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«Ma non vorrete giocare a poker sempre!» protestò il professore, mostrando una discreta ignoranza del mondo non accademico. Il commodoro gli venne subito in aiuto.
«La lettura non disturberà affatto il vostro poker» disse. «Del resto, vi consiglierei di fare un po’ di intervallo, ogni tanto. Tra poco quelle carte saranno ridotte in pezzi.»
«Bene, da quale cominciamo, allora? E chi si offre volontario per leggere? Io sono ben contento di farlo, ma penso che sia meglio cambiare voce ogni tanto, per evitare la monotonia…»
«Io mi oppongo alla lettura dell’Arancia e la mela» saltò su la giornalista. «È inutile buttar via il tempo con quella robaccia; quello è un libro pornografico, e nient’altro.»
«E voi come lo sapete?» domandò David Barrett, l’inglese che aveva fatto commenti sul tè. Per tutta risposta, ricevette un’alzata di spalle. Il professor Jayawardene sembrava molto a disagio, guardò il commodoro come per chiedere il suo intervento. Ma Hansteen, di proposito, s’era messo a guardare da un’altra parte: se i passeggeri si abituavano a contare su di lui per le più piccole cose, era finita. Nei limiti del possibile, dovevano cavarsela da soli.
«Benissimo» dichiarò il professore. «Per evitare ogni discussione, cominceremo dal Cavaliere della valle solitaria.»
Si levarono diverse esclamazioni di protesta. «Vogliamo l’altro!» Ma, con un’inaspettata dimostrazione di energia, il professore tenne duro. «L’altro è un libro lungo» disse. «Non credo che avremo tempo di finirlo. Questo è più breve.» Si schiarì la voce, si guardò attorno per vedere se c’erano ulteriori obiezioni, poi cominciò a leggere con voce gradevolissima, anche se un po’ cantilenante.
«Introduzione: l’importanza del Western nell’Era dello Spazio. Di Kar Adams, ordinario d’inglese all’università di Chicago. Basato sul seminario di critica letteraria tenuta da Kingsley Amis, nell’anno duemilatrentasette.»
I giocatori di poker erano indecisi; uno di loro osservava innervosito i logori foglietti che fungevano da carte da gioco. Il resto dei passeggeri si era disposto all’ascolto, chi con aria seccata, chi ansioso di sentire. La signorina Wilkins era nel compartimentocucina e faceva un inventario delle provviste. La voce melodiosa continuò: «Uno dei più inaspettati fenomeni letterari del nostro tempo è stato il ritorno in onore, dopo circa mezzo secolo di oblio, del romanzo cosiddetto «western». Questo genere narrativo, che come è noto aveva per sfondo un’epoca e un territorio estremamente limitati, vale a dire gli Stati Uniti d’America intorno al milleottocento e…»
«Le cose si mettono bene» pensò il commodoro. Il secondo giorno sotto la polvere era cominciato tranquillamente, in un’atmosfera abbastanza rosea. Ma quanti giorni dovevano ancora passare?
La risposta a quella domanda dipendeva da due uomini che avevano concepito, fin dal primo momento, una istintiva antipatia reciproca, pur trovandosi a cinquantamila chilometri l’uno dall’altro.
«Quello che dite è molto interessante» dichiarò a Lawson l’ingegnere capo Lawrence, dopo aver ascoltato. «Peccato che non abbiate continuato le vostre osservazioni dopo aver scattato la prima foto. Adesso avremmo in mano qualcosa di più conclusivo, vi pare?»
Tom s’inalberò immediatamente a quell’osservazione, per quanto fosse giusta… o forse proprio perché era giusta.
«Se pensate che qualcun altro avrebbe potuto far meglio di me…» scattò.
«Oh, non dico questo» lo placò Lawrence, ansioso di evitare uno scontro. «Il fatto è che sappiamo troppo poco. La zona che voi indicate è abbastanza circoscritta, ma la sua posizione è incerta di almeno mezzo chilometro. In superficie potrebbe non esserci nulla di visibile, nemmeno alla luce del giorno. Non ci sarebbe un mezzo di localizzare la zona con maggiore esattezza?»
«C’è un modo molto ovvio, direi. Usare la stessa tecnica a livello del suolo. Perlustrare tutta l’area con un rivelatore a infrarossi. Così si dovrebbe individuare ogni zona calda, anche se è una differenza di temperatura minima.»
«Ottima idea» disse Lawrence. «Vedrò di organizzare la cosa, e vi richiamerò se avrò bisogno di altre informazioni. Mille grazie, dottore.»
Lawrence riappese in fretta e si asciugò la fronte. Poi richiamò immediatamente il satellite.
«Lagrange II? Qui l’ingegnere capo, Lato Terra. Datemi il direttore, per favore… Professor Kotelnikov? Qui Lawrence, sto bene, grazie. Ho parlato col vostro dottor Lawson, il quale dice d’aver trovato le tracce d’una nostra nave scomparsa. Volevo domandarvi in confidenza… ci si può fidare di lui?»
Nei cinque minuti che seguirono, Lawrence apprese sul conto di Lawson molto più di quanto avesse diritto di sapere. Comunque, le referenze di Lawson, come scienziato, erano ottime. «Bene» concluse l’ingegnere, appena il direttore fece una pausa per riprendere fiato. «Vi capisco, sì… In ogni modo, avete detto che è un osservatore di prim’ordine, ed è quanto volevo sapere. Vi ringrazio molto… Farete una scappata da queste parti, un giorno o l’altro?»
Nella mezz’ora che seguì, Lawrence fece una dozzina di telefonate in vari punti della Luna. Alla fine aveva raccolto una discreta quantità d’informazioni; ora doveva agire in base a quelle.
Sull’altro Osservatorio, Padre Ferraro giudicò l’idea più che plausibile. Anzi, gli era già venuto il sospetto che l’epicentro del movimento sismico si trovasse sotto il Mare della Sete, e non sotto le Montagne Inaccessibili, ma non aveva potuto provarlo perché il mare aveva la caratteristica di soffocare tutte le vibrazioni. No, la profondità del lago non era mai stata misurata in modo esauriente. Lui stesso aveva fatto qualche sondaggio qua e là, un po’ a caso. La profondità media doveva essere meno di dieci metri. No, non aveva un rivelatore a infrarossi, ma forse gli astronomi dell’Altra Faccia erano in grado di dare una mano.
«Spiacenti» risposero da Dostoevskij. «Qui lavoriamo solo con gli ultravioletti. Provate Verne.»
«Oh, sì… li usavamo un paio d’anni fa; ma poi abbiamo visto che nel nostro campo di ricerche non servivano a nulla. Provate Lagrange…»
Fu a questo punto che Lawrence chiamò il Controllo Traffico per sapere l’orario delle astronavi in partenza dalla Terra e scoprì che almeno in questo era fortunato. Ma la prossima mossa sarebbe costata molto denaro, e solo Olsen poteva dare l’autorizzazione.
Olsen aveva una grande qualità; non discuteva mai col personale tecnico per le questioni di loro competenza. Ascoltò attentamente quello che Lawrence gli riferì, poi andò subito all’essenziale.
«Se questa teoria è esatta» disse «c’è una probabilità che siano ancora vivi.»
«Più di una probabilità. Direi che è quasi sicuro. Sappiamo che il Mare della Sete non è profondo, quindi non possono essere sotto di molti metri. La pressione sullo scafo dovrebbe essere tollerabile, e di conseguenza lo scafo dovrebbe essere ancora intatto.»
«E così, volete che questo Lawson vi aiuti nelle ricerche? L’ingegnere capo fece un gesto rassegnato.»
«È l’ultima persona con la quale vorrei lavorare» rispose. «Ma temo che dovrò rassegnarmi.»
Il Comandante del cargo spaziale Auriga era furibondo, e così il suo equipaggio, ma non c’era niente da fare. A dieci ore dalla Terra e a cinque dalla Luna, era arrivato l’ordine di far scalo a Lagrange, con tutta la perdita di velocità e la fatica di nuovi calcoli che quella fermata implicava. Per colmo di misura, venivano dirottati da Clavius City a quel miserabile buco di Porto Roris, praticamente sull’Altra Faccia della Luna.
Quasi tondo, il maculato disco argenteo della Luna faceva da abbacinante sfondo al Lagrange II, mentre l’Auriga andava ad arrestarsi a un centinaio di chilometri dalla stazione spaziale. L’astronave aveva l’obbligo di non avvicinarsi più di così; l’interferenza prodotta dalle sue attrezzature e il bagliore dei suoi getti avevano già influenzato i sensibilissimi strumenti di registrazione del satellite. Solo razzi antiquati a propulsione chimica avevano il permesso di operare nelle immediate vicinanze del Lagrange; la propulsione a plasma e gli impianti di fusione dovevano restare a distanza.
Con una valigetta di indumenti, e un cassone pieno di apparecchi di ogni genere, Tom Lawson salì a bordo del mercantile venti minuti dopo aver lasciato Lagrange. Il nuovo passeggero fu accolto senza eccessivo entusiasmo; l’accoglienza sarebbe stata diversa se si fosse saputo qual era la missione dello scienziato. L’amministratore capo, però, aveva ordinato che per il momento l’operazione fosse tenuta segreta, per evitare di far nascere speranze inutili tra i parenti dei passeggeri dispersi. Davis avrebbe voluto diffondere subito la notizia, ma Olsen era stato irremovibile, «Aspettate che Lawson ci dia dei dati sicuri… e «dopo» potrete dire qualcosa ai vostri amici delle agenzie stampa.»
L’ordine era arrivato troppo tardi. A bordo dell’Auriga, Maurice Spenser, capo dei servizi esteri dell’«Interplanet News», era diretto a Clavius City per assumere il suo nuovo incarico. Non sapeva se per la sua carriera quel trasferimento da Pechino significasse un regresso o un avanzamento, ma certo era un bel cambiamento. E, da buon giornalista, Spenser amava i cambiamenti. Per la stessa ragione, amava i misteri. Perché quel banalissimo mercantile sprecava diverse ore e una quantità inimmaginabile di energia per fare scalo a Lagrange? E chi era quel ragazzo imbronciato che era salito a bordo? E perché quel dirottamento da Clavius a Porto Roris? Spenser provò a indovinare e l’azzeccò in pieno, o quasi in pieno, immediatamente.
Doveva esserci sotto quel battello turistico che si era sperduto sulla Luna; sulla Terra, quando era partito, non si parlava d’altro. E sicuramente questo scienziato di Lagrange ne sapeva qualcosa, o andava a partecipare alle ricerche. Ma perché tanta segretezza? Forse uno scandalo, qualche gravissima responsabilità dell’Amministrazione, che ora si tentava di insabbiare: il vero e molto più semplice motivo non passò neppure per la testa di Spenser.
Non fu dunque un caso che il giornalista si trovasse seduto accanto a Lawson al momento di allacciare le cinture di sicurezza. Con altri quindici passeggeri, i due sedevano nella cabina oscurata, osservando la Luna che si avvicinava vertiginosamente. Proiettata su uno schermo attraverso una lente inserita nello scafo esterno, l’immagine sembrava più vivida e più brillante che vista a occhio nudo. Era uno spettacolo meraviglioso, indimenticabile, ma Spenser lo seguiva distrattamente, perché la sua attenzione era rivolta all’uomo che gli sedeva accanto, e il cui profilo aquilino era appena visibile nel chiarore riflesso dallo schermo.
«Non è più o meno in quella zona» osservò a un tratto, in tono quasi annoiato «che s’è perso quel battello pieno di turisti?»
«Sì» rispose Lawson, dopo un considerevole ritardo.
«Io di geografia lunare me ne intendo poco, per la verità. Avete un’idea, voi, di dove diavolo siano finiti quei poveracci?»
Perfino l’individuo più scorbutico, Spenser l’aveva scoperto da un pezzo, resiste difficilmente alla tentazione di dare schiarimenti, se gli vengono chiesti come un favore, e se gli consentono di affermare la propria superiorità. Il trucco funzionava nove volte su dieci. Funzionò anche con Lawson.
«Sono laggiù» disse Tom, indicando il centro dello schermo. «Quelle sono le Montagne Inaccessibili, e quello, tutt’attorno, è il Mare della Sete.»
Spenser guardava, con interesse autentico, i nettissimi contorni in bianco e nero delle montagne verso le quali stavano cadendo. Sperava che il pilota, umano o elettronico che fosse, conoscesse il suo mestiere. Poi si rese conto che si stavano dirigendo verso il territorio più pianeggiante, a sinistra dello schermo. I monti, e la curiosa zona grigiastra che li circondava, si allontanavano rapidamente dal centro dello schermo.
«Porto Roris» disse Tom, senza esserne richiesto, indicando un segno nero appena visibile all’estrema sinistra. «È là che dobbiamo atterrare.»
«Bene. Non mi entusiasmava molto l’idea di atterrare su quelle montagne» osservò Spenser, deciso a tenere la conversazione sul binario giusto. «Quei poveri diavoli… Non li troveranno di certo, se si sono smarriti in quel labirinto. Del resto, pare che siano stati sepolti da una valanga, no?»
Tom fece una risatina ironica. «Cosi si crede» commentò.
«Perché, non è vero?»
Troppo tardi, Tom ricordò le istruzioni ricevute. «Non posso dirvi di più» replicò.
Spenser lasciò cadere l’argomento. Ormai aveva saputo quanto bastava per convincersi di una cosa.
Clavius City avrebbe aspettato. Il punto focale doveva esser, Porto Roris, e gli conveniva fermarsi lì.