125855.fb2 Primo contatto - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 4

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«Certo», rispose Daino, nelle schede-parole che guizzarono al loro posto nel riquadro del decodificatore. «È un bel sogno. Ma anche se mi sei simpatico non posso ancora crederti. Se l’avessi detto io per primo, mi troveresti simpatico ma neppure tu mi crederesti. Io ti dico la verità più di quanto tu creda, e forse tu mi dici la verità più di quanto io ti creda. Ma non c’è nessun modo di esserne certi. Mi spiace».

Tommy Dort fissò con tristezza il messaggio. Avvertiva uno sgradevolissimo, orribile senso di responsabilità. Tutti l’avvertivano sulla Llanvabon. Se avessero fallito in quell’incontro, la razza umana avrebbe avuto un’ottima probabilità d’essere sterminata in un prossimo futuro. Se invece avessero avuto successo, sarebbe stata con ogni probabilità la razza degli alieni che si sarebbe trovata ad affrontare la distruzione. Milioni e milioni di vite dipendevano dalle azioni di pochi uomini.

Fu allora che Tommy Dort vide la risposta.

Sarebbe stato incredibilmente semplice, se avesse funzionato. Nel peggiore dei casi avrebbe dato una vittoria parziale all’umanità e alla Llanvabon. Tommy restò seduto, immobile, non osando compiere il minimo movimento per timore che ciò potesse spezzare la catena di pensieri che era seguita a quella prima, tenue idea. La rimuginò tra sé più volte, in preda a una crescente eccitazione, trovando qua delle obiezioni e risolvendole, e là delle impossibilità, e superandole. Era la risposta! Ne era più che convinto.

Quando imboccò il corridoio che conduceva alla cabina del comandante e chiese il permesso di parlare, si sentì quasi stordito dal sollievo.

Una delle funzioni del comandante, fra le molte, è quella di cercare le cose di cui preoccuparsi. Ma il comandante della Llanvabon non aveva certo bisogno di andarsele a cercare, le sue preoccupazioni. Durante le tre settimane e quattro giorni da quando c’era stato il primo contatto con la nave nera aliena, il volto del comandante era invecchiato e si era coperto di rughe. Non doveva preoccuparsi per la sola Llanvabon, ma per tutta l’umanità.

«Signore», disse Tommy Dort, la gola secca a causa della schiacciante importanza di ciò che stava per riferire. «Posso proporle un modo per impadronirsi della nave nera? L’intraprenderò io stesso, signore, e se non dovesse funzionare, la nostra nave non ne uscirà indebolita».

Il comandante lo fissò senza vederlo.

«Ogni tattica possibile è già stata elaborata, signor Dort», replicò, in tono grave. «Ora vengono tutte perforate su nastro, perché la nave possa usufruirne. È un terribile rischio, ma bisogna correrlo».

«Credo», insisté Tommy, calcando le parole, «di aver escogitato un modo per eliminare il rischio. Supponga, signore, che inviamo un messaggio all’altra nave, offrendo…»

La sua voce continuò, nel silenzio totale della cabina del comandante, con le visipiastre che mostravano soltanto una vasta nebulosità all’esterno e le due stelle che ardevano feroci nel cuore della nube.

Il comandante in persona passò attraverso la camera di equilibrio insieme a Tommy. Per un motivo, l’azione suggerita da Tommy richiedeva l’appoggio della sua autorità. Per un altro, il comandante si era preoccupato con più intensità di chiunque altro, là sulla Llanvabon, e la cosa l’aveva stancato. Se fosse andato con Tommy, lui stesso si sarebbe preso il carico e la responsabilità dell’atto; se avesse fallito, sarebbe stato il primo a restare ucciso, ma il nastro con tutte le manovre in dettaglio della nave terrestre era già stato dato in pasto al sincronizzatore principale. Se. Tommy e il comandante fossero rimasti uccisi, sarebbe bastato schiacciare un solo pulsante per scagliare la Llanvabon nel più furioso di tutti gli attacchi totali, destinato a concludersi con la completa distruzione della nave terrestre o di quella aliena… o di entrambe. Così, il comandante non aveva disertato il suo posto.

Il portello esterno della camera di equilibrio si spalancò, aprendosi su quel vuoto splendente che era la nebulosa. A venti miglia di distanza il piccolo robot nero era sospeso nello spazio, alla deriva in un’incredibile orbita intorno ai soli gemelli centrali, e galleggiando sempre più vicino ad essi. Naturalmente, non avrebbe mai raggiunto nessuno dei due. La stella bianca da sola era talmente più calda del Sole della Terra che la sua vampa termica avrebbe riscaldato un oggetto alla stessa temperatura di quella media dell’atmosfera terrestre perfino a una distanza quintupla di quella di Nettuno dal Sole. Anche trovandosi a una distanza pari a quella di Plutone dal Sole il piccolo robot sarebbe diventato rosso come una ciliegia per il calore irradiato dall’avvampante nana bianca. E non poteva certo avvicinarsi a soli centocinquanta milioni di chilometri, che sono all’incirca la distanza della Terra dal Sole: così vicino, il suo metallo si sarebbe fuso, ribollendo sempre più e fuggendo via sotto forma di vapore. Ma, a mezzo anno-luce di distanza dalla stella doppia, il bulboso oggetto nero ondeggiava tranquillo nel vuoto.

Le due figure in tuta spaziale si librarono allontanandosi sulla Llanvabon. I piccoli propulsori atomici che facevano di esse delle piccole astronavi autonome avevano subìto delle modifiche accortamente studiate e inappariscenti all’esterno, ma che non interferivano col loro funzionamento. Puntarono verso il robot comunicatore. Il comandante, una volta là fuori, nello spazio, disse burbero: «Signor Dort, durante tutta la mia vita ho bramato l’avventura. Questa è la prima volta che ne vivo una autentica».

La sua voce giunse a Tommy attraverso gli auricolari spaziofonici. A sua volta, Tommy s’inumidì le labbra e rispose: «A me non sembra una avventura, signore. Io voglio fortissimamente che il piano vada in porto. Credo che si possa parlare di avventura quando del suo esito non ci importa poi tanto».

«Oh, no», ribatté il comandante. «C’è avventura quando si butta la propria vita sulla bilancia della fortuna e si guarda dove l’ago si arresta».

Raggiunsero il robot sferico. Si aggrapparono alle sue corte corna sormontate dai sensori.

«Intelligenti queste creature», dichiarò il comandante con voce grave. «Devono disperatamente voler vedere qualcosa di più della nostra nave, oltre alla sola cabina delle comunicazioni, per aver acconsentito a questo scambio di visite prima della battaglia».

«Sì, signore», annuì Tommy. Ma dentro di sé sospettava che Daino, il suo amico che respirava con le branchie, volesse veder lui in carne e ossa, prima che uno di loro, o tutti e due, morissero. E gli parve che tra le due navi avesse preso forma un preciso rituale di cortesie, come quello tra due antichi cavalieri prima d’un torneo, quando si esprimevano l’un l’altro una sincera ammirazione prima di colpirsi con tutte le armi e i colpi a disposizione.

Attesero.

Poi, altre due figure uscirono dalla nebbia: due alieni anch’essi in tute spaziali munite di propulsori. Gli alieni erano più corti degli umani, e le visiere dei loro caschi erano schermate da filtri che escludevano i raggi visibili e gli ultravioletti, che per loro sarebbero stati letali. Non si distingueva niente più, delle loro teste, che un vago profilo.

Il telefono nel casco di Tommy disse, dalla sala comunicazioni della Llanvabon: «Dicono che la loro nave la sta aspettando, signore. La camera d’equilibrio sarà aperta».

La voce del comandante disse a sua volta, in tono grave: «Signor Dort, Lei aveva già visto le loro tute spaziali? Se è così, è sicuro che non stiano trasportando qualcosa di extra, ad esempio bombe?»

«Sì, signore», rispose Tommy. «Ci siamo mostrati il nostro reciproco equipaggiamento per lo spazio. Ora, non si vede altro che roba normale, regolare».

Il comandante fece un gesto ai due alieni. Lui e Tommy Dort continuarono il tuffo verso la nave nera. A occhio nudo non riuscivano a distinguere la nave con molta chiarezza, ma dalla sala comunicazioni giungevano continuamente le istruzioni per ogni cambiamento di direzione.

La nave nera si profilò infine sopra di loro. Era gigantesca, lunga quanto la Llanvabon ma molto più grossa. La camera di equilibrio era aperta. I due uomini in tuta spaziale entrarono e si ancorarono al pavimento con le suole magnetiche degli stivali. Il portello esterno si chiuse. Si udì il sibilo dell’aria che entrava e allo stesso tempo fu innestata la gravità artificiale. Poi, il portello interno si aprì.

Tutto era tenebra. Tommy accese la lampada del suo casco nel medesimo istante del comandante. Poiché gli alieni vedevano nell’infrarosso, una luce bianca sarebbe stata per loro insopportabile. Perciò le luci nei caschi dei due uomini erano rosso-cupo, quello stesso che veniva impiegato per illuminare i pannelli della ’strumentazione, così da non abbacinare occhi che non sopportavano neppure la più piccola scintilla di luce bianca in una visipiastra. C’erano alcuni alieni che li stavano aspettando. Ammiccarono più volte alla luce delle lampade dei caschi. I ricevitori del telefono spaziale dissero all’orecchio di Tommy: «Signori, stanno dicendo che il loro comandante l’aspetta».

Tommy e il comandante si trovavano in un lungo corridoio dal pavimento cedevole. Le loro luci mostravano una gran quantità di dettagli strani.

«Credo che aprirò il mio casco, signore», annunciò Tommy.

Lo fece. L’aria era buona. Stando alle analisi, la percentuale d’ossigeno doveva toccare il trenta per cento rispetto al venti dell’atmosfera terrestre, ma la pressione era minore. Nel complesso, pareva senz’altro adatta a polmoni umani. Anche la gravità artificiale era inferiore a quella mantenuta a bordo della Llanvabon. Il pianeta d’origine degli alieni doveva essere più piccolo della Terra e… stando ai raggi infrarossi… doveva orbitare intorno a un sole rosso-cupo, quasi morto. L’aria aveva strani odori, ma non sgradevoli.

Un’apertura ad arco. Una rampa dello stesso materiale morbido che rivestiva i pavimenti; luci che diffondevano un fioco bagliore rosso-cupo. Come gesto di cortesia, gli alieni avevano aumentato l’intensità di quella parte del loro impianto d’illuminazione. Quella luce certo gli abbagliava, ma era un gesto di riguardo che fece desiderare ancor di più a Tommy che il suo piano andasse in porto.

Il comandante alieno li fronteggiò con quello che a Tommy parve un gesto arguto e deprecatorio insieme. Gli auricolari nel casco dissero: «Il comandante alieno, signore, dice che vi dà il benvenuto con piacere, ma che è riuscito a pensare a un solo modo, purtroppo, in cui il problema creato dall’incontro di queste due navi può venir risolto».

«Intende riferirsi alla battaglia», interloquì il comandante. «Ditegli che sono qui per proporgli un’altra scelta».

Il comandante della Llanvabon e il comandante della nave aliena erano faccia a faccia, ma il loro modo di comunicare era bizzarramente indiretto. Infatti parlavano grazie alle microonde, quasi una forma di telepatia. Ma non potevano udire le parole nel senso ordinario della cosa… per cui anche il comandante della Llanvabon e Tommy parlavano tra loro in un modo che, dal punto di vista degli alieni, era telepatia. Quando il comandante terrestre parlò, il suo telefono spaziale rinviò le sue parole alla Llanvabon, dove qui vennero date in pasto alla codificatrice, dopo di che un loro equivalente sotto forma di onde corte venne rispedito alla nave nera. La risposta del comandante alieno giunse alla Llanvabon, passò attraverso il decodificatore e fu ritrasmessa tramite il telefono spaziale sotto la forma di parole leggibili, lette appunto dai tecnici della comunicazione nell’apposito riquadro. Un sistema scomodo, ma funzionava.

L’alieno basso e tarchiato fece una pausa. Gli auricolari del casco ritrasmisero ai terrestri la sua risposta altrimenti silenziosa: «È pronto, anzi, desideroso di ascoltarla, signore».

Il comandante terrestre si tolse il casco. Portò le mani ai fianchi, assumendo un posa bellicosa.

«Senta un po’!» esclamò, con fare truculento, rivolgendosi alla strana, calva creatura che gli stava davanti, avvolta in un ultraterreno bagliore rosso. «Pare che si debba combattere e che, noi o voi, una delle due parti debba restare uccisa. Siamo pronti a farlo, se sarà necessario. Ma se voi vincerete, abbiamo predisposto le cose in modo che voi non possiate mai scoprire dove si trova la Terra, e c’è una buona probabilità che anche dopo morti si riesca a distruggervi! Ma se vinceremo noi, ci troveremo in un’identica situazione. Ma se noi vinceremo e torneremo a casa, il nostro governo armerà una flotta e comincerà a dar la caccia al vostro pianeta. Se lo troveremo, saremo pronti a farlo saltare in aria! Se vincerete voi, la stessa cosa accadrà a noi! E questa è follia! Siamo qui da un mese, abbiamo continuato a scambiarci informazioni, e nessuno di noi odia l’altro. E non abbiamo nessun motivo di combattere, se non per il futuro degli altri e delle nostre rispettive razze!»

Il comandante si fermò a riprender fiato, corrugando la fronte. Senza dar nell’occhio, anche Tommy portò le mani alla cintura della sua tuta spaziale. Attese, sperando disperatamente che l’espediente funzionasse.

«Ha risposto, signore», riferirono gli auricolari del casco, «che tutto ciò che lei dice è vero. Ma che la sua razza va protetta, proprio come lei ritiene che debba esserlo la sua».

«Certo», sbottò il comandante con rabbia, «ma la cosa davvero sensata da fare è quella d’immaginare un modo efficace di proteggerle! Mettere a repentaglio l’intero futuro in un combattimento è insensato. Come pure il fatto che le nostre razze non debbano essere informate l’una dell’esistenza dell’altra. Invece, ognuna delle due dovrebbe avere prove concrete che l’altra non soltanto esiste, ma non vuole combattere e desidera soltanto essere amica. E noi dovremmo essere in grado, qui, di trovare il modo di comunicare gli uni con gli altri su una base di reciproca fiducia. Se i nostri governi, poi, vorranno esser pazzi, che lo siano pure! Ma noi dovremmo dargli, almeno, la possibilità di diventare amici, invece di cominciare scatenando una guerra spaziale solo perché abbiamo reciprocamente paura!»

Il telefono spaziale disse in breve: «Dice che la maggior difficoltà sta proprio nel fidarsi l’uno dell’altro qui, adesso. Lui, con la possibilità ch«sia messa a repentaglio l’esistenza stessa della sua razza, non può correre nessun rischio, e neppure lei può correrlo, di concedere all’altro un vantaggio».

«Ma la mia razza», tuonò il comandante, fissando furioso il capitano alieno, «la mia razza ha, in questo momento, un vantaggio. Siamo venuti a bordo della vostra nave dentro tute spaziali alimentate dall’energia atomica! Prima di partire abbiamo modificato i propulsori: siamo in grado di far scoppiare cinque chilogrammi di combustibile nucleare a testa, qui, dentro questa nave, e se fosse impossibile per noi farli esplodere personalmente, ciò può esser fatto con un comando a distanza dalla nostra nave! E sarebbe davvero sorprendente se l’intera vostra riserva di combustibile non saltasse con noi! In altre parole, se non accetterete la mia proposta, un approccio al problema basato sul buonsenso, Dort ed io salteremo in aria in un’esplosione atomica, e la vostra nave, anche se non sarà del tutto distrutta, verrà come minimo ridotta a un relitto… e la Llanvabon attaccherà con tutto ciò di cui dispone meno di due secondi dopo l’esplosione!»

Nella cabina del capitano della nave aliena la scena acquistò un sapore ancor più surreale agli occhi dei due terrestri, con la sua illuminazione rosso-cupa e gli alieni calvi, che respiravano con le branchie, i quali fissavano il comandante e aspettavano la traduzione dell’arringa per loro inaudibile. La tensione crebbe all’improvviso, in un misto di furia e di stanchezza. Il comandante alieno fece un gesto. Gli auricolari dei caschi ronzarono.

«Signore», li informò il tecnico a bordo della Llanvabon, «il comandante alieno vuol sapere qual è la sua proposta».

«Scambiarci le navi!» ruggì il comandante terrestre. «Scambiarci le navi e tornare tutti a casa! Noi possiamo sistemare i nostri strumenti cosicché gli alieni non possano seguirci, e loro possono far lo stesso con gli strumenti a bordo di questa nave. Entrambi asporteremo tutte le mappe stellari e ogni altro tipo di registrazione. Smantelleremo entrambi le nostre armi. Tutte e due le atmosfere sono respirabili sia da noi che da loro, noi prenderemo la loro nave, e gli alieni la nostra, nessuno dei due potrà danneggiare o seguire l’altro, e ognuno porterà con sé a casa più informazioni di quante avrebbe potuto portarne in qualunque altro modo! E possiamo sempre scegliere entrambi questa stessa Nebulosa del Granchio come il luogo del prossimo appuntamento quando la stella doppia avrà compiuto un altro giro completo… così, se la nostra gente vorrà incontrarli, potrà farlo, e se avrà paura, potrà evitarlo… e lo stesso vale per loro. Questa è la mia proposta. E lui dovrà accettarla, altrimenti Dort ed io faremo saltare la sua nave e la Llanvabon ridurrà in briciole quel che ne resterà!»

Lanciò occhiate minacciose tutt’intorno mentre aspettava che la traduzione raggiungesse quelle basse figure, frementi e tese, tutt’intorno a lui. Seppe quando il messaggio arrivò, poiché la tensione cambiò. Le figure si agitarono, gesticolarono. Una di esse si esibì in una serie di movimenti convulsi, si lasciò cadere sul pavimento e cominciò a scalciare. Altre si appoggiarono alle pareti in preda a un tremito convulso. La voce negli auricolari di Tommy Dort, che fino a quel momento si era mantenuta su una gelida impersonalità, ora suonò sbigottita:

«Signore, ha detto che questo è un bellissimo scherzo, giacché i due membri dell’equipaggio che ha mandato sulla nostra nave, accanto ai quali siete passati venendo qui, hanno anch’essi le tute spaziali imbottite di esplosivo atomico, signore. Lui aveva intenzione di farci l’identica offerta, con le identiche minacce! Naturalmente accetta, signore. La Llanvabon vale per lui più della sua nave, come per lei la sua nave vale più della Llanvabon. A quanto pare, signore, è affare fatto».

Fu allora che Tommy Dort capi cos’erano i movimenti convulsi degli alieni. Erano risate.

Non fu così semplice come il comandante l’aveva descritto. L’attuazione pratica della proposta si rivelò assai complessa. Per tre giorni gli equipaggi delle due navi si mescolarono insieme: gli alieni per imparare il funzionamento dei motori della Llanvabon, e gli umani per imparare il funzionamento dei motori della nave nera. Era un bello scherzo… ma non era soltanto uno scherzo. C’erano ad ogni istante uomini sulla nave nera, e alieni sulla Llanvabon, pronti, al minimo preavviso, a far saltare la nave avversaria. E l’avrebbero fatto senza pensarci due volte, in caso di necessità. Per questo, la necessità non si presentò. Infine, tutta la bontà di questo accordo ebbe a manifestarsi, concedendo a due spedizioni di far ritorno a due civiltà, piuttosto che facesse ritorno o l’una o l’altra soltanto.

Non si riuscì ad evitare che insorgessero disaccordi. Vi furono discussioni circa il trasferimento di questo o quel documento. Nella maggior parte dei casi il problema fu risolto con la distruzione del documento in questione. Altri problemi furono causati dai libri di narrativa a bordo della Llanvabon, e dall’equivalente alieno d’una biblioteca di bordo, che conteneva opere che si avvicinavano ai romanzi della Terra. Ma erano oggetti preziosi per una possibile amicizia, poiché avrebbero mostrato gli aspetti più intimi di ognuna delle due culture all’altra, il punto di vista della gente comune delle due razze, senza l’ufficialità della retorica e della propaganda. E furono lasciati ai loro posti.