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PARTE SECONDAIl Passaggio

10

Le luci si spensero e la sedia su cui stava seduto fu spinta via. Devan trattenne il fiato e questo gli fu utile quando, respirando, si trovò completamente sommerso dall’acqua. La sensazione che ne ebbe fu di terrore. Come in un incubo si sentiva mancare e non riusciva a venire a galla. Alla fine la ragione gli suggerì di stare calmo e di non dibattersi freneticamente. A poco a poco riuscì a venire a galla e a respirare aria fresca.

Quando si fu un po’ riavuto, si rese conto di quanto stava succedendo intorno a lui, sentendo urli di uomini e donne e i cupi singulti di coloro che andavano sotto. Sforzandosi di rimanere quanto più possibile sollevato dall’acqua, gli parve di scorgere lontano un lembo di terra.

In quel momento si sentì afferrare alla spalla da una mano, mentre un braccio gli stringeva spasmodicamente il collo e un respiro roco si faceva sempre più vicino al suo orecchio. Cercò di calmare l’essere accanto a sé, sentendosi tirare sotto e, quando i suoi occhi si furono un po’ abituati al buio che lo circondava, vide che la persona che gli si avvinghiava era Betty Peredge. Sentendo che lo stringeva convulsamente, la schiaffeggiò. Infine riuscì a calmarla, incitandola a rilassarsi.

Ogni tanto Betty si irrigidiva istintivamente e lo afferrava, poi, ricordandosi degli schiaffi, mollava la presa, abbandonandosi il più possibile.

Era terribile. Nuotavano verso una direzione imprecisata e Devan non poteva nemmeno rendersi conto di dove stessero andando, non potendosi sollevare a causa del peso di Betty.

Gli parve si sentire il rumore di onde che si frangevano contro una riva e intravide un cane che si dirigeva verso quella direzione.

Cercava di mettere in pratica il più scientificamente possibile tutti i movimenti del nuoto, affinché le sue forze durassero più a lungo. “Braccio, inspira, gambe, espira. L’altro braccio, espira. Dio, non abbandonarmi”.

Quanti secoli passarono prima che sentisse sotto i suoi piedi morbida e benedetta sabbia? Non lo sapeva. Spinse Betty da un lato e si abbandonò sfinito a stomaco in giù, le mani affondate nella rena, spossato, incapace di fare qualsiasi movimento per rialzarsi. Poi Betty si sentì male.

Devan era troppo debole per poterla aiutare. Lentamente si sentiva invadere da un senso di torpore, quasi di benessere. Dormire, ecco, desiderava dormire. Ma riuscì a imporsi di non farlo. Sarebbe stato fatale.

Così riuscì ad alzarsi un poco, spingendo Betty per un breve tratto.

Di colpo si rese conto che la donna era nuda. Poi vide che anche lui lo era. Seduti sulla spiaggia essi stavano immobili e ancora non avevano forza per parlare. Non si sentiva nessun altro suono, oltre lo sciabordare delle onde contro la riva.

Poi Betty sussurrò: — Che cosa è accaduto?

Devan mugulò: — Vorrei saperlo.

Si rialzarono, deboli e malsicuri. Betty lo circondò con un braccio per sostenersi, e Devan le cinse la vita.

Così uniti, si incamminarono lentamente lungo la spiaggia e giunsero in vista degli altri.

Alcuni si trovavano già sulla spiaggia, altri venivano sbattuti dalle onde sulla riva.

Proseguirono attraverso la spiaggia che si trasformò presto in una distesa di erba grassa. Vi si addentrarono con fatica, data l’altezza dell’erba, e si trovarono, poco dopo, in un piccolo bosco. Qui si fermarono. L’unico suono era quello del vento tra le foglie.

Betty rabbrividì.

— Freddo?

La ragazza annuì.

— Mettetevi giù.

Lo guardò preoccupata per un momento.

— Vi coprirò di erba sino a che sarete ben riparata.

— E voi?

— Mi arrangerò.

Betty gli si avvicinò con gli occhi spaventati e i capelli sciolti sulle spalle e sul seno, e prendendolo per un braccio: — Non lasciatemi sola — disse.

— Starò qui vicino.

— Ma io desidero che stiate accanto a me; morirò di paura se non potrò toccarvi per sentirmi sicura.

Così si stesero vicini, scaldandosi sotto uno spesso strato di erba grassa. Devan invidiò il sonno di Betty, per quanto gli facesse piacere sentire che lei aveva fiducia in lui.

Devan non riuscì a prendere sonno. Pensava che gli uomini lasciati, prima o poi li avrebbero trovati e allora…

Per tenersi sveglio, si costrinse a pensare. Dove si trovavano? E se tutta la gente passata attraverso l’Ago si trovava lì, ci dovevano essere anche Basher e i quattro poliziotti. Ma dov’erano? E l’Ago era una macchina che portava nel tempo? In quello passato o in quello futuro? E se era una macchina del tempo, che periodo del tempo era questo? Migliaia di domande gli si affacciavano alla mente, mentre stava disteso accanto a Betty, ma a nessuna riusciva a dare una risposta. Forse, si disse, si era a migliaia di anni prima di Chicago e dell’Uomo Bianco, ma che dire dell’Età Glaciale? I laghi erano formati dai ghiacciai. Non poteva essere questo il Lago Michigan in tutta la sua primitiva enormità, ridottosi poi, col passare degli anni, alle dimensioni che aveva nell’età da cui veniva?

A poco a poco questi pensieri gli conciliarono il sonno, mentre il giorno avanzava e il sole si rifletteva nelle onde che maestosamente si infrangevano a riva.

11

Si svegliarono che il sole era già alto, riacquistando, con una sensazione dolorosa alle ossa, l’intera coscienza della realtà da affrontare. Si destarono vicini e si guardarono a lungo con gli occhi spalancati, mentre la luce filtrava negli strati d’erba. Non si stava male.

Devan fu colpito dall’azzurro così profondo degli occhi di Betty, molto più intenso di quelli di Beverly. Inoltre negli occhi di Betty c’era sempre come una scintilla di segreta ironia. Mai aveva visto il suo volto così da vicino e rimase colpito dalla sua pelle liscia e dalle sue labbra così morbide anche al solo vederle. Mentre la guardava, Betty gli sorrise.

— Siete reale, non è vero? — lei gli sussurrò.

— Lo spero. Anche voi avete creduto a un sogno?

Betty annuì. — Avete cercato di muovervi?

— Sì, ma non ci sono riuscito, non sento le estremità.

— Forse staremmo più al sicuro standocene qui. — Socchiuse gli occhi che brillarono.

Era tiepida e lo guardava attentamente. Gli si avvicinò e lo baciò dolcemente sulla bocca. Poi si mise a sedere.

Lui la guardò rimanendo disteso, con una sensazione di calore sulle labbra.

— Come si sta? — chiese.

— Non è certo una giornata estiva — rispose, rabbrividendo al freddo del mattino. — Non vedo nessuno — aggiunse — non che ne provi desiderio.

Pure l’uomo si alzò a sedere.

Il cielo era azzurro e il sole più caldo di quanto pensasse. Poteva vedere il lago e il dolce pendio di una collina erbosa.

— Dove sono andati tutti? — chiese Devan.

— Forse sono tornati dall’altra parte dell’Ago.

Devan si sentiva intirizzito e non poté fare a meno di battere i denti, mentre osservava che le donne hanno uno strato supplementare di grasso che le ripara. Pensò che doveva essere proprio così.

— Cosa non darei per una buona tazza di caffè — disse lei.

— Io vorrei uova al prosciutto e pane tostato…

— Vi prego, Dev. Piuttosto, se dobbiamo muoverci, io penso che be’… potremmo incontrare qualcuno e…

Devan divise il suo imbarazzo per la totale mancanza dei vestiti. Durò pochi secondi. — Ho tutto alla lavanderia — disse — ma vedrò di fare qualcosa. — Raccolse delle foglie e quando tornò, Betty si stava intrecciando una gonnellina di erbe che fissò con un ramo attorno alla sua vita, chiudendone i lati con dei fili ben tirati.

Anche Devan si preparò una specie di gonna che lei approvò: — L’ultimo grido della moda maschile — disse allegramente.

Quando raggiunsero la china che scendeva alla spiaggia, si fermarono a osservare. C’erano diversi corpi abbandonati e privi di vita. La spiaggia era coperta di impronte di piedi, ma non c’era alcun segno di persone viventi.

Scesero alla spiaggia e Devan indicò il corpo di un uomo che stava abbandonato nell’acqua. — Spencer Grady, un membro del Consiglio. Troppo vecchio per farcela.

— Chissà se il dottor Costigan e gli altri ce l’hanno fatta?

Scorsero, nello stesso istante, del fumo che si alzava al di là di una collina. — Ci dev’essere qualche boy-scout — disse Betty. — Forse stanno preparando la colazione e noi arriviamo proprio in tempo.

Si incamminarono in quella direzione. Giunti in cima alla collina, se ne trovarono di fronte un’altra simile, ma non c’era alcun segno di esseri umani.

Improvvisamente, Betty gli strinse un braccio, indicando un punto sull’erba. Devan guardò in giù credendo di vedere un serpente o qualcosa del genere. Ma Betty si era già chinata al suolo, il volto vicino a un fiore. — Ma è fantastico — essa esclamò — una “claytonia virginica” con sei petali, mentre questi fiori ne hanno sempre cinque.

Devan non fu particolarmente colpito, sostenendo che c’erano ben trifogli a quattro petali, ma lei fu irremovibile nel dichiarare che questo fiore era veramente una cosa eccezionale. — Ciò mi dà veramente la sensazione di un luogo “estraneo” alla terra — disse.

Continuarono il cammino e a un tratto sentirono un rumore indistinto e voci. Devan si mise davanti a Betty, pronto, all’occorrenza, a difenderne la vita. Ma, giunti in cima alla collinetta, videro venire correndo verso di loro, su per il pendio, Beatrice Treat, vestita di rami e d’erba.

Sembrava un albero di Natale.

Finalmente in preda a viva emozione, riuscì a esclamare: — Signor Traylor! In nome del cielo!

Poi vide che lei guardava dietro le sue spalle e intuì che stava confrontando rapidamente il suo improvvisato abbigliamento con quello di Betty, trovando il proprio meno riuscito.

— Questa — presentò — è la signora Peredge. Beatrice Treat.

Le ragazze si scambiarono complimenti.

— La signora Peredge — spiegò lui — è, anzi era, la segretaria del signor Costigan. Da dove venite? — le chiese.

Beatrice indicò un punto sulla collina. — Siamo tutti là, o meglio, lo eravamo. Molti sono in giro a eseguire gli ordini loro affidati. Ci stiamo organizzando. Non è meraviglioso?

— Ordini?

— Sì — rispose — mi devo sbrigare. Devo andare a raccogliere bulbi. Gli indiani se ne cibavano. Lo sapevate? — Quindi corse via.

— Le cose non sono poi così brutte come sembrava. A quanto pare, c’è una specie di organizzazione.

Si incamminarono, ma prima di raggiungere la cima dell’altura, Devan si fermò e rivolgendosi a Betty: — Ancora una cosa — disse.

— Sì?

— Non so cosa succederà, ma qualunque cosa accada voglio che stiamo vicini. Non so se e quando potremo tornare, ma fino a quel momento staremo uniti.

— Desideravo che tu me lo dicessi — rispose lei, e non disse nulla quando Dev le prese il volto fra le mani e la baciò.

Giunti in cima alla collina, videro giù il piccolo gruppo vicino al fuoco volgersi verso loro.

— Devan Traylor — uno degli uomini gridò, andandogli incontro.

Devan riconobbe Orcutt, privato dei suoi costosi abiti di tweed e della pipa, ma sempre imponente, anche nel succinto abbigliamento di frasche. Altri del gruppo lo seguirono.

— Dove siete stati? — chiese Orcutt, afferrandogli e stringendogli con forza la mano. — Pensavamo che non ce l’avreste fatta. — Guardò Betty Peredge. — Come state, signora Peredge? Felice di vedervi.

Betty arrossì vivamente e stava per dire qualcosa quando sopraggiunsero gli altri. — Homer Parret, Costigan, James Holcombe, Howard Tooksberry ecc. — e dovettero stringere la mano a tutti.

Devan fu colpito vedendo Basher tra loro. — Ehi, Basher, come va?

— Credevo proprio di restar solo — gli rispose — e invece eccovi qui tutti quanti. E l’agente Griffin?

— È qui in giro.

— Non perdiamo altro tempo — disse Orcutt. — Venite dobbiamo discutere sul da farsi. Innanzitutto, dalle informazioni raccolte, ci risulta che l’Ago ha agito nel raggio di due isolati. C’era gente in macchina, altri erano a letto, o nel bagno, o in preghiera, o immersi nel sonno; o si stavano facendo la barba; dalle più svariate attività a una caduta generale nel lago.

— Ditegli di Eric Sudduth — disse Basher. — Si divertirà.

Orcutt dapprima sorrise, poi si fece serio. — Non c’è molto da ridere. Quella è gente che prende le cose molto sul serio.

— È indecente, ecco cos’è. — Devan si volse per vedere da dove partisse la voce ed ebbe la grottesca visione della signora Petrie in gonnellina di frasche e piccola stola analoga, abbigliamento che riusciva solo a mettere in evidenza le parti da nascondere.

— Moriranno di freddo — lei continuò — ma come possono vivere in quel modo?

— Parla di Eric Sudduth e compagni — spiegò Tooksberry con aria disgustata.

— Quando la notte scorsa uscimmo dall’acqua e ci gettammo infine sulla spiaggia — disse Orcutt — vedemmo un fuoco in lontananza. Così ci dirigemmo tutti da quella parte.

— Tenevamo il fuoco sempre pronto da accendere — intervenne Basher — nel caso avessimo avuto l’impressione che qualcuno stesse arrivando. Così stanotte, quando ci rendemmo conto che era successo un fatto nuovo, accendemmo il nostro fuoco e attendemmo.

— Fu tremendo in principio — disse Orcutt. — Ognuno cercava di accaparrarsi i posti migliori vicino al fuoco e ci fu chi quasi vi fu spinto dentro. Poi il tenente Johnson e i quattro poliziotti presero le redini della situazione e ristabilirono l’ordine. Tutti quanti si misero a sedere, in un grande circolo, e ci fu calore per tutti.

— Dopo di ciò, c’era un altro problema da risolvere con urgenza: il mal di denti in seguito alla perdita delle capsule e delle otturazioni. Trovammo anche un dentista tra la gente, un certo dottor Van Ness. Molti lo conoscevano, a quanto sembrava. A ogni modo, lui consigliò di riempire i vuoti nei denti con dell’argilla. Così facemmo e ciò ci tolse il dolore. Ora il dottor Van Ness è in giro a cercare della cera d’api. Dice che ci darà un sollievo più prolungato. Questo per quanto riguarda i denti. Dopo di ciò, abbiamo avuto un consiglio di guerra, guerra contro eventuali elementi estranei trovati qui in giro, ma finora non ci è capitato niente di particolare. Non abbiamo trovato niente.

— Io invece ho trovato qualcosa — disse Betty a voce alta — un meraviglioso fiore a sei petali, ma forse voi non vi trovereste niente di meraviglioso.

— Volete dire che sulla terra da cui veniamo, questo tipo di fiore non ha sei petali?

— Solo cinque. E forse attorno c’è qualche altra fantastica scoperta da fare.

— Sarà ciò che vedremo — disse Orcutt — ma, ritornando all’argomento di prima, abbiamo cercato di suddividere il lavoro in gruppi. Infatti abbiamo bisogno di gente che raccolga la legna, di altri che facciano programmi per il giorno dopo, e così via.

“Avevamo già iniziato questa nostra organizzazione quando saltò fuori Eric Sudduth a recriminare contro la nostra trasgressione al ‘Volere di Dio’, che se noi non Gli avessimo disubbidito, non saremmo qui. E continuò su questo tono, proclamandosi messo di Dio e incitando i presenti a seguirlo. Rimase lì coi suoi adepti sino a sera, attorno al fuoco e quindi se ne andò trascinando con sé una trentina di persone. Credo che non ne avremo nessuna noia, almeno fino a che Eric Sudduth e i suoi accoliti non saranno affamati o vinti dal freddo. Ma sentite, Dev, non c’è nulla che possiate fare per noi? Pescare o cacciare?”.

— Ma io non ho visto alcun animale qui in giro, finora — rispose Devan. — Siete sicuri che ve ne siano?

— Sono tutti fuggiti — disse Basher — quando mi videro apparire, ma torneranno. Vi stupiranno, quando li vedrete.

— E perché?

— I conigli non sono proprio conigli. Le loro orecchie non sono così lunghe e le loro code così corte. Più simili a code di gatto.

— Ma si potranno cacciare?

— È quello che vedremo.

— Basher è vissuto cibandosi di muschio e licheni. Non è riuscito a pescare nulla. Adesso che siamo organizzati, vedrete che riusciremo a far tutto.

— Abbiamo veduto Beatrice Treat correre a cercare bulbi. Ci ha detto che gli indiani li mangiavano.

— Non lo so — rispose Orcutt. — Abbiamo qui anche due ragazzi e la sanno molto lunga sugli indiani. Ci sono pure due o tre persone della Marina e dell’Esercito e ci sono stati utilissimi per i salvataggi. Siamo organizzati, come vedete. C’è un gruppo incaricato di seppellire i morti, un altro di pescare nel lago, cercando di afferrare il pesce con le loro stesse mani, un altro gruppo incaricato di tessere reti da pesca con lunghi giunchi. Ognuno ha scelto di unirsi al gruppo verso il quale si sentiva più affine. Sono stati avvistati anche scoiattoli, a quanto dice Basher.

— Sì — confermò Basher — bianchi, e ne ho visti tre, questo nel caso che qualcuno lo voglia sapere.

— Poi — continuò Orcutt — ci sono altri in giro a cercare sassi di varia forma e misura e altri legna con cui costruire baracche. Non moriremo di noia, a quanto vedete.

— Si direbbe che abbiamo la situazione sotto controllo.

— È così, Dev. Per ora la nostra necessità più essenziale è il cibo. Appena sistemata questa questione, inizieremo la fase di progettazione e costruzione, di assistenza medica e dentistica, e così via. C’è molto lavoro. Cosa volete fare? Vorrei che rimaneste con me. Per voi avrei il lavoro più importante.

— Più importante? E cos’è?

— Siete ingegnere, no?

— Già, ma non credo che servano gli ingegneri, qui.

— Forse non ora, ma più avanti senz’altro.

— Non capisco ancora. La costruzione di rifugi rudimentali non richiederà certo l’opera di ingegneri, soprattutto elettronici, credo.

— Voi volete tornare di là, no?

— Sicuro, ma questo cosa vuol dire?

— Non possiamo tornare attraverso l’Ago che ci ha condotto qui.

— Infatti — intervenne il dottor Costigan — il tubo che Blaine scagliò giù ha rovinato tutti i circuiti.

— E allora?

— E allora, costruiremo un altro Ago, Devan — gli rispose Orcutt.

12

Il pensiero di poter costruire uno strumento come l’Ago in quella landa selvaggia, lece sorridere Devan.

— Anzitutto — chiese a Orcutt — dove pensate di procurarvi il ferro?

— Al momento, io stesso non sono in grado di rispondervi — disse Orcutt. — Tutto quello che posso dire, è che desidero tornarmene a casa, come tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di passare nell’Ago.

— Ma come pensate di fare a procurarci il ferro?

— Non siamo dei selvaggi, ne converrete, Devan. Tutto quello che ci occorre è un altoforno, ferro e fuoco, no?

Devan rise di nuovo. Poi improvvisamente il fatto stesso di ridere di questa impossibilità, lo rattristò e il suo pensiero corse a Beverly e ai bambini tanto lontani. Da molto non si sentiva così disperatamente solo. Mentre pensava con struggente nostalgia ai visi familiari, alla sua casa, alle strade della sua città e a come avrebbe travato tutto cambiato, se pure un giorno avrebbe potuto tornarvi, vide che Betty lo stava guardando con la sua stessa espressione. Almeno erano insieme e andavano d’accordo.

Questo pensiero gli diede coraggio.

Più tardi, mentre raccoglievano conchiglie che avrebbero potuto servire per la loro particolare forma, Betty disse che Orcutt aveva ragione di voler trovare il ferro. — Non tanto per tornare — disse lei — quanto per nostro uso qui.

Devan la informò dell’immenso valore del ferro in quel momento, e non solo qui a pensarci bene, ma anche a casa. Senza oro si poteva vivere, ma non senza ferro. La civiltà sarebbe crollata senza il ferro. Non più acciaio, forbici, automobili, motori, aeroplani, coltelli, fucili, case. Era una lista infinita di cose alle quali l’umanità non avrebbe potuto rinunciare. E le disse anche di come il ferro fosse meravigliosamente duttile, come lo si potesse rendere sottile e flessibile e come massiccio e indistruttibile, a seconda delle leghe e della lavorazione.

— Da come parli di queste cose si sente che sei un ingegnere — Betty concluse — e si sente che ami il tuo lavoro.

— Certo — disse lui — come tu ami i fiori, e credo che farò di tutto per poter costruire questo nuovo Ago, anche se ci vorranno anni.

D’un tratto, Betty si chinò e raccolse le spine di un pesce. Rise. — Ecco degli ottimi spilli, meglio di quelli che ho adottato nel mio nuovo vestiario ricavandoli dalle piante. Potrei fare un rapporto comparativo sulla qualità degli spilli.

— Comunque — Devan rispose — non è più necessario che qualcuno inventi le spille di sicurezza, ci hai pensato?

Poi Betty gli chiese: — Hai osservato le donne che sono arrivate sino a qui? Alcune attendono un bambino.

— Le ho notate — le rispose Devan — una in particolare. — Le fece una smorfia affettuosa. Betty era deliziosa e minuscola, ritta sulla spiaggia, con i capelli neri sciolti sulle spalle. Piccola, ma non fragile. E nel suo sguardo e in tutta la sua grazia, c’era un invito che Devan raccolse, prendendola tra le braccia.

Più tardi, seduti sugli scogli, parlarono di nuovo di tutte le difficoltà che li attendevano.

Verso mezzogiorno, almeno pareva quell’ora, si radunarono tutti intorno al fuoco e Devan notò che le donne avevano seguito l’esèmpio della signora Petrie allestendosi gonne e stole di erbe, che erano già migliori di quelle improvvisate al mattino.

Sull’erba c’erano molti pesci che gli uomini incaricati alla pesca avevano preso, parte con le mani e parte con le piccole reti di giunco. Beatrice Treat sciorinò tutti i bulbi e le radici che aveva raccolto e fu palesemente toccata dai complimenti che Tooksberry le fece al riguardo. Johnson e alcuni dei suoi uomini avevano catturato una ventina di conigli, che ora venivano preparati per lo spiedo con conchiglie e sassi acuminati. Un gruppo di ragazzini aveva trovato un bel po’ di noci e vi danzavano intorno, impazienti di mangiarle.

La scena ricordò improvvisamente a Devan i quadri primitivi esposti al Museo dell’Agricoltura di Chicago.

Il pasto, quanto mai frugale, consisteva solo di un pezzo di coniglio, un piccolo pesce, qualche noce e della lattuga. Il tutto senza pane, né sale, né pepe e innaffiato solo dall’acqua fresca di una fonte che sfociava al lago. Eppure Devan e gli altri furono ristorati da questo pasto.

Più tardi, Orcutt parlò a tutti, issato su di una pedana fatta di pezzi di legno. Nonostante la barba lunga e l’abbigliamento sommario, la sua figura era sempre imponente e autoritaria.

Devan pensò che era riposante avere a capo un uomo come Orcutt, mentre questi spiegava che, essendo stato raccolto più cibo del necessario, evidentemente per il numero eccessivo della gente addetta a questo compito, era opportuno ridurre il gruppo, assegnando alcuni dei suoi componenti, sempre dietro prestazione volontaria, alla costruzione di imbarcazioni, alla ricerca della canna da zucchero e ad altri lavori. In quanto alle donne, avrebbero dovuto occuparsi in parte di far prove con l’argilla per la costruzione di piatti e tazze, e altre trovare il sistema di tessere. Gli uomini che si erano occupati della ricerca del materiale da costruzione dovevano preparare capanne di varie dimensioni, a seconda del numero dei componenti di ogni famiglia.

Tra le persone raccolte intorno a Orcutt, Devan cercò di individuare gli uomini che aveva incontrato la notte precedente sulla spiaggia, ma non li vide; pensò che fossero tra quelli passati dalla parte di Eric Sudduth.

Quando scese la notte, il gruppo degli scienziati che avrebbero cercato di ridar vita all’Ago, si sistemarono vicino a loro, mentre la maggior parte delle famiglie era occupata ad accender fuochi davanti alle proprie capanne.

— È proprio lo stesso cielo — stava dicendo Orcutt. — Ecco l’Orsa Maggiore e la Via Lattea e…

— Sì — confermò Basher — ma che anno è?

— Credo migliaia di anni fa — mugolò Sam Otto, girandosi verso il fuoco per scaldarsi. — Altrimenti ci dovrebbero essere in giro degli indiani.

— Nessuno qui conosce qualcosa delle stelle? — Orcutt urlò quasi la domanda, per farsi sentire anche da quelli che stavano in disparte.

Un uomo si staccò da un gruppo e venne avanti. Era alto e curvo, senza denti, con un’aria veramente sofferente.

— Mi chiamo Elmo Hodge. Ero il proprietario della drogheria in fondo alla strada dove voi avevate il palazzo. Il mio “chiodo” è l’astronomia. — Si sedette. — Abbiate un po’ di pazienza mentre parlo. Ho perso i denti strada facendo. Cosa volete sapere delle stelle?

— Le stelle si muovono, non è vero? — chiese Orcutt. L’uomo assentì. — Per quanto insensibilmente.

— Ma abbastanza per dirci quanto siamo andati indietro nel tempo, passando nell’Ago?

Il signor Hodge guardò Orcutt a lungo e quindi si volse verso gli altri con un’espressione di stupore genuino sul volto.

— Volete dire che non lo sapete?

— Che cosa? — La mano di Betty si strinse a quella di Devan.

— Solo un giorno è trascorso da quando siamo passati nell’Ago.

Le speranze di Orcutt di avere un’informazione precisa svanirono. Evidentemente l’uomo non aveva capito di cosa stessero parlando. D’altra parte nessuno si sentì di muovere obiezioni al vecchio. Così non gli dissero che era in errore.

— So — aggiunse lui — che cosa state pensando, ma non è proprio così. — Puntò il dito a nord. — Vedete l’Orsa Maggiore? Ora, partendo dalle stelle nelle sbarre del Carro, la prima stella si muove verso il basso, la seconda si muove a sinistra, come fanno tutte le altre, eccettuata quella al bordo del Carro. Quella si muove verso il basso proprio come la prima. Ora, se fossimo in un altro tempo, il Gran Carro dell’Orsa sarebbe tutto spostato. È molto meglio così come appare adesso, no?

— Un migliaio d’anni — si alzò la voce di Clarence Gleckman. — Non farebbe nessuna differenza se si trattasse di un migliaio d’anni.

Hodge si agitò, poi mosse la testa in senso affermativo. — Avete ragione. Un migliaio d’anni non farebbe molta differenza. Per esserci una differenza gli anni dovrebbero essere cento.

— E come potete allora essere sicuro di avere ragione? — chiese Orcutt.

— E sta bene — disse Hodge. — Guardate Saturno. Proprio all’estremo limite della Vergine e vicino alla Bilancia. — Studiò le stelle per qualche minuto, poi: — Scommetto che troverete la Stella del Nord. Ancora la Stella del Nord. Qualche migliaio di anni fa, la prima stella della Costellazione del Drago era la Stella Polare, come la stella più luminosa della Costellazione della Lira, detta “Vega”, sarà la Stella del Nord tra dodicimila anni.

— Di una cosa possiamo essere sicuri — commentò Devan — conoscete bene le vostre stelle.

— Mi pare di aver sentito già parlare di queste cose da qualche parte — disse Holcombe. — Credo che siano giuste.

— Anch’io — aggiunse Tooksberry.

— Io non mi curo affatto delle stelle — soggiunse la signora Petrie — me ne curavo abbastanza quando ero una ragazza. Quello che desidero in questo momento è un po’ di lana per lavorare ai ferri.

Hodge si schiarì la gola. — Un’altra cosa. Se avremo la ventura di ottenere un po’ di vetro, molerò qualche lente per un telescopio. Ne ho fatte centinaia. Con la prima che sarà pronta darò un’occhiata a Castore. È una stella doppia e se il tempo non è cambiato, le due stelle gemelle saranno più vicine. Ma il tempo non è cambiato, ne sono sicuro. Ci sono tante prove là — disse, indicando il cielo.

— Così non è passato del tempo — il dottor Costigan disse fra sé guardando il fuoco.

— Bene. — Beatrice Treat si fece sentire in un modo che nessuno potesse ignorarla. Devan osservò con piacere che stava con Tooksberry. — Se pure si tratta dello “stesso” tempo e non di un altro… È una domanda sciocca, vero?

— Per niente, mia cara — la rassicurò Tooksberry, sorridendole e ricevendone in cambio un’identica manifestazione di simpatia. — È una domanda sensata. Se non si tratta di “allora”, come può essere “ora” e non Chicago?

— È una domanda sensata — confermò Orcutt.

— Una volta — affermò Basher — lessi un articolo in cui si parlava di mondi identici esistenti nello spazio contemporaneamente. L’idea era che potesse esistere un numero infinito di mondi e che passando dall’uno all’altro ci si troverebbe in un luogo uguale ma diversamente ambientato.

— Fantastico — disse Tooksberry.

— Invece di star lì a preoccuparvi di dove siamo — interloquì la signora Petrie — accontentiamoci di sapere che siamo qui e cerchiamo di trovare il mezzo per tornare a casa.

— Costruiremo un altro Ago — disse Devan — ma ci vorrà del tempo. Dobbiamo trovare del ferro, costruire un altoforno e preparare tutto quanto è necessario per questa impresa.

— Sarà un lavoro tremendo — rispose il dottor Costigan.

— E dobbiamo prepararci a un’altra eventualità. Se non dovessimo riuscire a costruire una nuova macchina? Immaginate che non potessimo ricostruire, al momento, processi chimici industriali e che non ci fosse nessuno fra noi in grado di risolverli. Che cosa accadrebbe allora?

— Lavoreremo finché ci riusciremo — disse Basher. — Ci siamo trovati in situazioni disperate anche durante la guerra e ce la siamo sempre cavata.

— E sta bene: immaginiamo allora di riuscire a costruire un altro Ago. Come possiamo sapere con certezza che ci riporterà indietro? Può darsi, come ha detto Basher, che ci trasporti in un altro mondo, diverso dal nostro e diverso da questo, dove possono vivere individui diversi da noi.

— Ci ho pensato — disse Costigan — e credo di avere la risposta giusta. Se noi costruiamo un altro Ago, sarà tale e quale quello che abbiamo costruito. Noi siamo stati spinti qui da una forza creata dalla corrente diretta. Io credo che se invertiamo la polarità creeremo un campo di azione nel senso contrario, per cui dovremmo poter tornare là dove siamo venuti.

La signora Petrie si congedò per andare a dormire.

— Una sigaretta — disse il tenente Johnson dopo che la donna se ne fu andata. — Una sigaretta mi ci vuole. Non potreste inventare qualcosa che annulli questa necessità? — chiese.

— Una brutta abitudine — rispose Devan riferendosi al fumo — pure adoro questa abitudine.

Betty si fece sentire. — Anch’io — aggiunse — l’adoro.

— Può darsi che si riesca a trovare delle foglie di tabacco da qualche parte — disse il dottor Costigan.

— Personalmente, io vorrò una pipa — intervenne Orcutt. — E voi le vostre sigarette.

— Non sapete cosa state dicendo — si inserì Sam Otto — le sigarette sono roba per signorine. Sigari ci vogliono.

— Vorrei sapere che gusto ci provate — gli disse Devan — non ne accendete mai uno.

Il dottor Costigan ristabilì il silenzio. — Signori — gridò. — C’è qualcosa di più importante di cui discutere del tabacco. L’acquavite. Spero di trovare una vite selvaggia da qualche parte. Che cosa sarebbe mai la vita senza questa soddisfazione?

Era solo un piccolo rifugio di tronchi e d’erba. Anche il suolo era coperto d’erba, e una certa quantità di questa serviva pure per coprirli, dando loro, unitamente al piccolo fuoco acceso, un po’ di benessere.

— Devan, torneremo indietro un giorno?

Betty stava distesa con lo sguardo rivolto al fuoco. Spirava una brezza primaverile, piena di promesse. Intorno non si udiva altro rumore che lo scoppiettio dei ceppi accesi.

— Non so, Betty, non abbiamo ancora cominciato. Ci sono molti problemi da risolvere, oltre a quelli per l’esistenza che ci si presentano giorno dopo giorno, tanto più ardui per noi, gente di città, della soluzione di quelli posti dalla costruzione dell’Ago.

— Per esempio?

— Abbiamo bisogno di carta su cui annotare i nostri problemi, il dottor Costigan ne ha bisogno per i diagrammi. Inoltre, cosa succederebbe se lui morisse? Non potremmo più tornare.

— Non ci avevo pensato.

— E l’elettricità? Come potremo ottenerla?

— Ci riusciremo.

— E poi la cosa finale.

— La cosa finale?

— È giustissimo quello che Costigan dice di invertire la polarità e, in linea di massima, dovremmo tornare da dove siamo venuti; ma supponiamo di andare a finire invece in qualche altra parte?

Betty sospirò. — Forse Sudduth ha ragione dopo tutto. L’unica cosa che dovremmo fare ora è di abbandonarci nelle mani di Dio, che si prenda cura di noi. Forse tutto quello che stiamo facendo non creerà altro che preoccupazioni e dolori.

Devan scosse il capo. — Non credo che Sudduth abbia ragione. C’è anche l’ammonimento che Dio aiuta coloro che si aiutano. E se noi non ci dessimo da fare, e non ci creassimo occupazioni, la vita qui sarebbe molto più penosa. Cosa sarebbe accaduto se Orcutt non avesse preso in mano le redini della situazione, dandoci così uno scopo?

— Sarebbe stato spaventoso.

13

Il caldo sole di giugno inondava di luce le rocce e un venticello tiepido passava tra le foglie nuove e i fiori che oscillavano dolcemente; e dappertutto sulla spiaggia, nei boschi, sulla distesa di erba, fino a poca distanza dalla riva del lago, si lavorava intensamente. C’era ancora molto da fare, lavoro per tutta l’estate.

Anche gli uccelli sui rami erano in movimento, come lo erano i loro lontani parenti, le galline e i galli, nei prati. I castori uscivano dai loro rifugi e scrutavano l’acqua. I tacchini intorno si dondolavano, e anche per le volpi e i lupi la fame del lungo inverno era finita.

Dalle costruzioni di legno e mattoni si alzavano verso il cielo colonne di fumo che uscivano dai camini, segno che era appena stato preparato il pranzo. Ora gli uomini erano tornati fuori al lavoro, nei campi, nei boschi, a costruire, mentre le donne, rigovernata la cucina, tornavano alle loro occupazioni particolari, agli arcolai, ai telai, agli asili, alle scuole.

C’era solo una grossa colonna di fumo che non proveniva dai camini, ma si alzava da una costruzione a nord, nella quale Devan Traylor, sudato e col volto annerito dal fumo, azionava con energia disperata un mantice.

Vicino a lui si dava da fare un uomo biondo e robusto, i cui muscoli si alzavano e si abbassavano con ritmica regolarità, senza che apparentemente sembrasse fare alcuna fatica. — Non dobbiamo poi ammazzarci — stava dicendo quest’ultimo. — Riusciremo ad avere abbastanza aria, attraverso questi condotti di argilla, vedrete.

— Benone, Gus — disse Devan — non vogliamo che il ferro diventi così caldo da scendere da solo. Dovresti sapere quello che stai facendo.

— Io non lavoravo molto vicino ai forni a Gary — rispose — ma ne sapevo più di quanto si immaginassero. Sino a che il ferro non diventa troppo caldo, noi siamo a posto. Lasciate che regga io i due mantici.

Devan si fermò di buon grado a riprendere fiato, osservando con occhio attento il forno. — Ci vorrà altro carbone, Gus, che ne pensi?

— Non credo — rispose il grosso uomo — magari solo un pochino, una sola palatina.

Devan prese con la pala un po’ di carbone e lo gettò nella pila incandescente. Quindi si offrì di sostituire per un momento Gus ai mantici, ma lui scosse la testa e sorrise.

Il ferro che stavano lavorando era il migliore che Devan e Gus avessero ottenuto sinora. All’inizio Devan aveva richiesto dei volontari che cercassero una cava di minerale grezzo; molti interruppero ciò che stavano facendo e si divisero a gruppi in tutte le direzioni per cercare. I primi rapporti riguardavano solo gli animali che erano stati avvistati, alcuni orsi fuggiti nel sottobosco al loro apparire, qualche volpe e qualche lupo (un uomo disse di aver visto un bufalo e qualche cerbiatto).

Un altro uomo avvistò la colonia degli accoliti di Sudduth sistemata a circa venti miglia a sud del lago, in cave calcaree. Disse, pur non essendosi avvicinato di molto, che i “Sudduthiti” avevano preso assai seriamente la faccenda del nudismo, nel quale Sudduth aveva visto, dopo il passaggio dall’Ago e la perdita generale degli abiti, un segno del volere di Dio. Anzi questo improvvisato reporter fu poi preso in giro dagli amici, insospettiti dalle dichiarazioni su cose viste — stando a quanto lui stesso disse — a distanza. Lo scherzò finì in rissa.

Infine alcuni uomini trovarono il rosso minerale dove meno si aspettavano di trovarlo, vicinissimo al campo e quasi in superficie. Cominciarono a lavorarlo nel vecchio modo, caricandolo dapprima su traini di legno, che trascinavano poi lungo il terreno, fin tanto che non si poté fabbricare un vero carro con le ruote.

Devan fece il primo tentativo di estrarre il ferro, da solo, in una fornace allestita all’aperto, mentre soffiava un vento gelido e Betty gli stava accanto per incoraggiarlo. Dopo diversi giorni fu possibile spegnere il fuoco e Devan con orgoglio poté presentare la massa di ferro estratto. Era soffice e malleabile e senz’altro sproporzionato all’enorme fatica fatta da Devan, ma era all’inizio.

Un mattino, un uomo che sino a quel momento si era occupato della caccia e della pesca, si fermò a osservare i lavori. Era Gus Nelson. — Perché non cercate di costruire un altoforno? — aveva chiesto a Devan.

— È quello che penso di fare — aveva risposto Devan — ho voluto però fare alcune prove per vedere cosa si potesse concludere con un’attrezzatura così elementare.

Poi, osservando la possente muscolatura dell’uomo, le sue larghe spalle e l’onesto azzurro dei suoi occhi, chiese al giovane: — Ehi ragazzo, perché invece di star lì a dar consigli non mi dai una mano?

— Preferisco pescare — rispose con un sorriso luminoso.

— Piacerebbe anche a me. Ma abbiamo bisogno di ferro. Com’è la pesca?

— Abbastanza buona.

— Potrebbe anche andar meglio.

— E in che modo?

— Con gli uncini. Di ferro. — Devan vide che il ragazzo appariva interessato e continuò: — Ci occorrono arpioni. Punte d’acciaio per le frecce. Coltelli per scorticare. Perché non ci stai anche tu? Traylor Nelson, il più vicino concorrente all’acciaio U.S.A. da questa parte dell’Ago.

L’idea piacque al ragazzo e si unì a Devan. Fabbricarono mantici con la pelle di animali, fecero entrare l’aria nel deposito del minerale, e del carbone attraverso canali appositi. Gus Nelson consigliò anche il calcare, che riduceva più in fretta il minerale. Iniziata la lavorazione del ferro, Devan avrebbe voluto affidarla interamente a Gus dato che c’erano altre cose da fare, di cui avevano un bisogno estremo, il vetro, l’elettricità, a esempio. Ma il ferro era fondamentale, essenziale.

Essenziale. Devan pensò divertito al valore che le donne davano a questa parola riferendosi ai cosmetici, cosa di cui non avrebbero dovuto preoccuparsi minimamente in questa nuova vita selvaggia. Ma invece per loro il rosso per le guance e quello per le labbra erano veramente indispensabili, avevano trovato depositi di polvere rossastra quasi in superficie, polvere che, lavorata, dava un buon rosso.

Ciò avvenne prima che gli uomini scoprissero i depositi di minerale che risultarono in definitiva la stessa cosa, per cui il merito della scoperta poteva andare alle donne. Niente si prestava maggiormente per il trucco di questa polvere che, nella gradazione più scura, dava, mescolata al grasso degli animali, un rosso per le labbra di tono cupo che alcune, tuttavia, non riuscivano a usare per il sapore cattivo.

Essenziale. Per parte loro, gli uomini impiegarono un mucchio di tempo a cercare la pianta di tabacco. E quando finalmente riuscirono a trovarla, riempirono le pipe di argilla, già pronte.

Così. Devan concluse, la vita dall’altra parte dell’Ago non si annunciava poi molto diversa dalla solita.

Devan e Gus osservavano con attenzione il fumo che si alzava nel condotto circolare di argilla.

— Ricordo una volta — disse Gus, sempre con gli occhi fissi alla rossa massa di minerale. — Ci fu una perdita di ossido di carbonio e fecero allontanare tutti dal forno fino a che non fu riparato.

— Può darsi che anche in questo momento, si stia sprigionando ossido di carbonio, proprio qui, ma credo che non potrebbe far male a nessuno. Siamo così all’aperto — rispose Devan.

— Come vanno i miei fabbri? — Betty si era avvicinata ai due uomini. — Non riesco a capire come possiate starvene lì così vicino al forno.

— Ci siamo abituati — rispose Devan. — Come mai sei venuta qui?

— Volevo sapere come devono essere grandi le scatole di argilla.

— Sarebbe meglio che tu aspettassi sino a che abbiamo tirato fuori il ferro e gli abbiamo dato una forma.

Betty infilò un braccio sotto quello di lui: — Viene meglio dell’ultimo?

— Questo sarà un vero record, signora Traylor — rispose Gus. — Ora faremo un nuovo esperimento, nel quale entreranno anche le scatole che state preparando. Non appena la fornace si sarà un po’ raffreddata, ma il ferro sarà ancora caldo, lo tireremo fuori e lo batteremo per toglierne quanto più possibile le scorie. Poi gli daremo la forma che vorremo. Introdurremo i vari pezzi nelle scatole di argilla, le scalderemo e lasceremo che il ferro assorba il carbonio formando così una nuova lega molto più resistente del normale. Semplice, no?

— Sembra semplice — Betty disse — ma è proprio il sistema esatto di lavorarlo?

— È quanto Gus assicura. — Devan rispose e osservò intanto un uomo che si stava avvicinando, facendo loro cenni con il capo. Riconobbe il dottor Van Ness.

— Nessun paziente, oggi, dottore? — gli chiese Betty.

Il dottore si esaminò le unghie, alzò le sopracciglia. — Non voglio accusare nessuno — disse infine — ma da quando abbiamo cominciato a somministrare vino per le estrazioni, abbiamo tanto di quel lavoro da non poter accontentare tutti. È un povero sostituto degli anestetici, è vero, ma da quando Costigan ha messo in vigore questa disposizione, la gente preferisce farsi togliere i denti, anziché curarli.

— Io dovrei farmi fare qualche otturazione — disse Devan. — Quando posso passare da voi?

Il dentista si sedette su un ceppo di legna. — Dovete sentire la signora Anderson, che vi fisserà un appuntamento. Ma, a dire il vero, non sono venuto qui a cercare lavoro, ma a lamentarmi.

— E di che?

— Dovrò smettere le otturazioni, sino a che non sarò meglio attrezzato.

— Così, la sostanza che vi ho preparato, non va bene?

— È piuttosto imbarazzante. — Il vecchio appariva esitante. — Neanche ai pazienti piace. Il fatto è che il metallo non va bene. Dopo aver ripulito la cavità e introdotta la sostanza metallica, questa si sbriciola o si schiaccia. È successo per tutto il metallo che avete preparato.

— Stiamo ora preparando una nuova sostanza — disse Devan. — Anzitutto dovremo ridurla nella forma esatta e lasciare quindi che si impregni di carbonio. Vedrete la differenza.

— Così andrà meglio. — Il dentista si rischiarò.

— Lavorate da solo, dottore?

— Ho preso un paio di aiutanti che sto addestrando. Non vivrò in eterno, lo sapete. Sono ridotto a dar loro lezioni soprattutto di notte. — Dalla tasca della sua giubba di pelle tolse un pezzo di pergamena. — Ho disegnato nuovi strumenti. — Li indicò. — Un bisturi, se lo potete fare, una piccola bilancia, altre pinze, degli scalpellini, infine una serie di pinze come vedrete di varie forme e misure, non possedendo un trapano.

— Come farete — gli chiese Devan — quando avrete finito le otturazioni? Potrete fare denti falsi?

— Ci sarebbe lavoro per due o tre dentisti qui — rispose il medico. — Solo ho bisogno di più oro. Enormi quantità di oro.

— Perché non riempite i denti con altre sostanze provvisorie?

— “Altre” sostanze provvisorie? — Il dentista appariva sinceramente stupito. — Questo dimostra quanto poco la gente se ne intenda del nostro lavoro. L’oro è la sostanza migliore che vi sia, è eterna. I dentisti userebbero solo oro per avere risultati soddisfacenti, ma oltre al tempo impiegato per riempire le cavità, bisogna tener conto dei prezzi, che sarebbero troppo alti. L’oro non si appanna e non si corrode. È una sostanza senza pari. Quando io riempio un dente, anzitutto pulisco la cavità, la lascio asciugare e quindi ci introduco un sottile rotolino di oro, poi prendo i miei attrezzi, e sono pronto per il resto del lavoro.

— Magnifico, dottore — disse Devan.

— Troveremo del gesso — continuò il dottore — e ne faremo il cosiddetto “impasto di Parigi”, poi fonderemo una dentiera d’oro con punte arrotondate al posto dei denti, e mi occorreranno pochi stampi per l’impressione che io userò con la malta per avere la forma dell’arco alveolare… — La sua faccia sprizzava entusiasmo. — Mi sembra di vederle. Dentiere d’oro!

— Ma per quanto riguarda i denti?

— Li ricaverò dai denti degli animali. Ci sono capre in giro, no? — Rise e poi: — Vi rendete conto che una dentiera d’oro costerebbe normalmente cinquecento dollari? — Si fregò le mani allegramente. — Sarà un esperimento. Solo un esperimento. Spero solo che si possa trovare molto oro.

“Che magnifico aspetto ha Orcutt” Devan pensò. “Non è mai stato così bene da quando lo conosco. È abbronzato e snellito. E la barba gli dà un aspetto profetico”.

— Ottimo pranzo — stava dicendo Orcutt spingendo indietro la sedia, assemblata da bande di cuoio che scricchiolavano un po’. Stava fumando con visibile soddisfazione.

— Buono davvero — fece eco Renthaler. Renthaler, o più precisamente Walter Renthaler, era un ragazzo sui venticinque anni al massimo, grassoccio, allegro, dall’espressione vivace e dai capelli rossicci. Orcutt l’aveva condotto con sé a pranzo. Diceva di avere qualcosa da discutere con Devan.

Certamente qualcosa che riguardava la chimica, Devan si immaginò. Renthaler aveva risolto il problema del sapone, rendendosi benemerito presso tutte le donne. Era un chimico industriale e si era trovato per caso nel quartiere dell’Ago, dove era andato a trovare un amico.

Se ne stavano seduti fuori, respirando un’aria profumata, mentre la luce delle candele, proveniente dall’interno, creava strane ombre sul pavimento. Betty lavava i piatti dietro la casa.

— Siamo stati fortunati ad avere Walter con noi — disse Orcutt — risolverà la faccenda.

— Vi prego, Orcutt — si schermì Renthaler — io ero specializzato nel campo dei dolci. E so solo un po’ di chimica elementare.

— Ben più di un po’ — ribatté Orcutt. Si volse a Devan: — Desidero che sentiate quello che Walter deve dire. Da principio, potreste non arrivare subito al punto, così ve ne parlerò io. Abbiamo considerato il problema del vetro, vero?

— Già. Il vetro e le batterie, le radio, le ghiacciaie, i motori a benzina, le macchine elettriche…

— Okay. — Orcutt batté leggermente la sua pipa di argilla sui sandali di cuoio. — E perché tornare ai vecchi sistemi? Certo, noi faremo del vetro, ma non ci specializzeremo in questo campo. È del tutto inutile ritornare all’Età del Bronzo, quando abbiamo qualcosa di meglio del bronzo.

— Dobbiamo parlare dell’Ago — lo richiamò Devan.

— Certo. So che l’Ago viene in prima linea. Ma ci vorranno anni.

— Non torneremo mai se Costigan non la pianta di bere e non si mette a buttar giù qualche diagramma.

— Costigan vi sta aspettando — disse Orcutt. — E adesso il nostro Walter sta fabbricando materie plastiche. Pensateci! Siamo dei pionieri e siamo già arrivati alle materie plastiche! Parlategli, Walter. Devan vi darà tutto il suo appoggio per l’acciaio che vi occorre.

— Gus Nelson si metterà a vostra disposizione — disse Devan — io penso di affidargli l’officina, non appena le cose saranno organizzate definitivamente. Ma cosa desiderate, Walter?

— Be’, probabilmente avrete un’idea delle quantità di materiale che gli uomini hanno sempre gettato via per anni e che è tutto materiale buono.

— Volete dire roba come residui di carbone, sottoprodotti del grano, e così via?

— Proprio. Bene, noi possiamo fabbricare piatti, tazze, bicchieri e un’infinita quantità di altre cose, signor Traylor. — Renthaler era un po’ timido. La sua voce era bassa, i suoi modi gentili.

— E come pensate di fabbricare materie plastiche, qui, nei boschi? — Il tono di Devan era volutamente provocatorio, e Renthaler gli diede un’occhiata acuta.

— Vado a prendere una candela — disse Orcutt, sparendo all’interno.

— La caseina — disse Renthaler — si può ottenere dal latte acido e dalla formaldeide. E l’acetato cellulosico dalle fibre residue dei semi di cotone con acido acetico, trattati alla presenza di un catalizzatore-acido solforico. La miglior prova potrebbe essere la resina di fenolo-formaldeide, che è il prodotto più facile da ottenere.

— E — domandò Devan — dove troveremmo il fenolo?

— Dalla distillazione frazionata del carbone.

— Ma vi occorre del vetro per questo processo.

— Non è il metodo migliore. Ce ne sono molti.

— E per quanto riguarda la formaldeide?

— La si ottiene dall’ossidazione dell’alcool metilico.

— Benissimo. E l’alcool metilico?

— Dal legno. Bisogna scaldare il legno, noi abbiamo il faggio e la betulla che sono i legni più indicati, in ambiente privo d’aria.

— Ancora distillazione, eh?

Renthaler scrollò le spalle. — Oh, non sarà facile, ma c’è più senso a lavorare in questo campo che in altri. I vantaggi delle materie plastiche sul vetro dovrebbero essere abbastanza palesi.

— Ne sono sicuro.

— Vostra moglie avrebbe diritto di poter avere dei piatti di plastica!

Devan rise. — Che anacronismo, pensate! Allo stato primitivo in cui siamo, pensare alle materie plastiche!

— Se possiamo avere semi di soia, grano e cotone, siamo a posto, signor Traylor.

— In più modi, vorrei dire, Walter.

— Sto progettando il polistirene, il cloruro, il rayon, la gomma sintetica. Sarà meraviglioso poterli lavorare!

Negli occhi di Renthaler, Devan scoprì la stessa espressione che aveva vista negli occhi del dottor Van Ness. Espressione fatta di ottimismo, di curiosità, di interesse e di pazienza. Sì, fintanto che c’erano uomini simili, si poteva sperare nell’Ago. Devan ne era sicuro.

Orcutt uscì con una candela e i due uomini accesero le pipe.

— Vi aiuterò per quanto potrò — disse Devan. — Ditemi che cosa vi occorre. Conto di mettermi a lavorare per il vetro con Glenn Basher e sarò felice se mi vorrete aiutare: potrebbe essere utile anche per i vostri progetti.

Orcutt guardò lontano, pensosamente.

— Voglio che tutti scrivano tutto ciò che hanno sperimentato. Desidero che rimanga la nostra testimonianza, in caso non dovessimo più tornare.

— Scherzate — disse Renthaier. — Ritorneremo. Abbiamo l’uomo che ha inventato la macchina, no? Ci ricondurrà indietro.

— Vedremo — disse Orcutt. — Speriamo di poterci riuscire.

14

Eric Sudduth e i suoi seguaci, che pure si tenevano molto rintanati nelle loro cave, continuavano a costituire, nondimeno, un argomento spesso ricorrente nelle conversazioni. Dopo tutto, l’area serviva per ricavarne pietra calcarea per i vari lavori in corso ed era inoltre l’abitazione degli unici vicini dei cittadini della Nuova Chicago.

Quando gli uomini della Nuova Chicago andavano nei dintorni a cacciare i daini, si limitavano a costeggiare la zona sudduthita, non tanto però da non riuscire ad accertarsi se erano state fatte innovazioni o cambiamenti. I vari rapporti erano fatti a Orcutt; generalmente confermavano che i seguaci di Sudduth non avevano cambiato idea riguardo all’abbigliamento, che avevano fuochi e che avevano costruito armi primitive contro le bestie feroci.

Ma le descrizioni fatte dai cacciatori non erano mai così chiare e dettagliate come quelle che si riusciva occasionalmente ad avere da coloro che disertavano il campo di Sudduth — per lo più coppie nelle quali la donna era incinta — e che non potevano perciò sopportare di veder nascere i propri figli in un clima così primitivo. Sudduth aveva ordinato che i disertori venissero uccisi se trovati nei dintorni ed essi venivano quindi a chiedere rifugio agli abitanti della Nuova Chicago.

Le coppie che avevano disertato erano, sino a metà giugno, tre e i sei profughi erano stati accolti cordialmente nella comunità ed erano stati utilizzati in base alle loro capacità e desideri. In cambio tre piccoli “cottage” li ospitarono e le nuove famiglie si conformarono ben presto alle abitudini della nuova comunità.

Da quanto essi narrarono, gli uomini di Orcutt ebbero una idea della reale situazione esistente al campo di Sudduth. Sudduth e Blaine, narrarono i profughi, erano i capi del gruppo, dirigevano tutte le attività e sovraintendevano a tutti i lavori. A Devan spiacque di sentire che i due tenevano i loro seguaci in stato di schiavitù, tenendo per se stesso il cibo migliore e non alzando neanche un dito per lavorare.

Per di più, avevano emesso un nuovo ordine in base al quale Sudduth, come capo spirituale del gruppo, poteva avere ogni donna che desiderasse e i suoi argomenti per ottenere questo privilegio furono così convincenti che ben presto i mariti e le mogli si accordarono anche su questo. Senonché la prima donna che lui desiderò fu la moglie di Blaine, che si rifiutò di accordargliela e, dopo una lotta tra i due in cui Blaine ebbe la meglio, Sudduth considerò il suo piano fallito.

Devan notò la preoccupazione di Orcutt quando seppe che i seguaci di Sudduth si erano ridotti a ventiquattro, oltre lui e Blaine, e che Sudduth avrebbe fatto di tutto per riavere i disertori.

— Farà certamente qualcosa — concluse Orcutt. — Non vorrà starsene immobile e lasciare che i suoi taglino la corda e vengano qui.

Per cui, quando a metà dell’estate, Eric Sudduth e il suo assistente si presentarono al cancello della Nuova Chicago, questa visita non stupì nessuno.

— Nessuno in casa? — udirono la voce tonante di Sudduth chiedere con impazienza. Non c’erano dubbi: Sudduth aveva una personalità notevole e con lui non c’erano mezzi termini. O piaceva subito istintivamente o era odioso, sentimento che ispirava a Devan e ai suoi amici.

Dopo che diversa gente era corsa ad avvisarlo che Sudduth era al cancello, Orcutt si mosse per andargli incontro, pur avendolo udito arrivare. Strada facendo si imbatté in Devan e in Sam Otto che lo seguirono.

Quando i battenti furono spalancati, i tre furono stupiti di trovarsi di fronte Sudduth e Blaine completamente nudi.

Infatti avevano per un momento scordato il precetto abbracciato dai Sudduthiti. I loro corpi erano bianchi e flaccidi in contrasto con la pelle abbronzata di quelli della Nuova Chicago.

La ragione, Devan pensò, era probabilmente che quei due se ne erano stati in ozio, e quasi sempre rinchiusi. Pensò a come dovevano essere ridotti i loro seguaci, a lavorare per i loro capi e a procurare loro tutto quel benessere di cui la grossa pancia di Sudduth era una prova. Blaine appariva magro per cui, o aveva mangiato meno, oppure non era ancora giunto all’età in cui il ventre tradisce.

Alla vista dei cittadini della Nuova Chicago in giacche di cuoio, pantaloni al ginocchio e visi sbarbati, i due uomini apparvero visibilmente imbarazzati di essere nudi e con barbe lunghe sino al petto. Apparivano un po’ ridicoli, ora che la loro sicurezza si era un po’ attenuata.

Eric Sudduth si scosse e gettando indietro le spalle, cercò di riprendere un po’ di dignità. Si schiarì la gola. — Avete sei dei miei qui — disse. — Blaine e io siamo venuti a riprenderli.

Orcutt sorrise con un’aria così sicura del fatto suo che Devan provò una crescente sensazione di stima per lui, sempre così deciso e all’altezza della situazione.

— Entrate — disse poi Orcutt, tendendo la mano a Sudduth. — Lieto che siate venuti a farci una visita.

— Già — disse Sam Otto. — Ben felici di avervi qui. Come siete stato in tutto questo tempo, Blaine? — Sam gli strinse la mano con calore, ma la mano di Blaine rimase inerte e il viso senza espressione.

Sudduth eliminò ogni tentativo di familiarità. — Ci renderete subito i nostri uomini. Dobbiamo tornare al campo prima del calar della notte. Non si sa mai cosa si può incontrare nei boschi.

— Noi non abbiamo trovato niente di feroce — disse Orcutt — tranne altri esseri umani.

— Cosa volete insinuare, signore?

— Su, su. Orvid — tagliò corto Sudduth. — Il signor Orcutt non voleva insinuare proprio niente, ne sono sicuro.

— E Sorella Abigail, dov’è? — chiese Devan. — Non è con voi?

— L’onnipotente Iddio l’ha voluta con sé — spiegò Sudduth gravemente.

— Polmonite — aggiunse Blaine tristemente.

— Una donna meravigliosa, una guida valorosa, uno strumento ricco della Grazia di Dio, strumento che ci avrebbe dovuto aiutare nell’Età d’Oro, ma di cui Egli aveva più bisogno di noi.

— Amen — disse Blaine.

— E ora i disertori, prego. — Sudduth appariva deciso, gli occhi imperiosi, le mani dietro la schiena. Una folla si stava raccogliendo al cancello.

Orcutt scosse la testa. — Sono venuti qui di loro spontanea volontà, Eric. Sono dolente di dirvi che se si allontaneranno lo faranno di loro volontà.

— Volete dire che non li porterete qui?

— Tranquillo, Orvid, ora metterò tutto a posto.

— Ho saputo che c’è la pena di morte per loro. Perché mai dovrei mandarli a morire?

— Ma non è esatto — disse Sudduth. — L’ho fatto solo per evitare che fuggissero. Abbiamo tanto bisogno di gente.

— Un modo veramente simpatico di tenere il gruppo unito.

— Potete entrare a prenderveli voi stesso — disse Orcutt. — Cercate, cioè, se riuscite a convincerli a seguirvi.

I due uomini si guardarono perplessi. Poi acconsentirono a entrare.

Una volta dentro, tutta la loro sicurezza residua sparì e si aggirarono nelle vie della Nuova Chicago con aria imbarazzatissima, guardandosi intorno per vedere che nessuno li stesse osservando. Ma sul loro cammino incontrarono sorrisi ironici, risolini divertiti e risate decisamente aperte, che non fecero che accrescere la loro confusione.

Un codazzo di bambini e di cani abbaianti li seguiva schiamazzando, per cui Sudduth, a un certo punto, non poté fare a meno di chiedere a Orcutt se non avesse degli abiti da prestare loro, per evitare di essere al centro di quella insistente curiosità.

— Ma non sarebbe contro il volere di Dio, indossare qualcosa, Sudduth? Finora avete dato prova di seguire così fedelmente i vostri principi che questa improvvisa trasgressione sembra quanto mai discutibile.

— Sono sicuro — rispose Sudduth — che in questo caso ciò non avrebbe importanza.

— Vorrei proprio avere un abito da darvi, ma purtroppo è da poco che siamo riusciti ad avere una giacca e un paio di pantaloni per ciascuno. Se però volete aspettare la settimana prossima allora avremo qualcosa anche per voi.

Mentre i ragazzini e i cani li seguivano indisturbati, Orcutt tolse di tasca la pipa e la borsa del tabacco e si mise a riempirla. Sudduth seguì le sue azioni con occhi carichi di invidia. Devan quasi gli rise in faccia, ricordando come il vecchio amasse i sigari; e si divertì molto pure al pensiero che c’erano parecchi vestiti in più, che Orcutt avrebbe potuto comodamente prestar loro.

— Dove trovate il tabacco?

— Be’, ci sono delle piante non lontano da qui.

— Dove?

— Eh, no — disse Orcutt — non possiamo dirvelo. Su, venite, vi farò visitare la città.

— Sentite — disse Sudduth — non potreste dirmi come siete riusciti a fabbricarvi questi sigari?

— Certo. Perché lo chiedete?

— Io… fumavo, prima.

— Scusatemi se non ci sono arrivato prima. — Poi, rivolto a Sam: — Non avete un sigaro che vi cresce per il nostro ospite?

Sam tirò fuori due sigari che porse ai due uomini ma, mentre Sudduth prese il suo con visibile soddisfazione, Blaine scosse la testa in segno di diniego. Appena Sam gli ebbe acceso il sigaro, Sudduth fu colto da un accesso di tosse, spiegando di non essere più abituato a fumare. Poi improvvisamente, colto da un pensiero sorprendente: — Ma voi avete i “cerini”!

— Ma certo — rispose Orcutt. — Dove credete che li abbiamo presi? Non siamo mica tornati al di là dell’Ago a prenderli. Li abbiamo fatti noi.

— E come?

— Con fosforo, cera, colla e stecchini.

— E credete che non sappia queste cose? — tuonò Sudduth. — Ho fatto l’Alto Istituto di Chimica e conosco bene il fosforo. So anche che non potete trovarlo dappertutto. Dov’è allora?

— È tutto intorno a voi, il fosforo — rispose Devan.

— Lo volete far passare per scemo?

— No, Blaine.

— Su, su — Sudduth tagliò corto impaziente. — Voglio questa spiegazione.

— Bene, avete chiesto una spiegazione e l’avrete — Devan gli rispose. — Prendete le ossa di animali e le bruciate. Le ceneri che rimangono consistono di fosfato di calcio puro. Lo scaldate con sabbia e coke e il distillato è il fosforo.

— Semplice, no? — disse Orcutt.

— Dovete farmelo vedere.

— Ci avevamo pensato. Venite.

Proseguirono il loro cammino, oltrepassando il negozio di terraglie, il laboratorio dove si stava studiando il vetro e dove Basher, affaccendatissimo, li salutò con la mano dall’interno.

Quindi passarono davanti a una piccola costruzione dalla quale usciva un odore caratteristico, familiare a Devan ma, pensò lui, non certamente altrettanto a Sudduth.

— È la nostra cantina per la distribuzione di vino e alcoolici. A capo ne è il dottor Costigan.

— Molto interessante — rispose Blaine semplicemente, facendo eco a quanto Sudduth aveva detto sino a quel momento.

— Per nulla interessante — si scagliò invece questa volta Sudduth. — L’alcool è il nemico dell’uomo, il distruttore del suo corpo, lo sfacelo della sua mente.

— Costigan non sarebbe certo d’accordo con voi — disse Sam Otto — e io gli do ragione.

— Del resto — disse Orcutt — abbiamo qui anche due dottori.

— Due dottori? — Sudduth lo guardò con espressione incredula, quindi disse acidamente: — Non ci state conducendo dai nostri sei?

Il giro che Orcutt fece loro fare incluse l’area di fabbricazione della carta, dei fiammiferi, i telai che lavoravano il lino e un po’ di cotone che si era trovato, e il laboratorio di falegnameria.

— Ehi! — esclamò Sudduth, vedendo un uomo che vi lavorava. — Ha un “martello”!

— Già — rispose Devan — gliel’ho fatto io.

— Voi?

— Sì, abbiamo impiantato una piccola acciaieria e ci stiamo ingrandendo un po’ per volta.

Sudduth scosse la testa. — Se il nostro buon Signore ci avesse concesso queste cose, avrebbe lasciato che passassero di qui con noi.

— Ma ci ha lasciato portare le nostre teste — disse Orcutt — con le quali ci siamo dati da fare costruendo tutte queste cose. Se continueremo ad averle, tra un po’ impianteremo una piccola tessitura che darà vestiti a tutti noi. C’è una donna che prima filava e ci ha assicurato che in un giorno può fabbricare la stoffa giusta per un vestito. Tra le donne abbiamo poi numerose sarte, che taglieranno gli abiti. Figuratevi che stiamo costruendo anche un laboratorio chimico. C’è un giovane chimico tra noi che si dedicherà alle materie plastiche. Come vedete, stiamo modernizzandoci né più né meno di quando eravamo “là”.

— Ah! — urlò Sudduth — ma la vendetta di Dio scenderà su tutti noi a causa vostra e ci saranno sciagure per tutti!

— Amen — fece Blaine.

— Quante cose meravigliose faremo! — seguitò Devan. — E non ripeteremo più gli errori dei nostri padri. Vi posso fare qualche esempio. Gli indiani per intenerire la carne la mettevano tra le foglie dell’albero detto “paw-paw”. Quando l’uomo bianco scoprì questa loro usanza pensò che si trattasse solo di un rito, mentre invece c’è realmente qualcosa in queste foglie che ammorbidisce la carne. Perché non farlo ora? Abbiamo il vantaggio di tutto un passato, vedete.

“Secondo, pensate un po’ al monosodio glutammato, il sale che rende migliori i nostri cibi. Noi eravamo così sciocchi da gettarlo via quando estraevamo lo zucchero dalle barbabietole, pensando che fosse solo un inutile sottoprodotto. Questo, fintanto che non ci rendemmo conto del nostro sbaglio. E qui lo possiamo utilizzare benissimo. E poi, abbiamo trovato, oltre a queste, alcune cose diverse da come erano sul nostro mondo: conigli con una lunga coda e scoiattoli bianchi e i fiori cosiddetti ‘bellezze di primavera’ a sei petali, ma in definitiva suppergiù è sempre la stessa cosa. Possiamo quindi rendere questo luogo come lo desideriamo”.

— Sì, Traylor. Sono d’accodo con voi. Noi possiamo fare ciò che voi volete o fare ciò che dovrebbe essere fatto. Scegliete.

— Amen — fece eco Blaine.

Terminato il loro giro d’ispezione, Orcutt li condusse alla più grande costruzione del campo, la sala di riunione. Era una struttura semplice con le pareti di mattoni e il soffitto di legno ricoperto d’erba.

— E qui cos’è? — chiese Sudduth, camminando verso la tavola che era nel centro di una parete.

— È il nostro luogo di riunione o, all’occorrenza, la nostra sala da ballo.

— “Da ballo”? — Sudduth pronunciò le due brevi parole con enorme disgusto.

— Già, alcuni dei nostri ragazzi stanno mettendo insieme un’orchestrina, per ballare. Non volete sedervi? — Indicò la panca in prima fila. — Voi conoscete il signor Tooksberry, vero? — Fece segno verso un uomo seduto a un tavolo un po’ più in là. — Sta scrivendo la nostra costituzione. Tooksberry era un avvocato e ricorda molto bene il codice. Prima di essere avvocato, univa la gente in matrimonio.

Tooksberry stava industriandosi con una cannuccia. — Darei qualunque cosa per una penna, anche a sfera. È già abbastanza duro lavorare senza i miei occhiali.

— Dov’è la vostra segretaria? — Devan chiese.

— Ricordate Beatrice Treat. Ora è sua moglie e sua segretaria.

— Si è allontanata per ovvie ragioni prima che voi entraste. — Tooksberry sorrise e fece un ampio gesto che comprendeva tutte le carte sparse sul tavolo. — È la mia grande occasione. Posso riunire tutte le leggi che mi sembrano giuste e posso escludere le ingiuste. Proprio una tremenda responsabilità. Naturalmente molte leggi non le ricorderò neanche, come quelle sul traffico. Ma comunque gli statuti che adotteremo saranno sempre suscettibili di revisioni.

— Molto edificante — commentò acidamente Sudduth. — Volete ricondurmi qui i miei sei seguaci, o no?

— Volete dire se essi accettano.

In quel momento entrò un ragazzo di sedici anni. — Signor Orcutt — disse — quella gente dice che non vuol venire a parlare né col signor Sudduth né col signor Blaine.

— Eccovi la loro risposta Eric — disse Orcutt, mentre il ragazzo correva fuori.

— Pensate che la beva così facilmente? Come se non aveste imbeccato il ragazzo su quello che doveva dire!

— Vi sbagliate. Diceva la verità, che io già conoscevo, ma di cui volevo aveste una prova. Ci è voluto tanto tempo per trovarli tutti e sei, dato che stanno lavorando in luoghi diversi. Tutti tranne uno, che aveva un appuntamento dal dentista.

— Appuntamento dal dentista? — le sopracciglia di Sudduth si alzarono lentamente, il suo volto si calmò e i suoi occhi persero il fuoco di prima. — Vuol dire che avete anche un dentista?

— Una conclusione logica, la vostra — Orcutt disse ridendo. — Certo sapevate che durante il passaggio, tutte le capsule e i denti falsi andarono perduti, no?

— Certo. Abbiamo usato argilla e cera. Che trattamento pratica questo vostro dentista?

— Adopera l’oro. Guardate — disse Devan aprendo la bocca per mostrare le otturazioni fattegli.

— Magnifico lavoro! — Sudduth era impressionato. Sospirò. — È un buon dentista.

— Il migliore — disse Sam.

— Riportatevi indietro i vostri uomini nelle cave, allora — disse Devan.

— È un peccato però che quando ripasseremo nell’Ago perderemo queste meravigliose capsule.

— Di nuovo nell’Ago? — Sudduth lo guardò stupito. — E quando avverrà ciò?

— Quando il secondo Ago sarà pronto.

Per un po’ ci fu pesante silenzio nella stanza. Lontano si sentivano voci di bambini, rumore di martelli sul metallo e tanti suoni che indicavano lavoro fecondo.

Eric Sudduth aveva le labbra strette e la fronte corrugata. Quindi scuotendo il capo urlò: — Lo proibisco!

— Ma è l’unico modo di tornare indietro — osservò Devan.

— Voi non lo farete! — Sudduth era furibondo. — Non vi basta quello che è successo con la prima di queste macchine infernali? Il segno di Dio non vi ha colpito abbastanza? Questo è il vostro inferno, non capite? E anche il nostro perché non vi abbiamo impedito di mettere in esecuzione i vostri piani.

— Ma voi ci mandaste Orvid Blaine.

— Sì, ma non riuscì a convincervi. E ora non potete fare un altro Ago. Il castigo di Dio, la seconda volta, sarebbe terribile!

— E state calmo!

— Nessuno può dire al signor Sudduth di stare calmo!

— Piantala, Orvid — urlò Sudduth. — Ce ne andiamo; e voi, tenetevi pure i sei. Mi rifiuto di avere a che fare con gente cieca al segno di Dio.

L’indignazione di Sudduth fu coronata dal solito “Amen” di Blaine.

15

Ai primi di ottobre, Devan riuscì ad avere la sua parte di vetri per le finestre della casetta. Durante il giorno l’aria non dava molto fastidio, ma le notti erano già fresche. Così si diede da fare per avere il vetro, pensando che se questo Illinois del Nord assomigliava all’altro, presto si sarebbero avuti temporali e venti gelidi anche di giorno.

Gli venne annunciato, una domenica pomeriggio, che il suo vetro era pronto e con Betty si recò al negozio di Basher a prenderlo. Betty e lui furono tra gli ultimi nel campo ad avere il vetro, e questo perché Devan non voleva assolutamente approfittare della sua privilegiata situazione, in quanto amico di Orcutt, e per di più c’erano famiglie che ne avevano maggior bisogno di loro, famiglie con gente anziana, bebé e malati, sebbene di questi ultimi ce ne fossero pochissimi. Veramente pochi, pensò Devan, per quanto avessero per ogni evenienza un ospedale che era stato una delle loro prime realizzazioni.

Il primo vetro ottenuto era fragilissimo, verde, quasi opaco e Basher stava cercando di migliorarlo, quando Elmo Hodge, l’astronomo dilettante, seppe dei suoi tentativi e gli diede utilissimi consigli tra i quali come correggere il colore con l’aggiunta di sostanze chimiche che ne avrebbero creato uno complementare, eliminando ogni tinta non desiderata. Sapeva tutto ciò perché, per il suo lavoro intorno ai telescopi, era venuto a contatto con lenti e ottici. Hodge si interessò molto della cosa e si affiancò a Basher aiutandolo a costruire dapprima semplici vetri per finestre, ma progettando però la costruzione di lenti per telescopi, binocoli e microscopi.

— Se ben ricordo — disse Hodge — dovete sostituire il potassio per avere un vetro solido, e un po’ di calcio con del piombo per ottenere il vetro adatto alle lenti. — Si fregò le mani: — Dopo di ciò, potremo dedicarci a diversi tipi di vetro, tra cui il Pyrex e le lenti affumicate. Ci vorrà del tempo, ma ne varrà la pena. — Queste ultime parole Devan, ultimamente, le aveva sentite spessissimo e lui stesso le aveva dette mille volte.

Il vetro che Devan e Betty si portarono a casa era già migliore rispetto al primo: infatti aveva solo una traccia di verde ed era quasi del tutto trasparente. Le finestre erano state costruite in base a una misura standard, adottata dal campo, i vetri fabbricati secondo questa misura, uguale per tutte le finestre, potevano essere inseriti con la massima facilità.

Devan prese ogni precauzione nel sistemarli al loro posto e Betty insisté per aiutarlo e così mentre Devan sparse il mastice tutt’intorno al legno che formava l’intelaiatura della finestra, il compito di Betty fu quello di inserire i vetri nello spazio apposito e di far sì che aderissero perfettamente al mastice. Poi si preoccupò di aggiungere il mastice anche esternamente.

Quando Devan ebbe finito il lavoro alla prima finestra, Betty era solo a metà del suo. Non perché fosse più lenta, ma perché aveva altro da fare per la casa. Così Devan girò intorno al “cottage” e la trovò intenta a curare i suoi fiori.

— Siete il capo? — chiese lei.

— Già. Ci andate un po’ piano col lavoro.

— Se non mi aumentate la paga, certo.

— Avete una ricompensa più che sufficiente.

— Bene, mi dimetto da questo momento.

Betty gli sorrise. Era rimasta sempre la stessa che aveva conosciuto nello stabile della “Rasmussen”. Nonostante il molto lavoro da lei svolto nella Nuova Chicago, l’intensa espressione dei suoi occhi pervinca era quella di allora e sull’occhio cadeva sempre la stessa ciocca ribelle. Betty era abbronzata e certo, Devan decise, era la più bella donna del campo.

Ricambiò il suo sguardo. — A che cosa stavi pensando?

— A te.

— Non lo devi dire se non è vero.

— Non lo direi, se non fosse vero.

Gli sorrise di nuovo con una espressione così meravigliosa che lo costrinse a baciarla.

— Facciamo male, Devan?

— Che cosa? — Devan sapeva quello che Betty intendeva e, come lei non rispose, lui disse a bassa voce: — Non credo che facciamo male.

Tutti e due pensavano ai bambini che avevano lasciato là e di cui non parlavano mai, per non fare riferimento alcuno alle loro precedenti famiglie. Quando parlavano di bambini, lo facevano molto genericamente e vagamente. Ora avevano una ragione di parlarne apertamente, specificatamente.

Tutt’a un tratto, sentirono un insolito trambusto lungo la strada principale, chiamata Orcutt Street, strada che attraversava tutta la città fino al cancello che avevano costruito nei primi giorni, ma che non era mai chiuso.

— C’è qualcuno che urla fuori — disse Betty. — La gente sta uscendo dal cancello.

Capitava così di rado qualcosa, che tutti e due si precipitarono fuori a vedere. Quando si furono avvicinati, Devan e Betty videro un uomo nudo, nel quale riconobbero Eric Sudduth, disteso su una barella rudimentale fatta di canne e rami. Era pallidissimo in volto, il suo respiro era rapido, il suo corpo sudato e ansante, si guardava in giro con occhi sbarrati.

— Datemi una mano — disse Devan, sollevando la barella da un lato. — Portiamolo all’ospedale.

— Lasciatemi morire — urlò Sudduth. — Lasciatemi morire. Dio vuole che io muoia.

Mentre si dirigevano all’ospedale, i portatori della barella si imbatterono in Orcutt. — Cosa succede? — chiese, poi vide l’uomo disteso.

— L’hanno portato sino al cancello e l’hanno lasciato lì — gli spiegarono.

— Lasciatemi morire — ripeté Sudduth. — Dite loro di lasciarmi morire.

All’ospedale, dopo un rapido esame, gli fu riscontrata una appendicite e venne perciò portato subito in sala operatoria. — Pensate un po’: verrà anestetizzato con etere che Renthaler ha ricavato dall’alcool distillato di Costigan.

— Sarebbe molto meglio non farglielo sapere.

— E sarà operato con strumenti fatti di acciaio carbonico, lavorati da Gus Nelson che pure ama bere.

— Di una cosa sono sicura — disse Betty. — Non potrebbe essere in mani migliori di quelle dei due dottori che lo stanno operando.

— Erano interni al “Cook County Hospital” solo sette mesi fa, e non sapevano quali sviluppi avrebbe preso la loro carriera. Ora, hanno in mano la salute di tutta la Nuova Chicago.

Si trovavano al capezzale di Sudduth la notte seguente nel momento in cui riprese conoscenza.

— Andatevene — disse con un fiato ancora carico di etere.

— Non parleremo se non lo volete — disse Devan — e non vi daremo alcun fastidio.

Era una atmosfera lugubre quella della rustica stanza in cui tremolava la luce di una candela. Sudduth stava abbandonato senza forza alcuna e fissava il soffitto con occhi gonfi che spiccavano nel volto devastato.

— Me ne voglio andare — disse finalmente.

— Starete qui tutto il tempo necessario — gli disse Devan.

— Chi siete voi, il dottore?

— Indovinato.

— Quanto devo restare ancora?

— Ancora una settimana, e a letto.

— Il vostro campo è così lontano, Eric — disse Betty — che non potete certo pensare di tornarvi molto presto. Pensate a tutta la strada che c’è.

Sudduth emise una specie di rantolo: — Orvid Blaine mi ha portato qui. E quei cretini di uomini mi hanno trasportato per tutta la strada. Ma Dio voleva che morissi. Perché non mi avete lasciato morire?

— Forse sarebbe stata una buona idea quella di lasciarvi morire. Almeno non avremmo a che fare con una persona così ingrata.

— Il fatto che si lamenti — disse Betty — indica che sta migliorando.

Infatti, durante la convalescenza, Eric Sudduth migliorò sensibilmente. Betty riuscì persino a convincerlo che, dal momento che si trovava all’ospedale, tanto valeva che si lasciasse riparare anche i denti.

Devan era felice di riconoscere che la causa di questo mutamento andava ricercata in Betty, che aveva chiesto di occuparsi di persona di Sudduth avendo compreso che il vecchio aveva bisogno di un po’ di affetto. Così lo andava sempre a trovare, portandogli buone cose da mangiare. Ai primi di novembre, Sudduth stava già decisamente meglio e spesso trascorreva ore e ore nella veranda, sulla sedia a sdraio, con un buon sigaro in bocca, contento di parlare con tutti quelli che lo andavano a trovare.

Ma la seconda settimana di novembre, a detta di Betty, le cose cambiarono.

— Eric guarda di traverso la gente — raccontò Betty a Devan — di notte non dorme bene, me lo ha detto l’infermiera.

La terza settimana dichiarò che voleva tornare dalla sua gente. Betty pregò Devan di andare da lui e di parlargli.

Devan lo trovò seduto nella veranda con un’aria preoccupata.

— È il mio dovere — spiegò a Devan, dopo che questi gli ebbe parlato in proposito. — Dio vuole che torni dalla mia gente.

— Ma quella vita non fa per voi — rispose Devan. — Non siete ancora guarito completamente.

— Non sono mai stato così in gamba — disse Sudduth, percuotendosi il petto, il che però, con suo visibile imbarazzo, lo fece tossire. — Comunque, ho deciso di andarmene.

— Fuori sta venendo l’inverno e, per giunta, un inverno molto rigido. Siete sicuro di desiderare veramente di andarvene?

— Quello che io desidero non ha importanza. Devo fare il mio dovere. Questo è tutto. — Guardò fuori dalle finestre le foglie che cadevano e: — Dio mi darà la forza.

— Ne avrete bisogno.

— Domani parto. Fatelo sapere per favore ai dottori e alle infermiere.

Il giorno dopo Devan gli portò all’ospedale una scatola di sigari e gli disse che lo avrebbe accompagnato fino all’uscita della città.

Quando furono fuori dall’ospedale, un vento gelato li accolse e furono obbligati a stringere bene i mantelli addosso.

Giunti al cancello, Sudduth porse a Devan il suo mantello e Devan fu sbalordito di vedere che sotto era completamente nudo.

— Non fate lo sciocco! — gli urlò. — Morirete di freddo!

— Non voglio che la mia gente si lamenti di una simile ingiustizia!

Quindi si allontanò, grottesca figura con una scatola di sigari sotto il braccio, procedendo a piedi nudi sul terreno.

Devan sapeva che non si sarebbe allontanato di molto. Infatti dopo un po’ lo vide ritornare. Era paonazzo per il freddo.

— Non sono più abituato a camminare — disse — ritenterò un’altra volta.

Devan gli tese il mantello e insieme ritornarono all’ospedale, dove Devan si affrettò a fargli bere qualcosa.

Per un po’ l’uomo fu scosso dai brividi, poi sollevando un braccio: — La mia scatola, per favore — disse, indicando la scatola di sigari — ho bisogno di un sigaro.