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Cullandosi pigramente con Shadow, sdraiato su di un soffice cumulo di pellicce nel confortevole scompartimento passeggeri dell’aerocarro, Leaf udì la pioggia che cominciava a cadere e si fece scuro in volto: era probabile che presto gli sarebbe toccato alzarsi e assumere la guida del carro, se era davvero quel genere di pioggia che lui temeva.
Erano passati nove giorni da quando i Denti avevano distrutto le province orientali. L’aerocarro, con a bordo i quattro che stavano fuggendo dai fieri appetiti degli invasori, scivolava lungo l’Autostrada del Ragno, a mezza strada tra Theptis e Northman’s Rib diretto ad ovest, sempre ad ovest alla maggior velocità possibile. Il piccolo e nervoso Sting era alle energoredini, trasmettendo comandi onirici alle tre pariglie di incubi che trainavano il carro; il massiccio Crown era nel compartimento centrale, di sicuro intento a progettare la propria rivincita contro i Denti, perché era cosi che lui passava la maggior parte del tempo; questo permetteva a Leaf e Shadow di starsene tranquilli, ma non per molto. Ascoltando il furioso tamburellare della pioggia sui rotoli di pelle a grandi venature che ricoprivano il tetto, Leaf capì che quella non era una pioggia normale, bensì l’orribile pioggia purpurea, che ammorbava l’aria e faceva uscire a caccia i ragni senza gambe. Sting non sarebbe stato in grado di guidare il carro nella pioggia purpurea. Che seccatura, pensò Leaf, raggomitolandosi contro il corpo peloso e lucido di Shadow. E poco dopo udì lo sbuffare preoccupato degli incubi e sentì il carro sussultare e sbandare; sì, non c’erano dubbi: pioggia purpurea e ragni senza gambe. Il suo periodo di riposo stava per finire.
Non che avesse qualcosa da obbiettare a sobbarcarsi la sua normale parte di lavoro. Ma aveva finito il suo turno di guida appena mezz’ora prima. Si era guadagnato il riposo. Se Sting non era in grado di guidare il carro in quella bufera (come Shadow, anche lei non poteva farlo con la pioggia purpurea), allora toccava allo stesso Crown prendere le redini. Ma naturalmente Crown non avrebbe mai fatto niente del genere. Era il suo carro, ma lui non lo guidava mai. — Ho sempre avuto dei subrazziali che guidavano per me — aveva detto dieci giorni prima, mentre erano fermi nella grande piazza della Città Santa, con i fuochi dei Denti che ardevano nei sobborghi.
— Tutti i tuoi subrazziali sono fuggiti senza aspettare il loro padrone — gli aveva ricordato Leaf.
— E allora? Ci sono altri che possono guidare?
— Devo diventare il tuo subrazziale? — aveva chiesto Leaf in tono pacato. — Ricordati, Crown, io appartengo al ceppo della Pura Discendenza.
— Lo vedo dalla tua faccia, amico. Ma perché imbarcarci in discussioni filosofiche? Questo carro è mio. Gli invasori saranno qui prima del calar del sole. Se volete venire ad ovest con me, le condizioni sono queste. Se per te sono troppo amare da digerire, bene, allora resta qui e metti alla prova la tua fortuna contro la misericordia dei Denti.
— Accetto le tue condizioni — aveva risposto Leaf.
Così era salito a bordo, insieme a Sting e Shadow, con la clausola che loro tre si sarebbero sobbarcati la guida. Leaf si era sentito degradato: essere assunto come un subrazziale vincolato da un contratto, ma quale altra scelta gli restava? Era solo, e lontano dal suo popolo: aveva perduto tutto il suo denaro ed i suoi averi; sicuramente si sarebbe trovato ad affrontare la morte per mano delle orde di Denti che divoravano le terre orientali. Aveva accettato le condizioni di Crown. Un aristocratico conosce meglio degli altri l’arte del compromesso. Resisti all’umiliazione finché è possibile, certo, ma poi accetta, accetta, accetta. Il rifiuto di piegarsi di fronte all’inevitabile è volgare e melodrammatico. Leaf apparteneva alla casta più elevata, la Pura Discendenza, e ad essa veniva insegnato fin dall’infanzia ad essere arrendevoli, a piegarsi liberamente come salici al vento al volere dell’Anima. L’orgoglio è un peccato pericoloso, come lo è la testardaggine; ma peggiore di tutti è la stoltezza. Quindi lui faticava mentre Crown oziava. Ma vi erano limiti anche alla capacità di adattamento di Leaf, e lui sospettava che questi limiti sarebbero stati raggiunti molto presto.
La prima notte, quando solo due piccoli fiumi li separavano dai Denti, ed i tremendi fuochi della Città Santa rischiaravano il cielo, i fuggiaschi fecero una breve sosta per fare incetta di meloni in un campo abbandonato, e mentre se ne stavano accovacciati a rimpinzarsi di frutti succulenti e maturi, Leaf disse a Crown: — Dove andrai, una volta che sarai al sicuro dai Denti sulle sponde del Middle?
— Ho dei lontani parenti che vivono nelle Pianure — rispose Crown. — Andrò da loro e racconterò quello che è successo alla razza del Lago Scuro laggiù ad est, e li persuaderò a prendere le armi per ricacciare i Denti nelle terre selvagge e gelate da cui provengono. Un esercito di liberazione, Leaf, e io lo guiderò. — Sul viso scuro di Crown brillavano minuscole goccioline di succo. Lui si pulì con una mano. — Quali sono i tuoi piani?
— Non così grandiosi. Anch’io cercherò la mia gente, ma non per organizzare un esercito. Desidero solo arrivare al Mare Interno, dal mio popolo, e vivere di nuovo tranquillo tra di loro. Sono troppi anni che manco da casa. C’è un momento migliore per ritornare? — Leaf lanciò un’occhiata a Shadow. — E tu — le chiese. — Che cosa ti aspetti da questo viaggio?
— Io voglio solo andare dovunque vai tu — disse lei. Leaf sorrise. — E tu, Sting?
— Sopravvivere — rispose Sting. — Solo sopravvivere.
L’umanità aveva cambiato il mondo e quel mondo, così cambiato, aveva operato mutamenti nell’umanità. Ogni giorno il carro portava i viaggiatori a contatto con nuove e strane genti che si proclamavano discendenti dall’antico ceppo ancestrale, anche se magari respiravano acqua, avevano la pelle simile a cuoio conciato o molte paia di braccia. Umani, tutti umani, umani, umani. O almeno, insistevano nel ritenersi tali. Se ti ostini a considerarti umano, pensava Leaf, allora anch’io ti considererò umano. Ma vi erano gradazioni di umanità. Leaf, come appartenente alla Pura Discendenza si considerava più umano dei suoi tre compagni; e a volte era portato a considerare Crown, Sting e Shadow come qualcosa di molto diverso dagli esseri umani, anche se non lo riteneva un difetto. Tutte le creature viventi erano senza difetto, purché non facessero del male agli altri. A Leaf era stato insegnato il rispetto per tutte le specie di umanità, compresi i subrazziali. E i suoi compagni non lo erano certo, appartenevano alle caste intermedie, con un rango non molto inferiore al suo. Crown, il più grosso, il più forte e il più violento del gruppo, apparteneva alla stirpe del Lago Scuro. Shadow a quella delle Stelle Danzanti, ed era la più agile ed aggraziata, ed anche l’unica donna del gruppo. Sting, che discendeva dal ceppo del Cristallo Bianco, era il più rapido nel corpo e nella mente, il più vivace e volubile. Un curioso assortimento, pensava Leaf. Ma nei momenti estremi si accettano i compagni di viaggio che si trovano. Lui non si lamentava. Scoprì che gli era possibile convivere con tutti loro, anche con Crown. Persino con Crown.
Con uno scossone, il carro si fermò. Si udì il rumore degli zoccoli che schizzavano sul suolo intriso d’acqua; poi le grida acute e laceranti di Sting e il ruggito rabbioso e roboante di Crown; ed infine una serie di esplosioni sibilanti e soffocate. Leaf scosse il capo con tristezza. — Sprecare le munizioni per i ragni senza gambe…
— Forse stanno attaccando i cavalli — disse Shadow. — Crown è rozzo, ma non è uno stupido.
Leaf le accarezzò teneramente i fianchi lisci. Shadow cercava sempre di essere gentile. Lui non aveva mai amato una Stella Danzante, anche se la loro vista gli aveva sempre procurato piacere; erano creature snelle, dall’ossatura fragile, il torace piatto, ricoperte dalle caviglie al cranio crestato da una pelliccia folta e molto fine dello stesso colore del crepuscolo invernale. Shadow aveva una voce musicale e movenze aggraziate: era l’opposto di Crown.
Comparve Crown, una figura corpulenta che avanzava con movimenti bruschi tra le tende di perline scintillanti che circondavano il compartimento centrale. Lanciò a Leaf un’occhiata malevola. Anche nei suoi momenti di buonumore Crown dava l’impressione di essere corrucciato, un effetto probabilmente causato dal colore delle cornee, che erano di un rosso brillante, mentre quelle di Leaf e della maggior parte delle altre specie umane erano bianche. Il corpo di Crown era un blocco di carne, due volte più grande e più alto di Leaf, anche se Leaf non proveniva certo da una razza di bassa statura. La pelle era lucida, rosso-verdastra, simile a bronzo brunito; era completamente privo di peli e assomigliava alla massiccia statua di un gladiatore, più che ad un essere vivente. Le braccia arrivavano oltre le ginocchia e avevano alcune giunture in più, e le mani erano grosse come canestri; quegli arti erano superbi strumenti di morte. Leaf gli rivolse il più cordiale dei suoi sorrisi. Senza ricambiare il sorriso, Crown disse: — È meglio che tu riprenda le redini, Leaf. La strada si sta trasformando in una palude. I cavalli sono nervosi. È la pioggia purpurea.
In quei nove giorni, Leaf si era abituato ad obbedire ai bruschi ordini di Crown. Anche ora, si staccò da Shadow e fece l’atto di alzarsi in piedi per obbedire. Ma poi, improvvisamente, raggiunse i limiti della propria sopportazione.
— Il mio turno è appena finito — disse.
Crown lo fissò. — Questo lo so. Ma Sting non è in grado di guidare il carro in queste condizioni. E in più ho appena ucciso un bel po’ di ragni senza gambe dall’aria minacciosa. E ne arriveranno altri se non ci muovimo subito da qui.
— E allora?
— Che cosa stai cercando di fare, Leaf?
— Può darsi che non me la senta di tornare là davanti tanto presto.
— Pensi che Shadow sia in grado di tenere le redini in mezzo a questo temporale? — chiese freddamente Crown.
Leaf si irrigidì. Vide l’ira addensarsi sul viso di Crown. Il gigante controllava a fatica la propria natura violenta: presto sarebbero nati dei guai, se Leaf avesse continuato a sfidarlo. Questo spirito di ribellione andava contro tutti i suoi principi, eppure si trovò ad insistervi, provando persino una sorta di perverso piacere. Decise di rischiare un confronto per vedere fino a che punto arrivasse la fermezza di Crown. Con impudenza disse: — Potresti provare a tenere le redini tu stesso, amico.
— Leaf! — sussurrò Shadow atterrita.
Sul viso di Crown apparve un’espressione omicida. Le guance nere e lucide si gonfiarono e si tesero: gli occhi scintillarono come metallo fuso, le mani si chiusero e si aprirono, si chiusero e si aprirono, cercando furiosamente la presa. — Che razza di cretinate stai dicendo? Hai un contratto, Leaf, a meno che tu non abbia improvvisamente deciso che uno di Pura Discendenza non è obbligato a tener fede…
— Risparmiami i pregiudizi di classe, Crown. Non sto usando la Pura Discendenza come un pretesto per schivare il lavoro. Sono stanco e il mio riposo me lo sono guadagnato.
Sottovoce, Shadow disse: — Nessuno ti nega il riposo, Leaf. Ma Crown ha ragione quando dice che io non sono in grado di guidare con la pioggia purpurea. Lo farei, se ne fossi capace. E neppure Sting può farlo. Resti solo tu.
— E Crown — disse Leaf ostinato.
— Ci sei solo tu — mormorò Shadow. Era da lei non prendere mai posizione, cercando sempre di mediare. — Avanti, Leaf. Prima che nascano dei guai. Di solito non ti comporti così, non è nel tuo stile.
Leaf si sentiva obbligato a seguire quella linea di condotta, anche se era pericolosa. Scosse la testa. — Tu, Crown. Guidi tu.
Con voce strozzata, Crown disse: — Stai tirando troppo la corda. Abbiamo un contratto.
Lo spirito di ribellione della Pura Discendenza si era esaurito, adesso. — Contratto? Ero d’accordo di fare il mio turno di guida, non di essere privato del riposo non appena…
Crown tirò un calcio ad uno sgabello di vimini, mandandolo in pezzi. La sua rabbia stava per esplodere. Le vene del collo si gonfiarono e pulsarono. Riuscendo ancora a controllarsi, disse: — Esci di qui ora, Leaf, o, per l’Anima, ti spedirò al Tutto-che-è-Uno!
— Magnifico, Crown! Uccidimi, se senti di doverlo fare. E poi chi guiderà per te questo maledetto carro?
— Ci penserò dopo.
Crown avanzò, deglutendo, e serrando i pugni.
Shadow diede a Leaf una violenta gomitata nelle costole. — La faccenda sta oltrepassando i limiti del ragionevole — gli disse. Lui era d’accordo. Aveva messo alla prova Crown e aveva avuto la risposta che cercava, cioè che Crown non avrebbe ceduto; ora era il momento di smettere; perché Crown era capace di uccidere. La massiccia creatura del Lago Scuro torreggiò sopra di lui sollevando le enormi braccia come se volesse abbatterle sul capo di Leaf. Lui alzò le mani, in un gesto di sottomissione più che di autodifesa.
— Aspetta — disse. — Fermati, Crown. Guiderò.
Le braccia di Crown si abbassarono ugualmente. Lui riuscì a fermare a metà il corpo mortale, perdendo l’equilibrio e appoggiandosi alla fiancata del carro. Si raddrizzò goffamente. Scosse piano la testa. Con voce bassa e minacciosa disse: — Non ci riprovare mai più, Leaf.
— È la pioggia — disse Shadow. — La pioggia purpurea. Tutti fanno cose strane quando c’è la pioggia purpurea.
— Sarà così — disse Crown, lasciandosi cadere sull’accogliente ammasso di pellicce mentre Leaf si alzava. — La prossima volta saranno guai grossi. Ora muoviti, vai davanti.
Con un cenno di assenso, Leaf disse: — Vieni davanti con me, Shadow.
Lei non rispose. Un guizzo di paura lampeggiò nei suoi occhi.
Crown disse: — Il guidatore guida da solo. Questo lo sai, Leaf. Stai ancora mettendomi alla prova? Se è così, dillo e io saprò come trattarti.
— Voglio solo un po’ di compagnia dal momento che devo fare un turno extra.