125787.fb2 Polvere di Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 16

Polvere di Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 16

A Clavius City, il capo della Commissione Turismo era finalmente riuscito a convincere tutti quanti che lui non aveva fatto favoritismi. Il suo sollievo nell’apprendere che il Selene era stato ritrovato aveva ricevuto una doccia fredda quando la «Reuter’s», la «TimeSpace», la «Triplanetary Publications» e la «Lunar News» avevano telefonato in rapida successione per domandargli come mai l’«Interplanet» era riuscita a impossessarsi subito della notizia. Grazie alla previdenza di Spenser che aveva ascoltato le trasmissioni radio delle slitte da polvere, la notizia infatti era arrivata all’Agenzia prima ancora di raggiungere l’amministrazione lunare.

Una volta messa in chiaro la cosa, i sospetti delle altre agenzie stampa si erano cambiati in schietta ammirazione per la fortuna e lo spirito d’iniziativa di Spenser.

Il Centro Comunicazioni di Clavius City aveva già vissuto momenti drammatici, ma mai di quella portata. «Sembra» pensava Davis «di ascoltare delle voci dall’oltretomba». Poche ore prima, quelle ventidue persone erano state date per morte, e adesso si affollavano al microfono del Selene per trasmettere messaggi a parenti e amici. Grazie alla sonda che Lawrence aveva lasciato come antenna radio e come punto di riferimento in mezzo al mare di polvere, il battello non era più tagliato fuori dal resto dell’umanità.

Finalmente, la tempesta dei messaggi terminò, e si senti la voce del capitano Harris. «Capitano Harris chiama Centrale. Passo.»

Davis prese il microfono. «Capitano Harris, sono Davis. Qui ci sono i rappresentanti di tutte le agenzie stampa. I giornalisti sono ansiosi di sentire qualche parola da voi. Prima di tutto, potete darmi una breve descrizione delle condizioni all’interno del Selene? Passo.»

«Be’, fa molto caldo, e abbiamo dovuto ridurre al minimo l’abbigliamento. Però dobbiamo benedirlo, questo calore, visto che vi ha permesso di trovarci. In ogni modo, ormai ci siamo abituati. L’aria è ancora respirabile, e abbiamo abbastanza cibo e acqua, anche se il menu è piuttosto monotono! Cos’altro volete sapere? Passo.»

«Domandategli come va il morale… come l’hanno presa i passeggeri… se danno segni di squilibrio…» suggerì il rappresentante della «Triplanetary Publications». Il capo della Commissione Turismo riferì le domande, formulandole con più tatto, ma ebbe subito l’impressione di aver causato un leggero imbarazzo dall’altra parte della linea.

«Si sono comportati tutti benissimo» disse Pat, forse un po’ precipitosamente. «Certo che ora ci domandiamo quanto tempo vi occorrerà per tirarci fuori. Potete darci qualche idea approssimativa in proposito? Passo.»

«L’ingegnere capo Lawrence è a Porto Roris e sta organizzando le operazioni di salvataggio» rispose Davis. «Appena ci comunicherà qualcosa, ve lo faremo sapere. Intanto, come trascorrete il tempo? Passo.»

Pat glielo spiegò, provocando un immediato aumento nella vendita di Il cavaliere della valle solitaria e decretando il successo di L’arancia e la mela. Diede anche un breve resoconto dei parodistici processi di bordo, ora sospesi sine die.

«Dev’essere stato un gioco interessante» disse Davis. «Ma ormai non avrete più bisogno di contare unicamente sulle vostre risorse. Possiamo trasmettervi tutto quello che desiderate: musica, commedie, dibattiti… Diteci solo cosa volete, ce ne occuperemo subito. Passo.»

Pat prese tempo prima di rispondere. Il collegamento radio aveva già trasformato la situazione a bordo del Selene, facendo rinascere la speranza e allacciando i contatti con le persone care. Eppure, in un certo senso, a Pat quasi spiaceva che quella reclusione fosse terminata. Quel caldo senso di solidarietà, che nemmeno la sfuriata della Morley aveva potuto infrangere, era già una sensazione che sbiadiva nel mondo dei ricordi. Ora non formavano più un gruppo compatto, unito dalla causa comune della sopravvivenza. Le loro vite tornavano a divergere lungo ventidue sentieri indipendenti.

L’ingegnere capo Lawrence era convinto che i comitati non concludessero mai niente, ma stavolta il caso era diverso. Il presidente era lui: non c’erano né segretarie né delegati né altro. E, soprattutto, poteva accogliere o respingere le proposte a suo piacere. Quel comitato si riuniva solo per fornire idee e competenza tecnica, era una specie di cooperativa di cervelli messa a sua disposizione.

Solo una dozzina di membri erano presenti fisicamente. Gli altri erano sparsi sulla Luna, sulla Terra e nello spazio. L’esperto di fisica del suolo, che stava sulla Terra, era in svantaggio, perché a causa della limitata velocità delle onde radio restava sempre indietro di un secondo e mezzo, quindi i suoi commenti arrivavano sulla Luna con tre secondi di ritardo. Era stato perciò pregato di prendere appunti durante la discussione e di comunicare il suo punto di vista solo alla fine, interrompendo soltanto quando lo credeva strettamente necessario.

«Il Selene» stava spiegando Lawrence ai colleghi vicini e lontani «si trova a tre chilometri di distanza dalla più vicina zona di terreno solido, ovvero dalle Montagne Inaccessibili. Sotto il battello potrebbero esserci centinaia di metri di polvere, ma non lo sappiamo con certezza. Né possiamo giurare che non si producano altri avvallamenti, anche se i geologi lo ritengono improbabile. L’unico mezzo per portarsi sul posto sono le slitte da polvere. Ne abbiamo due, e una terza sta arrivando dall’Altra Faccia. Le slitte possono rimorchiare o caricare fino a cinque tonnellate. Quindi non possiamo servirci di attrezzature pesanti. E, per finire, abbiamo solo novanta ore di tempo. Questa è la situazione. Qualcuno ha proposte da fare? Io ne avrei, ma preferisco sentire prima voi.»

Seguì un lungo silenzio mentre i componenti del comitato, scaglionati per circa quattrocentomila chilometri di spazio, si applicavano ognuno nel proprio campo alla soluzione del problema.

Poi l’ingegnere capo dell’Altra Faccia parlò da un punto nelle vicinanze di JoliotCurie.

«Ho l’impressione che in novanta ore non si possa combinare niente; bisognerà costruire un equipaggiamento speciale, e ci vuole tempo. Siccome non l’abbiamo, dovremo procurarcelo calando fino alla Selene un tubo per l’aria. Dov’è la connessione ombelicale?»

«Dietro, vicino al portello principale. Non vedo come si possa calare un tubo in quel punto e avvitarlo, pescando alla cieca nella polvere a quindici metri di profondità.»

«Ho un’idea migliore» intervenne un altro. «Far passare una tubazione attraverso il tetto del battello.»

«Ci vogliono due tubi» precisò un terzo. «Uno per immettere l’ossigeno, l’altro per aspirare l’aria viziata.»

«Un purificatore d’aria vero e proprio, in poche parole. Non ce ne sarebbe bisogno se potessimo liberare quei poveretti entro novanta ore.»

«È un rischio troppo grosso. Sistemato l’impianto di aerazione, invece, possiamo procedere senza l’assillo della fretta.»

«Sono di questo parere anch’io» concluse Lawrence. «Anzi, ho già messo parecchi uomini al lavoro per provvedere i pezzi necessari. L’altro problema è questo: cerchiamo di sollevare il Selene in superficie, o è meglio tirar fuori le persone una alla volta? Ricordate che a bordo c’è una sola tuta spaziale.»

«Non potremmo calare una specie di tunnel e collegarlo al portello stagno?»

«Presenta lo stesso problema del tubo di ventilazione. Più grave, anzi, dato che l’operazione per applicarlo si presenta ancora più difficile.»

«E se creassimo una specie di diga, abbastanza larga da circondare tutto lo scafo? Poi potremmo scavare via la polvere.»

«Già, ma accorrerebbero tonnellate di pali e di puntelli. E non dimenticate che la diga dovrebbe essere chiusa anche sul fondo, altrimenti la polvere tornerebbe a riempirla via via che venisse svuotata dall’alto.»

«È possibile pompare la polvere?» domandò qualcuno.

«Sì, ma non con pompe normali. Occorre un motore speciale, perché non è possibile aspirarla, bisogna sollevarla.»

«Questa maledetta polvere!» brontolò l’ingegnere assistente di Porto Roris. «Ha le proprietà peggiori dei liquidi e dei solidi e nessuno dei vantaggi. Non scorre quando vuoi che scorra, non sta ferma quando vorresti che ci stesse.»

«Vorrei fare una precisazione» disse Padre Ferraro, dal suo satellite. «La parola «polvere» non è esatta. In realtà si tratta di una sostanza che sulla Terra non esiste, quindi manchiamo del vocabolo per definirla. L’ultimo che ha parlato si è espresso bene; a volte va considerata come un liquido che non bagna, un po’ come il mercurio, ma più leggero. Altre volte è un solido fluido, come la resina, salvo che si muove con maggiore rapidità, s’intende.»

«In ogni modo, c’è un mezzo per renderla stabile?» domandò qualcuno.

«Credo che la domanda vada rivolta alla Terra» osservò Lawrence. «Dottor Evans, potete illuminarci in proposito?»

I tre secondi, come al solito, parvero durare un’eternità. Poi il fisico rispose, e la sua voce arrivò chiarissima: «Stavo appunto pensandoci. Si potrebbe ricorrere a dei collanti organici, sostanze che la rendano compatta e quindi maneggevole. Avete provato con l’acqua?»

«No, ma proveremo» rispose Lawrence, prendendo appunti. «Adesso pensiamo a come costruire una specie di piattaforma per gli uomini e il materiale, in modo da poterli lasciare sul posto. Chi ha idee sul materiale adatto?»

«Bidoni di combustibile vuoti?» propose qualcuno.

«Troppo ingombranti e fragili. Forse nel Magazzino Tecnico ci sarà qualcosa che…»

E così via. La Cooperativa Cervelli era in seduta.

Lawrence intendeva concedere un’altra mezz’ora ai colleghi, poi avrebbe cominciato a tracciare il suo piano d’azione.

Non si poteva perdere troppo tempo in discussioni, quando c’era in gioco la vita di ventidue persone. Però una decisione presa troppo in fretta e senza riflettere poteva fare più male che bene.

A prima vista, l’impresa si presentava chiara e ben definita.

A meno di cento chilometri da una base bene organizzata c’era il Selene. Se ne conosceva esattamente la posizione, e il battello si trovava a soli quindici metri di profondità. Ma quei quindici metri mettevano Lawrence di fronte ai problemi più spaventosi di tutta la sua carriera d’ingegnere.

Una carriera che poteva terminare molto bruscamente, perché sarebbe stato difficile spiegare le ragioni di un fallimento, se quelle ventidue persone fossero morte.

Per la seconda volta in ventiquattr’ore, Maurice Spenser era atterrato sulla Luna. Un primato che pochi potevano uguagliare.

Nella cabina di comando, situata a centocinquanta metri dalla base dell’astronave, c’erano gli unici oblò a visione diretta di tutta l’Auriga, e da lì la vista era superba. Verso nord, si stagliavano le cime più alte delle Montagne Inaccessibili. Nome poco appropriato, ormai, pensò Spenser: «lui» le aveva raggiunte, e finché l’astronave restava lì, si potevano compiere perfino delle ricerche scientifiche. Raccogliere campioni di roccia, ad esempio.

A sud si stendeva, per almeno quaranta chilometri, il Mare della Sete. Ma la cosa che interessava Spenser era a meno di cinque chilometri di distanza, e due chilometri al di sotto.

Con un potente binocolo, si poteva vedere la bacchetta di ferro lasciata da Lawrence come segno, unico collegamento del Selene col resto del mondo. Ottimo elemento per l’apertura, simboleggiava la solitudine dell’uomo nell’universo immenso e ostile che tentava di conquistare. Tra qualche ora, la vasta distesa avrebbe pullulato di attività, ma fino a quel momento la bacchetta sarebbe stata l’unico elemento della scena, mentre i commentatori discutevano il progetto di salvataggio e facevano le opportune interviste. Quanto a lui, non aveva problemi. Lui doveva solo starsene lì, in quel nido d’aquile, e preoccuparsi delle sequenze. Con gli obiettivi adatti, grazie alla assoluta purezza dell’atmosfera, avrebbe potuto scattare dei primi piani perfino da quella distanza, una volta che fossero cominciati i lavori.

Spenser guardò verso sudovest, dove il sole saliva lentamente nel cielo. Quasi due settimane di luce assicurata, calcolando il tempo secondo le proporzioni terrestri. Nessun bisogno di preoccuparsi dell’illuminazione. Il palcoscenico era già pronto.

Olsen, l’amministratore capo, raramente teneva discorsi ufficiali. Preferiva starsene dietro le quinte, ad amministrare la Luna in modo efficiente e discreto, lasciando l’incarico di cavarsela con la stampa ai tipi estroversi come Davis. Ecco perché i suoi discorsi facevano sempre una certa impressione.