125707.fb2 Pionieri dellinfinito - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

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PARTE TERZALa decisione

16

I tre bambini si rincorrevano in riva al mare, tra gli spruzzi d’acqua sollevati dai loro piedi nudi. La bambina stava davanti e i due maschietti dietro. Ridevano e correvano lasciando le loro impronte sulla spiaggia.

Infine, stanchi, si diressero verso il prato e vi si abbandonarono ansimando, senza però smettere di ridere.

— Ho corso troppo — disse Don. — Avresti dovuto lasciarti prendere, Sally, e non avresti dovuto farci correre in questo modo.

— Vorrei che Don e io si potesse volare — disse Ralph — allora sì che ti avremmo preso, non è vero, Don?

— Però non è entrata nell’acqua. Le ragazze non sanno nuotare bene.

— Ma io sì — ribatté Sally — potrei farvelo vedere subito.

— Non farti sorprendere da papà, Sally — disse Ralph.

— Certamente — disse Don — ne sono convinto.

— Donny Tooksberry e tu, Ralph, smettetela ora e vi racconterò una storia.

— Che razza di storia?

— Una che parla di cosa c’è là dietro? — e il braccio di Don indicava l’orizzonte.

— Voglio sentire qualcosa di nuovo. Sally. So già tutto dell’Ago e di quando papà incontrò mamma e come…

— Lascia che racconti…

— Non volevo parlarvi di questo — disse Sally.

— A ogni modo non è vero. È una fiaba.

Sally si volse verso Ralph e lo fissò. — Ralph, come osi dire queste cose? Sai benissimo che è vero! Vuoi che papà e mamma ci dicano bugie?

— Senti — disse Don — nemmeno io ci credo molto. Come fai a credere quello che dicono delle costruzioni?

— Ma mio padre è “ingegnere” — disse Sally — e per diventare ingegnere si studia anni e anni, dopo uno è capace di fare delle costruzioni come quella che papà fa ora o… o come quell’Ago che sta fabbricando.

— Ho sentito mamma raccontare a Sally tutte queste cose, Donny.

Don piegò le labbra: — Avete mai visto una costruzione come quella di cui parlano?

— Non è necessario — disse Sally. — E allora cosa dire delle automobili, della televisione, dei fonografi e dei gelati? Abbiamo solo visto alcuni quadri con queste cose, al museo d’arte.

— Io le ho imparate a scuola quelle cose lì.

— Hai anche imparato altre cose, Don?

— Stavo scherzando — Don sorrise.

Sally stava distesa sull’erba, e guardava lontano verso l’orizzonte. — Noi siamo venuti da là — disse.

— Cosa non darei per vedere un aeroplano — disse Don — uno piccolo piccolo, ma vero.

— Cosa ne diresti di uno a reazione? — chiese Ralph, emettendo un sibilo e muovendo le mani come se fossero aeroplani.

— Oh, un giorno o l’altro, anche noi avremo tutte queste cose — rispose Don.

— Quando torniamo?

— Torneremo, dice il mio papà — fece eco Ralph.

Tutti e tre guardarono la grande distesa d’acqua.

— Staremo sempre insieme, da qualunque parte si vada, vero? — chiese Don.

— Certo. Io voglio provare ad andare in aeroplano. Uno a reazione; forse riuscirò a volarci.

— Mi chiedo — disse Sally, tenendosi il mento tra le mani — come sarà “là”.

Don si alzò e mise le mani a visiera sugli occhi.

— Che fai? — gli chiese Sally.

— Guardo.

Anche Sally guardò, ma non vide niente.

— Là — disse Don, indicando un punto sull’acqua.

— Cos’è?

— Andiamo giù a vedere?

— No — urlò Ralph — non andiamo laggiù.

— Avanti, vieni — gli disse Don — ti terremo d’occhio noi.

Scesero verso la spiaggia e arrivarono in riva all’acqua, dove galleggiava una piccola cosa pelosa. Don si avvicinò e la sollevò dall’acqua.

— È un coniglio — disse Ralph.

— Già — disse Don.

— Un momento — Sally esaminò più attentamente la bestiola. — Non vedete niente di strano in questo coniglio?

Don guardò, poi disse: — Qualcuno gli deve aver tagliato la coda.

— Un buffo coniglio — disse Ralph — senza coda.

Gli azzurri occhi di Sally erano pieni di curiosità. — No, non è che gli abbiano tagliato la coda. Sembra che, invece della solita lunga coda dei conigli, questo qui abbia solo questa cosa rotonda in fondo.

— E come mai?

— Ma, non lo so.

— Be’, andiamocene a casa — disse Ralph. I tre si allontanarono dando un’ultima occhiata al coniglio.

— I bambini sono a casa? — chiese Devan, entrando. Quindi posò il foglio delle “Notizie” della Nuova Chicago su un tavolo e si avvicinò a Betty per darle un bacio. Si sedette poi nella sua poltrona e accese una sigaretta.

— Credevo che fossero loro che stavano rientrando — disse Betty, dando un’occhiata fuori dalla finestra. — Sono stati via quasi tutto il pomeriggio con Don Tooksberry, giù alla spiaggia. Che notizie ci sono?

Devan diede una rapida scorsa ai titoli del giornale e concluse: — Niente di sensazionale. Ho avuto molto da fare oggi.

— Allora la prova è per domani notte?

— Siamo pronti già adesso. Ci sono solo gli ultimi tocchi da dare.

Sul volto di Betty calò un’ombra di tristezza e di preoccupazione e si allontanò verso la cucina seguita con gli occhi da Devan. Lui sapeva che cosa stava pensando Betty.

— Ricordi l’ultima volta? — gridò lei dalla cucina.

Devan sospirò. Come avrebbe potuto dimenticarsi di quando Basher era entrato nell’Ago anche se erano passati dieci anni? E per associazione di idee si ricordò della signora Basher che non voleva credere che Basher fosse entrato nella macchina, e quindi era andata alla polizia. Aveva parlato a Basher di questo?

— Ma non succederà come l’ultima volta, vero Dev, quando la prova fallì?

— No certo, o almeno la persona che ci passerà dentro non andrà a finire nel lago.

— Ne sei sicuro, Dev?

— Ti ricordi il piccolo Ago che abbiamo costruito?

— Quello in cui potevi solo introdurre la tua mano?

— Proprio. Se avessimo potuto capire qualcosa da quello piccolo, ci saremmo accontentati di quello. E non ci saremmo messi in questo guaio, se pure si può chiamare guaio. — Devan spense la sigaretta e andò in cucina a versarsi qualcosa da bere, mentre Betty preparava il pranzo. — Anche qui, per cominciare, il dottor Costigan ne costruì un modello ridotto, dove poteva passarci un braccio, ma questa volta non ha funzionato.

— E perché?

— Non te l’avevo detto?

— Forse me ne sono dimenticata.

— Trovammo qualcosa di solido. E così la mano non poteva passare. Poi ci accorgemmo che dall’altra parte dell’Ago c’era il sottosuolo. Allora spostammo, un po’ per volta, l’Ago con tutta l’attrezzatura elettrica sulla collina. Ci volle un po’ di tempo, ma trovammo che, infilando una mano, si poteva sentire la terra. Questa volta quindi non ci sarà pericolo di finire in un lago, ma potremo passare dall’Ago e poi tornare indietro.

— Sei molto ottimista, tu, Dev — disse Betty.

— Cosa te lo fa pensare? — chiese Devan.

— Perché pur non essendo ancora passato nessuno nell’Ago, tu sei perfettamente convinto che tutto andrà per il meglio.

— Ci abbiamo lavorato dieci anni e, questa volta, il frutto delle nostre ricerche e della nostra esperienza non andrà perduto.

— Mi vuoi spiegare una cosa, allora? Devan finì di bere. — Che cosa?

— Come farai a sapere di essere a Chicago?

Devan arrossì leggermente e si agitò. Aveva toccato il punto dolente, si disse, ma non voleva lasciarle intuire un minimo di sfiducia da parte loro…

— La tua faccia mi dice che ho quasi colpito nel segno.

— Mi vergogno che mia moglie, unica tra tutti, non conosca i fatti essenziali. È dieci anni che mi occupo di questa faccenda e tu ti sei scordata come è stata risolta.

— Dimmelo, allora.

— Invertendo la polarità. Come per un motore elettrico. Se viene invertita la polarità, questa cammina al contrario. Così faremo per l’Ago. Ma non ti avevo già detto queste cose?

— Sì, Dev. Le avevo dimenticate. Ma questa volta voglio essere ben sicura di quello che stai dicendo.

— Perché sei così preoccupata tutto a un tratto?

— Tutto a un tratto? Questa idea non mi è venuta un momento fa, ma mi tormenta da molto tempo.

Non aveva mai visto Betty così. — Per amore del Cielo, cosa c’è?

— Ti assicuro, Dev, non c’è niente. Volevo solo dire che sono un po’ in pensiero per questo secondo Ago. Ora siamo noi a dover decidere di passarci, mentre la prima volta il passaggio avvenne senza la nostra volontà.

— Ma questa volta siamo ben preparati — disse Devan, ancora poco convinto di quelle spiegazioni — e non ci saranno Sudduthiti a provocare disastri.

— A meno che Eric non si riscuota.

— Non lo farà. Ha troppo da fare con la Bibbia.

Mentre attendevano i bambini per il pranzo, Betty mise il cibo nel forno e uscì con Devan davanti alla casa.

— Sai, Dev — disse Betty aspirando una boccata di fumo dalla sua sigaretta — i Sudduthiti non sono mica stati molto cattivi, in fondo.

— Curioso pensare che molte delle donne che si sono unite a loro fossero nel mio club. Chi avrebbe mai pensato che un giorno decidessero di andare a vivere in grotte, completamente nudi?

— Quando noi saremo tornati, tutte le cose ridiventeranno normali, vedrai.

Mentre se ne stavano fuori, seduti tranquillamente nella luce del tramonto, Devan rifletteva quale poca differenza ci fosse ormai tra questa loro città e qualunque parte di Chicago. Le voci amiche, le risa, le discussioni che sentiva intorno a sé, gli parlavano di gente tranquilla, serena, unita. E con una stretta al cuore pensò alle vecchie strade, ai vecchi volti, alle vecchie cose che lo aspettavano a Chicago. Ricordava le anonime case grigie, gli squallidi cortiletti interni che si intravedevano passando con il treno, la carta abbandonata sulla ghiaia del “Grant Park”, come la si trovava al lunedì mattina, e la gente che si spingeva, i negozi l’uno accanto all’altro, l’aria impregnata di fumo e gli sguardi estranei. Non desiderava tornare. E perché farlo, allora?

Questo suo improvviso pensiero fu subito allontanato. Doveva tornare perché tutti gli altri tornavano e lì non ci sarebbe rimasto nessuno. Sì, doveva tornare.

Vide i bambini che venivano verso casa e questo lo riempì di gioia, tanto li amava. Aveva più tempo per i bambini da questa parte dell’Ago, si disse.

— Papà — gridò Sally volandogli fra le braccia. — Donny dice che non si torna là. Dimmelo babbo, per favore.

— Ma certo, cara, ci si ritorna.

— E ci sono case molto grandi?

— Certo.

— E perché le fanno tanto grandi?

— Perché tutti ci possano lavorare dentro.

— Ma non potrebbero lavorare fuori?

— Vedi — Devan si schiarì la gola. Era un po’ difficile a dirsi. — Perché le hanno fatte così alte? Sally, c’è così tanta gente e tanto poco spazio, che se ognuno se ne stese fuori a lavorare, non ci sarebbe posto più per nessuno. Invece in questo modo ci sono uffici in palazzi che toccano il cielo e così, stando l’uno sopra l’altro, ecco che lo spazio non manca.

— E come vanno in cima?

— Ascensore. Tu lo conosci.

Ralph che gli stava accanto ai pantaloni chiese: — Quanta gente vive a Chicago?

— Milioni. Tre o quattro milioni, credo.

— MILIONI! — Sally era esterrefatta. — E lavorano tutti nelle case?

— Su, Sally — disse Betty — di sicuro hai imparato tutte queste cose a scuola, no?

— Be’, proprio queste no. Ho imparato l’esistenza degli aeroplani, delle automobili, degli indiani. A proposito, ci sono indiani?

— Vivono in gruppi separati.

— Bene, li andremo a trovare, papà.

— Vedrò un aereo a reazione? — chiese Ralph.

— Cos’è un grande magazzino, papà?

— Potreste chiedere a vostro padre cos’è un night-club, o qual è la sua posizione in borsa. E vi risponderebbe a tutto, sono sicura.

17

Devan procedeva sul selciato, svelto, energico, sentendo con piacere il sottile venticello notturno che proveniva dal lago. Vide la parte superiore dell’Ago II che emergeva dalla costruzione in legno e tra sé le disse: “Dieci anni della mia vita, dieci anni di cui non saprò il valore sin che non saprò se tu funzioni”.

Rise al pensiero che dapprincipio avevano creduto di poter ricostruire l’Ago in pochi anni, cinque al massimo.

L’impresa si era invece rivelata molto più difficile, sia per la ricerca delle materie prime, sia per l’arrovellato studio fatto intorno ad alcuni processi di cui non avevano le formule esatte e che nessuno ricordava alla Nuova Chicago.

A un certo punto era sembrato che l’Ago non avrebbe mai potuto diventare realtà e, ora che lo era, sorgeva una nuova pressante questione: avrebbero potuto tornare a Chicago? La risposta gli sarebbe stata data all’indomani notte.

— Quel dannato Ago! — Quante volte la gente aveva pronunciato queste parole in quei dieci anni! E questo perché l’Ago, a poco a poco, assorbiva tutte le nuove risorse della città, fili, tubazioni e altri accessori necessari alla costruzione della macchina, oltre alla mano d’opera del personale più specializzato, che aveva dovuto abbandonare il lavoro accanto a motori, refrigeratori, impianti ausiliari utili per la città, al fine di dedicarsi a questo mostro eternamente insoddisfatto.

C’erano altri problemi. Nel caso che si fosse riusciti ad arrivare a Chicago, quale sarebbe stata la reazione di quei cittadini nel trovarsi di fronte, sbucati da non si sa dove, uomini completamene nudi?

Immerso sempre nei suoi pensieri, salì i gradini di legno della costruzione che ospitava l’Ago II. Che differenza nell’illuminazione modesta di questo loro laboratorio con la dovizia di luce che regnava alla “Rasmussen Stove Company”!

Del resto tutto l’ambiente era nettamente inferiore e per qualità e per dimensioni. Tutto era stato sacrificato per dar vita alla macchina, che era essa pure un po’ in scala ridotta rispetto alla prima, ma non tanto piccola da non permettere il passaggio delle persone.

Il dottor Costigan lavorava intorno allo strumento toccando qua e là. — Ancora al lavoro? — gli chiese Devan, sedendosi in disparte a osservarlo mentre manovrava alcuni fili collegati a una delle cassettine, la cui funzione era importantissima agli effetti del funzionamento. Nonostante fossero passati tanti anni, Costigan non aveva rivelato il segreto di quelle parti che lui stesso, come l’altra volta, aveva eseguito.

— Ho sistemato tutti i circuiti. Sono a posto, tranne un collegamento da completare.

Costigan era rimasto quello di dieci anni prima, si disse Devan, forse solo un pochino più pesante, ma per il resto assolutamente uguale.

— Pensate che si potrebbe provarlo stanotte?

Il dottore si girò lentamente. — Certamente. Il collaudo generale è per domani notte, però. Ma se credete, possiamo fare una prova di controllo.

— Ma abbiamo fatto già tanti di quei controlli. Con l’Ago piccolo, voglio dire. E già sappiamo che dall’altra parte non fa più caldo né più freddo di così e che la superficie è dura e cede solo leggermente.

— Lo so. Ma può darsi che si tratti del tappeto di qualche stanza di soggiorno o dell’asfalto di una strada. Ò un cortile in cui dei ragazzini giochino a baseball. Lo vedremo comunque domani definitivamente.

— Potremmo vederlo stasera.

— E chi si offrirebbe per la prova? Chi entrerebbe? — Il dottore si volse subito verso Devan.

— Io potrei farlo.

— Voi? — Il dottore rimase a bocca aperta. — Oh, non voi, Devan!

Devan rise. — So quello che pensate. Ma ci ho riflettuto bene. — Fissò l’Ago illuminato da tutti e due i lati, molto più piccolo del primo, ma con aspetto altrettanto efficiente. — Per lo meno non ci si cadrà dentro. La gente dovrà fare una certa fatica per entrarci.

— Anch’io ci ho pensato — disse il dottore brevemente. — Non lo volevo dire ma vedete, questa volta non abbiamo fatto nemmeno la prova con il coniglio. Solo con le nostre mani. E io ho ormai troppe capsule in bocca per provare a infilarci la testa.

Devan accese una sigaretta e si avvicinò al dottore. — Mi domando se ci porterà a Chicago. E se non fosse Chicago, ma qualche altro luogo simile a questo? O magari diverso?

— È possibile — disse il dottore. — Non voglio negarlo.

— Ma non ci pensate?

Devan quasi gli stritolò il braccio nell’angoscia di questo interrogativo.

Il dottore glielo fece notare e poi aggiunse che avrebbe acceso un momento la macchina per dare una guardatina.

Il cuore di Devan batteva all’impazzata. Stava combattendo una lotta interna, diviso tra il desiderio e il dubbio di fare una scoperta che facesse crollare tutti i loro calcoli di tanti anni.

— Mettete in marcia la macchina — disse infine — daremo un’occhiata.

Il dottore fece di no col capo. — Le vostre capsule. Le perderete tutte di nuovo.

— Non ha importanza — disse Devan — la prova generale è comunque domani e perderle oggi o domani è la stessa cosa.

— Visto che siete deciso, sarete prudente, vero? — gli chiese il dottore, attenuando il consiglio con un sorriso.

Mezz’ora dopo, il dottor Costigan premette il pulsante principale che dava luce ai tubi e li metteva in moto. Con Devan controllò importanti parti con un voltametro e prese alcune annotazioni.

Devan infilò la sua mano nell’Ago e con soddisfazione notò che spariva. — Funziona magnificamente.

— Siete sempre sicuro di volerlo, Dev? — chiese Costigan con la voce resa acuta dalla preoccupazione. — Cosa accadrà se non tornerete?

— Tornerò. — Spinse la sua mano nella parte inferiore dell’Ago e sentì la dura superficie poco al di sotto dell’apertura. Poi si sedette sul bordo dell’Ago e il suo piede vi sparì. Sentì sotto della terra. Guardò il dottore e lo salutò.

— Buona fortuna — gli disse Costigan.

Devan scivolò dentro.

Vide grosse nuvole che si accalcavano nel cielo in un mondo di pietra e di erba. Sopra la luna, alta e lucente, la cui luce faceva risaltare colline rocciose e cespugli uno dietro l’altro.

Non faceva freddo, ma Devan rabbrividiva all’aria che pareva sospingerlo un poco.

“Questa non è Chicago”.

Aveva cercato di essere preparato all’eventualità, ma ciononostante la scoperta lo annientò: “Non è Chicago”.

Non c’era segno di vita all’intorno.

Si chinò e toccò la roccia. Era dura, ma non tanto da non cedere un pochino. Non si fidò di allontanarsi da lì per non perdere di vista l’Occhio nel quale avrebbe potuto infilarsi in fretta, qualora fosse successo qualcosa.

Gridò. La sua voce fu portata via dal vento e nessuno gli rispose. Nulla si muoveva; solo il vento che agitava un poco l’erba. Non era alcun luogo che lui conoscesse.

Dieci anni di lavoro perduto. Ora si sarebbe dovuto cercare di correggere o di rifare tutto. Guardò ancora per un momento il luogo deserto, poi retrocesse. Il dottor Costigan era là, in attesa. La stanza illuminata gli parve, per contrasto, allegra.

— Ebbene? — Gli occhi del dottore erano ansiosi.

— Non è Chicago — Devan disse. — Solo una landa deserta e sassosa. Credo che non ci sia nulla. Almeno da quanto ho potuto vedere.

Il dottore lo guardò a lungo, prima di fermare la macchina. — Raccogliete le vostre capsule.

Devan si curvò e nello stesso tempo sentì le cavità nei denti toccandole con la lingua. Quando le ebbe raccolte, il dottore gli porse un bicchiere.

— Beviamo — disse il dottore. — Beviamo per commemorare ciò che voi probabilmente considerate dieci anni di lavoro sprecati.

— Non dico nulla — rispose Devan, lasciando che il dottore gli riempisse di vino il bicchiere. — Abbiamo l’Ago per fare altre prove. Possiamo trovare qualche altra via.

Il dottore scosse il capo con gravità. — Non ci sono altre vie.

Devan lo guardò acutamente. — Nessun altro mezzo? Cosa volete dire?

— Esattamente ciò che ho detto. Non possiamo farci niente.

— Possiamo invertire la polarità e vedere cosa succede. È già una cosa.

— Ma non potrà servire a niente.

— E perché?

— Lo feci con il primo Ago — disse Costigan, guardando nel suo bicchiere semivuoto. — Per caso cambiai la polarità e ciò non portò a nessun cambiamento. Infatti Basher ci entrò quando essa era in un senso, e il poliziotto quando era nell’altro. E tutti e due finirono qui.

Devan sentì di aver bisogno di un altro bicchiere, e si versò ancora da bere. Il dottore lo imitò.

— No, Devan, credo che non torneremo più a Chicago. Potremmo ora andare in un altro universo e poi in un altro ancora, sempre diverso, passando dall’Ago, e quindi siamo fortunati di esserci stabiliti qui.

— Penso — disse Devan — che se, come voi dite, noi ci mettessimo a peregrinare da un universo all’altro, alla fine troveremo quello da cui proveniamo.

— È solo una supposizione. E poi dovremmo passare attraverso un numero infinito di questi universi.

Devan finì di bere e osservò: — E poi non potreste mai più fabbricare un altro Ago dall’altra parte. A meno di farlo di rocce e d’erba.

— Sono solo un vecchio scienziato — rispose pensosamente Costigan. — Quando venimmo qui, avevamo tutti terribilmente bisogno di un motivo che ci tenesse uniti. E Orcutt ci diede il tesoro e la sua organizzazione. E io diedi la speranza del ritorno con questa macchina. Era semplice dire “inverti la polarità e il resto verrà da sé”. Ma in realtà nemmeno allora io ero sicuro che saremmo riusciti a tornare.

— Maledizione!

— Berrò ancora, non posso farne ameno — disse il dottore. — Il pensiero che mi ha perseguitato per dieci anni, e che non ho mai confidato a nessuno, si è purtroppo avverato e davanti a questa rivelazione è necessario un po’ di conforto, e dove lo trovo, se non nell’alcool?

18

— Deve essere presto — disse Sam Otto, chiudendo la porta dietro di sé e Basher. — Dove sono gli altri?

— Staranno arrivando — disse Devan, porgendo loro sedili improvvisati.

— Di sicuro non vorranno perdersi la prova — disse Sam. Poi con tono ironico: — Ma l’essere arrivato in anticipo mi dà modo di presentarvi, signor Basher, l’uomo che si offrirà come volontario per passare nell’Ago stanotte.

— Vattene all’inferno — disse Basher. — Mi è bastato fare il volontario una volta, è stato veramente abbastanza, ti giuro. Stavolta voglio solo assistere.

Intanto arrivavano gli altri. Orcut, Tooksberry, un po’ invecchiato, ma col volto molto più disteso di una volta; Holcombe che era più o meno lo stesso e un giovane in cui Devan riconobbe Johnny Selden, un operano della fonderia. Aveva circa sedici anni.

— Se non fosse per la presenza di Johnny, potremmo benissimo credere di essere ritornati a dieci anni fa.

— Speriamo che non finisca nello stesso modo — disse Basher.

Devan si toccò le otturazioni provvisorie di cera, ricordandosi cosa c’era dall’altra parte dell’Ago e sperando nello stesso tempo che i cinque uomini non rimanessero troppo sconcertati scoprendo che la macchina non li avrebbe, come credevano, riportati a Chicago.

Aveva esaminato il problema per ogni verso, ma la risposta era sempre la stessa: non poteva dir loro nulla Sino a che non fossero entrati e avessero constatato di persona.

— Cosa c’è Devan?

Devan sussultò nel sentirsi chiamare.

— Avete un’aria così assente e triste — gli stava dicendo Orcutt. — Coraggio! È la grande notte. Ce ne torniamo tutti a Chicago. Allegro. Avete una tale aria da funerale!

— Dovremmo fare un brindisi — disse Otto, guardando il dottore. — Avrete certamente la materia prima.

— Infatti — commentò asciutto Costigan.

— È il pensiero di tornare dopo dieci anni che mi rende nervoso — disse Devan.

— Sono molti dieci anni — Orcutt si alzò e pose il suo braccio intorno alle spalle di Devan. — Tutti noi della Nuova Chicago dovremo molto a voi e al dottore se l’Ago funzionerà o no. Se comunque riusciremo a ritornare a Chicago e alla civiltà, tanto maggiore sarà la nostra riconoscenza per voi che ce lo avrete permesso, l’uno col ricordarsi tante cose che noi avevamo dimenticato, e Costigan col suo duro lavoro anche materiale.

— Tutti ci hanno lavorato — precisarono Devan e Costigan — tutti ci hanno messo mano.

— Comunque, ciò è servito a tenerci uniti — disse Orcutt. — È tutto a posto?

— Sono pronto — disse Costigan — ma chi vuole entrarci?

Orcutt pose una mano sul capo di Johnny Selden. — Ecco, dottore. Il ragazzo arrossì.

— Ma non potete mandare un ragazzo!

— Non ha capsule da perdere!

— Cosa pensano i suoi genitori, Ed? — domandò Devan.

— Gli hanno lasciato completa libertà di decisione e lui ha confermato che ci vuole andare. Non ha che un vago ricordo di Chicago. Comunque non entrerà completamente; solo con la testa. Sei pronto, marmocchio?

Orcutt accompagnò il ragazzo all’Ago, mentre Costigan mise in marcia la macchina.

— Infilati dentro solo fino alle spalle, Johnny — disse Orcutt — noi ti terremo fermo. E lascia la tua mano da questa parte, per poterti aiutare a uscire in caso di pericolo.

Il ragazzo si inumidì le labbra. Inghiottì un paio di volte, e quindi si distese sul pavimento rivolto verso l’Ago, al quale si avvicinò a poco a poco, mentre Orcutt e Holcombe gli tenevano una gamba e Johnson e Basher l’altra.

— Buona fortuna — disse Sam Otto.

Il capo del ragazzo sparì a poco a poco, prima i capelli, poi le orecchie, fino alle spalle. Dapprima le sue mani furono rigide e sudate, poi sembrò rilassarsi e tutti, che lo osservavano con ansia, videro che si girava prima in un senso, poi nell’altro.

— Ma quando uscirà, per amor del cielo? — chiese Holcombe.

— È appena entrato — gli ricordò Costigan.

Devan poteva immaginare cosa il ragazzo stesse vedendo. Un cielo nuvoloso, la luna, il vento, pietre ed erba, a meno che il tempo, se pure tempo era, non fosse nel frattempo cambiato. Poteva piovere, o essere solo buio, senza vento e col cielo pulito, oppure la notte era luminosa, immobile con una grossa luna e i segni di una giornata calda…

Il ragazzo finalmente uscì, aiutandosi con le mani, poi si sedette e rimase con gli occhi chiusi, come stremato. Gli uomini gli si fecero intorno curiosi, ma pazienti. Costigan spense la macchina. I nervi di Devan erano tesi, in attesa della rivelazione e dei suoi effetti.

— Ebbene? — disse Sam Otto che non riuscì a controllarsi più a lungo.

— Non so — disse il ragazzo.

— Cos’è che non sai, figlio?

— Non so cosa ho visto.

— Be’, cerca di descrivercelo come puoi.

— C’era buio…

Sam mugolò.

— …e umido.

— Così non è Chicago — disse Tooksberry.

— Ma potrebbe benissimo essere Chicago. Ci sono parti scure e umide anche là. Dipende dai posti.

— Lasciate parlare il ragazzo — disse Sam — non ha potuto dire altro che faceva freddo e buio.

— C’è un odore diverso — disse Johnny. — Ma c’era solo buio e non sono riuscito a vedere niente in giro.

E Devan pensava: “Potrei dirti io dove eri, piccolo”.

— Una fogna — disse Orcutt — potrebbe essere una fogna. Che ridere se fosse così!

— C’è odore cattivo?

— Non buono.

Devan non si ricordava dell’odore. Non ne era stato colpito particolarmente.

— Può darsi che fosse una cantina.

— Non c’era aria là dentro.

— Al diavolo — disse Orcutt. — Vado a dare un’occhiata e vuol dire che il dottor Van Ness mi sistemerà i denti. — Johnny a questo punto gli lanciò un’occhiata mortificata e Orcutt cercò di rimediare: — Oh, non è che io non mi fidi di quello che tu dici, mio caro. È solo perché tu non hai mai visto una città e può darsi che non ne distingui bene i suoi aspetti, di modo che ti è difficile interpretare quello che hai visto.

— Ma io non ho visto niente — protestò il ragazzo.

“Devo parlare?” si chiese Devan. Ma prima che potesse aprir bocca, Tooksberry disse: — Che senso c’è a infilarci la testa, uno dopo l’altro, se si sa che non c’è niente da vedere! — Si tolse gli occhiali e li pulì. — Il ragazzo ha buoni occhi!

— Potrebbe essere Chicago durante un oscuramento — disse Sam.

— Un’altra guerra, Sam? Oh, no!

— Quello che voglio dire — disse Tooksberry — è che qualcuno deve entrarci e vedere se è Chicago o no.

“Ci siamo di nuovo. Avrei dovuto parlare” pensò Devan.

Basher scherzò. — Mi volete indicare qual è la via per uscire?

— Scherza pure Glenn — disse Orcutt — ma Howard ha ragione. Si deve fare così.

— Tutti ci stiamo chiedendo chi entrerà nell’Ago questa volta — disse Tooksberry guardandosi in giro.

— Il ragazzino qui — disse Orcutt — è l’unico senza capsule in bocca. Ma non possiamo far fare a un ragazzino ciò che deve essere fatto da un uomo.

— E poi abbiamo promesso ai suoi di non farlo entrare completamente — soggiunse Holcombe.

Devan si decise finalmente a farsi avanti per dire qualcosa che li facesse smettere, ma l’espressione che vide sul volto di Tooksberry lo fermò. Aveva un’aria molto divertita.

— Signori, osservate per piacere — disse e si tolse le due parti che componevano la dentiera, la superiore e l’inferiore.

— Ma non potete entrare voi, Howard — disse Orcutt.

— E perché no? Se è Chicago, state sicuri che parlerò. E me ne tornerò molto in fretta.

— Ma se non è Chicago… se non tornate…

— Avanti, dottore — continuò Tooksberry a Costigan — sono pronto.

Il dottore lo guardò e alla fine si decise, dopo aver scambiato uno sguardo con Devan, ad accendere lo strumento.

Tooksberry si avvicinò e, prima di entrare, si tolse gli occhiali. — Li uso solo quando leggo — disse — sarò capace di vedere anche senza.

Un momento dopo, provocando un leggero rumore, entrò lasciando dietro di sé i suoi abiti.

— Spero e prego che torni — disse Basher.

— Andrà tutto bene — rispose Orcutt.

— Howard è veramente cambiato — osservò Holcombe — prima era sempre intrattabile.

Orcutt, che si stava accendendo la pipa commentò: — Il merito è di Beatrice Treat.

Era giustissimo. Non c’era, nel campo, coppia più felice di Beatrice e Howard. Tutto il cinismo e l’amaro di Tooksberry erano spariti, a poco a poco, dopo il matrimonio e il grosso lavoro di formazione della Costituzione che era stata adottata, con formula piena, dai cittadini della Nuova Chicago.

La conversazione languì, erano tutti silenziosi e preoccupati, con gli occhi fissi sull’Ago. Devan non poteva immaginare che cosa Tooksberry stesse facendo su quelle rocce desolate e immaginava che stesse cercando disperatamente la via per tornare.

Dopo quindici minuti, quindici minuti che furono una lenta agonia per tutti, si vide finalmente apparire una testa nell’Ago.

— Congratulazioni — disse Tooksberry emergendo.

Quindi raccolse i suoi abiti sparsi.

— È Chicago?

— Cosa hai visto?

— Avanti, Howard, non tenerci in ansia!

Non avrebbe parlato prima di essere completamente vestito. Infine, dopo essersi sistemato gli occhiali, si guardò in giro e sorrise. Era di scena e nessuno lo volle ostacolare nell’interpretazione del ruolo di cui si sentiva interprete eccezionale.

— Era Chicago!

“Chicago!”

Devan era allibito.

Gli altri si affollarono intorno a Tooksberry chiedendo precisazioni.

“Impossibile!” si disse Devan. Lui pure era entrato nell’Ago e non aveva visto che deserto e roccia. Forse che Tooksberry mentisse? Comunque, fin che gli altri rumoreggiarono, tacque.

Quando si ristabilì il silenzio, parlò: — Era Chicago. Non appena entrato nell’Ago, ho visto ciò che Johnny aveva descritto. Buio e freddo. Me ne sono rimasto là un po’, cercando di capire dove fossi capitato, tastando il terreno sotto di me. Conclusi infine che si trattava di terreno argilloso, ammollato dalla pioggia.

“Mi sono seduto per un po’, poi mi sono alzato. Sentivo un’arietta leggera. I miei occhi si sono abituati un poco al luogo in cui mi trovavo, riuscivo a percepire i leggeri rumori che sentivo intorno a me, rumori che mi facevano temere che prima o poi uno dei topolini palesemente presenti mi venisse a passeggiare sui piedi. Così mi sono allontanato di pochi passi e scorsi alla mia destra un ingresso. Ho compiuto sette passi e mezzo, sino a raggiungere il centro di questa entrata. Dopo di che ho tirato un sospiro di sollievo, dal momento che potevo tornare nell’Ago (questa volta!) se solo lo desideravo. Tutto quello che mi proponevo di fare era di fissare la porta che mi stava davanti come punto di riferimento.

“Dall’altra parte, c’era più luce. Al livello del mio occhio ho visto alcune finestre senza vetri. Ho pensato che si trattasse di uno stabile abbandonato, perché da una delle finestre potevo vedere le stelle e, dalle altre, i muri delle case vicine.

“Dall’altra parte dello scantinato c’era una scala che ho percorso, camminando su un alto strato di rifiuti e carta straccia. Saliti i gradini cigolanti, mi son trovato in uno spiazzo deserto dietro la costruzione, e da qui, attraverso il passaggio tra due case, sono giunto nella strada, di fronte al luogo da cui ero uscito.

“Non ho visto nessuno e sono proprio sicuro che nessuno mi ha visto perché, se fosse successo, avrebbero certamente chiamato qualcuno, conciato come ero, nudo come un verme.

“Ma fuori di lì, era tutto diverso. Le macchine schizzavano via, tanto in fretta quanto me ne ero dimenticato. E avevo anche dimenticato cosa possono fare dieci anni di progresso. E stando lì, in ombra, vidi la gente che passava, e alla luce dei fanali vedevo le loro facce, facce preoccupate, nervose e tese, per nulla simili a noi. E pallidi. Camminavano tutti molto in fretta, o almeno così mi parve.

“Rischiando per un momento di farmi vedere, mi sono piegato in avanti e ho raccolto una pagina. Era del ‘Chicago Tribune’. Il foglio degli annunci economici. Portandomi alla luce ne ho letto qualcuno. Le solite vecchie cose. Molto richieste le lavatrici, tale e quale come un tempo, come se quel tempo fosse ieri, solo che la data era quella di questa mattina.

“Sapevo che dovevo tornare, ma prima sono corso fuori sul marciapiede e ho dato un’occhiata verso il Loop. Si vedevano riverberi rossi in cielo: le luci al neon. Era Chicago, senz’altro. Poi le macchine cominciarono a rallentare, ho sentito gente che urlava e ho capito che ero stato scorto. Mi sono precipitato in salvo, dopo aver evitato una banda di ragazzini, che mi si è parata davanti all’improvviso”.

Tooksberry tacque e sorrise. — Inutile che vi spieghi come. Semplicemente mi son lasciato scivolare in una delle finestre dello scantinato, ho trovato la porta e mi son ficcato qui dentro, come vedete.

Devan non poteva credere a quanto aveva udito e vide la stessa espressione di dubbio anche in Costigan.

Tutti se ne stettero zitti per un po’. Poi Orcutt chiese: — È tutto quello che avete visto, Howard? Proprio tutto?

— Sì — rispose.

— E com’erano le macchine? — chiese Basher.

— Be’, non facevano il solito rumore che noi conoscevamo. E mi parvero più basse, più slanciate e più veloci.

— Insomma — disse Sam Otto — quello che ci resta da fare ora è di mettere in marcia l’Ago e farci passare tutti.

— È tutto sistemato — intervenne Orcutt, osservando con attenzione Tooksberry. — Il Consiglio ha già stabilito il da farsi in questo caso. Domattina alle dieci i cittadini della Nuova Chicago si riuniranno tutti qui. Nel frattempo, provvederemo a stabilire un ordine di precedenza e a far sì che i componenti di una stessa famiglia possano passare uno dietro l’altro.

— Datemi da bere — disse Costigan. — Per combinazione, ho qui un numero sufficiente di bicchieri per tutti.

— E qualche cosa da metterci dentro? — chiese Sam Otto.

— È proprio il momento di bere per festeggiare — disse Basher.

— Come faremo ad avvisare la gente, Orcutt? — chiese Holcombe.

— Ne è incaricato Johnson che passerà con i suoi uomini da tutte le case, spiegando a ognuno il da farsi.

Venne fatto girare il vino e per un po’ tutti rimasero zitti. Avrebbero forse dovuto essere allegri e spensierati, ma invece si rendevano conto della gravità della situazione.

— Sarà diverso — disse Otto — tornare a Chicago. Mi chiedo se i miei amici avranno sentito la mia mancanza.

— Sembrerà molto strano, non vi pare?

— Abbiamo passato bei momenti, qui — disse Tooksberry. — Solo qui ho trovato la felicità.

— Posso andare a raccontarlo ai miei? — chiese il ragazzo che sino a quel momento era stato zitto.

— Va’ pure — gli disse — a raccontarlo — e lui corse fuori.

Poi Tooksberry, sbadigliando, manifestò il desiderio di andare a dormire.

— Domani è una gran giornata — disse.

— Verrò subito anch’io — soggiunse Orcutt.

— Vi posso parlare? — chiese Devan a Tooksberry lasciando Orcutt e il dottore. Tooksberry annuì e uscirono nell’aria fresca della notte.

— Vi devo dire qualcosa, Howard.

— Che c’è? — Tooksberry lo fissò di traverso.

— Sono entrato nell’Ago la scorsa notte.

— Davvero?

— E non vidi altro che roccia, roccia desolata fin dove l’occhio poteva spaziare. E l’unica cosa viva che vidi fu l’erba.

— Visione deprimente.

— Non avete visto la stessa cosa?

— Non dirò a nessuno che siete entrato nell’Ago, Dev.

— Perché avete detto loro che è Chicago?

— E perché voi non avete detto che non lo era, Dev?

— Avete visto la stessa cosa che ho visto io, allora?

— È Chicago — disse Tooksberry. — Deve essere Chicago, dovete crederci, Dev.

19

Uno degli uomini di Johnson svegliò Devan al mattino, con un energico colpo alla porta per ricordare che la riunione era alle dieci nel laboratorio di Costigan.

— Scusate, signore — disse, quando Devan fu di fronte a lui, in pigiama. — Dobbiamo chiamare tutti. Voi capite.

— Naturalmente.

— Avete avvisato la signora Traylor?

— Non ancora. — Poi, vedendo che il poliziotto stava sempre lì: — Ma lo farò — aggiunse.

Quando Devan era tornato a casa la sera prima, era ben deciso a parlare. Ma più ci pensava, domandandosi che cosa volessero significare le parole di Tooksberry e il suo comportamento così strano, più si convinceva che doveva star zitto. Se il campo avesse saputo che non si poteva tornare a Chicago, sarebbe successo uno scompiglio generale. Ma non sarebbe stato peggio radunare là tutta la gente e poi annunciare che non si poteva tornare?

Sperò che Tooksberry sapesse quello che faceva e, pur ritenendo che il suo comportamento fosse per lo meno strano, tuttavia si guardò bene dal dire a Betty che la sperata via per ritornare non esisteva.

Mentre preparava la colazione, Betty era pallida e Devan pensò che anche il suo viso dovesse essere uguale. Una cosa sapeva: la sua mente era troppo ossessionata dal pensiero dell’Ago, della gente, di Tooksberry e se dire o no la verità a Betty. Il risultato fu che la colazione gli rimase sullo stomaco.

Quando fu pronto per scendere al laboratorio, Devan disse, come per caso: — Devo andare ora. Mi raggiungi là?

Betty lo accompagnò alla porta. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Lui la baciò leggermente, Betty gli buttò le braccia al collo.

— Devan.

— Che cosa c’è?

— Devan. — Non lo voleva lasciar andare. — Siamo stati molto felici insieme in tutti questi anni.

Il suo cuore ebbe uno spasimo di tenerezza che gli salì in una sensazione confusa alla testa, lasciandolo come stordito.

— Lo so — riuscì a dire.

— E, Devan — le sue braccia lo cingevano ancora, le sue labbra stavano appoggiate al suo orecchio — non cessiamo di essere felici. Restiamo qui. Non voglio tornare. E tu?

La strinse forte, con gioia.

— Io non voglio tornare, Betty. — Era meraviglioso scoprire così semplicemente la verità che si era nascosto per tanto tempo. — Non ho mai realmente desiderato di tornare.

Betty lo prese sottobraccio e lo guardò con espressione radiosa. — Anche se rimarremo soltanto in quattro: tu, io e i bambini.

— Staremo sempre insieme — disse Devan — qui.

Il mattino era fresco e splendeva un sole luminoso. Il lago era quasi un completamento del cielo. Riverberi di luce danzavano sulle onde che si infrangevano a riva.

Se non ci fossero state cose tanto importanti in aria, certamente qualcuno vi si sarebbe tuffato. I bambini che di solito giocavano sulla riva non c’erano. L’intera popolazione della Nuova Chicago si era data convegno al laboratorio dell’Ago.

La gente arrivava a gruppi, alcune persone isolate e nessuno aveva portato le proprie cose con sé, ben sapendo che dall’Ago non poteva passare nulla. Orcutt era là davanti a un grosso recipiente, una specie di bacheca, nel quale erano ammassate striscioline di carta con dei numeri. Devan aiutava Johnson nell’elenco dei nomi, che erano cinquecentotrentuno, compreso quello dell’ultimo nato, che aveva visto la luce quella mattina stessa.

Johnson disse che i suoi uomini erano stati in tutte le case e che mancava poca gente: qualcuno che stava a caccia nei dintorni e altri due che erano partiti per un mese in giro di esplorazione.

Gli uomini ora parlavano e facevano domande.

Come avrebbero potuto passare nell’Ago i degenti dell’ospedale? Orcutt spiegò che sarebbero passati in un secondo tempo e che, pertanto, bisognava che qualcuno si fermasse ad attenderli. In quanto a quelli fuori in esplorazione si sarebbe fatto qualcosa.

Ma Devan non stava pensando ai vari problemi sollevati in quel momento. Pensava a quello che Betty gli aveva detto e il suo cuore esultava constatando che Betty, che pur non sapeva che a Chicago non si sarebbe tornati mai, desiderava comunque restare lì. Ciò gli dava una sensazione di libertà e di distacco da tutto il resto, come non provava da anni. Fu allora che si rese conto che l’Ago, nel caso suo e di Betty, non era stato altro che un benevolo strumento di felicità.

Per delle ragioni assolutamente imponderabili, che nemmeno quelli che provano questi sentimenti riescono a spiegare, Devan sentì che Betty era lì, in mezzo alla gente e, volgendosi, la vide.

Si sorrisero.

La sua felicità di rimanere fu solo offuscata dal pensiero che tutti coloro che stavano lì in attesa, fossero convinti di poter tornare a Chicago. Cosa sarebbe accaduto quando avrebbero scoperto che a Chicago non si poteva mai più tornare?

Devan alzò gli occhi e vide Costigan al suo fianco. — Circa Tooksberry… — cominciò il dottore sottovoce.

Devan sorrise e disse: — Più tardi, dottore.

— Signore e signori di Chicago — Orcutt stava in piedi su un tavolo — e bambini. — Qualcuno rise. Orcutt appariva come al solito sicuro di sé. e come sempre padrone della folla. Ma cosa sarebbe stato della sua personalità magnetica, quando lui pure avrebbe scoperto che stava dicendo menzogne?

— Finalmente è arrivato il giorno da noi tanto atteso. Per la costruzione di questa macchina abbiamo dovuto fare a meno di tante cose e Devan Traylor, qui, e il dottor Costigan, avanti dottore, fatevi vedere, non hanno perso tempo (non parlo di spese perché qui non abbiamo denaro), per condurre a termine i preparativi. La notte scorsa i vostri rappresentanti si sono riuniti qui, nella costruzione dell’Ago, e Howard Tooksberry, qualcuno ha visto Howard?, è entrato nell’Ago ed è riuscito a trascorrere qualche momento a Chicago. Non ha potuto dare dettagli molto ampi perché era notte, ma assicura che si tratta di Chicago. Anzi, per provarlo, lesse un pezzettino del “Chicago Tribune”, che naturalmente non poté portare con sé.

“Qualche tempo fa, il Consiglio, sapendo che la macchina era quasi finita, studiò il problema del passaggio e della precedenza da assegnare nell’entrarvi. Penso che siate tutti d’accordo nel considerare che è praticamente impossibile entrare tutti insieme. Per cui abbiamo scritto tanti bigliettini, numerati da 1 a 250, con l’idea che la persona cui verrà assegnato il numero, passi, naturalmente in ordine progressivo rispetto agli altri, nell’Ago, solo o con l’intera famiglia per chi ne ha una. Ora potete venire qui tutti in fila a prendere il vostro numero. Ci sono domande?

Si alzò una mano: era Gus Nelson.

— Sì, Gus.

— Signor Orcutt — disse — la persona che ha il numero uno entra subito nell’Ago o aspetta che gli altri abbiano i loro numeri?

— Deve aspettare, Gus — gli rispose Orcutt. — Cominceremo a sfilare non appena ognuno avrà il suo numero e si sarà stabilito un ordine. Altre domande?

Un uomo nella folla desiderò sapere com’era la Chicago che Tooksberry aveva visto.

— Howard dice che è la stessa che conobbe allora.

— È quello che temevo — disse l’uomo.

La gente rise.

— Benissimo — disse Orcutt — siamo tutti pronti? Venite tutti con ordine a prendere i vostri numeri.

“Ormai” pensò Devan “non potrà succedere altro che tutti verranno a prendersi i loro numeri e scopriranno che al di là dell’Ago non c’è nessuna Chicago”.

Orcutt tolse dalla bacheca il primo numero. Nessuno si mosse.

La gente stessa era stupita.

Orcutt tornò al tavolo. — Non mi avete sentito? Non volete prendere i biglietti e poi entrare nell’Ago? È per tornare a Chicago.

Ora la gente sorrideva e alcuni ridevano.

— Gus! — disse Orcutt. — Gus Nelson. Prima hai chiesto se si può entrare nell’Ago subito. Non vuoi il tuo bigliettino?

Nelson scosse il capo. — No, signor Orcutt. Domandavo solo per curiosità che cosa potesse succedere alla persona che aveva il “numero uno”. Sapevo che io non avrei preso né quello né nessun altro numero, dal momento che non mi allontanerò da qui.

— Tu stai qui? E perché?

— Ho il mio lavoro. Lavorare l’acciaio è importante, tanto più che sto studiando un nuovo tipo di acciaio carbonioso. Non posso proprio abbandonarlo.

Poi sorrise timidamente: — Inoltre c’è un’altra ragione: una donna. Abbiamo parlato a lungo di ciò e abbiamo deciso che resteremo qui.

Mormorii passarono tra la folla.

Poi ci fu un lungo applauso che aumentò sino a che tutti vi si unirono. Quindi si calmò.

— Vi posso dire perché non vogliamo tornare?

La voce che si alzò era quella del dottor Van Ness. Tutti si volsero dalla sua parte.

— Se torno a Chicago sarò finito, senza più lavoro. Sono troppo vecchio. Ho passato i sessantacinque e la gente già allora mi diceva: “Perché non ti ritiri e lasci il posto a qualche nuovo elemento?”. Persino i colleghi me lo dicevano. Così lo feci. Mi ritirai e la vita divenne allora per me triste e senza scopo. E ora, qui, ho trovato una nuova ragione di vivere. Ho lavorato molto, ho curato i denti di tutti, e ne sono orgoglioso. Anzi mi spiace proprio che tutte le otturazioni vadano perdute nel passaggio dall’Ago.

“Inoltre ho tre assistenti giovani che fanno un buon lavoro. Spero che restino qui. Cureremo i denti di quelli che si fermeranno. E, come per il passato, ciò non costerà nulla”.

— Se pensate che torni alla lurida Chicago — disse la signora Petrie — vi sbagliate. Tutto quello che facevo là era di lavorare a maglia, sentire la radio e partecipare a riunioni di dirigenti. Lo sapete, Orcutt, non mi accadde mai nulla di interessante prima di entrare nell’Ago, e per me questa è stata un’esperienza meravigliosa: lavorare al telaio la stoffa di cui sono fatti tutti i vostri abiti. Ora ho iniziato un nuovo tipo di tessuto e non posso proprio abbandonarlo, e ne ho altri in mente. Quelli che pensano che pianti qui tutto per tornare ai ferri da calza e alla radio sono matti.

Ci fu un applauso interminabile.

Devan era molto commosso. Salì sul tavolo e cercò Betty con gli occhi. Lei lo vide e si salutarono felici.

Quindi un uomo si alzò, tendendo le braccia per chiedere silenzio.

— Molti di voi mi conoscono. Mi chiamo Elmo Hodge. Se non mi conoscete troppo bene, è perché sono stato sempre occupatissimo a costruire telescopi e a fare cartine. Al diavolo ora la drogheria! Rimango qui.

La gente rise e lui continuò:

— Vedo qui gente che a Chicago mi domandava dei soldi. Si viveva in un terribile periodo di inflazione, ricordate? Bene, non è solo per fare i telescopi che voglio restare qui, ma perché sono stufo di riempire moduli e presentare esposti allo stato e al governo, in duplicato, triplicato, quintuplicato. E voi volete tornare a tutto ciò?

La gente urlò: — No.

Hodge si sedette.

Orcutt si rivolse allora a Eric Sudduth: — E voi, Eric, non volete tornare?

— Non ho ancora finito il mio lavoro. La Bibbia non è ancora completa. Mancano ancora poche cose che voglio finire, prima di tornare, se pure tornerò.

— Non ci serve più l’Ago — urlò qualcuno.

— Senza l’Ago possiamo fare tante altre cose.

— Lasciateci usare i pezzi dell’Ago per ciò che ci occorre.

— Bruciatelo!

— Fatelo a pezzi!

La voce di Orcutt si levò al di sopra di tutto.

— No — disse — non lo romperemo. Ci occorrono i suoi pezzi. Lo smonteremo e lo utilizzeremo. Dobbiamo ancora costruire molte cose: una stazione radio, un aeroplano. E non abbiamo automobili. Abbiamo ancora molte ricerche da fare. E ora che l’Ago non occupa più il nostro tempo, potremo studiare meglio il posto in cui ci troviamo. E faremo mappe, carte geografiche. Abbiamo tanto da fare.

Costigan tirò fuori bottiglie di vino e bicchieri.

Ora che la tensione era passata, la gente rideva, parlava serenamente, e faceva progetti per il futuro.

Una volta Devan guardò Orcutt e si chiese se sapesse. Ma non poteva saperlo, perché solo Tooksberry, Costigan e lui erano al corrente. Solo ora Devan comprese cosa Tooksberry avesse voluto dire con “credere in Chicago”. La gente doveva arrivare da sé a rinnegarla, e capire che là non c’era felicità. Ma doveva credere anche di avere la possibilità di tornare.

— Perché mi avete guardato? — chiese Orcutt. — Non rispondetemi. Credo di saperlo. Come può un uomo lasciare i suoi occhiali da vista da una parte dell’Ago e leggere il “Chicago Tribune” dall’altro? È questo che pensate?

— Qualcosa del genere.

— Era deserto di là — disse Tooksberry. Beatrice gli stava alle spalle. — Rimasi a lungo su quella distesa di rocce. C’era solo pace e silenzio. Così pensai a quello che avrei potuto dire. Era l’unica cosa da fare, non credete?

— Sì — rispose Devan — ne sono convinto.

Betty, che stava seduta accanto a lui, gli strinse la mano e insieme guardarono i bambini che si allontanavano correndo nel sole.

Improvvisamente la loro attenzione fu attratta da grida che provenivano dal lago.

Devan pensò: “Qualcuno ci è caduto dentro”.

Molti salivano in cima alla piccola collina sabbiosa e guardavano giù, indicando un punto sull’acqua.

Un uomo nuotava al largo della spiaggia. Le sue braccia bianche colpirono particolarmente i cittadini della Nuova Chicago, abbronzatissimi.

Quando si fu avvicinato, cominciò lentamente a camminare fuori dall’acqua.

Era nudo. Sorrideva.

Faceva cenni di saluto alla gente che stava lì, sulla collina.

FINE