125787.fb2
In quello stesso momento, sebbene nessuna delle due parti fosse a conoscenza del fatto, una delle slitte mandate in perlustrazione stava passando sopra il Selene. Progettate come unità veloci, efficienti ed economiche — e non per la comodità dei turisti — le slitte da polvere erano piccoli veicoli aperti, con un sedile per il pilota e uno per un passeggero, entrambi in tuta spaziale, e un telo in alto per dare riparo dal sole. Un quadro di comando ridotto all’essenziale, il motore e le due eliche posteriori, e lo scomparto per utensili ed equipaggiamento, completavano l’insieme. Di solito, quando una slitta svolgeva le sue normali funzioni, si trascinava appresso uno o due pattini da carico; ma stavolta non aveva rimorchi. Aveva percorso in ogni senso parecchie centinaia di chilometri quadrati di mare, e non aveva trovato assolutamente nulla.
Attraverso il telefono, il pilota stava parlando col compagno.
«Di’, che fine avranno fatto, George? Per me, qui non ci sono.» E dove vuoi che siano? Comunque, è meglio fare rapporto alla base. Abbiamo coperto tutta la zona assegnataci, ed è inutile ricominciare da capo, almeno finché non sorge Sole, Questo maledetto chiaro di Terra mi dà i brividi.
Accese la radio e chiamò la Base.
«Slitta Due chiama Controllo Traffico… passo.»
«Qui Controllo Traffico Porto Roris. Trovato niente?»
«Nemmeno una traccia. Nessuna notizia li da voi?»
«Pensiamo che non si trovasse in Mare aperto. L’ingegnere capo vuole parlarvi.»
«Bene, passatemelo.»
«Pronto, Slitta Due? Qui Lawrence. L’Osservatorio ha appena segnalato un movimento sismico nei pressi delle Montagne Inaccessibili. Ha avuto luogo alle 19,35, cioè all’ora in cui il Selene si sarebbe dovuto trovare al Lago del Cratere. All’Osservatorio pensano che sia stato travolto da una valanga da quelle parti. Dirigetevi verso le montagne e vedete se potete individuare qualche sfaldamento recente.»
«Ingegnere» s’informò preoccupato il pilota «che probabilità ci sono che si verifichino altre scosse?»
«Pochissime, secondo l’Osservatorio. Dicono che passeranno migliaia di anni prima che si ripeta un fenomeno del genere, ora che la scossa è avvenuta.»
«Speriamo che sia vero. Chiamerò quando sarò al Lago del Cratere, cioè tra venti minuti circa.»
Ma era passato soltanto un quarto d’ora quando la Slitta Due fece cadere le ultime speranze.
«Slitta Due chiama Base. Dev’essere proprio andata così, ho paura. Non ho ancora raggiunto il Lago del Cratere; sto ancora risalendo il canyon. Ma l’Osservatorio ha ragione; ci sono state parecchie frane, o abbiamo notevoli difficoltà per aggirarle. In questo momento ho davanti a me un masso di almeno diecimila tonnellate; se il Selene è finito lì sotto, non lo troveremo di certo. E non credo che valga la pena di cercarlo.»
Il silenzio al Controllo Traffico durò così a lungo che la slitta chiamò di nuovo. «Pronto, Base… mi sentite?»
«Vi sentiamo» rispose l’ingegnere capo con voce stanca. «Vedete se potete trovare qualche traccia del Selene; manderò la Slitta Uno a darvi una mano. Siete sicuro che non ci sia speranza di tirarli fuori?»
«Ci vorrebbero delle settimane, anche se si riuscisse a localizzare la posizione esatta. Ho visto un blocco di roccia lungo trecento metri. Se cercassimo di scavare, potrebbero verificarsi altri slittamenti.»
«State molto attento. Fate rapporto ogni quindici minuti, anche se non trovate niente.»
Lawrence, fisicamente e mentalmente esausto, si allontanò dal microfono. Non c’era più niente da fare, nessuno poteva fare niente. Cercando di riordinare le idee, si diresse verso la finestra d’osservazione che guardava a sud, e fissò il quarto di Terra che splendeva nel cielo, immobile sull’orizzonte. Perso nelle sue meditazioni, non si accorse che uno degli addetti alla radio stava cercando di richiamare la sua attenzione.
«Scusate, ingegnere… non avete chiamato la Slitta Uno. Devo farlo io?»
«Come? Ah, sì… chiamatela. Mandatela in aiuto alla Due, che è al Lago del Cratere, E dite al pilota che sospendiamo le ricerche nel Mare della Sete.»
La notizia che le ricerche erano state sospese raggiunse il Lagrange II proprio quando Tom Lawson, con gli occhi arrossati dalla fatica, aveva quasi terminato le modifiche al suo telescopio. Era stata una corsa contro il tempo, e adesso saltava fuori che i suoi sforzi erano stati inutili. Furibondo, lo scienziato si diede a smantellare il complicato congegno che aveva messo insieme prendendo a prestito pezzi diversi dagli altri strumenti del satellite. Tom non pensava alle vittime, pensava a quei bei titoloni: «GIOVANE ASTRONOMO RITROVA TURISTI DISPERSI…» che non sarebbero apparsi sui giornali dei vari mondi abitati.
Eppure il suo congegno avrebbe funzionato, ne era certo. La teoria era comprovatissima, basata su cento anni almeno di pratica. L’uso dei raggi infrarossi risaliva addirittura alla seconda guerra mondiale, quando venivano adoperati per individuare le fabbriche mimetizzate, tradite dal loro stesso calore.
Anche se il Selene non aveva lasciato tracce visibili sul Mare, una scia infrarossa doveva certamente essere rimasta. Le eliche avevano smosso la polvere relativamente calda a circa mezzo metro di profondità, sparpagliandola sopra lo strato molto più freddo di superficie. Un occhio capace di vedere le irradiazioni del calore avrebbe potuto seguirne la traccia per diverse ore dopo il suo passaggio. Ci sarebbe stato giusto il tempo, calcolava Tom, per seguire la perlustrazione a infrarossi prima che il sole sorgesse cancellando la pista calda lasciata attraverso la gelida notte lunare.
Ma, ovviamente, non valeva più la pena di tentare, ormai che si sapeva che il Selene era sepolto sotto migliaia di tonnellate di roccia.
Per fortuna, a bordo del Selene nessuno sospettava che le ricerche nel Mare della Sete erano state abbandonate, e che le slitte stavano concentrando i loro sforzi attorno al Lago del Cratere. Ed era inoltre una fortuna che nessuno fosse a conoscenza delle profezie del dottor McKenzie.
Date le circostanze, gli sforzi del commodoro Hansteen per tenere alto il morale sembravano privi di scopo. Avessero o no successo, nulla avrebbe potuto modificare la sorte che aspettava i passeggeri nel giro di ventiquattr’ore.
Ma erano poi così inutili quegli sforzi? Sebbene l’unica scelta stesse tra morire da uomini o morire da bestie, era pur sempre preferibile la prima soluzione. Il commodoro Hansteen ne era certo, mentre stendeva il programma per le poche ore vuote che ancora restavano.
Al momento, i passeggeri stavano chiacchierando allegramente tra loro, divisi in gruppetti. Quattro signori giocavano a poker, e la giornalista scriveva sui pochi foglietti rimasti nel suo taccuino: forse teneva un diario degli avvenimenti, un diario che nessuno avrebbe mai letto.
Hansteen guardò l’orologio e si stupì nel constatare com’era tardi. A quell’ora lui sarebbe dovuto essere già a Clavius City. L’indomani aveva un impegno a colazione al Lunar Hilton, poi doveva andare in gita a… ma era inutile pensare a un futuro che non esisteva più. Ormai, quel breve presente era l’unica cosa che lo riguardasse.
Tanto valeva tentare di dormire un po’, prima che la temperatura divenisse intollerabile. Il Selene non era stato progettato per servire da dormitorio, e nemmeno da tomba, del resto, ma adesso non c’era alternativa. Naturalmente bisognava organizzarsi un po’, ai danni, purtroppo, della Commissione Turismo.
Dopo essersi consultato col capitano Harris, il commodoro pregò i passeggeri di prestargli ascolto. «Signore e signori, abbiamo avuto una giornata faticosa e penso che molti di noi sentano il bisogno di riposare. Certo bisognerà arrangiarsi alla meglio, ma ho fatto qualche piccolo esperimento e ho scoperto che, con un po’ di buona volontà, il bracciolo di mezzo dei sedili viene via facilmente. Non bisognerebbe toglierlo, ma non credo che la Commissione Turismo ci farà causa per così poco. Questo significa che dieci di noi potranno sdraiarsi sui divani; gli altri dovranno sistemarsi sul pavimento.»
«Un’altra cosa. Come avrete notato, comincia a fare caldo, e per qualche tempo la temperatura continuerà ad aumentare. Vi consiglio perciò di togliervi tutti gli indumenti non indispensabili, dobbiamo cercare di stare comodi e non è il caso di fare complimenti. Spegneremo le luci principali della cabina e per non restare completamente al buio lasceremo accese le piccole spie di sicurezza. Uno di noi resterà in continuazione al posto del pilota; il capitano Harris sta studiando dei turni di guardia di due ore. Nessuna domanda?
Per fortuna, non ve ne furono. La signorina Wilkins, che cominciava a perdere un poco della sua efficienza professionale, servì qualche bibita a quelli che avevano sete. La maggior parte dei passeggeri aveva già cominciato a svestirsi; i più pudichi aspettarono che venissero spente le luci. Nel fioco chiarore rossastro l’interno del Selene aveva assunto un aspetto fantastico. Ventidue persone, vestite della sola biancheria, se ne stavano stese sui sedili o sul pavimento. Pochi fortunati dormivano già, ma per i più il sonno non sarebbe arrivato tanto presto.
Il capitano Harris si era sistemato proprio in fondo allo scafo, nel piccolo compartimento stagno riservato alla cucina. Era una posizione strategica; lasciando aperta la porta di comunicazione, Harris poteva vedere la cabina in tutta la sua lunghezza e tenere d’occhio tutti quanti.
Il capitano ripiegò la sua divisa per farne un cuscino e si sdraiò sull’impiantito. Il suo turno di guardia sarebbe venuto tra sei ore. Nel frattempo sperava di dormire un po’.
Dormire! Le ultime ore della sua vita stavano passando inesorabili, e lui non poteva fare niente di meglio che dormire. «Come dormono i condannati» si domandò «nella notte che precede l’esecuzione?»
Era così disperatamente esausto che nemmeno quel pensiero riuscì a suscitargli qualche emozione. L’ultima cosa che vide prima di scivolare nell’incoscienza fu il dottor McKenzie che faceva di nuovo il rilevamento della temperatura e l’annotava sul suo diagramma, come un astrologo intento a ricavare un oroscopo.
Quando Pat Harris si svegliò, faceva molto più caldo. Tuttavia, non era stato il calore ormai opprimente a interrompere il suo sonno un’ora prima che gli toccasse il turno di guardia.
Pat, pur non avendo mai trascorso una notte a bordo del Selene, conosceva tutti i rumori che l’imbarcazione poteva produrre. Quando i motori non giravano, il silenzio a bordo era quasi perfetto; bisognava ascoltare molto attentamente per captare il sussurro delle pompe dell’aria e il fioco ronzio dell’impianto di raffreddamento. Ora quei rumori si sentivano ancora, ma ad essi se n’era aggiunto un altro.
Era un fruscio appena avvertibile, così lieve che in certi momenti Pat aveva quasi il dubbio di averlo solo immaginato. Sembrava quasi incredibile che un suono così leggero fosse riuscito a penetrargli nella mente attraverso le barriere del sonno. Nemmeno adesso che era sveglio Pat riusciva a identificarlo e a stabilire da che direzione provenisse.
Poi, all’improvviso, il capitano comprese perché quel rumore lo aveva svegliato. In un attimo ogni traccia di sonno svanì dal suo cervello. Balzò in piedi, appoggiò l’orecchio contro il portello della nave; sì, quel rumore veniva dall’esterno dello scafo!
Ora lo sentiva benissimo, lieve ma distinto, e rabbrividì dalla testa ai piedi. Non c’era dubbio: era il rumore di innumerevoli granelli di polvere che sussurravano contro le paratie del Selene come una tempesta di sabbia. Che cosa significava? Forse il Mare della Sete era di nuovo in movimento? E in questo caso, stava trascinando il battello con sé? Eppure, dentro lo scafo non si avvertiva il minimo segno di movimento, né la più lieve vibrazione; solo il mondo esterno si muoveva frusciando contro l’imbarcazione…
In punta di piedi, attento a non disturbare i compagni che dormivano, Pat attraversò la cabina. Era il turno di guardia del dottor McKenzie. Lo scienziato se ne stava rannicchiato al posto del pilota, fissando attraverso i finestrini ciechi. All’avvicinarsi di Pat si volse e bisbigliò: «Qualche cosa che non va dalla vostra parte?»
«Non lo so… venite a sentire.»
Tornati nel compartimento dove era installata la piccola cucina, i due premettero l’orecchio contro il portello, e ascoltarono a lungo quel crepitio misterioso. A un tratto, McKenzie osservò: «La polvere si muove, non c’è dubbio, non capisco perché. Ora abbiamo un altro indovinello da risolvere.»
«Come sarebbe, un altro?»
«Già, non capisco cosa stia combinando la temperatura. Continua a salire, ma non con la rapidità che dicevo io.»