125787.fb2 Polvere di Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 9

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Ne fu ancora più convinto, quando, con un sospiro d’invidia, notò che il dottor Lawson sbrigava le formalità di quarantena, dogana, immigrazione e cambio in tre minuti esatti.

Se un ficcanaso avesse potuto origliare alla porta del Selene, sarebbe rimasto molto perplesso. Nella cabina, con effetto tutt’altro che melodioso, echeggiavano ventuno voci intente a cantare, in altrettanti toni dissonanti: «Tanti auguri a te! Tanti auguri a tee!».

Cessato quello strepito gaio e stonato, il commodoro giudicò che il compleanno della signora Williams era stato festeggiato abbastanza, e richiamò l’attenzione dei passeggeri.

«Signore e signori!» cominciò. «Proporrei di passare al prossimo numero del nostro programma. Sono lieto di annunciarvi che il Comitato Ricreativo, formato dalla signora Schuster e dal professor Iaya… ehm… e dal professore, ha avuto un’idea che dovrebbe riuscire divertente. Il Comitato propone che ognuno di noi si sottoponga, a turno, a un piccolo processo. La corte avrà il compito di trovare una risposta a questo interrogativo: qual è il vero motivo che ci ha portati sulla Luna? Naturalmente, qualcuno potrebbe anche trovarsi imbarazzato a rispondere. Non mi stupirei, se una buona metà dei presenti fosse venuta qui per sfuggire alla polizia, o magari alla moglie. Siete liberi di rifiutarvi di rispondere, ma poi non prendetevela se, dalla vostra reticenza, trarremo le conclusioni più nere. Che cosa ve ne pare della trovata?»

Alcuni l’accolsero con discreto entusiasmo, altri con ironiche risate di disapprovazione, ma nessuno si oppose in modo aperto. Quasi automaticamente, il commodoro venne eletto presidente del tribunale; altrettanto automatica fu l’elezione di Irving Schuster a pubblico ministero. Il doppio sedile di destra della prima fila era stato girato in modo da fronteggiare l’aula: sarebbe servito da cattedra per il giudice e il pubblico ministero. Appena tutti gli altri si furono sistemati, e il cancelliere (ossia Pat Harris) ebbe ordinato il silenzio, il presidente fece un piccolo discorso.

«Signori, voi non siete chiamati per stabilire la colpevolezza di nessuno» dichiarò, cercando di restare serio. «Questa è infatti una semplice istruttoria. Se qualcuno dei testi ha la sensazione che il mio dotto collega voglia intimorirlo, può chiedere l’intervento della corte. Cancelliere, chiamate il primo teste, per favore.»

«Ehm… Vostro Onore… e chi è il primo teste?» domandò il cancelliere.

Ci vollero dieci minuti di discussione tra la corte, il pubblico ministero e i membri più cavillosi del pubblico per stabilire quel punto importantissimo. Finalmente si decise di tirare a sorte, e la sorte designò come primo teste David Barrett.

Sorridendo, il teste avanzò dal fondo della cabina e andò a deporre nello stretto passaggio davanti al giudice. Irving Schuster, che in camicia e mutande non aveva un aspetto molto legale, si schiarì la voce.

«Vi chiamate David Barrett?»

«Esatto.»

«Qual è la vostra professione?»

«Ingegnere agricolo, in pensione.»

«Signor Barrett, dite a questa corte per quale motivo siete venuto sulla Luna.»

«Ero curioso di vedere com’era, e avevo il tempo e i quattrini necessari.»

Irving Schuster fissò Barrett obliquamente, attraverso le sue grosse lenti. Nella sua carriera aveva notato che quel modo di guardare metteva sempre in agitazione i testimoni. Portare occhiali era quasi un segno di eccentricità, in quell’era di lenti a contatto, ma i dottori e gli avvocati, specie i più vecchi, preferivano sfoggiare gli occhiali; anzi, gli occhiali erano diventati il simbolo delle professioni mediche e legali.

«Eravate curioso di vedere com’era» ripeté Schuster. «Questa non è una spiegazione. Perché eravate curioso?»

«La domanda mi pare formulata in modo così vago da non consentirmi di rispondere. La si può applicare a tutto.»

Il commodoro Hansteen sorrideva, soddisfatto. Proprio quello che lui voleva: indurre i passeggeri a chiacchierare e a discutere liberamente di argomenti che potessero essere di interesse generale, ma che non sollevassero accanite controversie, o malumori.

«Riconosco che la domanda poteva essere formulata con maggior pertinenza» ammise il pubblico ministero. «Cercherò di formularla in modo diverso. Sarebbe esatto dire che vi sentivate attratto dalle bellezze panoramiche della Luna?»

«Sì, il panorama faceva parte dell’attrattiva. Avevo visto film e volantini di propaganda, e mi domandavo se la realtà fosse davvero emozionante come veniva descritta.»

«E ora vi pare di poter dire che lo è?»

«Direi che abbia superato tutte le mie aspettative» fu l’asciutta risposta.

Dal resto del pubblico si levò una fragorosa risata. Il commodoro Hansteen si affrettò a battere sullo schienale del suo sedile.

«Silenzio!» gridò. «Se ci saranno altri schiamazzi, dovrò far sgomberare l’aula!»

Il che, come Hansteen si aspettava, venne accolto da una risata ancora più fragorosa. Il commodoro lasciò che tutti si sfogassero. Appena il baccano accennò a diminuire, Schuster riprese a parlare, usando il suo più bel tono da «terzo grado».

«Molto interessante, signor Barrett. Avete percorso tutta la strada tra la Terra e la Luna, sostenendo spese non indifferenti, solo per vedere il panorama. Dite, signor Barrett, avete visto il Gran Canyon del Colorado?»

«No. E voi?»

«Vostro Onore!» si appellò l’avvocato Schuster. «Il teste ostacola l’interrogatorio.»

Hansteen guardò severamente Barrett, il quale non sembrava per nulla mortificato.

«Non siete voi che conducete l’inchiesta, signor Barrett. Il vostro compito è quello di rispondere alle domande che vi vengono rivolte, non di farne a vostra volta.»

«Chiedo scusa alla corte, Vostro Onore.»

«Benissimo. Procediamo, avvocato.»

Schuster si rivolse di nuovo al teste.

«Vorrei sapere, signor Barrett, come mai avete sentito la necessità di visitare la Luna, quando ci sono tanti posti della Terra che non avete ancora visto.»

«Il nostro pianeta, per la verità, l’ho visto in lungo e in largo. Sono stato a tutt’e due i Poli, ho soggiornato all’albergo Everest, ho percorso il fondo degli oceani. Diciamo che la Terra non aveva più nulla di nuovo da offrirmi. Mentre la Luna era completamente nuova per me: un intero mondo da scoprire a meno di ventiquattr’ore di viaggio. Non ho saputo resistere alla tentazione.»

Hansteen ascoltava distratto la risposta di Barrett; in realtà, stava approfittando della chiacchierata del teste per esaminare il pubblico senza averne l’aria. Ormai si era formato un quadro abbastanza esatto dell’equipaggio e dei passeggeri e aveva capito su chi poteva contare quando fosse venuto il peggio, e da chi sarebbero venuti i guai.

Sull’equipaggio. si poteva contare senz’altro. Harris era un giovane in gamba, competente e poco ambizioso, soddisfatto del lavoro che faceva. Un uomo leale, coscienzioso e dotato di poca fantasia, che avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo e sarebbe stato pronto a morire senza atteggiarsi a martire. Era una virtù che molti uomini più dotati di Harris non possedevano e che sarebbe stata preziosa a bordo del Selene, se tra cinque giorni le cose non fossero cambiate.

La signorina Wilkins, la hostess, era importante quasi quanto il capitano, sotto un certo punto di vista; Hansteen l’aveva già classificata come una ragazza intelligente, dal carattere forte e con un’istruzione superiore alla media. Hansteen sapeva per esperienza che si poteva sempre contare sulle hostess spaziali.

E i passeggeri? Naturalmente, si trattava di persone superiori alla media, e lo provava il fatto che si trovassero sulla Luna. C’era sicuramente un altissimo quoziente intellettuale rinchiuso dentro il Selene, ma l’ironia della sorte voleva che, in un simile frangente, il quoziente intellettuale non servisse a nulla. Ciò che occorreva era il carattere, la forza d’animo, o, per usare un termine più crudo, il coraggio.

Pochi uomini, ormai, sapevano cosa volesse dire il coraggio fisico. Dalla nascita alla morte, raramente si trovavano faccia a faccia col pericolo. Gli uomini e le donne a bordo del Selene non erano stati addestrati per affrontare le ore d’incubo che si preparavano, e lui non sarebbe riuscito ancora per molto a tenerli occupati con giochi e passatempi. Il commodoro Hansteen si guardò rapidamente attorno. A parte gli indumenti ridotti e l’aspetto un po’ disordinato, quelle ventuno persone erano ancora membri della società civile, ragionanti e dotati di autocontrollo. Quale di essi, si chiese il commodoro, sarebbe stato il primo a crollare?

Nel concetto dell’ingegner Lawrence, il dottor Lawson costituiva l’eccezione al vecchio adagio: «Sapere significa perdonare». L’avere scoperto, in via confidenziale, che l’astronomo aveva avuto un’infanzia infelice e tormentata e che era arrivato così in alto grazie unicamente al suo prodigioso intelletto, poteva servire a compatirlo, ma non a trovarlo simpatico. Era una vera sfortuna, sempre nel concetto dell’ingegner Lawrence, che Lawson fosse l’unico scienziato, in un raggio di trecentomila chilometri ad avere un rivelatore a raggi infrarossi e a saperlo usare.

In quel momento, Lawson era seduto al posto di guida nella Slitta Due, intento a dare gli ultimi ritocchi al congegno rudimentale ma efficacissimo che era riuscito a mettere insieme. Un treppiede da macchina fotografica era stato montato sul tetto del piccolo veicolo, e su questo era stato avvitato il rivelatore, in modo tale che l’apparecchio potesse operare in tutte le direzioni.

Pareva che il congegno funzionasse, ma era difficile stabilirlo all’interno del piccolo hangar pressurizzato che aveva fonti di calore dappertutto. La vera prova si sarebbe potuta fare soltanto al largo, nel Mare della Sete.

«È pronto» annunciò finalmente Lawson. «Vorrei solo dire due parole all’uomo che guiderà la slitta.»

L’ingegnere capo lo fissò con aria pensosa, ancora incerto sul da farsi. C’erano infatti molti «pro» e «contro» riguardo all’idea che gli era venuta, e Lawrence si sforzò di prendere la sua decisione senza tenere conto dei sentimenti personali. Ora non c’era tempo per certe sciocchezze.

«Siete capace di indossare una tuta spaziale, vero?» domandò a Lawson.

«Non l’ho mai fatto in vita mia. Si mettono solo per andare nel vuoto, all’esterno, e questo lo lasciamo fare agli ingegneri.»

«Bene, allora vi si presenta l’occasione di provare» disse Lawrence, ignorando la frecciata. (Ma era poi una frecciata? Forse la scortesia di Lawson non era calcolata, forse era solo indifferenza per le forme.) «P, una cosa da nulla, quando si sta sopra una slitta. Non dovete fare altro che stare seduto tranquillamente al posto del passeggero, e il regolatore automatico penserà lui all’ossigeno, alla temperatura e a tutto il resto. C’è un solo problema…»

«E sarebbe?»