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— Non ne sono sicuro. Non so se lui e io stiamo parlando della stessa cosa.
— Hai detto che questa gente paga un tributo ai Cristalli.
— Pagava — corresse Sting. — Non so se questa sottomissione esiste ancora. Credo che si stiano divertendo a nostre spese. Penso che quello che mi ha detto fosse un insulto, ma non ne sono sicuro. Non ne sono affatto sicuro.
— Scimmie puzzolenti!
— Attento, Crown — mormorò Shadow, — noi non sappiamo parlare la loro lingua, ma può darsi che loro capiscano la nostra.
Crown disse: — Prova ancora. Parla più lentamente, fai che quella scimmia parli più adagio. Il capo, Sting, vogliamo vedere il capo. Non c’è un modo per comunicare?
— Potrei entrare in trance — disse Sting, — e Shadow potrebbe aiutarmi per i significati. Ma ho bisogno di tempo per riprendermi. Adesso mi sento troppo teso, agitato. — E come per illustrare quello che intendeva, si esibì in un salto, uno scatto e una giravolta, che lo portarono verso sinistra di qualche passo, poi ancora un salto, uno scatto e una giravolta e fu di nuovo dove era prima. I Compagni risero deliziati, gli afferrarono le mani e cercarono di imitare il suo salto. Altri della tribù si fecero avanti: adesso ce n’erano dieci o dodici affollati intorno all’entrata del carro. Sting saltò ancora: era come una contrazione, un tic. Cominciò a tremare. Shadow si sporse verso di lui e gli passò le braccia snelle intorno al corpo, come per ancorarlo. I Compagni degli Alberi si fecero più agitati; la loro giocosità divenne più tesa, più dura. I guai sembravano imminenti. Leaf, in piedi al fianco di Crown, sentì contrarsi i muscoli alla bocca dello stomaco. Qualcosa attirò la sua attenzione sulla destra, in mezzo alla folla dei Compagni; guardò in quella direzione e vide una luminosità azzurra, eretta ed allungata, una striscia di nebbia e di foschia alta come un uomo, che si spostava ondeggiando tra il popolo della foresta. Era l’Invisibile? O forse solo lo scherzo della morente luce del giorno che scivolava tra i vapori lasciati dal temporale? Cercò di metterla a fuoco, ma la figura eludeva il suo sguardo, sparendo alla vista quando lui la seguiva con gli occhi. All’improvviso udì Crown emettere un ruggito e si voltò in tempo per vedere un Compagno che sgattaiolava sotto il gomito del gigante e schizzava all’interno del carro. — Fermo! — ruggì Crown. — Torna indietro! — E come se fosse stato dato un segnale, sette o otto piccole creature si intrufolarono a bordo.
Negli occhi di Crown c’era la morte. Chiamò Leaf con un gesto selvaggio e si lanciò all’interno. Leaf lo seguì. Sting, scosso dai singhiozzi, era fermo in mezzo al portello e non cercava di fermare i Compagni degli Alberi che sciamavano nel carro. Leaf li vide arrampicarsi su ogni cosa, esaminando, scrutando, commentando. Scimmie, sì. In fondo al corridoio, Crown stava lottando con quattro di loro, tenendone uno con ciascuna delle mani enormi e cercando di scrollarsi di dosso gli altri due che gli si erano arrampicati sulle gambe chiuse negli schinieri. Leaf si trovò di fronte una donna in miniatura, una specie di gnomo dagli occhi brillanti, il cui corpo nudo e magro luccicava di sudore acido, e quando lui fece per afferrarla, lei estrasse dal fodero non la cerbottana ma una lama lunga e stretta, e lo colpì ferocemente alla parte interna dell’avambraccio. Ci fu un improvviso e pauroso fiotto di sangue, e solo dopo qualche istante avvertì l’acuta fitta di dolore. Un coltello avvelenato? Bene, allora sarai con il Tutto-che-è-Uno, Leaf. Ma se c’era del veleno, lui non ne avvertiva l’effetto; le strappò il coltello, lo sbatté contro la parete, afferrò la donna e la gettò fuori dal portello del carro. I Compagni avevano smesso di entrare. Leaf ne scovò altri due e li buttò fuori; ne strappò via un altro dalle travi del tetto e lo scaraventò dietro i primi due. Poi andò a cercarne altri. Shadow era in piedi in mezzo al portello e bloccava l’entrata con le fragili braccia aperte. Dov’era Crown? Ah, là. Nella stanza dei trofei. — Afferrali e buttali fuori dal portello. Ci siamo liberati di quasi tutti — urlò Leaf.
— Le scimmie puzzolenti — gridò Crown. Fece un gesto infuriato. I Compagni degli Alberi avevano preso uno dei tesori di Crown, un’antica cotta di maglia, e nella loro infantile esuberanza avevano tirato le fragili maglie, strappandole. Furioso, Crown si avventò contro di loro, afferrò quei crani affusolati, uno per mano… — No! — urlò Leaf, temendo il lancio dei dardi per vendetta… e li schiacciò, rompendoli come noci. Buttò i corpi di lato e sollevando il trofeo strappato cercò tristemente di riagganciare le maglie, in un goffo tentativo di riparare la cotta.
— Hai combinato il guaio! — disse Leaf. — Erano solo curiosi. Adesso ci sarà la guerra, e prima di sera saremo morti.
— Mai — grugnì Crown.
Lasciò cadere la cotta, raccolse i Compagni morti e li trascinò attraverso il carro, e li scaraventò come rifiuti in mezzo alla radura. Poi rimase in piedi nel vano del portello, sfidando i loro dardi. Cinque o sei Compagni che erano ancora a bordo del carro sbucarono silenziosi, a mani vuote, e scivolarono fuori girando intorno al corpo massiccio del Lago Scuro. Leaf andò ad unirsi a Crown. Il sangue continuava a uscire dalla ferita: non osava accelerare la coagulazione o permettere al taglio di cicatrizzarsi finché non si fosse purgato del veleno che poteva essere stato sulla lama. Uno squarcio dritto, sottile, profondo e doloroso gli correva dal gomito al polso. Shadow lanciò un piccolo grido soffocato e gli afferrò la mano. Il suo respiro era caldo contro i lembi del taglio. — Sei ferito gravemente? — sussurrò.
— Non credo. Si tratta solo di vedere se il coltello era avvelenato.
— Avvelenano solo i dardi — disse Sting. — Ma dovrai fare i conti con l’infezione. È meglio che Shadow si occupi di te.
— Sì — disse Leaf. Lanciò un’occhiata nella radura. I Compagni degli Alberi, come stupiti dalla violenza suscitata dalla loro breve invasione del carro, restavano impietriti in gruppi di nove o dieci lungo la strada, mantenendosi a distanza. I due che erano stati uccisi giacevano scompostamente dove li aveva gettati Crown. L’inconfondibile figura dell’Invisibile, trasparente ma delineata in modo netto da un contorno scuro, era apparsa sulla destra, vicino al limitare del boschetto; gli occhi brillavano, le labbra erano piegate in uno strano sorriso. Crown lo stava fissando attonito, a bocca aperta. Ogni cosa sembrava sospesa, come se stesse fluttuando immobile nella bolla del tempo. Per Leaf la scena era un quadro soprannaturale, in cui l’unica sensazione dello scorrere del tempo era data dal pulsare doloroso del braccio ferito. Lui era sospeso, ancorato al centro; in attesa, in attesa, incapace di muoversi, intrappolato come gli altri in quello stallo temporale. Durante quella lunga pausa si accorse che nel corso dello scontro era comparsa un’altra figura, che ora si ergeva calma ad una decina di passi alla sinistra dell’Invisibile sogghignante: un Compagno degli Alberi più alto degli altri, rivestito di ninnoli e fronzoli, ma indubbiamente un essere imponente e maestoso.
— Il capo è arrivato — disse Leaf con voce roca.
La stasi fu interrotta. Leaf respirò e rilassò il corpo teso. Shadow lo sfiorò dicendogli: — Lascia che ti pulisca la ferita. — Il capo dei Compagni fece ampi cenni puntando tre dita in direzione del carro, e gridò cinque sillabe giubilanti e acute. Lentamente e maestosamente, si incamminò verso il carro. Nello stesso istante, l’Invisibile brillò con più intensità, come un sole sul punto di morire, e scomparve del tutto alla vista. Crown si rivolse a Leaf: — Qui stiamo impazzendo tutti. Mi è appena sembrato di vedere uno degli Invisibili di Theptis che si rintanava nel sottobosco.
— Non era la tua immaginazione — gli disse Leaf. — Ha viaggiato in segreto con noi fin da Theptis, aspettando di vedere cosa ci sarebbe successo una volta arrivati al muro dei Compagni.
Questo sembrò scuotere Crown. — Quando l’hai scoperto? — domandò.
Shadow disse: — Lascialo stare, Crown. Vai a parlamentare con il capo. Se non pulisco subito la ferita di Leaf…
— Solo un attimo. Devo sapere la verità. Leaf, quando hai saputo di questo Invisibile?
— Quando sono andato nella cabina a dare il cambio a Sting. Lui era lì. Rideva di me, mi canzonava. Come fanno loro.
— E tu non me l’hai detto. Perché?
— Non ne ho avuto l’occasione. Mi ha seccato per un po’, poi è svanito, e dopo ero troppo occupato a guidare; e poi siamo arrivati al muro, sono arrivati i Compagni degli Alberi…
— Che cosa vuole da noi? — chiese Crown in tono duro, avvicinando il viso a quello di Leaf.
Leaf cominciava a sentire la febbre che saliva. Barcollò e si appoggiò a Shadow. Il piccolo e resistente corpo della donna lo sorresse con forza sorprendente. Lui disse con voce stanca: — Non lo so. Chi può sapere che cosa vogliono? — Nel frattempo, il capo dei Compagni era giunto accanto a loro, molto sicuro di sé, e batté con forza più volte il palmo della mano sulla fiancata del carro, come se stesse per prenderne possesso. Crown girò su se stesso. Il capo parlò freddamente, con voce piana e priva di inflessioni. Crown scosse la testa. — Che cosa sta dicendo? — abbaiò. — Sting? Sting?
— Vieni, ora — disse Shadow a Leaf. — Ti prego.
Lo condusse nello scompartimento passeggeri. Lui si sdraiò sulle pellicce mentre lei cercava nella sua cassetta di unguenti e pomate; poi tornò da lui con una lunga fiala verde tra le mani e disse: — Ora sentirai dolore.
— Aspetta.
Si concentrò e, per quanto gli fu possibile, escluse la rete sensoriale che portava gli impulsi di dolore dal braccio al cervello. Subito sentì la pelle diventare fredda e per la prima volta dal momento dello scontro, si rese conto di quanto dolore avesse provato: al punto tale da impedirgli di provvedere in qualche modo.
Con distacco, osservò Shadow che con molta efficienza e senza la minima repulsione sondava il profondo taglio, separando i bordi della ferita e pulendo l’interno. Lui provava solo un debole formicolio, fastidioso ma non doloroso. Alla fine lei sollevò il capo e disse: — Non farà infezione. Adesso puoi lasciare che la ferita si rimargini. — A questo scopo, Leaf doveva ristabilire in una certa misura le connessioni neurali, e quando sbloccò il flusso di impulsi, provò un dolore improvviso, sia per il taglio che per la medicazione di Shadow; attivò subito la coagulazione, e pochi istanti dopo era immerso nelle discipline che avrebbero permesso alla ferita di rimarginarsi. Il taglio cominciò a richiudersi. Delicatamente, Shadow ripulì il braccio dalle tracce di sangue e poi preparò un impiastro; quando glielo applicò, lo squarcio si era ridotto ad una sottile linea infiammata. — Vivrai — gli disse. — È una fortuna per te che non usino avvelenare i coltelli. — Lui le baciò la punta del naso e insieme tornarono al portello.
Sting e il capo dei Compagni degli Alberi stavano conducendo una specie di conversazione a gesti: ampi e ondulati quelli di Sting, semplici e brevi movimenti delle dita quelli del capo, mentre Crown era in piedi lì accanto, come un’impassibile colonna scura, a braccia conserte. Quando vide comparire Leaf e Shadow, disse: — Sting non conclude nulla. Dobbiamo parlamentare in trance o non riusciremo a comunicare. Aiutalo, Shadow.
Lei annuì. Crown si rivolse a Leaf: — Come va il braccio?
— Guarirà.
— Quanto ci vorrà?
— Un giorno, forse due. Resterà indolenzito per una settimana.
— Potremmo essere costretti a combattere di nuovo all’alba.
— Hai detto tu stesso che non avremmo possibilità di sopravvivere ad una battaglia con questa gente.
— Anche così — disse Crown — dovremo forse combattere all’alba. Se non c’è altra scelta, combatteremo.
— E moriremo?
— E moriremo — disse Crown.
Leaf si allontanò lentamente. Era sceso il crepuscolo. Le ultime tracce di pioggia erano scomparse, l’aria era limpida e frizzante, e la temperatura stava calando, con un leggero vento da nord che andava rinforzando. Oltre il boschetto, le cime degli alti alberi filamentosi sferzavano l’aria. Erano comparsi i frammenti della luna, grezze lame di bianca lucentezza che danzavano lente nel cielo che oscurava. La povera luna frantumata, ricordo di un’era tramontata da lungo tempo: sembrava uno specchio incrinato del tormentato pianeta a cui apparteneva, di quella frantumata razza a sua volta composta di molte razze che era il genere umano. Leaf andò dagli incubi che attendevano pazienti e passò in mezzo a loro, accarezzando dolcemente le orecchie arruffate e i nasi lisci. Quegli occhi liquidi, intelligenti e scrutatori fissavano i suoi con aria di rimprovero. Ci avevi promesso una stalla, sembravano dire, stalloni, calore e fieno fresco. Leaf scosse le spalle. In questo mondo, disse loro senza parole, non sempre è possibile mantenere le promesse. Si fa del proprio meglio, sperando che possa bastare.
Sting si è seduto vicino al carro incrociando le gambe sulla terra bagnata. Shadow si accoccola accanto a lui; il capo, ammantato di dignità, si erge rigido di fronte a loro, ma Shadow, con gesti gentili, lo invita a sedersi. Gli occhi di Sting sono chiusi e la testa gli ciondola in avanti. È già in trance. La sua mano sinistra afferra la coscia muscolosa di Shadow: distende la destra, con il palmo in alto, e dopo un attimo il capo vi appoggia il suo. Contatto: il circuito è chiuso.
Leaf non ha idea di quali messaggi i tre si stiano scambiando, eppure, stranamente, non si sente escluso. Un tale senso di amore e di calore emana da Sting, Shadow e anche dal Compagno, che lui viene trascinato nella loro comunione, e ne rimane avviluppato. E anche Crown viene assorbito ed avvolto dall’aura del gruppo; la sua posa rigida e marziale si rilassa, il viso arcigno sembra stranamente sereno. Naturalmente sono Sting e Shadow quelli in contatto più stretto; ora Shadow è più vicina a Sting di quanto lo sia mai stata a Leaf, ma lui non ne è turbato. La gelosia e la rivalità sono inconcepibili, ora. Lui è Sting, Sting è Leaf, tutti loro sono Shadow e Crown, non ci sono barriere a separarli l’uno dall’altro, proprio come non ci saranno barriere nel Tutto-che-è-Uno che attende ogni creatura vivente: Sting, Crown, Shadow, Leaf, i Compagni degli Alberi, gli Invisibili, gli incubi, i ragni senza gambe.
Ora stanno arrivando al nocciolo. Leaf è conscio dei conflitti e delle opposizioni che vengono alla luce in quell’intricato negoziato. Benché continui a non sapere che cosa si stiano dicendo, tuttavia capisce che il capo dei Compagni avanza precise richieste, ed è irremovibile, calmo e duro, mentre Sting e Shadow gli stanno spiegando che Crown non sarà disposto a cedere. Leaf non riesce a percepire altro, anche quando è immerso più profondamente nella consapevolezza allargata dei tre sprofondati nella trance. Né si rende conto di quanto tempo sia trascorso. Quello scambio sinfonico — richiesta, risposta, sviluppo, culmine — si ripete, indefinitamente, senza giungere ad una conclusione.
Alla fine sente che la comunione si attenua, diminuisce. Comincia a muoversi al di fuori del campo di contatto, o fa’ sì che esso si allontani da lui. Trame sottili di sensibilità continuano a legarlo agli altri anche quando Sting, Shadow e il capo si separano e si alzano, ma in pochi istanti anche queste si attenuano, diventano fragili e si spezzano.
Il contatto finisce.
L’incontro era terminato, Durante la trance era scesa la notte, una notte straordinariamente buia, sul cui sfondo le stelle sembravano avere una luminosità innaturale. I frammenti della luna si erano spostati di molto nel cielo. Quindi era stato uno scambio lungo; eppure, nelle immediate vicinanze del carro, nulla sembrava mutato; Crown si ergeva simile ad una statua accanto all’ingresso; i Compagni degli Alberi erano ancora fermi nello spiazzo tra il carro e il cancello. Ancora una volta una sorta di quadro; com’è facile scivolare nell’immobilità, pensò Leaf, in quest’epoca miserabile. Stare in piedi e aspettare, stare in piedi e aspettare; ma poi il movimento ritornò. Il Compagno fece dietro front e se ne andò senza pronunciare parola, facendo segno alla sua gente che raccolse i morti e lo seguì attraverso il cancello. Lo sprangarono dall’interno; ci fu il suono stridulo dei catenacci che si richiudevano. Sting, intontito, mormorò qualcosa a Shadow che annuì toccandogli leggermente il braccio. Tornarono esitanti verso il carro.
— Allora? — chiese Crown.