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Ci fu un istante di silenzio. Shadow tremava. — Va bene — disse Leaf alla fine. — Shadow resta qui.
— Ti accompagno per un pezzetto — disse lei lanciando una timida occhiata verso Crown. Lui si rabbuiò ma non disse nulla. Leaf uscì dallo scompartimento passeggeri e Shadow lo seguì. Fuori, nello stretto passaggio che conduceva alla cabina centrale, Leaf si fermò, scosso e tremante, e la strinse a sé. Lei premette il proprio corpo contro il suo e si abbracciarono intensamente, furiosamente.
Quando lui si sciolse, lei gli chiese: — Perché hai cercato di contrariarlo in quel modo? È una cosa insolita per te, Leaf.
— Semplicemente non me la sentivo di riprendere le redini tanto presto.
— Lo so.
— Volevo stare con te.
— Starai con me un po’ più tardi — disse lei. — È stata una cosa insensata voler discutere con Crown. Non c’era scelta. Tu dovevi guidare.
— Perché?
— Lo sai. Sting non poteva farlo. E nemmeno io.
— E Crown?
Lei lo guardò in modo strano. — Crown? Come avrebbe potuto Crown prendere le redini?
Dal compartimento passeggeri giunse il grugnito rabbioso di Crown: — Vuoi stare lì tutto il giorno, Leaf? Muoviti! Shadow, vieni qui.
— Vengo! — gridò Shadow.
Leaf la trattenne per un istante. — Perché no? Perché non avrebbe potuto guidare? Può mostrarsi orgoglioso, ma non al punto di…
— Chiedimelo in un altro momento — disse Shadow allontanandolo. — Vai, vai. Devi guidare. Se non ci muoviamo, i ragni ci saranno addosso.
Il terzo giorno del loro viaggio verso ovest, giunsero al villaggio dei Metamorfi. La maggior parte del territorio che avevano attraversato era deserto, anche se i Denti non erano ancora arrivati fin lì; ma quei Metamorfi continuavano la loro vita come se nelle province vicine non fosse successo nulla. Erano individui ossuti, dalle lunghe gambe, con la pelle olivastra, quasi verde, classificati molto al di sotto delle caste intermedie, ma al di sopra dei subrazziali. La loro dote particolare era quella della metamorfosi: erano in grado di controllare volontariamente un progressivo ammorbidimento delle ossa, che nel giro di una settimana alterava drasticamente l’aspetto dei loro corpi; ma Leaf non vide niente del genere, a parte alcuni bambini che sembravano nel bel mezzo di strane trasformazioni, uno con le spalle grottescamente distese, un altro con le gambe che sembravano trampoli. Gli adulti si avvicinarono al carro, ammirandone al bellezza con deboli suoni sommessi, e Crown uscì per andare a parlare con loro. — Sto andando a radunare un esercito — disse. — Sarò di ritorno tra un mese o due alla testa della mia gente delle Pianure. Volete combattere nelle nostre file? Insieme sconfiggeremo i Denti e le province orientali saranno di nuovo sicure.
I Metamorfi risero di cuore. — Come si possono sconfiggere i Denti? — chiese un vecchio con un ciuffo untuoso di capelli bianco-azzurri. — È per volontà dell’Anima che essi avanzano da conquistatori e nessuno può mettersi a discutere con l’Anima. I Denti rimarranno in queste terre per migliaia e migliaia di anni.
— Possono essere sconfitti — gridò Crown.
— Distruggeranno tutto ciò che si trova sul loro cammino e nessuno potrà fermarli.
— Se è così che la pensate, perché allora non fuggite? — chiese Leaf.
— Oh, abbiamo tempo. Ma ce ne saremo già andati da molto tempo quando tornerai con il tuo esercito. — Si udirono dei risolini. — Ci terremo alla larga dai Denti. Abbiamo i nostri sistemi. Cambiamo forma e scivoliamo via.
Crown insistette: — Potremmo usarvi nella guerra contro di loro. Voi avete talenti preziosi. Se non volete combattere come soldati, almeno fateci da spie. Vi manderemo al campo dei Denti, camuffati da…
— Noi non saremo qui — disse il vecchio. — E nessuno riuscirà a trovarci. — E questo chiuse la discussione.
Quando l’aerocarro ripartì dal villaggio dei Metamorfi, con Shadow alle redini, Leaf chiese a Crown: — Credi davvero di poter sconfiggere i Denti?
— Devo.
— Hai sentito il vecchio Metamorfo. La venuta dei Denti è stata per volontà dell’Anima. Puoi sperare di contrastare quel volere?
— Anche un temporale è volontà dell’Anima — rispose tranquillo Crown. — Ma io faccio tutto quello che posso per restare asciutto. Non ho mai saputo che questo dispiacesse all’Anima.
— Non è la stessa cosa. Un temporale è una faccenda tra il cielo e la terra. Noi non siamo coinvolti; se vogliamo ripararci, questo non muta la realtà di ciò che sta accadendo. Ma l’invasione dei Denti è una cosa tra tribù e tribù, un riassetto delle regole sociali. Nel grande schema delle cose, Crown, può darsi che sia un processo necessario, preordinato, per raggiungere certi fini al di là della nostra comprensione. Tutti gli eventi sono parte di un disegno più grande e tutto si bilancia, ogni cosa ne compensa qualcun’altra. Prima c’era la pace ed ora è il tempo degli invasori, capisci? Se è così, resistere è inutile.
— I Denti hanno invaso le terre orientali — disse Crown, — massacrando migliaia di innocenti tra il popolo del Lago Scuro. La mia preoccupazione per i processi inevitabili si ferma a questo. La mia tribù è stata quasi completamente spazzata via. La tua è ancora al sicuro, là sulle rive ricoperte di felci. Io cercherò aiuto e otterrò la vendetta.
— I Metamorfi hanno riso di te. Anche altri lo faranno. Nessuno vorrà combattere i Denti.
— Ho dei cugini nelle Pianure. Se non lo farà nessun altro, loro si mobiliteranno. Vorranno ripagare i Denti per i crimini che hanno commesso contro il popolo del Lago Scuro.
— Può darsi che i tuoi cugini occidentali dichiarino di voler restare dove sono, al sicuro. Perché dovrebbero andare ad est a morire in nome della vendetta? La vendetta, non importa quanto sanguinosa, riporterà forse in vita quelli della tua stirpe?
— Combatteranno — disse Crown.
— Preparati all’eventualità che non vogliano farlo.
— Se rifiutano — disse Crown, — allora ritornerò ad est e continuerò la mia guerra da solo finché non sarò sopraffatto. Ma non temere per me, Leaf, sono sicuro che troverò reclute in abbondanza.
— Quanto sei testardo, Crown. Hai una buona ragione per odiare i Denti, come tutti noi. Ma perché permettere che quest’odio ti costi la vita? Perché non accetti il disastro e non ti rifai una nuova esistenza oltre il fiume Middle, dimenticando questo sogno di rovesciare l’irreversibile?
— Ho il mio compito — disse Crown.
Leaf avanzò verso la parte anteriore del carro, lentamente, a testa bassa e con le spalle curve, i piedi che formicolavano per il desiderio di prendere a calci qualcosa. Si sentiva di umore tetro, raggelato da un cupo risentimento. Si era lasciato prendere dalla rabbia verso Crown, il che era deprecabile: ma, peggio ancora, si era lasciato possedere ed avvelenare dall’ira. Nemmeno la bellezza del carro riusciva a sollevarlo: normalmente, le sue linee superbe e l’elegante arredamento gli procuravano gioia: i drappi di pelliccia dal disegno ondulato, gli stendardi dai tessuti finissimi, i raffinati intarsi, le aggraziate strisce di nappa e semi essicati che pendevano dai soffitti ricurvi, tutte queste meraviglie non significavano nulla per lui, ora. Non era giusto, lo sapeva.
L’aerocarro era più lungo di dieci uomini della Pura Discendenza sdraiati testa contro piedi e largo quasi quanto la carreggiata della strada.
Alla sua costruzione avevano collaborato gli artigiani migliori: senza dubbio i Donatori di Fiori, solo loro sapevano costruire con tanta perfezione. Leaf immaginò decine di quei piccoli esseri fragili che per mesi si erano affannati, sorridenti e silenziosi, con dita lunghe e affusolate, occhi ardenti ed acuti, a dare una forma al carro, con la stessa passione con cui si dà forma ad una poesia. La struttura principale era costituita da lunghi pali di leggero e resistente legno-vela, sapientemente tagliati in ampie strisce ricurve, ricoperte da una sostanza liquida incolore e fragrante, e assicurate con fibre elastiche di vimini delle paludi meridionali. Su questa elaborata struttura erano stesi rotoli di pelle, legati con spesse fibre gialle ricavate dai corpi cartilaginosi delle stesse creature che fornivano la pelliccia. Il pavimento era costituito da tavole di scuro e brillante legno di fiordinotte, perfettamente lucidate e fissate con grande perizia. Nella costruzione del carro non erano stati impiegati metalli o altre sostanze artificiali: tutto era stato fornito dalla natura. Per quanto enorme e maestoso, il carro era arioso e leggero, abbastanza da galleggiare su di una colonna di aria calda generata dai rotori magnetici sistemati nella parte inferiore; finché la terra girava, avrebbero girato anche i rotori e quando i rotori erano in funzione, il carro si sollevava da terra di una decina di centimetri e poteva venir trainato facilmente da pariglie di incubi.
Era un palazzo mobile, più che un carro, e dovunque suscitava meraviglia: era l’amore di Crown, la sua gioia, la sua proprietà, un sofisticato giocattolo. Per pagarne la costruzione doveva aver spedito molte anime al Tutto-che-è-Uno, perché era così che Crown si era guadagnato da vivere, come guerriero mercenario, assassino prezzolato, combattente nei duelli al posto di ricchi signorotti dell’est, troppo pigri o troppo deboli per difendere il proprio onore. Non aveva mai riportato neppure un graffio e praticava tariffe elevate: ma tutto questo era finito, ora che i Denti dilagavano nelle terre orientali.
Leaf non riusciva più a sopportare di essere così irritabile. Si fermò per ritrovare l’equilibrio, chiudendo gli occhi per ascoltare quella nota limpida che risuonava sempre al centro del suo essere. Dopo alcuni minuti la udì, si sintonizzò su di essa, e lasciò che lo purificasse. L’ingiustizia di Crown cessò di avere importanza e Leaf ritrovò se stesso, vigile ed estroverso, conscio e responsabile.
Con un sorriso, attraversò fischiettando il largo e confortevole scompartimento centrale, gaiamente illuminato e decorato con le armi di Crown e altri truci cimeli di battaglia, ed entrò nel corridoio che portava alla cabina di guida.
Sting sedeva alle redini, piegato in avanti. La gente del Cristallo Bianco, a cui apparteneva Sting, sembrava sempre pulsare e vibrare di energia; ma Sting pareva esausto, svuotato, mezzo morto per la stanchezza. Era un essere piccolo, vigoroso, stretto di spalle e di fianchi, con la pelle cerea e incolore, dalla consistenza cornea, butterata di piccoli nocchi pelosi. La muscolatura era lunga e piatta; il viso cavernoso, con il naso a becco e le guance minuscole, gli occhi scuri e maliziosi nascosti in profonde cavità osse. Leaf gli toccò una spalla. — Va tutto bene — gli disse. — Crown mi ha mandato a darti il cambio. — Sting annuì debolmente ma non si mosse. L’ometto tremava come una foglia. Leaf aveva sempre pensato che fosse indistruttibile, ma in quel frangente Sting sembrava anche più fragile di Shadow.
— Vieni — mormorò Leaf. — Ti riposerai per qualche ora, Shadow si prenderà cura di te.
Sting scrollò le spalle. Era chinato in avanti, lo sguardo puntato al finestrino curvo e trasparente, ora macchiato da schizzi di acqua mista a fango.
— Quei luridi ragni — disse con voce roca e stanca. — La schifosa pioggia. Il fango. Guarda i cavalli, Leaf. Stanno morendo di paura e anch’io. Moriremo tutti su questa strada, Leaf; se non a causa dei ragni, per la pioggia avvelenata, o se non per la pioggia allora a causa dei Denti, e se non sarà per causa loro, allora sarà di certo qualche altra cosa. Non c’è altra strada che questa, per noi, lo capisci? Questa è la strada, e noi siamo legati ad essa come inermi subrazziali, e su di essa moriremo.
— Noi moriremo quando verrà la nostra ora, come per tutte le cose, Sting, e non un attimo prima.
— La nostra ora sta arrivando. Troppo presto. Troppo presto. Sento vicini i fantasmi della morte.