scavare una nuova stanza nell’appartamento invernale, come facevano tutti i futuri papà. Entro una settimana o due sarebbe stato probabilmente eletto sindaco del Comune, quindi gli sarebbe rimasto poco tempo per lavori del genere; però i suoi fratelli lo avrebbero aiutato, proprio come lui, a suo tempo, aveva aiutato loro. — Ma adesso raccontami tutto sui nuovi arrivati!

Senza farsi pregare, Roald parlò dell’ambasciatore, di Marjorie, e della signora che abitava il nido che presto sarebbe diventato rosa.

— Ah — commentò Kinny, arricciando il naso. — È davvero triste.

— Ho pensato la stessa cosa. L’ambasciatrice è una bella donna, ma è piuttosto riservata: ha bisogno di essere corteggiata.

— E l’ambasciatore, suppongo, è troppo ardente e impaziente per questo.

Masticando, Roald meditò: Sì, come al solito Kinny ha visto giusto. Roderigo Yrarier è di gran lunga troppo ardente e impaziente: lo è abbastanza da cacciarsi in un mucchio di guai prima che la sua missione sia finita. Poiché questa idea non gli piaceva affatto, Roald cambiò argomento: — Cosa dice Marthamay? Lei e Alverd hanno già deciso come chiamare il bambino?

Due giorni più tardi arrivò a Collina d’Opale l’insegnante di lingue di Marjorie, il quale si presentò come Persun Pollut e sedette accanto a lei in quello che stava per diventare il suo studio, accanto a una grande finestra riscaldata da un sole arancione.

Nel guardare alcuni lavoratori che andavano e venivano dal corridoio portando casse e scatoloni, attrezzi e scale, Marjorie dichiarò che la separazione degli appartamenti invernali da quelli estivi le pareva alquanto strana.

— L’inverno è lungo — spiegò Persun, corrucciato. — È così lungo, che ci si stanca della compagnia di coloro con cui si vive. — Le sue sopracciglia erano peculiarmente lunghe e sinuose. Era giovane, ma non inesperto; gentile, ma non arrendevole; risoluto, ma non inflessibile.

Osservandolo, Marjorie ebbe l’impressione che Roald Few avesse scelto bene, soprattutto perché Persun aveva dimostrato il buon senso di non dichiarare il motivo della sua presenza. Aveva affittato una camera nel vicino villaggio, spiegando di aver avuto l’incarico di intagliare alcuni pannelli per «lo studio privato di Sua Signoria».

Comodamente seduto, Persun continuò a spiegare: — L’inverno è così lungo, che ci stanchiamo di pensarci. Per noi diventa opprimente persino respirare l’aria, che non soltanto è fredda, ma ci sembra anche ostile. Ci nascondiamo sottoterra, come gli Hippae, e attendiamo la primavera. Talvolta desideriamo poter dormire, proprio come gli Hippae.

— Ma allora come passate il tempo? — domandò Marjorie, chiedendosi ancora una volta come sarebbe stato possibile provvedere ai cavalli in inverno, ammesso che la missione si protraesse fino ad allora. Anthony continuava a dire che non sarebbe durata tanto, però non ne conosceva il vero scopo.

— Al Comune ci scambiamo visite, partecipiamo a vari giochi e continuiamo i nostri lavori. Organizziamo rassegne invernali di teatro, poesia e altre attività. Ci dedichiamo alla musica, al canto e alla danza. Accudiamo gli animali nelle stalle e li addestriamo a compiere esibizioni. Nell’università invernale, molti di noi apprendono cose che non potrebbero mai imparare, se non fosse appunto per l’inverno. Talvolta invitiamo anche professori di Semling. Ecco perché, come scoprirete, siamo più istruiti dei bon, anche se non glielo facciamo capire. Sotto la superficie del Comune esistono tante gallerie, tanti magazzini, tante sale di riunione, che vivere in città è come vivere sopra una spugna. Così possiamo recarci ovunque, a nostro piacimento, senza neppure guardare fuori, dove il vento taglia fino alle ossa, e la nebbia gelida grava su ogni cosa, celando le strade ghiacciate e spettrali.

— Tuttavia i bon rimangono nelle loro tenute?

— Là, nelle estancia, non dispongono delle nostre risorse, perciò trascorrono il tempo con minor profitto. In città, siamo alcune migliaia di persone: in inverno la popolazione è maggiore che nelle altre stagioni, perché tutti i villici si trasferiscono nel Comune. L’astroporto rimane aperto per tutto l’anno, quindi riceviamo visitatori anche durante la stagione fredda: l’albergo dispone di appartamenti invernali, collegati all’astroporto mediante gallerie. Una estancia, invece, può contenere soltanto un centinaio di persone, o forse centocinquanta al massimo: è dunque naturale che tutti si stanchino di tutti.

Dopo un breve silenzio, Marjorie domandò, con esitazione: — Avete istituzioni filantropiche, qua su Grass?

— Istituzioni filantropiche?

— Istituti che si occupano di opere benefiche, per aiutare la gente. — Con una scrollata di spalle, Marjorie usò la frase alla quale Rigo ricorreva spesso: — Vedove e orfani, per esempio.

Persun scosse la testa: — Be’, abbiamo alcune vedove, e di quando in quando anche qualche orfano, immagino. Tuttavia non riesco proprio a capire perché dovrebbero aver bisogno della carità altrui. Noi plebei ci aiutiamo a vicenda, ma non per fare carità: ci sembra semplicemente che si tratti di buon senso. Voi vi siete dedicata molto alla filantropia, sul pianeta da cui provenite?

Sobriamente, Marjorie annuì, pensando: Oh, sì, certo: molto. Ma nessuno ha giudicato che fosse un’attività abbastanza importante perché qualcun altro continuasse a svolgerla al posto mio. E spiegò: — Credo che avremo tempo libero in abbondanza. A quanto pare, gli inverni sono molto lunghi.

— Oh, sì: sono lunghissimi! Un proverbio degli aristocratici dice, in Grassano: Prin g’los dem aufnet haudermach. La traduzione potrebbe essere: «I vincoli dell’inverno sono recisi a primavera». O forse. Hum, vediamo. Forse direste: «Le relazioni invernali cessano a primavera». — Meditando, Persun agitò le sopracciglia: — No, forse un Terrestre direbbe piuttosto «matrimoni»: «La primavera scioglie i matrimoni invernali».

— Sì, probabilmente diremmo «matrimoni» — convenne Marjorie, tetra. — Come mai avete imparato a parlare la lingua diplomatica?

— La parliamo tutti, al Comune. Abbiamo scambi commerciali con parecchi pianeti e i traffici sono molto intensi all’astroporto: non potete neanche immaginare quanti mercanti ci sono in città. Ecco perché parliamo non soltanto la lingua diplomatica, ma anche la lingua franca, quella di Sembla, e una mezza dozzina di altre. Il Grassano, una lingua inventata dagli aristocratici, è troppo involuto e impreciso per le esisgenze commerciali: è una sorta di linguaggio cifrato. Ve lo insegnerò, certo, ma non aspettatevi che abbia molto senso.

— Ve lo prometto. Ma ditemi. Vi guadagnate da vivere insegnando il Grassano?

— Oh! Certo che no, lady! A chi potrei mai insegnarlo? Tutti gli abitanti del pianeta lo conoscono, e quanto agli stranieri. Che interesse potrebbero mai avere ad impararlo? Hime Pollut, l’intagliatore, è amico del maestro artigiano Roald Few, e io sono il figlio di Pollut l’intagliatore, quindi Roald ha semplicemente pensato a me, approfittando del fatto che in questo periodo abbiamo poco lavoro.

Allora Marjorie non poté trattenere una risata: — Dunque siete davvero un intagliatore?

Gli occhi di Persun si addolcirono fino a divenire sognanti: — Beh, questa resta la mia attività principale, dato che non ho ancora fatto fortuna. — Tacque per alcuni istanti, raddrizzandosi e concentrandosi: — Però ci riuscirò. Credete a me: c’è da arricchire, a commerciare nella seta di Semling. Ad ogni modo, intaglierò alcuni pannelli per il vostro studio, lady, giacché dobbiamo giustificare in qualche modo la mia presenza qui, visto che i Grassiani non devono sapere che state imparando la loro lingua. — Inoltre Persun, da quando aveva veduto Marjorie, nutriva il desiderio di compiere per lei un’opera eccezionale.

— Come dovrò regolarmi, quando l’obermun bon Haunser mi raccomanderà un segretario?

Meditabondo, Persun annuì: — Dovrete prendere tempo, dicendo che ci penserete. Tranne che al Comune, nessuno agisce con molta rapidità, qua su Grass. O almeno, così ho sentito dire da parecchie persone provenienti da altri pianeti, le quali si spazientiscono a commerciare con gli aristocratici. Dunque, lasciate che l’obermun attenda: non si annoierà di certo.

Dopo aver riferito tutto ciò al marito, Marjorie attese, e quando l’obermun, finalmente, le raccomandò un certo Admit Maukerden, gli rispose nel modo che le era stato suggerito.

Fra una cosa e l’altra, trascorsero alcuni giorni prima che Marjorie trovasse il tempo per dedicarsi ai cavalli, ma Anthony e Rigo andarono a cavalcare varie volte, e persino Stella fu obbligata ad esercitarsi. Il giorno successivo al termine dei lavori di arredamento, in una mattina limpida, luminosa e calda, Marjorie uscì assieme al marito e al figlio, rammaricandosi che la figlia avesse rifiutato con una certa alterigia il loro invito. Stella era un’abilissima amazzone, però aveva detto chiaro e tondo che non le sarebbe affatto piaciuto cavalcare su Grass, o meglio, che nessuna attività le sarebbe piaciuta, su Grass. Aveva lasciato parecchi amici, sulla Terra, fra cui uno in particolare; e poiché sua madre non ne era affatto dispiaciuta, forse ostentava la propria infelicità appositamente per punirla. Ad ogni modo, Marjorie non poteva affatto dispiacersi, sapendo quello che la figlia ignorava: nel camminare giù per il sentiero sinuoso che conduceva alle stalle di recente costruzione, non poteva far di meglio che dolersi dell’assenza di Stella.

Come era stato loro ordinato, gli stallieri avevano pulito gli stallaggi e riempito le greppie con fieno di vario genere, nonché con tre o quattro varietà di biada locale, affinché gli animali potessero scegliere. Mentre i Terrestri sellavano tre cavalli, gli stallieri osservarono, ponendo domande in lingua franca senza imbarazzo né timidezza: — Cosa state facendo? A cosa serve?

— Forse che i bon non cavalcano? — chiese Tony di rimando. — Non avete mai visto una sella?

In profondo silenzio, i tre stallieri, due uomini e una donna, si scambiarono occhiate perplesse: evidentemente non si trattava di un argomento che potesse essere discusso senza disagio. Infine, la donna rispose, quasi in un sussurro: — Gli Hippae non permetterebbero affatto le selle. Invece, i cavalieri indossano calzoni imbottiti.

Bene, bene, bene, pensò Marjorie. È proprio sorprendente. Poi, mentre Tony stava per chiedere da quando i cavalli decidevano che cosa era permesso, intercettò il suo sguardo e scosse lievemente la testa: — I nostri cavalli trovano che le selle siano molto più comode dei nostri deretani ossuti — spiegò, placida. — Forse gli Hippae sono fatti in modo diverso.

Ciò parve tranquillizzare gli stallieri, che ripresero a porre domande. Dal canto suo, Marjorie prestò particolare attenzione a chi fece le domande più intelligenti e mostrò di comprender meglio le risposte.

— L’erba azzurra è difficile da falciare — disse uno stalliere — ma è quella preferita dai cavalli.

— Cosa usate per tagliarla? — chiese Marjorie. E quando le fu mostrato un falcetto di acciaio scadente, soggiunse: — Vi darò attrezzi migliori. — Aprì il lucchetto di un forziere e distribuì agli stallieri alcuni coltelli laser: — Però fate attenzione, mi raccomando — avvertì, mostrando loro come si usavano — perché potreste perdere un braccio o una gamba. Accertatevi che nessuno vi stia vicino. — Quindi rimase ad osservare mentre gli stallieri si esercitavano a tagliare intere bracciate d’erba ad ogni colpo, lanciando esclamazioni di sorpresa e di gioia, nonché occhiate di gratitudine. Intanto pensò che gli stallieri vezzeggiavano già troppo i cavalli e che fosse necessario scegliere un palafreniere, ovviamente fra i villici.

La Santità aveva concesso loro di portare soltanto sei animali, perciò gli Yrarier, tenuto conto che probabilmente avrebbero dovuto restare molto a lungo su Grass, li avevano scelti da riproduzione. Marjorie aveva deciso di lasciare sulla Terra la sua cavalcatura preferita, il castrato baio Reliant, per montare invece El Dia Octavo, uno stallone berbero allenato da un eccellente addestratore. Rigo montava Don Chisciotte, uno stallone arabo, mentre Tony cavalcava Millefiori, una delle tre giumente purosangue. L’altra giumenta, Ragazza Irlandese, era da tiro, ed era stata scelta per la sua robustezza e la sua taglia. Se avessero dovuto restare su quel pianeta per un intero anno grassiano, o forse più, gli Yrarier avrebbero potuto almeno dedicarsi a costituire una loro scuderia.

Guidati da Tony, i cavalieri seguirono per circa mezzo miglio un sentiero che percorreva un fossato e conduceva ad un catino di forma quasi perfettamente circolare, con un prato pianeggiante di corta erba ambrata, dove il ragazzo aveva già esercitato i cavalli. Quivi giunti, eseguirono la consueta sequenza di andature: passo, trotto, galoppo lento e galoppo breve, trotto, passo, prima in una direzione, poi nell’altra, infine trotto e galoppo più rapidi.

Quando smontarono ad esaminare i cavalli, Rigo osservò: — Hanno il respiro perfettamente regolare. Migliorano di giorno in giorno.

Poiché il marito sembrava entusiasta, Marjorie capì che stava tramando qualcosa: era sempre particolarmente felice, infatti, quando meditava qualche macchinazione. Ma di cosa poteva trattarsi? Aveva forse escogitato qualcosa per sbalordire i nativi?

Intanto, Rigo continuò a ciarlare a proposito dei cavalli: — È veramente notevole la rapidità con cui si sono ripresi!

— Proprio come noi — commentò Marjorie. — Ci siamo sentiti malissimo per un paio di giorni, ma adesso siamo di nuovo noi stessi. Be’, i cavalli non hanno perduto il tono muscolare. Facciamo far loro un altro po’ di moto, e torniamo indietro al passo. Domani faremo di più.

Ciò detto, rimontò in sella ed eseguì gli esercizi consueti: mezzo passo, cerchio stretto, ancora mezzo passo.

D’un tratto, Marjorie notò con la coda dell’occhio una forma su un crinale lontano: un’ombra nel sole primaverile. Perplessa, alzò lo sguardo e intravide alcune figure nella luce accecante. Cavalli? Forse. Ma era soltanto una percezione vaga di colli inarcati e groppe arrotondate: impossibile stabilire la taglia delle creature, e la distanza.

Anche El Dia Octavo si fermò a fissare quegli esseri misteriosi, con un gemito gutturale, mentre la pelle delle spalle gli guizzava come assalita dagli insetti.

— Shhh — Marjorie gli accarezzò il collo, contagiata dalla sua inquietudine improvvisa: qualcosa, lassù, lo turbava. Di nuovo scrutò controluce, per vedere meglio. Intanto, una nube si avvicinò al sole; però, proprio un istante prima che la luce scemasse, le sagome nere scomparvero dal crinale, come se gli osservatori preferissero non essere osservati. Allora Marjorie incitò lo stallone ad avanzare, decisa a valicare il crinale per vedere dove fossero andate le creature aliene. Tuttavia, Octavo fu scosso da uno spasmo come di sofferenza, quasi che stesse accadendo qualcosa di terribile, e lanciò un altro gemito gutturale, preparandosi a nitrire di terrore. Parve incapace di procedere, e a stento in grado di reggersi: soltanto le carezze di Marjorie al collo e la stretta rassicurante delle sue gambe lo tranquillizzarono un poco.

Notando il tremito della pelle sulle spalle dello stallone, Marjorie pensò distrattamente: Interessante. Anziché esortarlo a muoversi, si concentrò esclusivamente nel calmarlo: — Shhh — ripeté. — Va tutto bene. Va tutto bene. — Ma poi, ad un tratto, avvertì un fremito di terrore immotivato nel profondo di se stessa: capì cosa provava Octavo, e comprese che non andava affatto tutto bene.