126679.fb2 Sonata senza accompagnamento - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Sonata senza accompagnamento - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

Lei lo guardò attentamente. — Lo sai cosa succederebbe se ascoltassi quelle cose.

Christian annuì.

— Molto bene. Lo cercherò anch’io. Ci vediamo domani, Christian. E la prossima volta che qualcuno resta, non parlargli. Limitati a tornare a casa e a chiudere a chiave le porte.

— Lo farò — disse Christian.

Quando lei se ne andò, suonò per ore lo Strumento. Vennero altri Ascoltatori e quelli che già avevano sentito Christian furono sorpresi dalla confusione della sua canzone.

Quella notte vi fu un temporale estivo, vento, pioggia e tuoni, e Christian scoprì che non riusciva a dormire. Non a causa della musica del temporale… aveva dormito durante centinaia di questi. Era colpa del registratore appoggiato dietro lo Strumento contro la parete. Christian aveva vissuto per circa trent’anni circondato solo da questo luogo bello e selvaggio, e dalla musica da lui stesso composta. Ma ora…

Ora non poteva fare a meno di porsi delle domande. Chi era Bach? Chi è Bach? Com’è la sua musica? In che cosa è diversa dalla mia? Ha scoperto cose che io non conosco?

Com’è la sua musica?

Com’è la sua musica?

Com’è la sua musica?

Finché all’alba, quando il temporale si era ormai calmato e il vento era cessato, Christian si alzò dal letto in cui non aveva dormito, ma dove si era solo rigirato per tutta la notte, prese il registratore dal suo nascondiglio e lo accese.

Dapprima udì qualcosa di strano, come un rumore, sonorità bizzarre che non avevano niente a che fare con i suoni della vita di Christian. Ma la struttura era chiara, e alla fine della registrazione, che durò meno di mezzora, Christian aveva padroneggiato l’idea della fuga e il suono del clavicembalo gli rodeva la mente.

Ed ogni notte, per molte notti, ascoltò la registrazione, imparando sempre di più finché arrivò l’Osservatore.

L’Osservatore era cieco ed un cane lo guidava. Venne alla porta e poiché era un’Osservatore la porta si aprì davanti a lui senza bisogno che bussasse.

— Christian Haroldsen, dov’è il registratore? — chiese l’Osservatore.

— Il registratore? — domandò Christian; poi capì che era inutile, prese l’apparecchio e lo diede all’Osservatore.

— Oh, Christian! — disse l’Osservatore, e la sua voce era triste e dolce. — Perché non l’hai restituito senza ascoltarlo?

— Volevo farlo — ripeté Christian. — Ma lei come ha fatto a saperlo?

— Perché all’improvviso le fughe sono scomparse dalle tue opere. All’improvviso le tue canzoni hanno perso quell’unico elemento bachiano. E hai smesso di sperimentare nuovi suoni. Che cosa stavi cercando di evitare?

— Questo — disse Christian; si sedette allo strumento e al primo tentativo riprodusse il suono del clavicembalo.

— Eppure non hai mai provato a farlo fino ad ora, vero?

— Pensavo che l’avrebbe notato.

— Fughe e clavicembalo… le prime cose che hai notato… e le sole cose che non hai assorbito nella tua musica. Tutte le tue altre canzoni di queste ultime settimane sono permeate e influenzate da Bach, in ogni possibile sfumatura. Solo che non c’erano né fughe né clavicembali. Tu hai infranto la legge. Eri stato messo qui perché eri un genio, capace di creare cose nuove con la natura come unica ispiratrice. Ora, naturalmente, tu imiti, derivi le tue idee e ogni autentica innovazione creativa ti è impossibile. Devi andartene.

— Lo so — disse Christian, spaventato, ma senza capire effettivamente come sarebbe stata la vita al di fuori di quella casa.

— Ti addestreremo per il tipo di lavoro che ora sei in grado di fare. Non morirai di fame. Non morirai di noia. Ma poiché hai infranto la legge, d’ora in poi una cosa ti è proibita.

— La musica.

— Non tutta la musica. C’è un genere di musica, Christian, che la gente comune, quelli che non sono Ascoltatori, possono avere. La musica della radio e della televisione, e quella dei dischi. Ma la nuova musica, e quella dal vivo… ti sono proibite. Non puoi cantare. Non puoi suonare uno strumento. Non puoi battere il ritmo.

— Perché no?

L’Osservatore scosse la testa. — Il mondo è troppo perfetto, troppo pacifico, troppo felice perché possiamo permettere ad uno spostato che ha infranto la legge di andare in giro a seminare scontento. La gente comune si affida ad un certo genere di musica casuale, e non conosce niente di meglio perché non è portata ad imparare. Ma se tu… lasciamo perdere. È la legge. E se tu creerai ancora musica, Christian, verrai punito severamente. Severamente.

Christian annuì, e quando l’Osservatore gli disse di andare, lui andò, lasciandosi alle spalle la casa, i boschi e lo Strumento. Dapprincipio la prese con tranquillità, come un’inevitabile punizione per la sua infrazione; ma lui non sapeva niente di punizioni o di quello che significasse l’esilio dal suo Strumento.

Dopo cinque ore, gridava e colpiva chiunque tentasse di avvicinarsi a lui, perché le sue dita bruciavano dal desiderio di toccare le chiavi, le leve, le barre e i tasti dello Strumento, e non potevano farlo, e allora capì che prima non era mai stato solo.

Ci vollero sei mesi prima che fosse pronto per la vita normale. E quando lasciò il centro di Riabilitazione (un edificio piccolo, perché veniva usato molto raramente), aveva un aspetto stanco, sembrava molto invecchiato e non sorrideva a nessuno. Divenne autista per una ditta di trasporti, perché i test avevano indicato che questo era il lavoro che meno gli sarebbe pesato, e gli avrebbe ricordato il meno possibile ciò che aveva perso, e in più avrebbe stimolato quelle poche attitudini ed interessi che ancora gli rimanevano.

Consegnava noccioline alle drogherie.

E di notte scoprì i misteri dell’alcool, e l’alcool, le noccioline, il camion ed i suoi sogni erano sufficienti a rendergli la vita accettabile. Non serbava rancore. Avrebbe potuto vivere così per il resto della sua vita, senza amarezza.

Consegnava noccioline fresche e ritirava quelle stantie.

Secondo Movimento

— Con un nome come il mio, — diceva sempre Joe — dovevo aprire un bar con tavola calda. Solo così avrei potuto appendere l’insegna Bar e Tavola Calda da Joe. — E rideva, rideva, perché dopo tutto, Bar e Tavola Calda da Joe era una cosa buffa per quei tempi.

Ma Joe era un ottimo barista e gli Osservatori l’avevano messo nel posto giusto. Non in una grande città, ma in una molto più piccola; una città appena fuori dall’autostrada, dove spesso si fermavano i camionisti; una cittadina non lontana da una grande metropoli, in modo che le cose interessanti fossero a portata di mano e se ne potesse parlare, preoccuparsene, spettegolarci e divertirsi.

Per cui il bar e tavola calda di Joe era un posto simpatico e molto frequentato. Ma non da gente alla moda e neppure da ubriaconi, ma da gente sola e alla mano, in giusta proporzione. — I miei clienti sono come un buon drink, un po’ di questo e un po’ di quello, per creare un gusto nuovo con un sapore migliore di ciascuno degli ingredienti. — Oh, Joe era un poeta, era un poeta dell’alcool e, come molta gente in quei giorni, lui era solito dire: — Mio padre era avvocato e ai suoi tempi anch’io avrei finito con il fare l’avvocato e non avrei mai saputo quello che perdevo.

Joe aveva ragione. Ed era davvero un ottimo barista e non avrebbe voluto essere in nessun altro posto e così era felice.

Ma una notte arrivò un tizio che non si era mai visto, un uomo con un camion per la consegna delle noccioline, con il nome di una fabbrica di noccioline sull’uniforme. Joe lo notò perché il silenzio circondava quell’uomo come un odore… dovunque andasse la gente lo notava e, benché lo guardassero appena, abbassavano la voce o smettevano del tutto di parlare, diventavano pensosi e guardavano le pareti e lo specchio dietro il bar. L’uomo che consegnava le noccioline era seduto in un angolo, con una bevanda allungata con acqua, il che significava che aveva intenzione di restare a lungo, e non voleva ingerire l’alcool troppo in fretta per non essere costretto ad andarsene troppo presto.

Joe era un acuto osservatore e notò che quell’uomo continuava a fissare l’angolo buio in cui si trovava il pianoforte. Era una vecchia mostruosità scordata, un cimelio dei tempi andati (perché quel bar esisteva da molto tempo), e Joe si domandò perché quell’uomo ne fosse affascinato. Certo, molti dei clienti di Joe se ne erano interessati, ma si erano limitati ad avvicinarsi e toccare i tasti, cercando una melodia senza riuscirci, perché il piano era scordato, e alla fine avevano rinunciato. Ma quest’uomo, invece, sembrava quasi spaventato dal piano e non osava avvicinarsi.

All’ora di chiusura, l’uomo era ancora lì e allora, d’impulso, invece di farlo uscire, Joe abbassò la musica di sottofondo, spense quasi tutte le luci, e poi andò ad alzare il coperchio, scoprendo i tasti grigi.

L’uomo che consegnava noccioline si avvicinò. Chris, c’era scritto sulla targhetta. Si sedette e sfiorò un tasto. Il suono non fu gradevole. Ma l’uomo toccò tutti i tasti ad uno ad uno, poi di nuovo in ordine diverso, e per tutto il tempo Joe lo osservò, domandandosi perché l’uomo provasse una tale emozione.

— Chris — disse Joe.

Chris lo guardò.

— Conosci qualche canzone?

La faccia di Chris assunse una strana espressione.

— Voglio dire, una vecchia canzone, non una di quelle stupide canzonette della radio. «In una piccola città spagnola». Mia madre me la cantava sempre. — E Joe cominciò a cantare: — «In una piccola città spagnola, era una notte come questa. Giocavano le stelle a nascondino, in una notte come questa».

Chris cominciò a suonare mentre la debole voce stonata e baritonale di Joe continuava la canzone. Ma non era un accompagnamento; non era qualcosa che Joe avrebbe chiamato un accompagnamento. Era invece un contrappunto alla melodia, un forte contrasto, e i suoni che uscivano dal piano erano strani e disarmonici e, per Dio, bellissimi. Joe smise di cantare ed ascoltò. Rimase ad ascoltare per due ore e, quando tutto finì, versò con grande rispetto un drink per l’uomo ed un altro per sé e brindò con Chris, l’uomo che consegnava le noccioline, e che era in grado di prendere quel vecchio piano malandato e di farlo cantare sul serio.