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«Quindi, dovranno cercarci in qualche altro modo. Quanto ci metteranno, secondo voi?»
«Difficile dirlo. Le ricerche cominceranno alle venti, quando il nostro segnale non arriverà, ma probabilmente siamo sprofondati senza lasciare traccia.. come avrete notato, questa polvere fa sparire tutto. E poi, anche se ci trovano…»
«… come faranno a tirarci fuori?»
«Appunto.»
Il capitano del battello turistico e il commodoro dello spazio si guardarono in silenzio, fermi ai piedi dello stesso problema. Poi, sopra il brusio generale della conversazione, udirono una voce con uno spiccato accento inglese osservare: «Complimenti, signorina… è la prima tazza di tè decente che bevo sulla Luna. Finalmente qualcuno che sa preparare il tè. Brava!»
Il commodoro rise piano, suo malgrado.
«Dovrebbe ringraziare voi, non la hostess» osservò, indicando il contatore dell’ossigeno.
Anche Pat sorrise. Era vero; ora che aveva alzato la pressione della cabina, l’acqua bolliva quasi alla temperatura normale, come sulla Terra.
Se non altro, si potevano avere delle bevande calde, invece delle solite brodaglie appena tiepide. Ma sembrava un modo alquanto dispendioso di preparare il tè non dissimile dal famoso metodo cinese di arrostire il maiale dando fuoco alla casa.
«Il nostro problema più urgente» disse il commodoro (e Pat non si offese affatto di quel «nostro») «è tenere alto il morale. E un discorsetto del capitano sulle operazioni di ricerca che stanno per cominciare, farebbe buona impressione, credo. Ma non mostratevi troppo ottimista; non dovete dare l’impressione che tra una mezz’ora al massimo sentiremo bussare alla porta dello scafo. Uno stato d’animo del genere può avere conseguenze molto pericolose se… be’, se ci toccherà aspettare per diversi giorni.»
«Non ci metterò molto a descrivere l’organizzazione SoccorsiLunari» rispose Pat. «Che tra l’altro, resti tra noi, non è stata certo attrezzata per fronteggiare un incidente del genere. Quando una nave si guasta sopra la superficie lunare, può essere localizzata in brevissimo tempo da uno dei satelliti: o dal Lagrange II, che si trova dal lato Terra, o dal Lagrange I, che gravita dalla parte opposta. Però, nel nostro caso, dubito che possano aiutarci; come vi dicevo, probabilmente siamo sprofondati senza lasciare traccia.»
«Sembra impossibile. Sulla Terra, quando una nave affonda, qualche traccia prima o poi viene a galla.. non so, macchie d’olio, rottami…»
«Nel nostro caso non può succedere. E non so nemmeno immaginare in che modo potremmo mandare qualcosa alla superficie… anche se sapessimo quanto è distante da noi.»
«Insomma non possiamo fare altro che incrociare le braccia e aspettare.»
«Già» approvò Pat. Poi lanciò un’occhiata all’indicatore della riserva d’ossigeno. «E c’è una sola cosa di cui siamo sicuri: che non possiamo aspettare più di una settimana.»
Cinquantamila chilometri al di sopra della Luna, Tom Lawson posò l’ultima delle fotografie scattate. Aveva esaminato ogni millimetro quadrato di quelle foto con la lente d’ingrandimento; erano fotografie ottime. L’intensificatore elettronico di immagini, milioni di volte più sensibile dell’occhio umano, aveva rivelato con estrema chiarezza i più piccoli particolari, dato che laggiù, su quella distesa lievemente scintillante, era ormai giorno. Lawson aveva localizzato perfino una delle piccole slitte da polvere, o meglio, la lunga ombra che essa proiettava. Eppure, non c’era nessuna traccia del Selene; il Mare della Sete era liscio e calmo come sempre.
Tom non amava darsi per vinto nemmeno in cose meno importanti di questa. Era persuaso che tutti i problemi si possono risolvere, purché siano affrontati nel modo giusto e con gli strumenti adatti. Il ritrovamento del Selene era una sfida alla sua ingegnosità di scienziato; il fatto che da quel ritrovamento dipendessero molte vite umane contava fino a un certo punto per lui. Tom Lawson aveva poca considerazione per i suoi simili, mentre ne aveva moltissima per l’Universo. E qui si trattava di una lotta personale tra l’Universo e lui.
Considerò la situazione con intelligenza freddamente critica. In che modo il grande Sherlock Holmes avrebbe affrontato il problema? (Era caratteristico il fatto che uno dei pochi uomini ammirati da Lawson non fosse mai esistito.) Eliminato il mare aperto, restava una sola possibilità: il battello doveva essersi bloccato o lungo la costa o nei pressi delle montagne, probabilmente nella zona… (Tom confrontò la carta)… nella zona chiamata Lago del Cratere. Logico, del resto; un incidente, era più probabile che capitasse qui che sulla pacifica distesa del mare.
Tornò a guardare le fotografie, concentrandosi stavolta sulle montagne. Subito s’imbatté in una nuova difficoltà. C’erano massi e crepacci sparsi lungo tutte le coste del Mare… e ognuna di quelle ombre poteva essere il Selene. Non solo, ma c’erano molte zone che non poteva esaminare perché erano nascoste dalle montagne stesse: il Lago del Cratere, per esempio, chiuso com’era tra le pareti di roccia. Quell’area poteva essere battuta soltanto dalle slitte, operanti al livello del suolo; l’occhio onniveggente di Tom Lawson non penetrava oltre quello sbarramento.
Era meglio chiamare la stazione di Lato Terra e fare rapporto.
«Qui Lawson, da Lagrange II» disse, appena fu in contatto. «Ho esaminato tutto il Mare della Sete; non c’è assolutamente nulla. Il vostro Selene dev’essersi arenato vicino alla costa.»
«Grazie» gli rispose una voce avvilita. «Siete sicuro?»
«Sicurissimo. Vedo perfino le vostre slitte, e il Selene è almeno tre volte più grande.»
«Niente lungo le coste?»
«Ci sono troppi particolari di grandezza ridotta per stabilirlo. Vedo una cinquantina… forse un centinaio di oggetti che potrebbero essere il Selene. Appena si leverà il sole li studierò meglio. Purtroppo, adesso laggiù è notte.»
«Grazie lo stesso. Avvertiteci subito se trovate qualcos’altro.»
A Clavius City, Davis, il capo della Commissione Turismo, ascoltò rassegnato il rapporto di Lawson. Ormai, non restava altro che avvertire i parenti. Era pericoloso, oltre che impossibile, mantenere più a lungo il segreto.
Davis si rivolse all’ufficiale del Controllo Traffico e domandò: «È arrivato quell’elenco dei passeggeri?»
«Sta arrivando in questo momento da Porto Roris, per Telefax: eccolo.» L’ufficiale porse il foglio a Davis, e aggiunse incuriosito: «C’era qualche persona importante tra i passeggeri?»
«Tutti i turisti sono importanti» replicò gelido Davis, senza staccare gli occhi dal foglio. Poi, quasi senza fiato, aggiunse: «Santo Cielo!» Che succede?
«A bordo c’era il commodoro Hansteen.»
«Cosa? Non sapevo che si trovasse sulla Luna.»
«Nessuno doveva saperlo, era una cosa riservata. L’avevamo invitato a far parte della Commissione Turismo, ora che è in pensione. Ma lui voleva prima farsi un’idea, in incognito, e poi decidere.»
Seguì un silenzio penoso, mentre i due uomini consideravano l’ironia della situazione. Un uomo che era stato uno dei più famosi eroi dello spazio, scompariva ora come un turista qualsiasi in un banale incidente sulla Luna, il meschino retrobottega della Terra…
«Sarà una sfortuna per il commodoro» osservò l’ufficiale del Controllo Traffico. «Però è una gran fortuna per gli altri passeggeri, ammesso che siano ancora vivi…»
«E di fortuna ne hanno proprio bisogno, visto che nemmeno l’Osservatorio può aiutarci» sospirò Davis.
Aveva ragione sul primo punto, ma sul secondo si sbagliava in pieno. Il dottor Thomas Lawson aveva ancora diversi assi nella manica.
E ne aveva anche il Padre Vincent Ferraro, S.I., uno scienziato di tutt’altro tipo. Era un peccato che Padre Ferraro e Tom Lawson fossero destinati a non incontrarsi mai; si sarebbero visti dei fuochi d’artificio di prima grandezza. Padre Ferraro credeva in Dio e nell’uomo; Lawson non credeva né nell’uno né nell’altro.
Il prete aveva iniziato la sua carriera scientifica come geofisico, poi aveva deciso di cambiare mondo ed era diventato un selenofisico, termine che fortunatamente usava solo nei momenti di maggior pedanteria.
Nessuno conosceva meglio di lui l’interno della Luna, che veniva spiato da batterie di strumenti collocati strategicamente sopra tutta la superficie lunare.
Quegli strumenti avevano appena annunciato alcuni fenomeni piuttosto interessanti. Alle ore 19, 35’, 47» ora lunare, c’era stato un forte lunamoto più o meno nella zona del Golfo delle Iridi; fatto abbastanza singolare, dato che quell’area era particolarmente stabile perfino per un mondo tranquillo come la Luna. Padre Ferraro mise in azione i suoi strumenti perché accertassero l’epicentro della scossa e ogni altro dato possibile, poi li lasciò al loro lavoro per andarsene a pranzo. Fu allora che i colleghi gli parlarono del battello scomparso.
Nessuna calcolatrice elettronica può battere il cervello umano nell’associare fatti all’apparenza irrilevanti. Padre Ferraro non fece in tempo a portarsi alla bocca il primo cucchiaio di minestra che già il suo cervello aveva addizionato due più due arrivando a una conclusione perfettamente logica, ma disastrosamente errata.
«… e questa, signore e signori, è la situazione» concluse il commodoro Hansteen. «Non corriamo pericoli immediati, e io non ho il minimo dubbio che saremo localizzati al più presto. Fino a quel momento, dobbiamo affrontare la situazione nel migliore modo possibile.»
Tacque, e scrutò rapidamente le facce ansiose rivolte verso di lui.
Aveva già individuato le eventuali fonti di complicazione: l’omino col tic nervoso, la signora dall’espressione acida che continuava ad attorcigliare il fazzoletto… Forse, a metterli seduti vicini, si sarebbero neutralizzati a vicenda.
«Il capitano Harris e io abbiamo studiato un piano d’azione. Cibo semplice e razionato, ma in quantità sufficiente, tanto più che non avremo alcuna attività fisica da svolgere. Pregheremmo le signore di dare un po’ d’aiuto alla signorina Wilkins, che avrà molto lavoro… Il vero problema sarà quello di combattere la noia. A proposito, qualcuno ha con sé dei libri?»
Ci fu un gran frugare nelle valigie e nelle borse. La biblioteca che ne uscì era composta di guide lunari assortite, comprese sei di quelle fornite dalla Commissione Turistica; un bestseller in voga, L’arancia e la mela, il cui improbabile tema era un amore tra Nell Gwynn e Sir Isaac Newton (Nota: Libro inesistente, inventato da Clarke. Nell Gwynn (1650–1687) fu una delle prime attrici britanniche (fino ad allora, infatti, i ruoli femminili a teatro erano impersonati da uomini) e amante di lunga data di Carlo II d’Inghilterra. Non esistono prove che abbia mai incontrato Isaac Newton! (N.d.R.). Fine nota) un’edizione a cura della Harvard University Press de Il cavaliere della valle solitaria con dotte annotazioni di un professore d’inglese; un’introduzione al positivismo logico di Auguste Comte; e una copia della settimana precedente del «New York Times», edizione Terra. Non era molto, ma con un intelligente razionamento poteva servire ad affrontare le ore di attesa.
«Sarà bene creare una specie di Comitato Ricreativo che studi il modo migliore di sfruttare questo materiale, ma non so come la metteremo con Monsieur Comte. Nel frattempo, dato che ormai tutti conoscete la situazione, c’è qualcuno che desidera chiedere chiarimenti al capitano Harris o a me?»
«C’è una cosa che vorrei domandare» disse la voce inglese che si era complimentata per il tè. «Non c’è qualche probabilità che si risalga a galla? Voglio dire, se questa sostanza è simile all’acqua, non dovremmo balzare alla superficie, prima o poi, come farebbe un turacciolo?»