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Al suo ritorno a casa c’era la neve ad accoglierlo. La vide dal tassì e la detestò, gelida, farinosa neve di gennaio. Devan Traylor la conosceva bene la neve di Chicago. Pensate, si infilava dappertutto portando ondate di freddo, e si ammassava fin davanti alla porta delle case.
Mai la neve gli aveva suscitato sentimenti così esasperanti come adesso, che dalla Florida era stato richiamato a Chicago dall’urgente appello di una donna che annunciava qualcosa di grave. Aveva atteso tre anni una vacanza, e proprio quando l’aveva raggiunta e se ne stava nella sua casetta sul mare, gii era arrivata la chiamata.
La signorina Treat aveva ripetuto con insistenza che qualcosa non andava.
Forse quelli della “Inland Electronic” avevano aspettato deliberatamente che lei fosse via, per agire di testa loro? Non gli sembrava probabile. Li conosceva troppo bene. D’altra parte credeva di conoscere bene anche Beatrice Treat, la cui voce al telefono era singolarmente sommessa e circospetta. Gli aveva detto che non poteva arrischiarsi a parlare chiaramente, e tutto ciò non rientrava nel suo usuale modo di agire.
Non c’era via di scampo: aveva dovuto tornare.
Le aveva telefonato appena arrivato, dall’aeroporto, ma la risposta datagli con una freddezza incredibile, aveva confermato che lei non gli avrebbe detto niente fino a che non si fossero visti.
A quel punto, Traylor aveva perso la pazienza e riattaccato il ricevitore con forza. Poi aveva guardato fuori dai vetri della cabina telefonica, e osservando i primi volteggi della neve, si era sentito improvvisamente angosciato al pensiero che, anche quando fossero stati a faccia a faccia, lei potesse tacere ancora.
Ma aveva scartato subito tale idea. Oltre al suo regolare stipendio di segretaria, la signorina Treat riceveva un compenso a parte proprio per tenerlo informato dei fatti che avrebbero potuto sfuggirgli. Lo ammetteva, talvolta doveva separare ciò che era puro pettegolezzo dal lavoro d’ufficio, ma questo soltanto per un eccesso di zelo da parte sua.
— Volete ripetermi l’indirizzo? — L’autista del tassì si appoggiò un po’ all’indietro e curvò la testa da un lato per aspettare la risposta.
— Non ho dato indirizzi — disse Devan. — È una taverna due isolati a est della “Inland Electronic”, come ho detto prima.
Il tassì si fermò davanti alla “Taverna del Pavone”. Devan pagò e. tenendo forte il cappello contro il vento, percorse il breve tratto che lo separava dalla taverna ed entrò.
Non c’era mai stato prima e ora, guardandosi attorno, si domandava se aveva fatto bene a scegliere quel luogo. Gli scambi di confidenze tra lui e Beatrice Treat si svolgevano generalmente nel suo ufficio: ma a quell’ora, tanto più che lui avrebbe dovuto essere ancora a crogiolarsi al sole della Florida, il suo ufficio non sarebbe stato molto opportuno.
La taverna traeva il proprio nome da un vecchio e polveroso pavone imbalsamato esposto in vetrina, la cui effige era stata riprodotta più volte sulle pareti interne. Alcuni clienti che erano al bar, lo seguirono con occhi indifferenti e quindi ripresero le loro occupazioni. Riconobbe subito la signorina Treat attraverso la fitta cortina di fumo e si diresse senz’altro verso di lei. Notò subito l’espressione preoccupata dei suoi occhi.
— Signor Traylor! — esclamò alzandosi. — Sono così spiacente! — Non l’aveva mai vista così depressa.
— Smettete di scusarvi e sedetevi — rispose Devan ruvidamente, togliendosi il cappotto e appendendolo.
— Ma non potevo fare diversamente! — Stava per piangere e così Devan, sedendosi, dovette prenderle le mani per confortarla.
— Non sapevo se facevo bene o male a chiamarvi, ma dovevo pur decidermi. Non ho fatto che pensarci e…
Una cameriera emerse dall’aria densa che li circondava e Devan ordinò due cognac.
Beatrice Treat era una donna piuttosto robusta, aveva passato da un po’ la trentina, ma aveva conservato la grazia e l’avvenenza proprie di una ragazza.
Questa e altre sue qualità come lo zelo inesauribile, l’efficienza e la lealtà, l’avevano imposta agli occhi di Traylor nella scelta di una segretaria dopo l’arrivo alla “Inland Electronic”. Di tale scelta, Devan non ebbe a pentirsene. Spesso dovette ammettere che non avrebbe potuto fare in tre anni tutto quel lavoro senza di lei.
Beatrice era semplice e naturale e, quando si trattava del bene della “Inland” e di Devan Traylor, non aveva esitazioni di sorta, anche se ciò l’aveva spesso messa in situazioni difficili e imbarazzanti.
Era la prima volta che la vedeva con un eccentrico cappellino con una piuma rossa e la veletta; doveva inoltre riconoscere che l’abito di raso nero che indossava, le stava veramente bene. A dir la verità, quell’abbigliamento lo stupì un poco, abituato com’era a vederla in ufficio con abiti severi.
Era però così pallida e angustiata che il vederla arrossire mentre le dava piccoli colpetti affettuosi sulla mano gli fece piacere.
— E ora, su, cosa avete da dirmi?
— Non so come cominciare — disse. — È tutto così terribilmente confuso. Ho creduto opportuno farvi tornare prima della riunione del Consiglio. Hanno stabilito di spendere… fino a un milione di dollari.
Devan sussultò. — Un milione di dollari? Per che cosa?
— Voi siete partito la scorsa settimana, dopo la consueta riunione del Comitato. Ricordate?
Sì, ricordava. Normale amministrazione, il secondo martedì di ogni mese. Aveva firmato delle carte, stretto delle mani e infine si era diretto alla sua abitazione di Oak Park a prendere Beverly e i piccoli per andare all’aeroporto. Tutto sembrava normale.
— Ebbene, hanno convocato un’assemblea straordinaria. Non potevano mettersi in contatto con voi perché eravate partito. Del resto non ci hanno neanche provato.
— Se ho ben capito, state parlando del Comitato esecutivo, no?
La signorina Treat annuì. — La riunione è stata indetta da Holcombe, su richiesta del signor Orcutt. C’erano il signor Basher, il signor Holcombe, il signor Tooksberry e il signor Orcutt. Tutto qui.
Questo era il Comitato esecutivo, eccezion fatta per Orcutt. Glenn Basher, piuttosto giovane, già appartenente alla “Continental Electric”, per anni aveva acquistato materiale alla “Inland”; James Holcombe aveva come Devan un duplice incarico, per la parte elettronica e per l’amministrazione, ed era anche presidente del Consiglio, e Howard Tooksberry era un avvocato dal carattere ostinato che lavorava alla “Inland” sin da quando si era laureato.
— Che cosa hanno fatto? — Devan chiese, aspettando ansioso la risposta. Senza di lui, Basher e Holcombe potevano decidere qualunque cosa, anche se Tooksberry si fosse opposto, dal momento che in sua assenza essi costituivano la maggioranza. Più di una volta egli si era schierato con Tooksberry, obbligando il Comitato a piegarsi a più sagge decisioni.
— Vogliono spendere un milione di dollari, signor Traylor, un milione di dollari per un esperimento scientifico.
Devan cominciava a vederci chiaro.
Edmund G. Orcutt, presidente della “Inland Electronic”, era un uomo imponente, con folti capelli bianchi, grosse sopracciglia e ben curati baffi. La carica di presidente gli era stata affidata per la sua posizione preminente in una grossa organizzazione di materiale per radio. Per Devan era un tipo da tener d’occhio poiché aveva dimostrato di comportarsi con eccessiva libertà nei riguardi dei t’ondi della Compagnia. Su questo problema si erano scontrati diverse volte.
Da quanto traspariva dal racconto della donna, Orcutt aveva convocato una riunione straordinaria e aveva avanzato la proposta, che ora sarebbe passata alla Direzione, con una particolare raccomandazione del Comitato esecutivo. La Direzione, dopo questa trafila, avrebbe facilmente legalizzato tale proposta, come faceva sempre in simili casi.
— Un milione di dollari. Ma è un sacco di soldi. Di che esperimento si tratta?
— Non lo so.
— Non lo sapete? Ma non c’eravate?
La faccia di Beatrice Treat era tormentata. — Questo è il grave della faccenda, signor Traylor. Mi hanno chiesto solamente se avevate lasciato la città. Il verbale della seduta è stato successivamente stilato dalla signorina Faversgam.
— Chi ha chiesto se avevo lasciato la città?
— Il signor Orcutt.
— Le cose stanno così, dunque. Prima di tutto si assicurano che io sia via e poi indicono la riunione, facendo in modo però che voi non siate presente per non darvi la possibilità di riferirmi l’accaduto. Ma se non eravate là, come avete fatto a sapere quello che hanno detto?
— Be’…
Devan non insistette. Sapeva che sarebbe stato un er rore indagare sui suoi informatori. — A ogni modo, la faccenda si va facendo ogni minuto più interessante. Che cosa avete scoperto ancora?
— La riunione si è tenuta lunedì. Da quanto ho saputo, l’intera faccenda è segreta. Non so che altro sia successo, ma so che hanno approvato la spesa. Si interruppe un momento per bere un sorso di cognac. A Devan sembrò che le facesse molto piacere potergli dire quelle cose. Il cognac aveva su di lei un effetto energico: la rianimava e le ridava sicurezza. Devan la osservò con calma, lasciò che i lineamenti del suo volto si distendessero ulteriormente, cosciente che sarebbe stato inutile e inopportuno sollecitarla oltre misura.
— Ah. dimenticavo di dire che c’era anche Sam Otto.
— Così, eh? — Devan si batté la fronte. — Sam Otto! Quel dannato imbroglione! Non ditemi che hanno accettato uno dei suoi progetti!
— Non lo posso dire con certezza, ma so che spenderanno un milione di dollari e che Sam Otto era con loro.
— La situazione è più grave di quanto pensassi, Beatrice. Lasciar fare a un truffatore cóme Sam! — Accese una sigaretta mentre i suoi muscoli erano tutti tesi in una specie di dolorosa ribellione al solo pensiero di Sam Otto. Aveva messo il suo visto su una dozzina di progetti di Sam Otto, il piccolo Sam Otto dalla rotonda faccia innocente e dal sigaro sempre spento tra le labbra. Sam aveva di solito una provvigione del cinque per cento sull’affare concluso. Ciò significava che in quell’occasione avrebbe guadagnato cinquantamila dollari!
— Già, signor Traylor. Sam Otto era là prima del tempo.
— Non perde nessuna occasione, lui.
— Con Sam Otto c’era un certo dottor Costigan, lo scienziato cui andrà il denaro.
— Non parlate con tanta sicurezza, signorina Treat! Nessuno avrà il denaro. Abbiamo i nostri uomini e il nostro laboratorio. Orcutt deve essere impazzito! Mi domando persino se questo dottor Costigan esiste!
— Vi ho appena detto che era là.
— Lo so. Ma scommetto che è un qualunque Sam che Orcutt ha scovato chi sa dove, e a cui ha pagato una sommetta per la sua prestazione.
— Aveva un’aria per bene.
Devan sorrise. — Non conoscete Sam Otto e i suoi maneggi. Gli devo dar credito, sia che abbia aspettato fino a che io fossi fuori città o che abbia fatto aspettare Orcutt. È tutto quanto avete da dire?
La segretaria finì il cognac. Devan osservò con piacere che i suoi occhi grigi erano più luminosi del solito e le sue guance colorite.
— Non proprio — rispose. — In ufficio si mormora che questo dottor Costigan stia lavorando in una costruzione a sud del Loop. Dicono che si lamenti che i nostri laboratori non siano abbastanza grandi.
— Naturalmente. Per questo esperimento sballato possono spendere tutto quel denaro e togliersi di mezzo dalla “Inland”. Costigan… — Per un momento il nome gli restò sospeso nella mente. Dopo tutto ci poteva esser un dottor Costigan, ma non gli riusciva di ricordarlo nel campo della fisica elettronica.
— Che razza di esperimento si pensa che stiano organizzando?
Beatrice Treat guardò nel suo bicchiere vuoto. — A me sembra uno scherzo, ma ho sentito dire che prima ci fu una lunga discussione tecnica e quindi aprirono un disegno che sembra raffigurasse un’astronave.
— Un’astronave? E che cosa vuol farne la “Inland Electronic” di un’astronave?
— È quello che mi continuo a chiedere.
— Perché mai non mi avete parlato di queste cose al telefono?
— L’avrei voluto, signor Traylor, credetemi. Ma proprio non potevo parlare di quella astronave. È così sciocco. E per di più, non so se è vero.
— Del milione di dollari almeno potevate parlare.
— Ma voi mi avreste certamente chiesto a che cosa sarebbe servito e sarei stata costretta a parlarvi di astronavi. No, proprio non potevo farlo.
— Ho capito. — Si passò una mano fra i capelli. Stava cercando di vedere come si potesse dare un aspetto concreto alla questione, separando ciò che era realtà dall’invenzione.
— Che cosa farete?
— Non lo so. — La cosa era solamente arrivata al Comitato esecutivo. Si rallegrava di ciò. Certamente gli altri non avrebbero perso tempo per indire una riunione del Consiglio; e lui era arrivato giusto in tempo per questo. Non sapeva quale risultato potesse avere un suo ricorso scritto contro la decisione del Comitato esecutivo, anche se ne era membro. Ci sarebbe voluto un avvocato per spiegarlo. A ogni modo bisognava fare “qualcosa”. Doveva assolutamente assicurarsi che Sam Otto non venisse in possesso del denaro.
— Può darsi — disse — che faccia scoppiare una bomba in ufficio.
Lei lo guardò con aria così visibilmente preoccupata che Devan fu costretto a sorridere.
— Be’, non proprio. In fondo non penso che vogliano spendere un milione di dollari per un’astronave, non credete?
— Lo credo anch’io.
— E poi, per la costruzione di un’astronave ci vorrebbe anche più di un milione di dollari. È una faccenda sballata, signorina Treat. Domattina, per prima cosa, abborderò Orcutt.
Devan aveva appena chiuso dietro di sé la pesante porta del suo ufficio quando gli apparve il volto di Edmund Orcutt.
A Orcutt non sfuggiva quasi mai niente e Devan ebbe quindi la certezza che fosse già informato della sua presenza. Se lo vide venire incontro con un sorriso sincero sul viso amichevole e per nulla stupito, almeno apparentemente, di vederlo lì.
— Benone, Devan — esclamò il vecchio con calore, lasciandosi alle spalle il corridoio che portava ai vari uffici esecutivi e avvicinandosi a passi silenziosi per via del tappeto che copriva l’atrio. — Che sorpresa!
Devan lasciò che gli stritolasse la mano come se non si fossero visti da un anno. Era uno dei principi di Orcutt questo della mano, convinto com’era che non si può mai sapere il momento in cui la mano che voi stringete oggi può divenire la mano che vi aiuterà domani. E Devan, sia pure controvoglia, doveva ammettere che più di una volta questa tattica aveva funzionato a favore della “Inland”; non si poteva davvero criticare la cerchia di amici influenti di Orcutt.
— Credevo che foste in Florida e proprio l’altro giorno ho chiesto alla signorina Treat se eravate partito. Mi disse infatti di sì.
Mentre parlava mise un braccio intorno alle spalle di Devan, guidandolo verso il corridoio. Si girò per un momento verso la segretaria che era nell’ufficio esterno. — Il signor Traylor e io vogliamo essere lasciati in pace, signorina Templeton.
Quando furono entrati nell’ufficio tutto rivestito in noce, Orcutt chiuse la porta e disse: — Che diavolo vi ha preso di tornare, ragazzo mio? Col tempo orribile che fa! — Si lasciò andare nella sua poltrona di cuoio e sorrise amichevolmente a Devan, dondolandosi lievemente.
— Lo sapete maledettamente bene perché sono tornato, Ed!
Orcutt sospirò, si mosse in avanti e cominciò a riempire la pipa.
— Mi spiace tanto che abbiate deciso di tornare, Dev. Una volta mi diceste di non essere indispensabile. Non credete che si possa fare a meno di voi per un po’? — Mentre accendeva la pipa, studiava Devan da sotto le folte sopracciglia scure.
— Ma un milione di dollari sono tanti, Ed! E in mano a Sam Otto!
— Così sapete tutto. Un giorno o l’altro vedrò di scoprire chi è che vi procura queste informazioni, anche se credo di avere già un’idea in proposito. — Orcutt sorrise. — Doveva essere un segreto. Ma c’è sempre qualcosa che sfugge. Avrei dovuto immaginarlo. Non c’era bisogno che tornaste. Dovreste essere in Florida a spassarvela. Avete ben meritato questa vacanza!
— Per lasciare che la “Inland” perda un milione di dollari?
Orcutt continuava a sorridere confidenzialmente e ciò urtava maledettamente Devan. Invece di avanzare delle scuse o tutt’al più delle spiegazioni, sembrava a Devan che il vecchio si divertisse.
— La “Inland” non perderà un solo centesimo, Devan!
— Lo potete scommettere. E sapete perché? La “Inland” non investirà un centesimo in ricerche da farsi fuori di qui.
— Credete?
— Ne sono sicuro. — Devan, che era stato in piedi sino a quel momento, si sedette su di una sedia di pelle che scricchiolò nell’accoglierlo. Tirò a sé un’altra sedia e vi appoggiò i piedi.
— Quando è la riunione del Consiglio di amministrazione?
— Oggi pomeriggio. Ne sapete qualcosa? Davvero sorprendente come sappiate tante cose, dal momento che eravate lontano.
— Questo pomeriggio, eh? Non state un po’ forzando i tempi?
— A dire il vero, intendo procedere il più velocemente possibile.
— E che cosa fareste se io presentassi un ricorso per l’annullamento dell’accettazione del Comitato esecutivo?
— Sarebbe sciocco da parte vostra, dal momento che la decisione è già stata presa dal Comitato.
— Non ditemi comunque che Tooksberry ha votato a favore.
— No, questo non lo posso dire.
— Bene, allora l’assemblea dovrà ammettere che si tratta di un abuso, dal momento che la riunione si è tenuta in mia assenza.
— Ma ciò non conterà. Il fatto che voi foste fuori città ha costituito una sfortunata circostanza.
— Voi avete aspettato che io fossi via.
— Un momento, Devan! — Orcutt si tolse la pipa di bocca e le ceneri si sparsero fuori. Gli occhi erano freddi e gli angoli della bocca si erano irrigiditi. — Non è da voi dire queste cose, assolutamente. E poi non è vero — disse duramente.
— Ebbene, volete spiegarmi allora perché tutto ciò è accaduto subito dopo la mia partenza?
— Vorrei saperne quanto voi, per parlarci francamente. Nel caso voi non ne foste a conoscenza, vi dirò che si è trattato di una decisione improvvisa.
Devan rise senza allegria. — Mi par di vedere Sam Otto che aspetta che io sia partito per correre qui a vendervi una delle sue stupide idee.
Sentiva la rabbia aumentargli in corpo, così si alzò e si diresse verso i due oblò gemelli, premette il bottone che faceva girare gli schermi di polaroid e poté guardare nella sala di montaggio.
In questa stanza venivano montati piccoli intricati cervelli per proiettili comandati, parti per macchine calcolatrici; invenzioni sorpassate come il “radar” accanto a meccanismi elettronici che ancora il pubblico ignorava. Questa era solo una parte dell’impianto. C’erano altre parti in cui venivano costruiti pezzi catalogati per la vendita al pubblico. E c’era una stanza nella quale la “Inland” stava realizzando una macchina che incorporava il metallo radioattivo, secondo le specificazioni governative e neanche Orcutt aveva idea a che cosa potesse servire, se fosse completa in se stessa o parte di un meccanismo più complesso. Ciò era sul piano dove si svolgeva la massima parte delle ricerche.
Orcutt si schiarì la gola. — Capisco le vostre perplessità, Devan. Nemmeno io ho fiducia in Sam Otto. Ma potreste rendervi subito conto che non è un’idea stupida.
Orcutt non scherzava. Sembrava proprio convinto fino in fondo di quanto diceva. Devan pensò che vi dovesse essere un segreto accordo fra Edmund Orcutt e Sam Otto.
— Ascoltate — disse Devan, girandosi dalle finestre che si stavano oscurando. — Conosco Sam Otto meglio di voi. È da anni che lo conosco. Ha cercato di vendermi congegni, sorprese e “mirabilia” fin da quando entrai professionalmente nel campo dell’elettronica, nel 1940. Non mi ha mai perduto di vista, neanche quando ero sotto le armi, aspettando che tornassi per sottopormi questa o quell’altra idea. E assolutamente nessuno dei suoi strambi progetti è mai valso una cicca. Vi si appiccica addosso con un progetto, si piglia il cinque per cento, poi taglia la corda e si dà subito d’attorno per trovare qualcun altro da imbrogliare.
— Voi piacete a Sam Otto — disse Orcutt.
— Per lui sono sempre stato un potenziale lattante. Non si può permettere di non avermi in simpatia.
— Gli spiacque molto di non trovarvi alla riunione.
— Non lo metto in dubbio. — Devan fissò acutamente Orcutt. — Quale è stato il vostro prezzo in questa faccenda?
Orcutt sfoggiava ancora il suo sorriso. — In tutto e per tutto, Devan.
Devan alzò le mani: — Mi arrendo. Mi siete sempre piaciuto, Edmund. Ma adesso non vi capisco.
Orcutt aprì un cassetto. Ne tolse alcuni fogli di carta.
— Avete detto cinque per cento. Guardate un po’ questo contratto. Non è ancora firmato, ma lo sarà, dopo la riunione del Comitato, questo pomeriggio. Vi risparmierò tempo annunciandovi che non troverete il nome di Sam da nessuna parte. E sapete perché?
— Ne sono impaziente.
Orcutt si allungò attraverso il tavolo. — In questa faccenda non piglia un centesimo.
Devan prese i fogli, li scorse attentamente, esaminò tutti i paragrafi. Un uomo di nome Costigan doveva prendere un milione di dollari per un esperimento che lui stesso avrebbe diretto.
Devan gettò di nuovo le carte sul tavolo.
— Benissimo — disse. — E che cosa ci sta a fare allora Sam in questa faccenda?
— Sam crede in questo progetto. Come ci credo io.
Devan borbottò. — Devo vedere per crederci. Può darsi che questo dottor Costigan abbia venduto a lui qualcosa. Sarebbe divertente dopo tutti questi anni! Vendere a Sam un’astronave!
— Un’astronave? — Orcutt lo fissò un momento, poi sbottò a ridere così di gusto da avere le lacrime agli occhi.
— Questa è veramente grande. È la cosa più divertente che abbia sentito da anni. Il vostro informatore non è stato esatto, ma adesso capisco come ciò sia accaduto. Se solo sapeste, morireste dal ridere anche voi.
— E che cos’è allora? — chiese Devan, arrossendo.
Orcutt si ricompose. — Non posso proprio dirvelo, Devan. È una cosa segretissima e tutti ci siamo accordati di non parlarne in privato.
— Volete sapere allora la mia opinione? Per me questo dottor Costigan e Sam Otto vi hanno abbindolato. — Devan stava proprio seccandosi.
— Potete pensare quello che volete, Devan, ma desidero fare con voi un giretto.
— E dove?
— Nel laboratorio del dottor Costigan.
Devan non si mosse. — Ho grandissima stima per voi Ed, ma è veramente assurdo che non si possa parlare di un affare nel quale la compagnia è impegnata, nell’ufficio di questa compagnia e alla presenza di un membro del Comitato esecutivo. C’è dell’altro: perché non avete permesso alla signorina Treat di prendere lei gli appunti? Ve lo debbo dire io? Ebbene, non volevate che fosse in grado di mettermi al corrente delle vostre decisioni.
— Mi spiace, ma siete completamente fuori strada. Devan. Fu lei a non volere prendere le note, con l’intenzione di dare ai fatti una maggiore gravità, in modo di farvi ritornare immediatamente.
— Non vi credo. Perché mai la Treat avrebbe dovuto volere che tornassi? — Devan era veramente esasperato. — Dite cose prive di senso, Ed.
— Per amor del cielo, Dev. Ma siete cieco? Non capite che la ragazza è innamorata di voi? Ce ne siamo ormai accorti tutti e ci siamo resi conto della situazione.
— Beatrice Treat? — Devan rise. — Ma no, Ed, non può essere. Io sono sposato e ho due bambini.
— Forse che l’amore ragiona? Su, non siate così ingenuo, Dev. Non ha fatto che smangiarsi da quando siete partito per la Florida e ha fatto di tutto per farvi tornare.
— Ma ne ha avute tutte le ragioni, amore o no. Sapeva benissimo che l’idea di un milione di dollari gettati dalla “Inland” per un capriccio, non mi sarebbe andata.
— Dal momento che ci stiamo parlando francamente, Dev, vi voglio dire una cosa. Siete troppo sicuro di voi stesso, troppo convinto di sapere tutto. Ora vi dirò che il mio futuro dipende da questa avventura. — Scosse la cenere della pipa. — Potremmo andare subito da Jimmy e chiedergli la sua opinione su ciò. o da Glenn e vedreste subito la loro reazione. Ma meglio di tutto è che vediate la cosa con i vostri stessi occhi. Sapevo che sareste venuto e ho già disposto tutto. Su, venite.
Il caseggiato nel quale si trovava il congegno era una vecchia costruzione di mattoni che, secondo Devan, doveva essere rimasta inutilizzata per tre anni almeno. Fecero il giro della casa più volte nella Cadillac di Orcutt, che imprecava a bassa voce perché non c’era il pur minimo spazio per parcheggiare la macchina.
— C’è gente che mette la macchina qui e ha il proprio lavoro al Loop — disse Orcutt, girando con la macchina intorno a un altro angolo. — Quando verremo qui a lavorare, ci occorrerà dello spazio per parcheggiare le macchine della compagnia. Non vedo come.
Devan stava zitto. E, sebbene non volesse pregiudicare il progetto in corso, pure il suo intuito gli diceva che vedeva giusto. Anzitutto, di qualunque cosa si trattasse, non vedeva perché ci si dovesse allontanare così dalla “Inland”. C’era un sacco di spazio per le ricerche là, e non esistevano problemi di parcheggio. Bisognava ora vedere di che razza di progetto si trattasse.
Finalmente parcheggiarono a due isolati di distanza e si diressero su uno strato di neve indurita che ricopriva i marciapiedi. Avvicinandosi alla costruzione vuota, sorpassarono una taverna e un negozio di idraulico, nell’interno del quale si intravedevano attraverso luridi vetri, rubinetti, tubi e accessori vari ammucchiati in un disordine caotico. Vicino c’era una tipografia con la sua piccola mostra di campioni di stampa, quindi una nitida facciata dipinta di bianco portava la scritta “Missione per i derelitti (di Sudduth)”. In vetrina c’era una Bibbia aperta, e una piccola luce ne illuminava le pagine. La porta accanto era quella di una drogheria, la drogheria Hodge, illuminata a malapena, e dai cui vetri appannati non si riusciva a vedere l’interno.
Sotto il cornicione istoriato che sovrastava i cinque piani del palazzo accanto, spiccava la seguente scritta a lettere dorate, ben centrata nel senso della lunghezza: “Rasmussen — Stove Company”, il tutto su uno sfondo filigranato. Le lettere avevano un aspetto disordinato: la continua esposizione le aveva scolorite e smollate, erano l’una addosso all’altra, e mancava l’ultima lettera. Devan si chiese dove fosse andata a finire.
— Non mi risulta che facciano materiale da riscaldamento da vent’anni — disse Orcutt. — Durante la guerra vi si facevano strumenti da lavoro come pinze e ceselli. Andiamo!
Si avvicinò alla porta d’ingresso e bussò. Devan notò sulla vecchia porta una serratura nuova. Poi la porta si aprì di pochi centimetri dai quali fece capolino, osservandoli, un vecchio tutto intabarrato con sciarpa e copriorecchi.
— Sono Edmund Orcutt. Sono atteso dal dottor Costigan.
Il vecchio tolse la catena, aprì la porta e si pose davanti all’ingresso ostruendo il passaggio.
— Documenti di identità — disse.
— Documenti?
— Per essere ben sicuri — disse il vecchio, senza muoversi. — Il signor Otto ha detto di accertarsi.
— All’inferno Sam Otto — brontolò Orcutt, togliendo dalla tasca il suo biglietto di visita e mostrandolo all’uomo.
— E lui chi è? — disse il vecchio indicando Devan.
— È con me.
Il vecchio scosse la testa dubbiosamente. — Non so… Il signor Otto…
— Ma io sì. Dobbiamo entrare. Fuori fa freddo.
— Ma dentro non è più caldo. — Si fece da parte e quando i due furono scivolati dentro, disse: — Un momento. — Poi, dopo che ebbe richiusa la porta e rimessa a posto la catena, li invitò a salire con lui.
Nello stabile sembrava ancor più freddo che all’esterno, proprio per quel senso di gelo che si avverte nelle case non riscaldate. La piccola stufa a petrolio che il vecchio teneva accanto a sé non scaldava affatto. Il fiato dei due formava effetti bizzarri nell’aria, mentre essi proseguivano con il vecchio, camminando sopra un pavimento sconnesso, verso il cupo retro della casa. Qui salirono vecchie scale che scricchiolarono sotto il loro peso con un suono ingigantito dal vuoto che regnava intorno.
Al secondo piano c’era una specie di capannone in legno con nitide finestre e all’interno vibrava una luce fluorescente. Dal tetto partivano diverse serie di fili elettrici intrecciati. Devan non riuscì a vedere nessuno all’interno della costruzione, mentre seguendo il vecchio la fiancheggiavano; ma, giunti vicino alla porta, che era aperta, Devan scorse Sam Otto.
Era sempre lo stesso Sam Otto, tondo e panciuto, dall’espressione gioviale e con l’immancabile sigaro che gli pendeva dalle labbra. Stessi occhi brillanti, stessa cordialità e, si disse Devan, la stessa loquacità.
— Devan, Devan! — Sam lo accolse molto calorosamente, tributando nel contempo una festosa accoglienza anche a Orcutt. — Dottor Costigan, abbiamo visite — disse. — Entrate, c’è posto per tutti! Fa freddo fuori. — E al vecchio: — Bene Casey, andate pure.
Sam era eccitato e compreso. — Io vi conosco, Devan. Voi non ci crederete. Ma neanche il signor Orcutt ci credeva, vero Orcutt? — Rise e gli diede una gomitata d’intesa. — Stavolta ci sono. — Ma prima di continuare ritenne opportuno togliere Devan dal visibile imbarazzo in cui si trovava presentandogli l’altra persona che ancora non conosceva.
— Dottor Costigan, questo è Devan Traylor. Devan, voglio che conosciate il dottor Costigan. Sarebbe meglio chiudere. C’è un termosifone ma non si sente il caldo con la porta aperta.
Devan diede la mano a un uomo alto e sottile, dai radi capelli e dai lucici occhi grigi. La sua mano era molle e stava un po’ curvo, come se la sua altezza lo mettesse a disagio. Dimostrava sessant’anni circa.
— Molto lieto — disse il dottor Costigan. Aveva una voce bassa e garbata e tutto il suo contegno denotava un uomo timido. — Lavorate alla “Inland”, signor Traylor?
— Se è alla “Inland”? — Sam si alzò e diede a Devan un amichevole colpetto sulla spalla. — È solo uno dei direttori, dottore! E per di più un membro regolare del Comitato esecutivo.
Lo scienziato lo guardò con maggior interesse.
— Era in Florida — Orcutt spiegò, togliendosi il cappotto. — Tornò quando seppe del progetto.
— Oh, sì, l’assente — sul volto di Costigan comparve un fugace sorriso. — Mi ricordo infatti che ne mancava uno.
— Non avevate avvertito il dottor Costigan che saremmo venuti? — chiese Orcutt a Sam con aria un po’ seccata.
— Mai disturbare il dottore per cose da poco — disse Sam. Poi rise. — Non che Devan sia cosa da poco. Anzi. Ma il dottore ha già tante cose cui pensare. Così ha saputo della vostra venuta quando vi ha visto arrivare.
— Volevo solo vedere il dottore per fargli sapere le mie decisioni — disse Orcutt.
— Ma certo — rispose Sam. — Naturalmente. Il dottore lo sa, vero, dottore? — Il dottor Costigan si limitò ad alzare le sopracciglia e sembrò che stesse per dire qualcosa, quando Sam riprese: — Come siete stato, Devan?
— Meglio di così… — Devan rispose, avvertendo la penosa sensazione che stava perdendo del tempo. La cosa si stava facendo sempre più ridicola. Si pentiva di essere lì. — Sono dell’idea che sia il momento, Sam, di farmi vedere quel piccolo aggeggio che ha il potere di trasformare della carta bianca, con un semplice giro di manovella, in bigliettoni da venti dollari. Non credete? Si tratta di una fornace d’oro da cui escono diamanti autentici o mattoni d’oro?
— Sempre voglia di scherzare — rise Sam. — Il solito vecchio Devan. Grande burlone, sapete, dottore?
Sam tolse il sigaro di bocca e lo posò sul bordo della scrivania. — Come potevamo sapere che il signor Traylor sarebbe venuto, dottore? Così è la vita, imprevedibile. Una promessa è una promessa, lo so, ma non dobbiamo dimenticarci che il signor Traylor è un uomo importante alla “Inland”.
— Ma tutta questa gente! — Il dottore appariva preoccupato. — Ho detto che lo avrei fatto vedere una volta sola e voi eravate d’accordo.
— Ma dottore! Il signor Orcutt ha portato Devan fin qui per vederlo.
— Io non ce l’ho con voi, dottore — disse Devan. — Io stesso se avessi avuto qualcosa di molto importante e avessi deciso di non mostrarla, avrei agito ugualmente. Non ci sarebbe niente di male se non mi fossi già trovato molte volte in simili situazioni con Sam.
— Un momento, Devan — disse Orcutt. — Mi spiace di essere il colpevole di tutto questo. Io ho promesso a Devan che avrebbe potuto vedere la macchina. — Poi, con espressione decisa, continuò: — Ma la deve pur vedere se vogliamo avere l’approvazione del Consiglio oggi pomeriggio! — Guardò il suo orologio da polso: — Sono le undici, la riunione è all’una e trenta, e ci sono un sacco di cose da fare.
Devan si lasciò cadere su una sedia, accese una sigaretta e li guardò tutti e tre con aria disgustata. — Sentite — disse — sono in affari da un sacco di tempo. E mi sembra improbabile che ci sia qualcosa di così sensazionale da meritare tutte queste esitazioni, a meno che non si tratti di una nuova superbomba. Perciò, tirate fuori questa faccenda e fatela un po’ vedere, o dirò al Comitato che cosa penso di tutta questa macchinazione.
— Devan — disse Sam con voce ferita — non sapete cosa state dicendo.
— È meglio che lo lasciate vedere, dottore — disse Orcutt — altrimenti la cosa sembra realmente senza senso.
Per un momento il dottor Costigan non si mosse dal centro della stanza e i suoi occhi apparivano pieni di furia repressa. Poi si ricompose e si diresse verso una porta che si apriva sull’altro lato della stanza.
— E va bene — disse, togliendosi una chiave di tasca e infilandola nel lucchetto.
Devan aveva una tremenda voglia di ridere, ma si trattenne. Si volse verso Sam, poi verso Orcutt e, vedendo l’espressione sorridente di questi, si chiese quanta parte di quella commedia fosse a suo favore. Dopo che il dottore ebbe aperto la porta, Devan schiacciò il mozzicone della sigaretta e seguì gli altri nel locale.
Era una piccola stanza, approssimativamente di tre metri per tre e cinquanta, illuminata da parecchie lampade fluorescenti tutt’intorno alle pareti. Lungo una di esse c’era un banco e sul muro sovrastante erano disposti, bene in ordine, alcuni strumenti familiari agli studiosi di elettronica.
Dietro il banco erano ammassati pezzi per radio e materiale elettronico, tra cui vari strumenti di controllo, un oscillografo, un trasformatore, uno stabilizzatore di voltaggio e vari accessori del genere. Se non fosse stato per la parete situata a destra, tutta piena di strumenti di più grosse dimensioni e di luci, bottoni, prese e misuratori, lo si sarebbe potuto scambiare per il laboratorio di un radioamatore, seppure di un tipo un po’ fuori del comune.
In un angolo della stanza il dottor Costigan era curvo sulla cassaforte. Con gesti rapidi stabilì la combinazione e aprì il pesante sportello.
Sam Otto tentò di aiutarlo, ma il dottore gli fece segno di stare indietro. — Lo maneggerò io — disse.
Costigan introdusse le mani con cura nella cassaforte e ne estrasse un lungo corpo metallico, che aveva tutta l’apparenza di un lucido razzo argenteo, di un trenta centimetri di diametro. La base circolare era perforata da un’apertura ad arco che proseguiva per tutta la larghezza del corpo metallico.
Il dottor Costigan avanzò faticosamente con l’ordigno tra le mani e tutti gli altri gli fecero largo. Lo sistemò sul banco, provocando un rumore sordo, e quindi, afferrandolo per l’estremità, lo pose in posizione verticale. “Be’, almeno ha l’aspetto di un’astronave” si disse Devan divertito. Beatrice Treat aveva detto giusto. Era alto circa un metro, e le luci vi si riflettevano con guizzi luminosi.
Il dottore appariva molto indaffarato; aprì un cassetto del banco e ne tolse un certo numero di rotoli di corda, che agganciò a sostegni lungo il fuso e che poi tirò fino a un pannello di sostegno. Mentre lavorava, le sue dita lunghe e sottili si muovevano con abilità e tutta la lentezza che Devan gli aveva attribuito era sparita. Una volta, quando Costigan si volse verso il pannello di misura, Devan ebbe modo di scorgere, alla luce delle lampade abbaglianti, l’espressione fanatica del suo volto.
Tutti seguivano con i nervi tesi le diverse fasi dell’operazione.
— Forse bisognerebbe aprire — disse Sam. — L’aria qui dentro è pesante.
— Lasciate la porta chiusa, per favore — disse Costigan. — Sono quasi pronto. — I contatori cominciarono a funzionare, gli aghi a oscillare e si avvertì uno scatto all’interno del congegno. Quindi un motore entrò in funzione, sprigionando un rumore sordo.
— E ora… — disse finalmente il dottore.
— E ora che cosa? — chiese Devan con sarcasmo.
— Aspettate — disse Sam.
— Per amor del cielo — disse Orcutt — date un minimo di fiducia al dottore.
— Ora, signor Traylor, se volete avere la bontà, prego — fece Costigan.
Devan si avvicinò al banco e Orcutt e Sam gli fecero posto.
— Vedete questo buco in fondo? — e Costigan indicò l’apertura ad arco alla base del fusto a forma di proiettile. — Guardateci dentro. Metterò le mie dita dall’altra parte. Così.
Devan si curvò. — Che io sia dannato! — disse.
— Che cosa avete visto? — chiese Sam sorpreso.
— Ho visto le due dita dall’altra parte!
— Sam ha ragione. Siete un tipo spiritoso, Traylor. E ora — il dottore si schiarì la gola: — Mettete il vostro dito nell’apertura.
Orcutt e Sam si fecero vicini per vedere, ma Devan esitò a eseguire ciò che Costigan gli aveva ordinato.
— Anzitutto, ditemi che cosa succederà.
Il dottore scosse la testa: — Assolutamente niente di male. Su, su.
Devan esitava ancora, guardandoli tutti e tre in attesa della sua decisione. Infine scrollò le spalle e mise il dito nell’apertura. Non sentì nulla, e dopo un po’ lo tolse.
— Tutti contenti? — chiese.
— Non avete osservato il vostro dito mentre eseguivate — protestò il dottore.
— Avanti, Devan — fece Orcutt con impazienza. — Non fate storie.
Devan mise il suo dito di nuovo vicino al buco. C’era spazio abbastanza non solo per il dito ma per la mano intera, ma vi introdusse solo un dito e attese.
A poco a poco il dito scomparve alla sua vista. Stupitissimo, lo tolse via e lo guardò. Era sempre intero. Il suo cuore accelerò le pulsazioni. Introdusse di nuovo il dito nella macchina e lo vide ancora sparire. Provò l’impressione che il dito si raffreddasse e lo toccò con l’altra mano. Era infatti gelido.
“È uno scherzo” Devan pensò. “Tra un momento mi rideranno tutti in faccia”. Si volse per osservare i presenti. Gli occhi di Costigan erano chiaramente ironici. Sam Otto lo guardava con una smorfia benevola. Orcutt aveva gli occhi accesi. Era chiaramente eccitato.
Devan si curvò e guardò di nuovo le pareti di metallo, facendo scorrere il dito intorno al bordo dell’apertura. Si trattava di una lavorazione accurata. Il metallo era pregiato.
Chiuse il pugno, quindi l’avvicinò all’apertura, e ve lo infilò, fino a che il suo braccio fu completamente dentro la macchina fino alla spalla. Allungò l’altro braccio per incontrare la mano dall’altra parte.
Ma la sua mano non c’era. Solo una manica vuota.
Terrorizzato, piegò il braccio dentro il canale interno e non trovò altro che aria dove avrebbero dovuto esserci le pareti del tubo. Poi sentì il freddo, come se avesse fatto passare il suo braccio fuori della finestra, attraverso un buco.
Scosse il braccio con rabbia. Era gelato.
Devan fissava il cilindro appuntito d’argento, e la vista gli si confuse mentre il lungo fusto brillava alla luce. Ciò che era accaduto lo aveva profondamente colpito. La sua mente si rifiutava di credere all’evidenza, ma i suoi occhi e la sua mano non si erano ingannati.
Doveva credere alla sua mente, o a ciò che aveva sperimentato? Il sudore gl’imperlava la fronte, il cuore batteva rapido, e aveva i nervi tesi.
Non “voleva” credere a ciò che aveva visto e fatto, ma allora? Se fosse stato tutto un abile trucco, e pensava che avrebbe finito per rivelarsi tale, non si sarebbe mai perdonato di essere stato tanto sciocco da credervi. Ma come dimostrare che era un imbroglio bello e buono?
Eppure pochi minuti prima aveva infilato un braccio dentro il cilindro di metallo levigato, e dall’altra parte era uscita la manica vuota!
— Ebbene…? — La voce di Sam era trionfante.
“Va’ al diavolo” pensò Devan. “State proprio cercando di mettermi alle strette! Volete che mi arrenda, eh?”. Si volse lentamente, seccato che lo avessero messo in stato di inferiorità. “Non sarà così facile avermi” si disse.
— Dottor Costigan, volete far ruotare il vostro ordigno di novanta gradi? Lo potete fare senza tirare nessuno di quei fili? — domandò.
Il dottore lo guardò con attenzione, soffregandosi il mento. — Credo di sì. — Pose il cilindro più vicino ai pannelli, e lo mosse nel senso voluto da Devan.
— Avete una lampadina con un filo lungo abbastanza da arrivare fin qui, in modo che io possa guardare nella cavità?
Il dottore frugò in un cassetto e ne tolse una lampada schermata, con un lungo filo. Devan infilò la spina in una presa elettrica e accese.
— Ora, Ed, se non vi dispiace, infilate il braccio nel cilindro mentre io osservo l’operazione dall’altra parte.
Si curvò in modo di avere l’orecchio sul banco, e sistemò la luce davanti a sé, in modo che l’apertura del congegno fosse bene illuminata.
Orcutt si mise dall’altra parte del cilindro.
— Cominciate pure — disse Devan. Osservava con attenzione le dita distese di Orcutt che, illuminate, si avvicinavano alla cavità. Quando la mano entrò nel tubò, vide una cosa incredibile: le punte delle dita sparirono e, come se fossero state tagliate nette, si videro distintamente ossa, vene e muscoli. A mano a mano poi che la mano avanzava, l’effetto di sezione passò dalle nocche al palmo e quindi al polso. Contemporaneamente al procedere del braccio di Orcutt, la manica della giacca diventava flaccida e vuota, scivolando lungo la cavità, a mano a mano che Orcutt introduceva il suo braccio. Alla fine la manica uscì per pochi centimetri dalla parte di Devan, e quando Orcutt non poté continuare oltre, si fermò.
Devan spinse dentro a forza la manica.
— Ehi! — esclamò Orcutt, tirandosi indietro.
— Non togliete la mano!
— Fa freddo qui dentro.
— Un momento solo.
Devan lasciò andare la manica, mosse la lampada, la mise sul banco e quindi inserì la propria mano nell’apertura. Con l’altra mano tenne ferma la manica di Orcutt, inoltrando la mano fino a che ebbe trovato il braccio di Orcutt. Era nudo e freddo. Orcutt aveva piegato il gomito e anche Devan. e le loro mani si afferrarono come nel combattimento indiano.
Devan soddisfatto liberò la sua mano e tastò il braccio di Orcutt. prima il polso, poi l’avambraccio, tirandone i peli. Orcutt indietreggiò un poco.
— Che cosa avete in mente, Devan?
— Sto facendo semplicemente delle prove — disse Devan. Sorrideva divertito, nonostante tutto.
Spostò la sua mano lungo il braccio fino al gomito, e dal gomito fino a… la carne era finita, tagliata e perfettamente liscia all’altra estremità. Fece scorrere le sue dita sul moncone del braccio. La superficie era come ghiaccio, senza alcun palpito di vita.
— Sentite qualcosa? — Devan chiese.
— Vagamente.
— Benissimo — disse Devan, togliendo il suo braccio.
Orcutt estrasse a sua volta il suo e cominciò a massaggiarlo.
— Accidenti, se è freddo dentro là — disse.
— Siete convinto, ora, signor Traylor? — chiese Costigan.
Devan annuì. Non poteva negarlo per il momento.
— Bene, Devan? — fece Sam.
Devan stava osservando con attenzione il dottore che toglieva tutti i vari fili, e non rispose. Tutto era così terribilmente confuso nella sua mente, e così recente era stata l’esperienza che non c’era senso a parlarne. Era come assistere a una rappresentazione fantastica o leggere un libro talmente avvincente da non desiderarne mai la fine, per non trovarsi di nuovo a contatto con la realtà, realtà assai meno interessante; ma poi, sapendo bene che la fine ci deve essere per forza, una volta arrivati, ci si accorge che anche le cose trascurabili riprendono la loro importanza e si è obbligati a considerarle con la dovuta serietà.
— Mi sembra di avere fatto una certa impressione su Devan — disse Orcutt. — So che è difficile crederci, Dev, ma è vero. Quando arrivaste qui, non vi aspettavate di sicuro una cosa del genere. Ora avete visto l’incredibile e ne siete stupefatto.
Devan sospirò. — Avete ragione. È impossibile, e io l’ho visto coi miei occhi. — Tolse una sigaretta dal suo astuccio e la accese con aria assente. — Quanti altri hanno visto questo, Ed?
— Tutti gli altri del Comitato.
— E Tooksberry ha votato contro?
Orcutt annuì. — Non ci crede affatto. Non ci si è voluto avvicinare. Glenn e Jimmy ne sono stati conquistati di colpo.
Il dottore aveva di nuovo il congegno argenteo fra le sue braccia e lo ripose nella cassaforte. Devan non riusciva a staccarne gli occhi. Respirò sollevato quando finalmente la porta della cassaforte fu accostata e il dottore ne girò la chiusura.
— Andiamo nell’altra stanza — disse Sam, aprendo la porta.
Nella stanza entrò una folata di aria fresca, respirabile, che schiarì le idee a Devan.
Si sedettero mentre Devan si asciugava la fronte sudata con il fazzoletto.
— Penso proprio che la cosa vi abbia impressionato, Dev — disse Orcutt, ridendo. — Avete l’aria di chi ha urgente bisogno di qualcosa di forte.
— Cosa avete provato quando l’avete visto?
— Più o meno come voi. — Orcutt guardò il suo orologio. — È quasi mezzogiorno, e la riunione è all’una e mezzo. Dobbiamo andare.
— Potremmo mangiare qui — disse Sam. — Potrei telefonare per farci mandare qualcosa.
— Qualcuno ha parlato di bere? — chiese Costigan, rigidamente seduto sulla sua sedia.
Devan si guardò intorno e non vide né bottiglie né bicchieri. — Berrei volentieri un sorso, ma bisogna uscire per prenderlo?
— Un momento. — Il dottore si alzò e si diresse di nuovo verso la porta chiusa. Dopo un momento tornò con una bottiglia di whisky, al che gli altri gli chiesero dove la tenesse. Rispose secco: — Nella cassaforte.
— Proprio vicino al tubo di argento? — disse Sam mentre il dottore disponeva quattro bicchieri sulla scrivania. — Non so quale delle due cose ha più valore per lui.
— Il signor Otto mi conosce da troppo poco — disse Costigan quasi allegramente. — Nel mio carattere ci sono lati assai interessanti.
Devan si rallegrò che Costigan si fosse un po’ lasciato andare e pensò che ormai si era un po’ abituato alla sua presenza.
— Ecco il tubo del dottor Costigan — disse Sam Otto, alzando il bicchiere riempito a metà.
Mentre bevevano, Devan notò la disinvoltura con la quale Costigan inghiottiva il whisky a lunghi sorsi.
— Come funziona il tubo, dottore? — chiese Devan. — Nel campo elettronico ho veduto quasi tutto, ma questa è una novità per me.
Il dottore sorrise astutamente: — Vorreste che lo dicessi, no?
— Il dottor Costigan è molto riservato riguardo alle sue invenzioni — spiegò Sam, riprendendo il suo sigaro dalla scrivania e masticandone l’estremità. — All’inizio cercò di ottenere fondi da diverse società, senza neanche dir loro a che cosa servissero.
— A essere franco — disse Costigan — non sono fatto per gli affari, e sapevo che avrei avuto delle noie.
— Due settimane fa circa — disse Sam — incontrai per caso Joe Gordon al “National” e lo invitai a cena. Mentre mangiavamo, nominò il dottore, ma solo per dire che era uno degli uomini più imbroglioni che avesse mai conosciuto, scusatemi dottore, ma disse proprio così, perché, disse Joe, il dottore voleva i soldi senza neanche far vedere di cosa si trattasse, ma assicurando solo che era qualcosa di nuovo. Che ne dite?
Devan mugolò: — Conoscendovi, Sam, penso che non siete tipo da lasciar correre una cosa come questa. E così correste a piè sospinto a vedere il dottore.
— Naturalmente — ruggì Sam, con il sigaro tra i denti. — Se non l’avessi fatto, dove saremmo adesso? Certo che corsi da lui: l’interrato della sua casa dà su North Side. Pensate un po’ se il congegno fosse stato fuori, sul banco di lavoro.
— Ci sono posti migliori per metterlo — interruppe il dottore. — Nessuno poteva pensare che ci fosse nascosto qualcosa del genere.
— Bene, a ogni modo io lo convinsi a lasciarmelo vedere, poi ebbi da faticare non poco per farmene mostrare gli effetti. Quando introdussi il dito ne fui completamente sconvolto.
— Se ho ben capito — disse Devan — voi lo comprereste per un milione di dollari.
— No — rispose Orcutt — ciò verrà in seguito. Per ora ci limitiamo ad anticipare il denaro per l’esperimento.
— L’esperimento? Ci siamo di nuovo. E perché dobbiamo fare proprio noi questa prova?
Orcutt rise: — Proprio quello che volevo sapere anch’io, Dev. Sam disse che il dottore voleva circa un milione di dollari per fare le prove. Naturalmente io, che avevo già assistito alla dimostrazione, obiettai che il congegno era ormai completo così com’era. Per di più, non mi andava affatto di spendere un milione di dollari quando la cosa era già finita, e non ne vedevo, d’altra parte, alcuna possibilità di immediata applicazione. Ma il dottore aveva altre idee. Perché non gliene parlate voi, dottore?
Costigan si schiarì la gola e si appoggiò all’indietro con la sedia, fino a farle toccare il muro, proprio come, pensò Devan, un fattore che passasse l’intera giornata nella cooperativa locale.
— A che cosa serve il tubo? — Il dottore diede un’alzata di spalle. — Io stesso me lo sono chiesto un migliaio di volte senza potere, sulle prime, darmi una risposta ragionevole. Così cominciai a tirarne fuori delle possibilità. L’idea migliore è che può essere utilizzato per le diagnosi di malattie interne, tumori e mali consimili; voi vi sistemate un corpo e ne avete la sezione interna, così da poterne esaminare qualunque parte senza sobbarcarsi la spesa, il pericolo e tutto il disagio derivanti da un’operazione esplorativa. Vi sono modi di sistemarlo in maniera che un microscopio ne possa osservare le sezioni tagliate, ma la parte che sparisce dovrebbe essere concentrata in un sottile raggio a ventaglio. Voi comprendete, Traylor, che solo i tessuti viventi ne subiscono l’effetto, ma non i corpi inanimati, siano essi minerali o metalli.
— Ciò ha valore per la manica della giacca, dunque — disse Devan. — Ma allora, lo strato esterno di pelle e le unghie e i peli che io ho sentito sul braccio di Orcutt? È tutto tessuto morto?
Questa volta il sorriso del dottor Costigan, che mise in mostra dei denti ingialliti e qualche capsula d’oro, durò più del consueto.
— Vi risponderò fra breve. Ma continuando a esaminare la possibilità di impiego in medicina, ecco che si pone subito una domanda. Che ne è della parte che sparisce? — Le sopracciglia del dottore si alzarono, poi si abbassarono e si piegò verso Devan.
— Voi avete visto soltanto quello che è successo “qui” — disse in tono confidenziale. — Ma vi voglio dire che cosa accadde quando feci la scoperta. Mia moglie e io abitavamo in case diverse e stavo facendo nell’interrato della mia casa alcune prove con un congegno più piccolo di quello che avete visto. Bene, misi il dito nell’apertura e questo sparì, proprio come è successo ora, ma la differenza è che allora avvertii qualcosa di bagnato, sebbene il mio dito tornasse fuori asciutto.
“Incuriosito, volli costruire un tubo diverso per avere un buco più grande e mi ci volle più di un anno per costruire lo strumento che avete veduto. Quando per la prima volta introdussi il mio braccio nella cavità, avvertii dell’acqua che vi circolava. Eppure ne ritraevo il braccio sempre asciutto. Potete immaginare che cosa feci allora?”.
Il dottore li guardò con espressione di attesa, come aspettando che qualcuno rispondesse. Ma nessuno si sentì di azzardare un’ipotesi.
— Presi un topo bianco, lo tenni stretto, lo misi nel buco e lo sentii dibattersi, poi si acquietò. Tentai di tirar fuori la mano con il topo morto ma fu impossibile. Il topo era morto soffocato e scoprii che gli esseri senza vita non potevano oltrepassare la barriera. Fui costretto a lasciarlo cadere per poter tirar fuori la mano.
Devan accese una sigaretta, lanciò un’occhiata a Orcutt e questi sorrise.
— Andammo poi ad abitare sul North Side. Cominciai di nuovo i miei esperimenti. Questa volta la mia mano trovò aria e non acqua. Presi un altro topo, lo introdussi nel buco e lo tirai fuori, sano e salvo. Poi legai il topo a un’assicella, lo introdussi per metà nell’apertura e lo tirai fuori. Il topo era arrivato fino all’estremità che entrava per prima nell’apertura. I nodi vi erano ancora ma i piedini del topo non erano più legati.
— Allora ebbi un’idea migliore. Legai ancora il topo all’ingiù. Lasciai che la parte che si liberava all’altra estremità si muovesse nel buco, e iniettai del nembutal in un’arteria da questa parte dell’apertura. Il topo morì. Tentai di estrarlo di là, ma non si mosse. Quasi lacerai il suo corpo tentando di tirarlo fuori, ma la parte invisibile che era dentro la cavità si rifiutava assolutamente di oltrepassare la barriera. Potevo spingere la parte visibile nella cavità fino all’altra apertura ed essa rimaneva sempre visibile. Solo quando fermai la macchina ne uscì la parte morta da questa parte. Tagliata netta come da un rasoio. Così, vedete? Quindi ci sono leggi scientifiche ben precise che regolano questa macchina. Sto cercando di scoprire quali siano, ma ho ancora parecchio da fare a questo riguardo. Fintanto che il tessuto morto e attaccato al tessuto vivo e ne è parte integrante, può passare con esso; se invece l’intero organismo è morto, non si muoverà né in un senso né nell’altro. — Il dottor Costigan si interruppe un momento.
— La situazione presentata dal dottore è quindi la seguente — disse Orcutt. — Lo strumento potrebbe diventare parte indispensabile nell’attrezzatura ospedaliera, ma d’altra parte chi accetterebbe di usarla, se non si potesse sapere dove va a finire la parte del corpo che scompare?
— Potrebbe essere l’Afghanistan o il Mar Nero — disse Sam.
— Non importa dove — disse Orcutt — ma la gente vuol sapere “il punto esatto”.
— Ci ho pensato non so quanto — disse Costigan versandosi altro whisky. — Il tubo ha il potere di rendere invisibili le cose viventi? O va indietro nel tempo? O si spinge nel futuro? Forse su un altro pianeta? O in qualche altra dimensione? Supponete di mettere la vostra mano nella cavità e che esca nel vuoto dello spazio esterno?
Nella stanza, per qualche minuto ci fu silenzio, e ognuno pensò quale potesse essere la risposta. L’unico suono era il piccolo scatto intermittente di una luce fluorescente.
— Quindi l’esperimento di cui parlavate prima — chiese Devan — sarebbe di stabilire dove va a finire il corpo?
— Sarebbe tanto semplice se potessimo inserire un set televisivo nel buco — intervenne Orcutt — o un periscopio.
— Nessuno ha idea di come si possa arrivare alla conclusione esatta? — chiese Devan.
— Dobbiamo costruire un tubo nel quale si possa far passare un uomo, Dev — disse Orcutt — con tutto il corpo.
— Quest’uomo dovrà riferire ciò che avrà visto — disse Costigan.
— Ecco a cosa serve il milione di dollari.
— Chissà dove porterà il potere di questa cavità, e quali cose favolose si potranno vedere quando un uomo vi potrà entrare? Forse incontrerà esseri del futuro o del passato.
Gli occhi del dottore guardavano lontano. — Nessuno può immaginare ciò che quest’uomo vedrà, signori!
— Sarà un po’ difficile presentare la faccenda, senza raccontare tutto al Comitato — disse Orcutt, mentre la sua mano era incerta nella scelta di una pipa tra le tre infilate in una piccola rastrelliera posta sulla sua scrivania. — Ma penso che sarete d’accordo con me nel mantenere il più rigoroso segreto.
— Senz’altro — intervenne Sam — sono stato giornalista e so che cosa succederebbe se uno di quei tipi ne venisse a conoscenza.
Il telefono suonò e Glenn Basher rispose. — Grazie, signorina Treat — disse, riattaccando il ricevitore dell’apparecchio che stava sulla imponente scrivania di Orcutt. — Grady è qui. Lo possiamo senz’altro spuntare dal foglio. Ne mancano quattro e saremo al completo.
— Non dobbiamo preoccuparci del Comitato, Ed — disse Devan. — Da parte nostra non sapranno nulla.
Howard Tooksberry. che era seduto un po’ lontano dagli altri mugolò: — Non è giusto — sistemandosi gli occhiali sul naso. — Il Consiglio dovrebbe sapere tutto.
— Ma non lo potete fare assolutamente — esclamò Sam eccitatissimo.
— Avete torto, Howard — e James Holcombe alzò gli occhi dal diagramma del tubo osservando l’uomo con attenti occhi azzurri. — Non vi rendete conto che cosa succederebbe se la cosa diventasse di dominio pubblico? Sam Otto ha ragione. I reporter ci assalirebbero. No, se lo diceste al Consiglio non avremmo altro che nuove preoccupazioni.
— Tutto chiaro, no? — disse Orcutt guardandoli tutti con una occhiata circolare. Solo Tooksberry non ricambiò il suo sguardo. — Dobbiamo confermare che si tratta di un esperimento che aprirà, forse, nuove strade alla medicina interna, e del cui progetto il Comitato esecutivo ha incaricato il dottor Costigan.
— È un po’ confuso — intervenne Devan — a meno che non sappiate l’esatto significato delle parole.
— D’altra parte non so che cos’altro potreste dir loro — disse Sam. — Il dottore e io ci trovammo nell’identica situazione quando lo dicemmo a Orcutt. Non potevamo dire né troppo, né troppo poco.
— “Ultra vires” — interruppe Tooksberry e tutti lo . guardarono.
— Che cosa volete dire con queste parole, Howard? — chiese Orcutt.
— Semplicemente quello che ho detto. — Tooksberry li guardò gelidamente.
— “Ultra vires” significa che voi abusate della vostra autorità di pubblici funzionari e membri di un Consiglio tutelato da uno statuto che si estende alla collettività. Penso che quello che state facendo sia irregolare. Potreste essere citati in giudizio per questo.
— Sentite — disse Orcutt, rivolgendosi a lui attraverso la scrivania. — Avete visto lo strumento? Non ci credete?
Tooksberry scosse il capo.
— Ma si può sapere infine che cosa avete contro il dottore e me? Ci avete avversati sin dal principio.
— Ad Howard piace essere dalla parte contraria — insinuò Basher — e lo sta dimostrando. Anche se avessimo una macchina capace di trasformare il piombo in oro, si opporrebbe.
— E sta bene — disse Tooksberry, alzandosi, con un’espressione furiosa. — Me lo avete chiesto e io vi dirò che cosa ne penso. Innanzitutto, perché il dottor Costigan vuol fare questi esperimenti? Secondo, perché non ci spiega come questa macchina funziona? Terzo, supponiamo che la faccenda abbia un certo valore, che cosa impedirà al dottor Costigan di raccogliere i frutti del milione di dollari della “Inland” e di sistemarsi economicamente? In che parte siamo interessati nei suoi profitti? Il guaio è proprio questo: siete troppo curiosi nei confronti dell’esperimento e non abbastanza dell’uso del denaro.
Detto ciò, Howard Tooksberry si sedette pesantemente e, toltisi gli occhiali, prese a pulirli nervosamente.
Sam Otto, che era visibilmente impallidito a ogni parola di Tooksberry, saltò in piedi con i pugni serrati e i denti contratti sul solito sigaro. Avanzò di un passo verso Tooksberry.
— Sta’ seduto, Sam — gli gridò Orcutt e mentre quello si sedeva, si accese la pipa soffiando poi sul fiammifero. — Sono del parere che i vostri quesiti siano ineccepibili, Howard. Come al solito, avete apportato a una discussione che rischiava di essere troppo teorica e trascinata dall’entusiasmo, alcune idee di indole pratica.
“Il guaio è che, dal momento che non avete approvato il progetto sin dall’inizio, non avete poi partecipato alle discussioni informative. Pertanto desidero aggiornarvi e questo sarà utile anche a voi, Devan.
“Venerdì scorso vennero da me Sam Otto e il dottor Costigan e in grosso modo mi misero al corrente della scoperta, insistendo perché io vedessi lo strumento in questione. Diversamente, l’avrebbero passato o alla “Westinghouse” o alla “General Electric” o a un’altra grossa compagnia del genere. So per esperienza che queste cose non vanno trascurate “a priori”, avendo visto grosse organizzazioni andate in malora proprio per aver permesso che i loro concorrenti venissero in possesso di progetti che si rivelarono in seguito fonti di guadagno e di successo strepitosi.
“Voi. Devan, non c’eravate e così Glenn, Jimmy, Howard e io, sebbene si avessero altre cose da fare, volemmo renderci conto, di persona, della faccenda: tutti ne fummo impressionati, tranne Howard. Di comune accordo decidemmo di radunare il Comitato esecutivo il lunedì mattina, ciò che facemmo, fissando poi una riunione del Consiglio, al completo, per oggi pomeriggio.
“Nel frattempo, Glenn, Jimmy e io abbiamo avuto occasione di avere degli scambi di idee informative con Sam e Costigan. Se la macchina verrà perfezionata per uso medico e per tutte le altre applicazioni che venissero via via suggerite dagli esperimenti, il dottor Costigan avrà il quindici per cento dei profitti netti, Sam Otto il dieci per cento e il rimanente sarà per la ‘Inland’.
“Se vuole, Costigan può rivelare il segreto del suo strumento, ma ci ha chiesto di esserne l’esclusivo proprietario. Noi abbiamo accettato concordemente. Una copia sigillata del progetto dettagliato sarà custodita dalla ‘Inland’, in modo che, nel caso lui dovesse mancare, la ‘Inland’, potrà continuare gli esperimenti, nonostante il malaugurato evento. Costigan si impegna, secondo il contratto che verrà firmato oggi pomeriggio, a non diffondere il suo strumento per scopi industriali, per un periodo di almeno venticinque anni. Vi ritenete soddisfatto, ora, Howard?”.
— Sì — e il fatto di dover pronunciare questa parola, lo mise di pessimo umore. — È vero che io non sapevo tutto ciò, ma voterò ugualmente contro.
Gli occhi di Tooksberry guardavano tutti con aria di sfida. — Insisto nel dire che non è giusto che il dottor Costigan conduca gli esperimenti come pare a lui. Abbiamo tanti ingegneri, qui, che lo potrebbero assistere con profitto. E poi, non mi piace il modo col quale si svolge tutta questa faccenda.
Lo squillo del telefono li interruppe. Glenn Basher spuntò altri due nomi.
— Non ho intenzione di entrare in particolari personali, dottore — disse Devan — ma c’è qualcosa che vorrei chiedervi.
— Che cosa?
— Come siete arrivato a inventare questo tubo? Avete una laurea in fisica?
— Volete dire che non conoscete il dottore? — chiese stupitissimo Sam. — Il dottor Costigan è molto noto…
— Lasciate parlare il dottore, Sam.
Costigan, sorrise. — Sam è l’uomo più leale che io abbia mai conosciuto, signor Traylor, ma qualche volta si scalda troppo. Senza offesa per Sam. Per quanto riguarda il tubo, al momento opportuno ve ne racconterò la storia; sarà certamente interessante. Circa la mia laurea in fisica, la ottenni al Politecnico di Claybourne nel 1922. Insegnai a Dewhurst sino a due anni fa, cioè sino a quando i miei figli, ormai cresciuti, si furono sposati. Dopo non mi parve più necessario continuare a insegnare, così mia moglie e io partimmo da Dewhurst e ci trasferimmo qui a Chicago, dove risiedeva una sorella paralitica di mia moglie e ci sistemammo da lei. Da poco ho acquistato una casa più confortevole nel North Side, e mi è rimasto un piccolissimo reddito. D’altra parte era mia intenzione continuare le ricerche su questo strumento. Non mi restava altro che chiedere un’assistenza finanziaria. A questo punto entrò in scena Sam.
Sam annuì. — C’è qualche altra cosa che non sapete, Devan. Ho buttato tutto ciò che avevo in questa faccenda. Ho affittato lo stabile per un anno, ho costruito l’ufficio al secondo piano, comprato la cassaforte e assunto il vecchio Casey.
Il telefono cominciò a suonare e prima che avesse emesso uno squillo completo, Basher aveva già sollevato, rimettendo giù subito.
— Tutti in sala di riunione — disse.
— Le due meno un quarto — soggiunse Orcutt, guardando l’orologio. — Ci scommetto che tra mezz’ora sarà tutto fatto. — Guardò Tooksberry: — A meno che qualcuno non metta i bastoni fra le ruote.
— Non cambierò il mio voto — rispose Tooksberry. — La faccenda continua a non piacermi ma, se è questo che vi turba, state tutti tranquilli: non svelerò i vostri preziosi segreti.
Edmund Orcutt aveva avuto torto. Anziché in mezz’ora, la richiesta di fondi per il progetto del dottor Costigan fu approvata dal Consiglio direttivo della “Inland Electronic” in ventotto minuti, e molto del successo fu dovuto alla sua presentazione. Spiegò che il denaro doveva servire per ricerche nel campo fisico, si accalorò nell’enumerare le possibilità, per ora ipotetiche, del progetto, pur sottolineando a ciascun membro l’importanza che queste possibilità avrebbero avuto.
Il Consiglio si era lasciato suggestionare così facilmente che Devan comprese ora come un gruppetto di uomini potesse a volte rovinare una grossa organizzazione. Eppure i membri del Consiglio avevano tutte le ragioni di aver fiducia nel Comitato esecutivo, il quale non era mai venuto meno alle loro aspettative. Proprio per questa stessa ragione, ogni anno gli azionisti eleggevano le stesse persone, per questo e per i grossi assegni di dividendo. Ma Devan si chiedeva che cosa avrebbe fatto il Consiglio se avesse cercato di spiegare “esattamente” a che cosa serviva il denaro. Certo non si può andare a spiegare a persone sensate che si vuole infilare un uomo in un tubo che vale un milione di dollari e pretendere di essere capiti.
Nell’ufficio di Orcutt c’era da bere per tutti i componenti del Comitato esecutivo. Persino Tooksberry, sempre imbronciato, prese un bicchiere e si rilassò un momento. Devan si eclissò dopo aver bevuto due bicchieri e il dottor Costigan, che era già al quarto, gli strinse la mano con calore, mentre Sam Otto, al quale Devan riuscì a sfuggire, stava parlando a vanvera.
Nel suo ufficio, Devan disse a Beatrice Treat di andare a casa a preparare le valigie per il suo viaggio in astronave. Poi tirò fuori una bottiglia di gin e si preparò un drink che centellinò soddisfatto in completa solitudine.
Poteva tornare in Florida, si disse, con Beverly e i piccoli; sapeva di doverci tornare, ma l’idea del tubo e di ciò che sarebbe accaduto lo affascinava molto di più. Era preso dal brivido del “nuovo” e dall’idea che zone sconosciute alla mente umana stessero per essere scoperte da un fisico relativamente poco noto, un certo dottor Winfield Costigan.
Prese il ricevitore e chiese un’interurbana. In pochi minuti parlò con sua moglie.
— Che cosa succede, Dev? — gli chiese lei. — È qualcosa di veramente grave, come ha detto la Treat? Non ho fatto che aspettare, facendo mille ipotesi.
— La crisi è scongiurata — ripose Dev — tutto è a posto, sistemato.
— Allora torni?
Devan tossì. — Be’, non subito. Io…
— Allora “non” è tutto a posto!
— Ascolta, Beverly, c’è un nuovo progetto in aria. Una cosa grandiosa, assolutamente fuori del comune. Voglio aspettare un po’ per vedere come si mette la faccenda. Penso che sarà questione di pochi giorni, di una settimana. Poi piglierò l’aereo.
— Oh, Dev! — La voce si spezzò un momento. — Sono così sola da quando sei partito. Non conosco nessuno qui. Non so nulla senza di te!
Devan immaginava i suoi occhi azzurri pieni di lacrime, e ciò lo commuoveva.
— Ma i bambini! — obiettò debolmente.
— Anche loro sentono moltissimo la tua mancanza.
— E io la loro — disse in fretta — ma non starò via tutto l’inverno. C’è bisogno di me, qui. per un po’.
— E credi che non ce ne sia altrettanto bisogno qui, Dev?
— Vorresti ritornare con i bambini? — e il tono della sua voce era aspro.
— Sai benissimo che non sarebbe un bene far loro interrompere la scuola.
— No certo, Beverly, sarà questione di pochi giorni e poi verrò.
La sentiva piangere e mentre da un lato ciò lo inteneriva e lo faceva sentire colpevole per il suo mancato ritorno, dall’altro non poteva fare a meno di irritarsi per quelle lacrime che volevano essere un’arma di costrizione nei suoi riguardi.
— Beverly… sei sempre lì?
— Sì — essa singhiozzò — e tu sei sempre lì?
— Smettila di fare la bambina e ascoltami — gridò. — Mi fermerò qui il meno possibile e poi prenderò un aereo. Tra una settimana al massimo. Mi senti?
— Va bene. Ma presto, per favore.
Devan si fermò davanti allo stabile della “Rasmussen Stove Company” e notò che c’erano ancora molti lavori da fare, per almeno due mesi buoni.
A chi l’avesse osservato superficialmente, lo stabile poteva apparire tale e quale era stato negli ultimi vent’anni. Ma Devan sapeva che a un attento osservatore non sarebbero sfuggiti certi cambiamenti. Intanto i vecchi vetri erano stati tutti sostituiti con vetri smerigliati, e poi c’erano state altre modifiche.
Immaginava però che i vicini avessero assistito con molta curiosità a tali cambiamenti, tanto più che essi erano stati tutti apportati in sei giorni. I lavori dovevano essere stati febbrili, con carriole piene di calce che si alternavano all’ingresso secondario a intervalli regolari e gli operai avanti e indietro tre volte al giorno, mentre il fumo usciva ininterrottamente dal fumaiolo.
Per i lavoratori del Loop e gli abitanti del rione, lo stabile era ovviamente occupato di nuovo. E chi avrebbe potuto immaginare l’esistenza di un’altra costruzione in quella già esistente? E anche se lo avessero potuto immaginare, avrebbero forse potuto indovinare la ragione?
All’interno infatti era sorta una nuova costruzione, completamente rinforzata. Di questo era sicuro. I vecchi muri di mattoni all’esterno non erano che il guscio, la mimetizzazione dello stabile interno che era più piccolo di venti metri per ogni lato. Ma i vecchi piani che stavano tra la vecchia costruzione e i muri esterni erano stati conservati, altrimenti il guscio non avrebbe resistito: i piani formavano quindi un corridoio intorno al perimetro della casa.
Ci dovevano essere ancora un sacco di cose da finire, ma non aveva avuto modo di sapere come i lavori procedessero. Le lettere di Orcutt erano state troppo generali e le sue spiegazioni al telefono troppo controllate per essere chiare. Aveva desiderato ardentemente di tornare, per poter rendersi meglio conto.
Si calcò bene il cappello contro il vento insistente di marzo, attraversò la strada ed entrò nel palazzo.
— Signor Traylor! — Allo sportello delle informazioni c’era una ragazza di cui non ricordava bene il nome, che si alzò e gli sorrise. Osservò che il muro interno era disseminato di pannelli e che l’area esistente fra questo e la facciata dello stabile era occupata da diversi tavoli messi un po’ a caso.
— Siete il signor Traylor, vero?
— Già. — Le ricambiò il sorriso e oltrepassò il cancelletto divisorio. — Come va?
— Tutto bene — ma appariva un po’ a disagio. — Scusatemi ma debbo accertare la vostra identità.
— Naturalmente — disse Devan e tolse dal portafogli la patente. — Non mi ricordo come vi chiamate.
— Sono Dorothy Janssen — rispose la ragazza, prendendo la licenza di Devan con mani tremanti.
— Stavate nella parte est dell’impianto, no?
— Sì — essa rispose e apparve più sollevata dopo avergli reso il documento con un magnifico sorriso.
— Grazie, signor Traylor.
— E mi raccomando, continuate ad accertarvi dell’identità di quelli che entrano.
Indisturbato, oltrepassò poi la porta che conduceva a un corridoio della lunghezza dello stabile. A destra c’era il muro della vecchia costruzione, a sinistra la parete di cemento della costruzione interna.
Sul dietro c’erano le stesse scale che aveva salito con Orcutt per arrivare alla baracca di legno del secondo piano, baracca che ora non c’era più, sostituita da una stanza molto più grande.
Devan girò a sinistra e, attraversando il vecchio pavimento di legno, si diresse a una porta praticata sul muro interno. Lì vicino ci doveva essere un’entrata molto grande per il passaggio di mezzi di qualsiasi dimensione.
Premette un bottone rosso nel muro. La porta si aprì quasi subito e si trovò in un piccolo locale dalla luce bassa, mentre alle sue spalle la porta si richiuse con uno scatto metallico.
Fu interpellato da un apposito addetto che si affacciò al banco, dicendosi già informato del suo arrivo dalla signorina Janssen; gli consegnò un contrassegno da sistemare dietro il risvolto della giacca. Devan stupito riconobbe una sua vecchia foto e si chiese dove diavolo l’avessero pescata. Firmò poi il registro nella colonna che gli venne indicata e notò che, vicino a quella, ce n’era un’altra nella quale si doveva riportare l’ora di uscita dallo stabile interno.
L’agente addetto premette un altro bottone e così poté passare nell’enorme locale adibito a laboratorio. Notò come i lavori fossero stati condotti con grande alacrità e precisione. Molti strumenti erano in funzione e i loro rumori si fondevano in un assordante concerto di martelli, trapani e cento altre voci che non riusciva a distinguere. Nel centro della stanza troneggiava una impalcatura quasi completa, sulla quale venivano già montati i primi pezzi del gigantesco tubo di Costigan.
Alcuni operai stavano disponendo lungo i muri alla sua destra i pannelli di controllo, mentre a sinistra si staccavano dalla parete i box di cemento che costituivano gli uffici di ricerca. Su tutto dominava il vasto progetto che non rivelava, all’aspetto, la sua vera natura.
Si diresse verso gli uffici a sinistra dove, in fondo, ci doveva essere l’ufficio di Costigan. Vide facce nuove, in giro. A tratti qualcuno riconoscendolo lo salutava con la mano.
Entrato nell’ufficio di Costigan, completamente isolato dai rumori dell’esterno, notò con stupore che il dottore era assente.
— Il dottor Costigan non c’è. — Chi aveva parlato era una ragazza che sino a quel momento era stata china sul tavolo da disegno, manovrando un tiralinee in su e in giù. Con un gesto tipicamente femminile spostò una ciocca di capelli da un occhio. — Posso fare qualcosa per voi? — Era la prima volta che la vedeva e Devan si sorprese a fissare con vivo interesse i suoi occhi azzurri che lo osservavano, affascinato dal gesto pieno di grazia col quale si era ricacciata indietro i capelli ribelli. Poteva avere venticinque anni. La piccola testa aveva capelli neri lunghi sino alle spalle: sopra il vestito portava un camiciotto da pittore.
— È via da molto? — chiese Devan.
— Non tanto. Desiderate aspettarlo? — Lo esaminò con curiosità.
— Sentite — disse Devan — mi chiamo Devan Traylor. Arrivo in questo momento dalla Florida per vedere a che punto è il progetto. Credevo di trovare il dottor Costigan nel suo ufficio. Dove può essere?
— Ma… — Evidentemente non voleva parlare. — Non è lontano di qui. Lo posso rintracciare se si tratta di una cosa importante. Vi chiamate Traylor, vero?
— Sì. Ma prima di uscire, vi spiacerebbe dirmi dove si trova?
— Mi spiace, ma non posso.
Non insistette e ne osservò intanto i preparativi rapidi per uscire dall’ufficio, che consistettero nel togliersi il camiciotto e infilare un “cardigan”. Veramente attraente con quel golfino. “Chi può essere?” si chiese di nuovo.
La ragazza uscì, sorridendogli e assicurandogli che sarebbe tornata subito.
Devan fu tentato di seguirne i movimenti, ma si trattenne. Sperava solo vivamente che non fosse andata a. telefonare in qualche altro ufficio per scovare il dottore, magari, in una taverna. Rientrò dopo pochi istanti.
— Viene subito — disse. — Sarà questione di qualche minuto.
— Viene da lontano? — chiese Devan.
— Non proprio.
— Non parlate molto, direi.
— Dipende.
— Ottima cosa.
— Che cosa?
— Parlare solo all’occorrenza e non fuori luogo. Come vi chiamate?
— Betty Peredge.
— A quanto pare lavorate per il dottor Costigan.
— Infatti. Sono qui da un mese.
— Mai lavorato per la “Inland”, prima?
— No, sono venuta al posto della signora Tudor che lavorava per il dottor Costigan prima di me, ora è ammalata. Fu proprio per coincidenza che sia capitato a me di avere questo posto.
Devan aveva intanto notato due piante sulla finestra. Una aveva lunghe foglie strette orlate di giallo e l’altra era una pianta di violette, dalle foglie insolitamente carnose e dai fiori veramente stupendi.
— Sono vostre quelle piante o della signora Tudor? Immagino che non siano del dottor Costigan.
— Sono mie, infatti. Mi piacciono e il dottor Costigan mi ha permesso di tenerle qui. Quella fiorita è una qualità di violetta africana, l’altra ha strani nomi come “pianta del serpente” e “lingua della suocera”, oltre naturalmente quello botanico.
— Che cosa pensate del progetto, signorina Peredge?
Chiuse con il tappo la bottiglietta dell’inchiostro e si volse divertita verso di lui. — Sono piuttosto attaccata all’“Ago di Costigan”.
— L’Ago di Costigan?
— Be’ — rispose la ragazza — dovete ammettere che assomiglia stranamente a un ago con la cruna in fondo.
Infatti, a pensarci bene, ammise Devan, nonostante le enormi proporzioni, assomigliava veramente a un ago dalla cruna individuabile nella grossa cavità praticata alla base.
— E chi gli ha dato questo nome?
— Non lo so, ma non l’ho sentito chiamare con nessun altro nome. Anche il dottor Costigan lo chiama così, adesso.
— Siete la sua segretaria o qualcosa del genere?
— In un certo senso sì. Il mio lavoro consiste nel ricavare dai suoi schizzi disegni schematici che servono agli elettricisti per seguire il loro lavoro.
Mentre la ragazza si rimetteva al lavoro, Devan si avvicinò al tavolo di Costigan e ne esaminò con curiosità le carte. In cima c’erano diversi disegni di circuiti che lui stesso aveva senz’altro tracciato. Ne prese tre e li esaminò uno alla volta.
Si trattava di tre differenti sistemazioni di un circuito, importanti molto probabilmente tutte e tre, formati con molte parti unite insieme: lastre di solenoide, interruttori automatici, batterie, ecc.
Si sedette, concentrandosi sullo svolgimento di alcuni fili nel disegno in alto, fili che proseguivano sino al termine della pagina dove erano segnate le parole “alla cassetta N. 6”.
Invano cercò un diagramma con questo nome o qualunque altro disegno che vi facesse riferimento.
— Sentite, signorina Peredge — disse, indicando il disegno in alto. — Tutti questi fili vanno a una “cassetta N. 6”, ma non ne trovo il disegno. O forse è quello che state facendo?
La donna scosse il capo. — No, non lo sto facendo. Ma in quasi tutti i disegni i fili vanno a una cassetta — e lo mostrò sugli altri disegni. — Da quando sono qui non ho mai fatto disegni di “cassette”. — Si interruppe un momento: — Un’altra cosa — disse. — Sono la signora Peredge.
— Mi spiace.
Lei lo guardò seccata e Devan lasciò che attribuisse alle sue parole il significato che preferiva.
— Sapete a che cosa serve l’Ago?
— Gesù, no! Ma ho sentito che la gente ne parlava. Chi dice che si tratta di un proiettile radiocomandato e chi è in dubbio. Voi lo sapete?
— Non mi sembra che potrebbe essere un proiettile radiocomandato. Sarebbe sproporzionato dare tanta importanza e fare tanti preparativi per uno solo di questi proiettili. Io penso che abbia qualcosa a che fare con le ricerche atomiche, considerando tutto il segreto in cui si svolgono i lavori e le precauzioni prese per la sorveglianza dello stabile. Forse è un ciclotrone verticale. Di solito i ciclotroni sono rotondi e piatti, no? Ma forse vi sto divertendo con le mie ipotesi. Mi sono almeno avvicinato?
Improvvisamente si aprì la porta e un’ondata di suoni penetrò dall’esterno.
— Signor Traylor! — Il dottor Costigan gli strinse con effusione la mano. — Quando siete tornato?
— Proprio oggi.
— Che bella sorpresa. Mi era sembrato di sentire la signora Peredge annunciare che eravate qui, ma non ne ero ben sicuro. Non è possibile capire bene attraverso quella porta così spessa. Come vanno le cose in Florida? — Sistemò due sedie pieghevoli e continuò: — Sedetevi.
— Tutto bene, dottore. E qui come va?
— Come vedete, andiamo benissimo, siamo anzi in anticipo sul previsto. Un paio di settimane e tutto sarà a posto.
— Ne sono lieto.
— Mi chiedevo quando sareste tornato. Non volevate perdere il collaudo, vero? E starete qui per un po’?
— Credo che non me ne potranno staccare. Non ho fatto che pensarci in Florida.
— È il pensiero dominante di noi tutti.
— Ma dov’è Sam?
— Gli abbiamo affidato l’incarico degli acquisti, è molto in gamba. Riesce, non si sa come, a procurarsi materiale notoriamente introvabile. Adesso è fuori per questo.
— E Orcutt?
— Sempre in giro. Con Basher, Holcombe, Tooksberry, e…
— Tooksberry? Viene qui a curiosare?
— Pur non apprezzando ciò che stiamo facendo, viene anche lui ogni tanto. Non andiamo molto d’accordo lui e io!
— Neanch’io — aggiunse Devan e poi espresse al dottore la sua curiosità sulla porta che aveva nominata poco prima. — È la porta del mio laboratorio personale — rispose il dottore. — È in fondo al lato degli uffici, che sono stati costruiti tutti un po’ più stretti per far spazio a questa mia stanza.
— Non capisco, dottore: personale, avete detto? Ma non vi basta l’intero stabile per le vostre ricerche?
Il dottore apparve leggermente imbarazzato: — Vedete, ci sono diverse cassettine da costruire per l’Ago. Ne sono parti vitali e per me è estremamente importante che la loro costruzione rimanga segreta. Per questo le sto costruendo io stesso.
— Così la cassetta N. 6 è una di quelle alle quali state lavorando?
— Già, ce ne saranno dieci.
— Ma tutte le parti che avete indicato nel progetto, servono veramente per il funzionamento dell’Ago?
Il dottore sorrise: — Alcune sì e alcune no. Solo quelle che servono sono collegate al meccanismo funzionante. Le altre costituiscono una precauzione in più.
— Divertente, davvero; e così in due settimane sarà tutto pronto?
Costigan guardò Betty Peredge che comprese al volo il suo significato.
— So quando non sono desiderata — disse sorridendo, preparandosi rapidamente per uscire.
“Veramente attraente” pensò Devan “non una bellezza perfetta, ma così piena di vita, così incantevole, nel sorriso…” Si ricordò dopo tutto di essere sposato e cercò quindi di distogliere il suo pensiero dal golfino azzurro.
— Dicevo delle due settimane — riprese Devan, volgendosi al dottore.
— Già, ma c’è un problema — il dottore gli rispose, facendoglisi più appresso.
— Che problema?
— Evidentemente nessuno ha pensato a chi entrerà nell’Occhio dell’Ago. Ci avete riflettuto?
I sei uomini erano raggruppati nei pressi della grossa cavità, che Costigan chiamava Occhio dell’Ago. Erano vicini l’uno all’altro, in atteggiamenti che sembravano dettati da un bisogno di sentirsi reciprocamente protetti e sicuri. Il motivo vero era che solo così potevano comunicare tra loro velocemente, con brevi frasi e a voce bassa.
La notte del collaudo.
Il dottor Costigan stava sistemando alcuni fili sul fianco dell’Occhio, osservato con grande attenzione da Orcutt, seduto di sotto a gambe incrociate e con la pipa in bocca.
Gli altri, Sam Otto, Glenn Basher e Howard Tooksberry, parlavano con animazione di svariati argomenti, che affrontavano uno dietro l’altro, preoccupati solo di mantenere una conversazione disinvolta. James Holcombe parlava poco. Devan pensò che era ben strano parlare di calcio in aprile, quando si arrivò a questo argomento, dopo aver parlato del tempo, della Borsa e della situazione internazionale.
Il lavoro era stato completato a metà aprile, dopo di che Costigan s’era impegnato presso il Comitato esecutivo a fare una prova in loro presenza. Ciò poteva avvenire solo qualche ora dopo che erano state installate le cassettine segrete.
Prima del collaudo definitivo, il dottore aveva fatto tutti i collaudi con strumenti appositi, voltametri, indicatori, videometri e altre apparecchiature che sembravano a Devan molto elementari. Stavano in piccole cassette di legno con i soliti contatori all’esterno. A una delle cassette era collegata una cuffia che Costigan aveva messo in testa, registrando e apportando modifiche. L’apparecchio aveva la struttura di un contatore Geiger, ma non lo era.
Comunque, per esserne sicuro, Devan se ne fece prestare uno dal magazzino della “Inland” e lo usò per le sue indagini intorno all’Ago, ma non ne ricevette alcun indizio particolare: nel tubo non risultò la presenza di raggi gamma, né X, né di particelle radioattive, né di raggi cosmici. Per cui Devan non poté stabilire quale fosse il vero scopo delle prove di Costigan.
Ora, alle sette di sera, quelli del Comitato esecutivo erano tutti lì ad assistere ai preparativi di Costigan.
Anzitutto, il dottore aveva sistemato un grosso pannello di controllo di fianco all’Occhio dell’Ago. Questo era collegato ad altri pannelli di controllo lungo il muro, per mezzo di un grosso cavo di gomma.
Nessuno dei presenti osava chiedere al dottore se volesse essere aiutato e Costigan premendo bottoni e muovendo leve, iniziò le prime operazioni di messa in marcia della macchina.
Sulle porte intorno alla stanza i bottoni rossi indicavano che nessuno poteva né entrare, né uscire.
Finalmente il dottore indicò che tutto era pronto e, come era stato precedentemente deciso, tutti presero i posti loro assegnati. Sam Otto si fece vicino a una cassettina, Orcutt si sistemò accanto a una fessura in legno a forma di U dal lato della cruna dell’Ago. Dalla cassettina Sam tolse un grosso coniglio bianco e lo depose nel piccolo spazio davanti alla cruna. Il coniglio era, per il momento, al centro dell’attenzione generale. Sulle prime non si mosse di molto e, comunque, non si avvicinò all’apertura del tubo. Devan suggerì una carota che lo invogliasse a spostarsi, e Sam si ricordò di averla portata con sé proprio per quella ragione. Appena la carota fu sistemata a pezzettini nella cavità, il coniglio cominciò a dare segni di agitazione e annusando l’aria intorno a s,é entrò nella zona della cruna, scomparendo rapidamente nella cavità.
Passò qualche minuto e il coniglio non si fece vedere per niente. L’attesa si protrasse e cominciarono le congetture. — Forse non riesce più a trovare la strada per tornar fuori — disse Tooksberry — il povero coniglio deve essere confuso come lo siamo noi.
L’ipotesi di Costigan fu che il coniglio, non vedendo le carote, si fosse spinto fino all’altra estremità, ma che avrebbe finito comunque per tornare fuori. Decisero di provare con l’altro coniglio che avevano portato, il quale fece la medesima fine del primo.
— Sentite — disse a questo punto Orcutt — quello che dobbiamo fare è di entrare noi stessi, qualcuno di noi, a vedere e riferire ciò che un povero coniglio non può fare certamente.
— Ma è rischioso — protestò Costigan — potremmo non uscirne neanche noi.
— Ma noi abbiamo un cervello e potremo renderci conto di quello che succede lì dentro — insisté Orcutt.
— Ricordate — intervenne Costigan — cosa dissi dei miei esperimenti? Trovai acqua nel tubo. E se capitasse così anche questa volta?
Ma Orcutt era assolutamente deciso a far valere il suo punto di vista. Si avvicinò all’Occhio.
— Cosa fate, Ed? — intervenne Devan.
— Voglio solo sentire se c’è dell’acqua. — Rimosse la chiusura di legno e tutti gli si fecero attorno.
Quella superficie apparentemente innocente, ma decisamente piena di incognite, comunicava a Devan la stessa sensazione che provava guardando giù da una finestra situata molto in alto: buttarvisi per provare cosa succedeva. Pensava che questa sensazione potesse essere condivisa anche dagli altri e li osservò a uno a uno per scoprirlo.
Orcutt si era avvicinato completamente, invitando scherzosamente gli altri a non spingere. Infilò una mano nella cavità e la vide sparire, ricevendo subito una sensazione di freddo e intuendo che la sua mano si stava allontanando. — È ridicolo — disse — ma debbo seguire la mia mano ed entrare nella cavità. — Fece per infilarvisi, ma Costigan glielo impedì.
— L’invenzione è mia — disse — penso che dovrei avere l’onore di provarla per primo.
Devan, Basher e gli altri si opposero a questa sua proposta e ognuno di loro cercava di enumerare le ragioni per cui l’inaugurazione della macchina avrebbe dovuto essere propria.
— E sta bene — dise Orcutt — avete inventato la macchina, ma chi ha disposto le cose in modo che ne fosse possibile la costruzione?
Sam sorridendo angelicamente chiese d’altra parte agli astanti se si rendessero conto che era stato proprio lui a proporre loro l’idea di Costigan e che quindi il privilegio toccava a lui. Si avvicinò alla macchina, facendosi largo tra gli altri: — Mi sento come Colombo — disse, ma una semplice opposizione da parte del dottore, gli fece subito cambiare idea.
Era impossibile entrarci tutti, e d’altra parte il tempo trascorreva in queste discussioni, così si finì col decidere di tirare le buschette.
Tooksberry si incaricò di trovarle e infatti poco dopo ritornò con le pagliuzze prelevate da una scopa. Solo la sorte avrebbe deciso, in modo che qualcuno potesse entrare nel tubo, a contatto con quella piccola area misteriosa che poteva ben presentare, come aveva detto Sam, incognite tali da paragonarle al viaggio di Colombo.
La scelta fu fatta rapidamente: Glenn Basher era il predestinato. Appariva un po’ nervoso e si accese una sigaretta: — Prima di entrare — disse — vorrei fare alcune prove alle quali ho pensato.
Vista la sua sia pure impercettibile esitazione, Orcutt si offrì subito di sostituirlo, ma Basher rifiutò e aspirata con forza una boccata dalla sigaretta, la gettò per terra schiacciandola col piede. Pochi centimetri lo separavano dall’apertura del tubo. Si avvicinò e rapidamente infilò la testa, che sparì. Diversi pezzetti di metallo caddero tintinnando nell’interno della cruna.
Dopo pochi istanti, Basher uscì: — Fa freddo là dentro — sentenziò — c’era un’arietta pungente, ma non ho visto assolutamente nulla. Bisogna proprio che ci entri per capirne qualcosa.
All’improvviso smise di parlare e impallidì, muovendo al tempo stesso la bocca e passandosi la lingua intorno ai denti.
— Accidenti — urlò — mi si sono staccate tutte le capsule.
— Gli oggetti inanimati non possono passare nella mia macchina — spiegò Costigan, mentre gli altri si avvicinavano all’apertura dove giacevano i pezzettini metallici caduti dai denti di Basher.
Basher allungò la mano per raccoglierli e questa sparì. Improvvisamente sentì che gli mancava l’equilibrio e che stava cadendo in avanti. Lanciò un grido. Una dozzina di mani lo afferrarono per trattenerlo e ne ritrassero solo i suoi abiti. Vuoti.
Basher era scomparso nella cruna. Del tutto.
Attesero per un po’ che tutto si svolgesse come previsto nella cavità, e che Basher tornasse fuori. Niente.
L’attesa fu vana. L’unica cosa viva rimasta loro dell’amico scomparso in quel buio misterioso era l’eco dell’urlo lanciato da Basher.
Il primo a muoversi fu Sam che, con il volto contratto dall’orrore, e come se stesse scorgendo delle forme mostruose, guardò nella cavità.
— Non perdiamo la testa — intervenne Costigan, tirando Sam per un braccio. — Esaminiamo bene la situazione.
— Abbiamo i suoi abiti — continuò — e non potrà star là dentro molto a lungo, nudo com’è ora. Non c’è che da stare tranquilli ad aspettare.
L’attesa fu lunga e silenziosa. Orcutt accese la pipa. Holcombe e Devan una sigaretta. Sam Otto riprese il sigaro che gli era caduto nel parapiglia successo alla scomparsa di Basher.
Solo Costigan rimase in piedi a esaminare le indicazioni dei pannelli di controllo.
Devan si sentiva, a mano a mano che il tempo passava, sempre più a disagio. Si era parlato del freddo del tubo e pensava alla orribile condizione nella quale si doveva trovare Basher. Non avrebbe resistito, si disse. Ma dove era andato? Dove?
Riandò agli esperimenti precedenti che Costigan aveva effettuato e pensò che l’acqua trovata le prime volte e poi l’aria, sin da allora avvertita, indicavano la relazione esistente tra quella cavità e un mondo al di fuori di essa, simile al nostro, in quanto dotato degli stessi elementi naturali. Acqua e aria. Pensava, pensava e le idee gli si confondevano sempre più.
— Basher è morto. — Il silenzio fu rotto da queste crude parole pronunciate da Tooksberry e provocò le proteste unanimi.
— E perché non torna fuori, allora — insisté trionfante Tooksberry.
— Qualcuno deve entrare a vedere cosa è successo — disse Orcutt. — Da parte mia mi posso benissimo proporre per questo incarico.
— No, Ed — Devan lo pregò — nessuno lo deve seguire. Potremmo fare la stessa fine e scomparire misteriosamente uno dopo l’altro.
Il solito Tooksberry sottolineò che a lui ciò non sarebbe potuto succedere per il semplice fatto che non ci sarebbe entrato per niente.
— Qualcuno vi ci potrebbe ficcare — grugnì Sam.
Orcutt si lasciò infine convincere da Devan a non entrare nel tubo completamente, ma a metterci solo la testa come aveva fatto Basher in un primo tempo.
— E le capsule che avete in bocca?
— Basher è ben più importante — asserì Orcutt disponendosi quindi alla prova. Si stese anzitutto a terra e gli altri lo sollevarono lentamente, tenendolo in quella posizione fino alla cavità. Quando fu davanti a essa vi introdusse le dita, che scomparirono. Poi avvicinò la testa allo spazio vuoto e questa scomparve. Si udì il tintinnio delie capsule che aveva in bocca che cadevano, e dopo parecchio tempo uscì finalmente la sua testa. I suoi occhi esprimevano disperazione. — Non c’è segno alcuno di Basher là dentro — disse — solo molto freddo e umido. — I suoi capelli erano in disordine, cosa che aumentava il suo disperato atteggiamento. — Non ho visto niente, né sentito niente. Ho chiamato Basher, ma non ho avuto risposta alcuna. Neanche un’eco.
Quattro ore dopo sei uomini disperati mandarono a cercare la signora Basher. Quando lei arrivò in tassì, la nebbiolina del primo mattino di un aprile inoltrato si stava diradando a poco a poco, restituendo a Chicago i contorni netti dei suoi palazzi contro il cielo.
Devan se la ricordava una timida donnina, ma l’aveva vista solo di sfuggita come del resto i suoi colleghi: i Basher stavano evidentemente meglio soli.
Così aveva dimenticato i suoi capelli rossi che risaltavano ora sul suo viso pallido. La donna non credeva a quanto cercavano di spiegarle. I suoi occhi interrogavano ansiosi, ma si rifiutò recisamente di prestar fede al racconto di come Basher avesse scelto la pagliuzza e fosse entrato nel tubo. Orcutt peggiorò ulteriormente la situazione parlandole della sparizione della sua mano nella cavità.
La signora Basher, via via che le spiegazioni di ognuno cercavano di convincerla della verità, diveniva invece più sospettosa e alla fine urlò che le aprissero la porta.
— Ma perché? Non ci credete?
— No… È successo qualcosa a Glenn e voi cercate di… di… aprite, vi dico!
— Ma che cosa volete fare?
— Chiamare la polizia e sapere la verità.
Devan cercò di dissuaderla. La afferrò e la scosse ed essa urlò, offesa, di non toccarla.
— Ma non potete chiamare la polizia.
— Come, non posso?
— Rovineremo tutto!
— E allora ditemi la verità su mio marito. Che ne è di lui?
— Vi abbiano già detto la verità.
— Aprite — urlò lei di nuovo.
— Uscite pure — le disse Devan.
— Non ne ricaverete nulla — aggiunse Orcutt.
La porta si richiuse.
I sei uomini rimasero lì, scossi e sovrastati da quell’atmosfera e Devan li vide così, tornando dopo aver accompagnato la signora Basher. Non poté fare a meno di ridere.
Quella risata interruppe per un momento il lavorio mentale degli altri che si stavano facendo esami di coscienza per stabilire le proprie responsabilità nel fatto, anche se poi risultavano inesistenti.
— E che c’è da ridere? — sbottò Sam. — Ci ha guastato tutto il progetto.
— Non credo — rispose Devan — non c’è da preoccuparsi. Cosa può provare contro di noi?
— Svelerà alla polizia la natura dell’Ago — dichiarò Costigan — e il segreto cesserà immediatamente.
— Questa pubblicità fatta prematuramente ci rovinerà — aggiunse Sam.
Ma Devan si mostrò sicuro del contrario, in quanto la polizia avrebbe certamente avuto, di fronte al racconto della signora Basher, le stesse reazioni di incredulità che ciascuno di loro aveva avuto all’inizio. — Penseranno che è pazza — assicurò — e se insisterà, verranno qui a vedere di cosa si tratta veramente.
— Ma non vogliamo avere qui della gente a curiosare intorno alla nostra macchina — protestò Orcutt.
— Ma in fondo nessuno di noi ha visto Basher sparire nell’Ago — continuò Devan. — Basher si allontanò semplicemente e nessuno di noi lo vide più. Del resto il suo corpo è scomparso e mancano quindi le prove tangibili del fatto e poi ora che l’Ago non funziona, non si potranno rendere conto dei suoi effetti: vedrete che non staranno molto qui e finiranno per lasciarci in pace.
Comunque fu deciso di far sparire i vestiti di Glenn Basher mettendoli nel laboratorio segreto di Costigan e quindi di limitarsi ad affermare ciò che del resto era la verità. Basher era scomparso.
Tooksberry, a questo punto, scosse la testa dicendo: — Con tutta la nostra logica, non riusciremo a riavere Glenn Basher però…
— Sapete — intervenne Costigan — è meglio che faccia funzionare l’Ago ancora un po’. Basher potrebbe essere sulla via del ritorno proprio in questo momento.
Neanche un’ora dopo arrivarono il sergente Walter Peavine e l’agente. Timothy Griffin.
Il primo, massiccio e con occhi sporgenti, fece il punto della situazione e sembrò irritato che nessuno volesse ammettere che la scomparsa di Basher fosse da attribuirsi all’Ago di Costigan. L’agente Griffin, invece, si preoccupò di fare un giro perlustrativo in tutto lo stabile.
L’interrogatorio ebbe un esito veramente scoraggiante, in quanto con nessun metodo il sergente riuscì a convincere la reticenza degli interrogati.
— Lasciate che vi faccia io una domanda ora — intervenne Orcutt, squadrando il poliziotto con aria che appariva offesa. — Ebbene, ditemi francamente, voi lo credereste che Glenn Basher sia entrato in quella cavità e sia poi scomparso?
Il sergente Peavine osservò con occhio rispettoso l’Ago e quindi rispose: — No di certo. Mi credete pazzo?
— È allora perché volete che noi ve lo diciamo?
Il sergente sembrava affascinato sia dalla bellezza sia dalla linea e dalla simmetria dell’Ago e non riusciva quasi a staccarne gli occhi.
— Benissimo — disse. — Ammetto che è da pazzi pensarlo, ma io devo seguire la traccia indicatami dalla signora Basher.
— A proposito — chiese Devan — come sta? Si è calmata? Era molto agitata quando venne qui.
— Stava benissimo quando noi l’abbiamo lasciata, anche se al primo momento ci è sembrata pazza da legare. Non ho mai visto una donna tanto addolorata. — Tossì. — Ma, tornando alla questione di suo marito… Dunque, qualcuno di voi la chiamò e le disse di venire qui, no?
— Esatto, sergente — intervenne Holcombe. — Glenn Basher ci piantò in asso a metà di un esperimento e… — sorrise imbarazzato — pensammo che fosse tornato a casa.
— Era qui un minuto prima — spiegò Sam schioccando le dita — e dopo un minuto non c’era più. Pensavamo che la moglie ci potesse spiegare questa scomparsa, scomparsa, convenitene, molto misteriosa.
— Un rebus bell’e buono — commentò asciutto il sergente — porte e finestre chiuse, ventilatori fermi, ecc. Eppure, qualcuno scompare.
— Esatto, ispettore — disse Tooksberry.
— Sergente — rettificò Peavine.
— Già, scusatemi.
Tornò l’altro poliziotto spiegando che tutto era normale, tranne qualche porta chiusa.
— Andremo a verificare, Tim. — Il sergente prese una sedia e ci si mise a cavalcioni volgendosi verso i sei uomini. — Ma che diavolo facevate qui a quest’ora del mattino?
— Ve l’ho detto, sergente — spiegò Orcutt, accarezzandosi il mento. — Esperimenti spaziali, ma questa non è un’astronave.
— No? Ma lo sembra veramente. E che cos’è allora?
— Be’, tutto quello che vi posso dire è che è un problema.
— Non è una buona spiegazione.
— Intendo dire che questa macchina ci ha posto il problema dell’iperspazio e la sua correlazione con lo spazio intorno a noi.
— In questo momento — intervenne Devan — ci stavamo occupando della trasferibilità delle strutture di cellule viventi da qui e là e quindi di nuovo qui. Soprattutto del ritorno.
— Proprio così — disse Sam Otto.
— Già, già — mugolò il sergente — e chi è il vecchio là, intorno ai fili?
— È il dottor Winfield Costigan — spiegò Devan — inventore dell’Ago.
— Comunque — commentò il sergente — non riesco a vederci chiaro. Voi inventate una cosa e non sapete nemmeno a cosa serve.
— Volete conoscere il dottore? — gli chiese Devan.
Il sergente fu presentato a Costigan, intento a osservare alcuni cavi e un diagramma.
— Funziona?
— Non ora.
— E cosa succede quando va?
— Non l’ho ancora deciso del tutto. Vi spiacerebbe darmi quella carta? — e indicò il diagramma.
Il sergente lo raccolse e glielo porse. — E come si fa a sapere quando va, allora?
— Eccoci! — esclamò il dottore, lasciando cadere il foglio a terra. — Tenete — e mise in mano al sergente una pila che il sergente impugnò alzandosi sulla punta dei piedi per vedere meglio quello che succedeva. — Ah! — disse Costigan. — È una questione di regolarità di circuito. Pochi ohms in più o in meno possono rovinare il circuito. Ora la corrente è a posto. — Si staccò dal sergente, togliendogli la pila, che poi spense e rimise a posto. Quindi si fece indietro sforzandosi, quasi disperatamente, di vedere la parte superiore dell’Ago allungando il collo.
Intanto Devan, guardandosi intorno, notò che l’agente Griffin si stava dirigendo verso di loro, girando intorno all’Ago.
— Certo che è una cosa enorme — disse il sergente — proprio come nei libri di Randolph.
— Ascolta qui — disse Griffin, battendo con le nocche sul fianco della macchina. Ne uscì un suono sordo. Griffin si avvicinò, sempre tamburellando sul corpo metallico. Guardò infine nella cavità. — E questo che cos’è?
Si fermò a esaminare le capsule un po’ più da vicino.
Nello stesso momento Costigan urlò: — Ehi!
Tutti si volsero verso di lui e, notando l’orrore sul suo volto, cercarono l’oggetto di tale sgomento. Griffin spaventato dal tono del dottore e dalla sua espressione, aveva fatto un passo all’indietro non incontrando resistenza alcuna, dato che quello spostamento lo fece cadere proprio nella cruna dell’Ago.
Sotto lo sguardo impotente di tutti i presenti, Griffin fu visto cadere all’indietro nella galleria, lanciando un urlo di terrore.
Poi scomparve e le mani che si stesero per afferrarlo non riuscirono a raggiungerlo. Il suo abito cadde vuoto a terra. Le scarpe e le calze erano grottesche a vedersi, così vuote e affiancate.
Vi furono secondi che parvero lunghi minuti di sfibrante agonia. Si poteva avvertire l’atmosfera tesa e freneticamente ansiosa.
Il sergente Peavine si mosse verso l’Ago e Devan pensò che stesse per entrarvi anche lui, ma fortunatamente Costigan aveva interrotto il funzionamento della macchina.
Steso nella cavità stava Peavine, che afferrava i vestiti vuoti dell’amico, come a cercarvi un segno di lui, ma invano.
Il silenzio che avrebbe dovuto circondare il funzionamento della macchina di Costigan fu infranto. Primo anello della catena di congiunzione con l’opinione pubblica fu il sergente Peavine. A lui seguirono Devan, Orcutt, Sam Otto, Holcombe. Tooksberry e Costigan, che si trovarono nella necessità di rispondere a uomini in uniforme, i quali passarono poi la parola ai giornalisti.
Da questo momento, il piccolo gruppo di scienziati che aveva deciso di lavorare segretamente, vide crollare nel modo più clamoroso il proprio programma. Giornalisti, fotografi, operatori, poliziotti dappertutto. Prima in giro all’Ago e poi da loro a chiedere febbrilmente notizie sul funzionamento della macchina e sulla scomparsa delle due persone. Si doveva quindi ricominciare ogni volta daccapo a spiegare, a parlare, e i sei uomini erano stanchi, affranti, con la barba lunga. D’altra parte, era stato loro assolutamente proibito di allontanarsi dallo stabile.
Non avevano più un momento di pace, era un continuo susseguirsi di lampi al magnesio: fotografie accanto alla macchina, da soli, coi poliziotti e, sempre, con gli abiti di Griffin e Glenn Basher bene in vista.
Devan era fuori di sé e pensava che si dovevano trovare anche gli altri nella sua stessa condizione di fame, sonno e stanchezza.
— Avrete la colazione non appena terminata la prima parte dell’interrogatorio — rispose alle sue sollecitazioni il tenente Harold Johnson, compresissimo nella sua parte di poliziotto.
Fu Betty Peredge a cavarli d’impaccio. Arrivò alle nove per lavorare e riuscì a farsi strada sino a loro.
Aveva letto sui giornali ed era, naturalmente, preoccupatissima.
Dopo una discussione piuttosto accesa con Johnson, riuscì a farne capitolare la resistenza e a far portare la colazione ai sei uomini. Ne avevano un gran bisogno; si radunarono nell’ufficio di Costigan, dove poterono anche sbarbarsi col rasoio elettrico.
Le loro condizioni migliorarono subito e Costigan, esprimendo la propria momentanea soddisfazione per il piccolo benessere provato, desiderò anche di poter avere, nonostante l’ora mattutina, un buon sorso di brandy.
Betty, sopraggiunta, spiegò loro che il tenente desiderava avere una dimostrazione dell’Ago e che voleva si recassero tutti sul posto.
— Purché non ci siano altre domande! — esclamò Costigan.
— E non ditelo! — ribatté Sam Otto, con gli occhietti luccicanti e il sigaro, che Betty gli aveva procurato, penzolante dalle labbra. — Dopo tutto, è pubblicità.
— A spese di Glenn Basher e del poliziotto — ricordò Tooksberry. — Proibiranno di fare altri esperimenti dopo queste disgrazie e chiuderanno questo luogo.
— Al contrario — replicò Sam Otto. — Non sapete quale enorme richiamo costituirà per la gente questa macchina. Tutti vorranno vedere e rendersi conto. E qualcuno vorrà entrare per cercare di capire e per riportarci la giusta risposta ai nostri interrogativi. State un po’ a vedere.
— Certo, se avessi saputo che questo esperimento sarebbe costato la vita di due uomini…
— E chi dice che siano morti! — esclamò Devan. — Non potremo mai saperlo sino a che qualcuno non riuscirà a entrare e a uscire!
Quando giunsero vicino all’Ago trovarono ad attenderli poliziotti, giornalisti e fotografi. Dovettero spiegar loro che cosa esattamente era successo ai due uomini.
— Bisognerebbe che la macchina adesso funzionasse — incitò Orcutt. — Griffin e Basher potrebbero essere sulla strada del ritorno in questo momento.
— Desidero una dimostrazione — disse il luogotenente Johnson — ma non desidero che ci siano altre fatalità.
— Fatalità! — esclamò Sam Otto.
— Tutti lontani dalla macchina — ordinò Johnson — ora faremo una prova!
Non appena tutti si furono allontanati dalla macchina, Costigan eseguì tutte le varie manovre necessarie a farla funzionare. Infine si volse e annunciò che il congegno era in moto.
L’occhiata che gli lanciò il tenente Johnson era dubbiosa.
— Ma come, se ha lo stesso aspetto di prima, quando non funzionava!
— Già — replicò Costigan — ma metteteci una mano e vedrete cosa succede. Andateci piano.
Il tenente si avvicinò cautamente alla macchina, mettendo le mani proprio davanti alla cruna. Quando si fu avvicinato ancora di più, vide con enorme stupore sparire la punta delle sue dita. Si alzò un brusio dal gruppo dei presenti. Johnson ritirò velocemente le sue mani e le unì l’una all’altra, quasi per sincerarsi che fossero vive. Ripeté di nuovo l’esperimento e di nuovo, dopo aver visto sparire una parte delle sue mani, le ritrasse per vedere se erano ancora intere.
— Bene — disse — fermate la macchina, ora.
— Un momento — intervenne Devan — non potete fermare la macchina adesso. Come ha già detto Orcutt, l’agente Griffin e Glenn Basher stanno forse cercando di uscire e potranno riuscirvi solo se la macchina funziona.
— E voi pensate che siano vivi?
— Le vostre mani non sono morte, no?
— Be…
— Comunque, ci sarebbe un modo migliore e più rapido per farli uscire. Qualcuno dovrebbe entrare nell’Occhio e indicare loro la via da seguire.
— Questo no — il tenente scosse la testa in segno di diniego. — La macchina costituisce di per sé un pericolo. Qualcun altro potrebbe sparire.
— D’altra parte — intervenne Orcutt — credetemi, tenente, è l’unico sistema per riavere il vostro agente. Quindi se decidete di fermare la macchina, lo condannate per sempre.
Infine, dopo ripetute esortazioni, il tenente sottopose la proposta al capo della polizia, che la sottopose a sua volta al commissario, che la sottopose al sindaco, e finalmente fu deciso che l’Ago avrebbe funzionato. Per precauzione, tuttavia, fu eretta intorno allo strumento una palizzata di legno con un cancelletto per entrarvi e un poliziotto, che stazionava in permanenza, fu posto proprio davanti all’imboccatura della macchina. Nessuno doveva entrare; in caso di trasgressione, il poliziotto era armato.
— Non capisco perché non vi lascino entrare — stava dicendo Betty a Devan. Essi stavano seduti su di una cassa da imballaggio davanti all’ufficio di Costigan.
— Continuano a sperare che faremo saltar fuori l’agente Griffin da un momento all’altro, come un coniglio fuori da un cappello.
— Ma è possibile che Griffin possa uscire dall’Occhio?
— Certo che è possibile.
— È certo una cosa eccezionale questa macchina, ma come avete potuto, sapendone gli effetti, costruirla, per poi far sparire la gente?
— Già, quante grane di meno se non l’avessimo costruita.
— Sono tutti in subbuglio per questa invenzione e giornali e radio non parlano d’altro. Pensare che i circuiti che ho disegnato sono ora parte integrante dell’Ago! Ma infine ci deve ben essere stata qualche altra ragione valida per costruirla oltre a far sparire le cose.
— “Le cose” non spariscono, Betty. Solo la carne vivente. E non chiedetemi il perché…
— Vi siete chiesti dove questi elementi vadano a finire?
— Già — Devan asserì — ed è per questa ragione che è stato costruito questo colossale strumento. — Le spiegò quindi dei precedenti strumenti in scala minore e della possibilità da loro contemplata di usarli per diagnosi interne. D’altra parte chi avrebbe voluto usare tale apparecchio, non sapendo dove andasse a finire la parte che scompariva momentaneamente?
— Così costruimmo la macchina, grande abbastanza per poterci far entrare una persona che controllasse personalmente tutto quanto avvenisse all’interno. Abbiamo già fatto due errori e non ne vogliamo più un terzo per ora. Sarebbe stato meglio che fossi rimasto giù in Florida, anche se avrei dovuto ugualmente tornare su, ora, con questo can-can.
— Che c’è giù in Florida? — e Betty si volse con eccessiva animazione, così almeno gli sembrò.
— Un posto chiamato “Pelickan Rock”, rocca del pellicano. Lo comprai ma non ho avuto mai la possibilità di recarmici sino a quest’inverno. E una volta là, saltò fuori l’affare dell’Ago. Mia moglie e i piccoli sono ancora giù. Mai stata in Florida?
— No. Frank e io pensiamo che un giorno o l’altro ci andremo. O in Florida o in California. Non abbiamo ancora deciso.
— E state lavorando per quel giorno? Per questo avete preso questo impiego?
— No — Betty rispose. — Io ho un bambino, Jimmy, che ho seguito per sei anni. Ora è a scuola e io non ho niente da fare. Be’, non è che non troverei da fare in casa. Ci sono sempre mille cose. Ma c’è mia suocera, la madre di Frank. Abita con noi e prepara a Jimmy la colazione. Sa che a me piace lavorare e così abbiamo fatto una specie di contratto. Lei fa il lavoro di casa e io mi porto a casa un assegno lavorando fuori. E così, lavorando tutti e due, Frank e io siamo riusciti a mettere qualcosa da parte.
— So cosa significa avere una famiglia. Io ho due bambini che hanno qualche anno più del vostro Jimmy e costano un sacco di soldi.
— Avete l’aria stanca.
Improvvisamente si udirono alcune voci, assai concitate, provenire dalla parte dell’Ago.
Si trattava di tre persone, un omone, un omino e una donna, che Devan non aveva mai visto prima d’ora. Stavano là a discutere col poliziotto addetto alla sorveglianza della macchina, il quale faceva cenni in direzione dell’ufficio d’ingresso e scuoteva la testa.
— Ho visto quando entravano — Betty disse — approfittando dell’assenza momentanea dell’agente addetto all’entrata.
Devan chiese: — E dove sono tutti gli altri?
— Non vedo nessuno all’infuori di un agente. Anche i giornalisti sono scomparsi.
Lanciò un’occhiata nell’ufficio di Costigan e vide Sam Otto che guardava fuori, in direzione dei tre sconosciuti.
— Vorrei uscire un momento — disse Devan — a prendere un po’ d’aria.
Salì i gradini che conducevano alla porta dell’ufficio di Costigan. Il dottore era addormentato, con la testa fra le braccia. Orcutt si volse a lui e a Betty con occhi pieni di sonno, anche lui stava disteso in una comoda poltrona.
— Nessuno viene al tennis? — chiese Devan.
— E va’ al diavolo — Sam Otto rispose dalla finestra. — Non che io a tennis abbia mai giocato.
Orcutt si alzò e si stirò. — Bene, Dev, che cosa accadrà del progetto, ora?
— Non ci ho pensato, mi sto invece chiedendo cosa accadrà a noi.
— Tutti in prigione — intervenne Tooksberry. — Ho chiamato mia moglie che credeva ci fossi già.
— Abbiamo visite — disse Sam.
— Spero che non vengano per altre domande — ribatté Orcutt.
— C’era fuori della gente che stava discutendo col poliziotto di guardia; adesso sta venendo dalla nostra parte.
Poco dopo infatti comparvero sulla porta i tre accompagnati da un poliziotto. — Dicono che hanno un messaggio dal vostro capo — spiegò l’agente. — Li conoscete?
I tre a fianco a fianco furono oggetto di un esame. L’uomo alto aveva un’aria eccessivamente piena di sé, pensò Devan. Tutto nel suo atteggiamento confermava questa impressione; il mento volitivo e volto in alto e le labbra tra cui stava un grosso sigaro. Gli occhi erano pieni di fuoco, il suo cappotto scuro era “démodé” e il cappello frusto, ma pulito.
Al suo fianco stava una donna che aveva un naso molto sporgente, occhi rotondi e capigliatura nera che usciva disordinatamente da un vecchio cappello scuro. Teneva le labbra strette, con espressione dura.
Il terzo uomo stava completamente rigido, coi piedi che formavano una V, le spalle indietro, l’abito ben stirato, almeno da quanto Devan poteva vedere dal cappotto aperto. Il suo viso era comune, ma aveva negli occhi qualcosa di fanatico.
— Mai visti prima d’ora nel mio ufficio — disse Devan.
— Neanch’io — confermò Orcutt. E gli altri annuirono a loro volta.
— Chi è il capo, qui? — chiese l’uomo grosso con voce cavernosa.
— E che volete? — sbottò Devan, irritato dai suoi modi.
— Chi è mai questo capo? — chiese Sam Otto, incuriosito.
— Chi altri se non Dio? — spiegò l’omone. — E noi siamo i suoi figlioli. Io sono Eric Sudduth della “Missione Sudduth”, giù nella via, e questa — indicò la donna — è Sorella Abigail, Direttrice del lavoro di Assistenza e Rendenzione delle donne. Orvid Blaine, l’Eminente Fratello qui accanto, è l’Assistente Direttore del Lavoro.
Devan si presentò a sua volta. — E che volete da noi?
— Dovete fermare la macchina — Sudduth disse. — Dio ci ha fatto sapere che state interferendo con il Suo lavoro, e il Suo volere. Le due persone sacrificate sono state un Suo avvertimento. La macchina dev’essere distrutta.
— Amen — pronunciò Sorella Abigail.
— Vi conviene fare come dice lui — l’Assistente Direttore bofonchiò fra i denti. — Non vogliamo che il volere di Dio venga disprezzato in questo modo.
— Mi spiace averli fatti entrare — si scusò il poliziotto. — Quest’uomo disse…
— Fermate la macchina e ci sarà gloria per voi e gloria per me — disse Sorella Abigail, rivelando nel sorriso lunghi denti aguzzi.
Devan scrutò Orcutt e nei suoi occhi lesse il disagio. Ci fu un lungo silenzio penoso che Devan accomunò mentalmente a un altro silenzio del genere cui aveva assistito, quando a una recita di dilettanti uno degli attori aveva perso il filo del discorso, che era assolutamente indispensabile ai fini di quanto gli altri avrebbero detto, impedendo loro di superare quella sua amnesia.
— Ehi, voi tre — uscì infine il poliziotto — andate via, su.
— Un momento — intervenne Devan — sono sicuro che questi signori hanno le migliori intenzioni e sono in assoluta buona fede nell’insistere sulla loro posizione.
— È meglio che fermiate la macchina — replicò minacciosamente Blaine. — Avete udito quanto ha detto il Gran Direttore.
— Io non ho udito il volere di Dio, ma so che dobbiamo far funzionare la macchina fin che ci sia speranza di riavere quei due indietro.
— Nessuno tornerà indietro — disse Sudduth — inutile sperare di riparare all’errore compiuto.
Orcutt si ribellò con violenza a queste parole, facendo intervenire in difesa di Sudduth il Fratello Blaine.
— Sta’ calmo, Orvid! — esortò Eric Sudduth, rivolgendosi quindi a Orcutt: — È chiaro — egli disse — che non avete ricevuto dal vostro intelletto il dono di una più intima e profonda visione di questo mondo tribolato, quale ci è stata concessa. La crisi attuale in cui il mondo versa è causata da uomini come voi ed è nostro compito raddrizzarvi…
— E che c’entra con l’Ago? — sollecitò Sam Otto.
— Anzi ciò che ho detto è proprio a proposito — replicò Sudduth. — I due uomini che così sconsideratamente avete anullato con la vostra macchina, avrebbero potuto forse arrivare un giorno a vedere questa luce di cui noi predichiamo.
— Volete dire — chiese Devan — che prima o poi si sarebbero uniti alla vostra Missione?
— Noi non possiamo per forza di cose avere gli occhi sul mondo intero — spiegò Sudduth — ma cerchiamo nei nostri limiti di agire nel piccolo mondo che ci circonda. Le forze della legge e dell’ordine potrebbero anche permettervi di condurre delle persone a una cosa grave quale il loro annullamento completo, ma io, come Gran Direttore del nostro Lavoro di Salvezza degli uomini, proprio non posso permetterlo, tanto più così vicino alla mia Missione.
— Fermate la macchina nel nome del Gran Direttore — rincarò Sorella Abigail.
— Nel nome del Capo Supremo! Nel nome della Gloria!
— Basta, Sorella — disse Sudduth.
— Non possiamo fermarla — Devan insistette.
— Per di qui! — Il poliziotto si riscosse e aprì la porta.
— Il Gran Direttore ha ordinato di fermarla — continuò Blaine, con gli occhi lampeggianti e il viso sconvolto. Si incamminò dietro a Devan.
— Ehi, voi, venite qui — lo richiamò l’agente prendendolo per un braccio e sospingendolo verso la porta.
— Male ve ne incorrerà — furono le ultime parole di Sudduth.
— Non potete disobbedire al Capo! — gridò istericamente la donna.
— Amen! — urlò Blaine.
Il poliziotto li spinse fuori.
Sfortunatamente per il Dipartimento di polizia di Chicago, le ammissioni fatte circa la possibilità di riavere indietro le due persone scomparse, scaricarono sulle spalle del gruppo di ricercatori tutta la responsabilità derivante da questa situazione.
Ma che cosa si può fare quando un uomo scompare in un colossale ordigno? Non c’erano precedenti del genere a suggerire loro il da farsi.
Comunque, per prima cosa, la polizia aveva cercato di avere tutti i ragguagli possibili sull’Ago, prendendo appunti su appunti, per cui Devan pensava che sapessero ormai tutto sullo strumento, eccettuato il segreto della sua costruzione.
Mentre la polizia indagava e il pubblico aspettava, la macchina era sempre in funzione sotto l’occhio vigile di Costigan.
Nessuno parlava della morte di Glenn Basher e dell’agente Griffin, per quanto molti ne fossero assolutamente sicuri.
L’avvenimento aveva avuto naturalmente molte ripercussioni all’esterno, e il traffico nella zona era stato deviato. Migliaia e migliaia di persone giungevano da ogni parte della città davanti allo stabile nel quale si trovava l’Ago, con la speranza di potergli dare almeno un’occhiata, ma naturalmente non tutti potevano entrare. Oltre agli addetti all’ordine, ai funzionari della “Inland”, ai giornalisti e ai cronisti della radio c’era una lunga lista di eminenti scienziati, esperti della Marina e dell’Esercito, studiosi di problemi elettronici, e grosse personalità dei più importanti centri di ricerca medica degli Stati.
Ognuno di essi volle tentare l’esperimento con l’Ago infilando la mano nella cavità e ognuno ne fu completamente sconvolto. Si intrecciarono le supposizioni più svariate e furono fatte circolare voci assurde, come quella che diceva che altri erano quasi riusciti a realizzare uno strumento simile a quello di Costigan. Il dottor Costigan era assillato da continue interviste e domande e, a un certo punto, si rifiutò di continuare, rimandando persino i suoi conterranei di Claybourne o quelli di Dewhurst, l’ultimo istituto nel quale aveva insegnato.
Gli altri finirono col seguire il suo esempio.
Tre giorni dopo Sam Otto ebbe l’idea. Fu la vista di un poliziotto in uniforme che tirava indietro dall’Ago una donna (una biologa) che gli suggerì d’un tratto un espediente veramente sensazionale.
Corse difilato ad annunciare la sua scoperta a Devan e agli altri, radunati nell’ufficio di Costigan, e le sue parole furono sulle prime così confuse, che nessuno riusciva a vederci chiaro.
— Ma che dite? — gli chiese Devan. — Cosa state cercando di spiegare?
— La guardia che trascinava via la donna — insistette — ma, ditemi un po’, cos’è che noi desideriamo maggiormente?
— Riavere Basher e Griffin — rispose Devan per tutti.
— Infatti, ma non sappiamo ancora come — e li guardò sorridendo e lasciandoli in sospeso per un po’. — Di sicuro non possiamo fare entrare un individuo legato a una corda per poterlo tenere collegato, dal momento che gli oggetti inanimati come una corda non possono passare là dentro.
— Ma sì, in nome del cielo…
— E facciamo allora una corda di esseri umani — Sam aggiunse trionfalmente — possiamo prenderci per mano, il primo dà la mano al secondo e il secondo al terzo e così via fino a raggiungere un numero di persone che riteniamo opportuno.
— Ma è formidabile — commentò Betty.
— È davvero sorprendente; nessuno ci aveva ancora pensato.
Questa, che fu chiamata l’“Operazione Otto” sembrò avere sulle prime tutte le premesse per una facile realizzazione. Da una parte della catena umana ci sarebbero stati Costigan, Sam Otto, James Holcombe, Devan Traylor, Edmund Orcutt e Howard Tooksberry e dall’altra i volontari che si fossero offerti di ricondurre indietro Glenn Basher e l’agente.
Ma la polizia, venuta a conoscenza del progetto, mise condizioni ben precise, per cui non sarebbe stato assolutamente permesso ai funzionari della “Inland” di entrare nello strumento, ma avrebbero dovuto essere scelti tra i volontari del corpo di polizia coloro che, dopo un rigoroso esame medico, fossero risultati assolutamente sani, senza capsule in bocca e denti riparati (eccezion fatta per piccolissime riparazioni da risistemare dopo l’uscita dall’Ago). Inoltre, dovevano essere sotto i trent’anni e privi di impegni familiari. Venne disposto che l’“Operazione” si sarebbe svolta tra tre giorni, alle otto di sera.
Non appena la notizia trapelò negli ambienti giornalistici e della radio, il rumore che ne derivò fu enorme. Maree di gente si riversarono in continuazione nei pressi della costruzione, e le automobili vi stazionavano in permanenza.
All’interno i giornalisti e i cronisti radiofonici assediavano Costigan e gli altri con continue domande, mettendoli tutti nella condizione di dichiarare che ormai la gente sapeva tutto della faccenda, e che non c’era più niente da svelare.
Nell’imminenza dell’avvenimento fu tolta la palizzata intorno allo strumento e furono disposte pedane per il pubblico e una tribuna per le autorità.
Si sarebbe detto che si stava allestendo uno spettacolo colossale e l’atmosfera che regnava nell’ambiente aveva tutte le caratteristiche proprie di una “prima” di Hollywood. All’ingresso furono messi in vendita i biglietti con l’avvertimento che le porte si sarebbero chiuse alle otto meno un quarto. Naturalmente, questa ultima parte del programma fissata dalle autorità, divertì molto Orcutt e i suoi collaboratori.
Quelli della polizia, il cui ingresso avvenne alle otto meno un quarto, ebbero, considerando la parte che essi avevano ormai assunto nello svolgimento degli avvenimenti, i posti d’onore, accanto ai pezzi grossi della politica e della scienza.
Devan e i suoi amici, nonché i membri del Consiglio di amministrazione, sedevano in una piccola sezione, alla destra dei poliziotti volontari. Mentre Orcutt e gli altri avevano ormai assunto una certa indifferenza nei riguardi dello strumento, e si limitavano a osservare ciò che la città aveva fatto di questa invenzione che doveva rimanere segreta, i membri del Consiglio erano tutti molto eccitati e non certo insensibili a questa particolare atmosfera da circo. Persino la signora Petrie aveva abbandonato, per l’occasione, il suo abituale lavoro a maglia, per starsene tutta intenta a osservare; mentre gli altri apparivano tutti chiaramente divisi tra la curiosità, l’agitazione e un po’ di timore per ciò che sarebbe successo.
Alle otto in punto, il sindaco salì sulla piccola piattaforma a destra della cavità della macchina e rivolse un sentito discorso ai dodici volontari, esaltando il loro coraggio e la loro generosità, doti che dimostravano offrendosi di aiutare i due scomparsi. Terminato il discorso si inchinò agli applausi e si rivolse quindi verso le camere della televisione.
Prima di ritirarsi dalla pedana, il sindaco presentò il tenente Johnson, che a sua volta presentò un sergente, a nome Spencer, il quale impartì istruzioni ai dodici volontari.
Essi si spogliarono, eccezion fatta per un paio di pantaloncini corti e scarpe da tennis e calzini. Quando furono pronti si misero in fila e, agli ordini del sergente, mossero verso l’apertura dell’Ago. Dopo essersi presi per mano. Fu un momento di grande tensione quello che segnò l’entrata del primo uomo nella macchina, a mento alto e petto in fuori.
Immediatamente il secondo uomo lanciò un grido e si piegò sulle ginocchia, facendo un enorme sforzo per non entrare subito nell’Ago. Gli altri lo trattenevano consci del suo malessere, ma lui fece intendere che sarebbe entrato.
— Lo tengo ancora — disse riferendosi al compagno al quale era unito — ma lo sento abbassarsi.
Quindi entrò.
Avanzò poi il terzo poliziotto, drammaticamente teso in ogni suo muscolo, col corpo coperto di sudore. Senza una parola, procedette lentamente a piccoli passi finché la misteriosa cavità lo inghiottì.
Fino a quel momento la catena era stata mantenuta, ma dopo l’entrata del terzo poliziotto accadde un fatto molto drammatico.
Il quarto uomo si arrestò prima di entrare, sbigottito e tremante, cadde a terra al livello dell’apertura con gli occhi fuori dell’orbita, la bocca spalancata e un colorito che da rosso si fece via via sempre più scuro, fino a diventare violaceo.
Quando i suoi compagni tentarono di allontanarlo dall’apertura, tutti videro, con orrore, che la sua mano destra era vuota: non era unito a nessuno davanti a sé. Si alzò un mormorio di sgomento al quale seguì un silenzio vasto e tragico.
— È stato orribile — disse la signorina Treat. — Ho visto tutto alla televisione.
— Voi e un altro milione di persone — rispose Devan appendendo il suo cappotto in ufficio. In cuor suo non desiderava altro che di rimanere solo in quel momento. Si lasciò cadere nella sedia davanti alla scrivania, e il suo viso allucinato non lasciò dubbi a Beatrice. — State male — gli disse.
— Sì e no — rispose Devan. — Ho bevuto.
— Capisco — disse la donna. — Posso farvi portare un po’ di caffè?
— Ottima idea. — Parve apprezzare moltissimo l’offerta, ma in realtà più che di caffè aveva bisogno di star solo e così le disse di andar pure, ma che facesse le cose con calma.
Mille pensieri confusi si agitavano nella testa che gli doleva: tre uomini erano entrati nell’Ago e non ne erano più usciti, come gli altri. Era tremendo pensare che dopo quei clamorosi preparativi, quello fosse stato il triste bilancio dell’esperimento. Ecco, dopo tutti quei suoni, le fanfare e le voci eccitate, quel terribile silenzio.
Rimase a lungo così e. quel giorno, fu uno degli ultimi a uscire.
Sapeva che non avrebbe potuto né mangiare né dormire quella sera e così decise di ficcarsi in una taverna e cercare di dimenticare in altro modo.
Si recò al Loop più tardi e anche là le prime parole che sentì al bar riguardavano l’Ago, e le parole erano, come c’era da aspettarsi, di scetticismo e sfiducia nei riguardi di una macchina tanto mostruosamente congegnata.
Devan decise così di comprarsi una bottiglia e di andarsela a scolare nella sua stanza. Più tardi riuscì anche a chiamare sua moglie urlando come un ossesso per tutto il tempo della conversazione.
Incubi lo perseguitavano: cinque ragazzi entrano in un grosso “Ago”. Con un grosso “Occhio”. Gli ultimi tre cercano di riprendere gli altri due. E ora sono là tutti e cinque.
Bisognava che quei cinque ragazzi tornassero, ma come, come?
Lo scosse il suono del telefono.
Orcutt era preoccupatissimo, non avendolo trovato da nessuna parte. Lo rassicurò dicendogli che nessuno di loro era stato accusato di qualche colpa. La città voleva solo che facessero tornare i cinque scomparsi.
— Sui giornali ce l’hanno più con la polizia che con noi — disse. — Dicono pure che l’Ago è una curiosità puramente scientifica e che la polizia non ha niente a che fare con questo genere di cose.
— E la relazione pubblica? — si preoccupò Devan.
— Migliaia di telefonate stamattina. La metà per dirci di distruggere la macchina e tutti i suoi progetti. L’altra metà per incoraggiarci a trovare una soluzione per riavere gli uomini entrati nell’Ago.
Quando Orcutt ebbe riattaccato, Devan si consolò un poco al pensiero che la città non ce l’avesse con loro. Erano gentili a far questo, si disse. Fu interrotto nel suo fantasticare questa volta da Beatrice Treat, che entrò sorridendo con una tazza di caffè fumante e profumato, che depose sulla scrivania.
— Mezzo cucchiaino di zucchero e un po’ di crema.
— Benissimo, grazie.
— Me ne ricordavo…
La osservò, pensando con un po’ di rimpianto alla felicità che avrebbe potuto avere da lei e… La donna stava anche lei pensando a qualcosa.
— Avete detto poco fa che non volevate che vi si parlasse della scorsa notte — lei disse.
— Infatti — Devan confermò. — Avete qualcosa da dirmi?
— Già — lei arrossì leggermente. — Volete che gli uomini tornino fuori, vero?
— Naturale.
— Sentite, vi sembrerà sciocco, ma mi è venuta una strana idea.
Devan era talmente disperato che si dichiarò pronto ad ascoltarla e magari a sperarvi.
— Conoscete, signor Traylor, il gioco delle “Venti Domande”?
— Certo, ma dove volete arrivare?
— Si dividono in tre classi, no? Animali, vegetali e minerali. Capite quello che voglio dire? — continuò animatamente. — In realtà le classi potrebbero essere due; esseri animati e inanimati, ma nel gioco delle “Venti Domande”, voi dovete specificare bene la classe, suddividendo quella degli esseri animati.
Un’idea luminosa passò nella mente di Devan, un’idea che lo riscaldò tutto, per un momento, e gli distese i nervi.
— Tanto gli animali “che” i vegetali sono viventi — proclamò Beatrice trionfalmente.
Devan prese il telefono, formò un numero e, mentre aspettava che gli si rispondesse dall’altra parte, ringraziò la donna dell’idea, sperando che si sarebbe potuto arrivare a una soluzione. Poi: — Siete voi, Betty? Avete ancora le piante sulla finestra? Bene, sentite, prendete la sempreviva, mettetela su una lunga asse e introducetela nell’Ago. Poi tiratela fuori e ditemi che cosa succede. Richiamatemi subito. Se la faccenda funziona, dovremo ringraziare Beatrice Treat, la mia segretaria, che è qui al mio fianco. Bene, aspetto una vostra chiamata.
Pochi minuti dopo il telefono squillò.
— Devan?
— Sì.
— Betty.
— Sì, ho capito, che c’è?
— Il vaso di fiori esce intatto, ma i fiori rimangono dentro.
Alla prova fornita da Betty Peredge che non solo gli esseri umani potevano entrare nell’Ago, Devan non esultò pensando alla nuova possibilità di risolvere il problema, essendo già rimasto scottato dall’esperimento, apparentemente destinato al successo, di Sam Otto.
Si limitò a chiedere a Betty se nessuno avesse osservato le sue manovre con i fiori. Il poliziotto, gli rispose, l’aveva osservata da vicino, ma era sicurissima che non aveva capito bene cosa stesse facendo.
Si precipitò poi con la signorina Treat nell’ufficio di Orcutt. Questi si entusiasmò alla nuova idea, ma Devan provvide a frenarlo per non commettere un altro errore, come nella prima prova.
A metà del pomeriggio una dozzina di operai, ai quali era stata fissata una ricompensa molto alta, sradicò un enorme pioppo di Lombardia dal terreno di un tale che non seppe rifiutare, davanti all’offerta altissima fattagli.
Caricato su un grosso rimorchio, l’albero venne trasportato attraverso la città fino allo stabile del laboratorio, dove fu introdotto dalla porta secondaria.
Non passò molto che la notizia della introduzione di questo nuovo elemento divenne di dominio dei giornalisti che se ne stavano sempre in agguato. Le interviste si orientarono quindi in tal senso e le risposte precise fornite loro sull’argomento acuirono l’aspettativa per quanto sarebbe avvenuto nel momento in cui la pianta sarebbe stata introdotta nella macchina.
Anzitutto Orcutt decise di provare se l’albero passasse dall’apertura e, insieme agli altri, sollevò il pioppo che venne fatto entrare nella cavità. Betty assisteva all’operazione, segnalando a quale punto fosse il grosso tronco. Finalmente entrò tutto e gli uomini ripresero fiato per un momento.
— Chi si offre di entrare, questa volta? — chiese Tooksberry.
— Vi offrite voi? — gli chiesero.
— No, certo — rispose lui.
In quel momento, Betty si avvicinò a Devan e gli chiese sottovoce: — Quanti giornalisti avete detto che c’erano prima? Dodici, no?
— Infatti — confermò Devan.
— Ne manca uno, ora.
Venne espresso il dubbio che il dodicesimo giornalista avesse voluto entrare nell’Ago, per quanto, date le palesi e scarse probabilità di uscirne, questa ipotesi non sembrasse del tutto attendibile.
Comunque, quando si trattò di entrare, saltò fuori un giovanotto che era stato in disparte fino a un momento prima, offrendosi di fare lui la prova: — Sono Jed Houston del “Sun-Times” — si presentò.
Tooksberry gli fece notare il pericolo di questa impresa, ma Jed si dichiarò convinto che tutto sarebbe andato bene, dal momento che si trattava di frapporre tra sé e la superficie dell’Ago una pianta.
— E poi se riesco — disse con un lampo di malìzia Jed — ricaverò dalla faccenda un servizio sensazionale.
All’unanimità fu deciso che Jed sarebbe entrato nella cavità arrampicandosi sulla pianta.
Jed Houston cominciò a spogliarsi e, sebbene sapesse che avrebbe perso tutti gli indumenti nell’Ago, pure, per rispetto alle due donne presenti, si tenne indosso la camicia e un paio di pantaloncini corti.
Dopo aver sorriso a tutti con aria estremamente sicura di sé, Jed si aggrappò ai rami e si inoltrò lungo la pianta nel tratto che lo separava dall’apertura.
Stava per entrarci, quando un grido si alzò proveniente da un luogo imprecisato della stanza.
— Fermo! Non entrare!
Tutti gli occhi si volsero in quella direzione dove, issato in cima a un alto pannello di controllo, stava Orvid Blaine.
— Il Gran Direttore della Missione ordina che nessuno entri in quella macchina — disse. — Ora sta in preghiera con Sorella Abigail e venti uomini, implorando pietà per voi che avete violato il volere di Dio e avete provocato la morte di cinque uomini!
Jed Houston che si era fermato un momento per osservarlo, si volse nuovamente verso la macchina.
— Fermatevi — urlò Blaine brandendo un lungo tubo di ferro — o getterò giù questo tubo in mezzo a tutti quei fili. Così la finirete.
— Capisco — disse Betty — perché c’erano dodici giornalisti — e indicò l’uomo là in cima.
— Avrei dovuto riconoscerlo — disse Devan.
Orcutt si rivolse a Blaine con tutta la sua autorità.
— Sentite, Blaine, noi crediamo che voi agiate in buona fede e, in questo caso, non diremo niente se scenderete e ve ne andrete tranquillamente per i fatti vostri.
— Blaine — soggiunse Devan — se lasciate cadere quel tubo, sarete la causa della morte di cinque uomini distruggendo ogni loro possibilità di ritornare.
— Dite allora a quell’uomo di non entrare — insistette Blaine.
— E smettetela — urlò Johnson. — Venite giù e vi faremo accompagnare alla porta. State interrompendo un importante esperimento. O venite giù, o verrò su io.
— Voi non verrete per niente — urlò Blaine e come vide che Johnson stava disponendosi a salire, lanciò un urlo stridulo. — Vi avevo avvisati — e scaraventò con forza il tubo.
L’Ago ebbe una scossa spaventosa. Circoli colorati, che da rosso scuro si facevano via via di un rosso acceso e quindi arancio, si levarono intorno alla macchina. Si udiva lo sfrigolio del metallo che si fondeva e si contraeva.
La stanza era piena di fumo. Non si sentiva alcun suono.
Tutti gli esseri viventi, compresi nel raggio di due isolati intorno all’Ago di Costigan erano spariti. Entrati nell’Occhio, un “Occhio” diventato incredibilmente grande, dopo che una carica di elettricità ad alto voltaggio, provocata da cause accidentali, era passata attraverso alcuni dei suoi solenoidi.
Delle persone scomparse, erano rimasti solo i piccoli mucchi di capsule dei denti, dentiere, occhiali, e tanti altri accessori artificiali, alcuni dei quali ovvi, altri che erano sempre stati accuratamente nascosti.
E non solo di esseri umani, ma c’erano tracce manifeste anche di animali. Vicino agli abiti di coloro che erano stati in preghiera nella Missione di Sudduth, si vedevano distintamente le impronte di tre cani che erano stati sorpresi dal cataclisma mentre stavano baruffando a un isolato di distanza dall’Ago.
Intorno allo stabile, le macchine rimaste improvvisamente senza guida sbandavano e si scontravano, mentre all’interno stavano ammucchiati in ordine sparso gli abiti dei loro proprietari e degli altri passeggeri.
Complessivamente trecentonovantacinque persone avevano passato la barriera dell’Ago.