126679.fb2 Sonata senza accompagnamento - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

Sonata senza accompagnamento - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

Tre sere più tardi Chris ritornò, con un’espressione circospetta e tormentata. Ma questa volta Joe sapeva quello che sarebbe successo (che doveva succedere) ed invece di aspettare l’ora di chiusura, spense la musica con dieci minuti di anticipo. Chris lo guardò implorante. Joe fraintese… andò al piano e sollevò il coperchio della tastiera, sorridendo. Chris si avvicinò rigido allo sgabello e, con una certa riluttanza, si sedette.

— Ehi, Joe — disse uno degli ultimi cinque avventori, — chiudi prima, stasera?

Joe non rispose. Si limitò a guardare mentre Chris cominciava a suonare. Nessun preliminare, questa volta: niente scale e digressioni sui tasti. Solo potenza, e il piano fu suonato come non si era mai inteso che un piano dovesse suonare; le note sbagliate, quelle stonate, si adattarono alla musica tanto da risultare perfette, e sembrava che le dita di Chris, ignorando la restrizione di una scala a dodici toni, suonassero, almeno così parve a Joe, nelle fenditure fra un tasto e l’altro.

Nessuno dei clienti se ne andò prima che Chris avesse finito, un’ora e mezzo più tardi. Tutti accettarono l’ultimo goccio e tornarono a casa scossi da quell’esperienza.

La sera seguente Chris tornò, e anche quella dopo, e quella dopo ancora. Qualunque fosse la battaglia privata che l’aveva tenuto lontano per qualche giorno dopo la prima notte in cui aveva suonato, evidentemente era stata vinta o persa. Non erano affari di Joe. Quello che gli importava era che quando Chris suonava il piano, riusciva a provare sensazioni che la musica non gli aveva mai regalato, ed era questo che lui voleva.

E sembrava che fosse così anche per i clienti. Verso l’ora di chiusura la gente affollava il locale, apparentemente solo per sentire Chris suonare. Joe cominciò ad anticipare sempre più l’inizio della sua esibizione e dovette smettere di offrire da bere dopo il concerto perché la gente era troppa, e la cosa lo avrebbe mandato in rovina.

Continuò così per due lunghi e strani mesi. Il furgone delle consegne si fermava davanti al locale e la gente si faceva da parte per far entrare Chris. Nessuno gli diceva niente, ma tutti aspettavano che cominciasse a suonare. Lui non beveva. Suonava e basta. E tra una canzone e l’altra, le centinaia di persone nel Bar e Tavola Calda da Joe mangiavano e bevevano.

Ma l’allegria era svanita. Le risa, le chiacchiere, l’affiatamento in breve tempo cessarono, e dopo un po’ Joe si stancò della musica, e cominciò a desiderare di riavere il suo bar come era stato prima. Accarezzò l’idea di sbarazzarsi del piano, ma i clienti se la sarebbero presa con lui. Pensò di chiedere a Chris di non venire più, ma non aveva il coraggio di parlare a quell’uomo così strano e silenzioso.

E finalmente fece quello che avrebbe dovuto far fin dal principio. Chiamò gli Osservatori.

Arrivarono nel bel mezzo di una esibizione, un Osservatore cieco che teneva un cane al guinzaglio, ed un Osservatore senza orecchi che camminava con passo malfermo, appoggiandosi qua e là per mantenersi in equilibrio. Arrivarono nel mezzo di una canzone e non aspettarono che finisse. Andarono al piano e chiusero dolcemente il coperchio; Chris tolse le dita e guardò il coperchio chiuso.

— Oh, Christian — disse l’uomo che aveva un cane come guida.

— Mi dispiace — rispose Christian, — ho cercato di non farlo.

— Oh, Christian, come posso sopportare di farti ciò che deve essere fatto?

— Lo faccia — disse Christian.

E così l’uomo senza orecchi prese un coltello laser dalla tasca del suo cappotto e tagliò le dita di Christian, proprio nel punto in cui erano unite al palmo. Il laser cauterizzò e sterilitzzò la ferita nel momento stesso in cui recideva, ma qualche goccia di sangue si sparse ugualmente sull’uniforme di Christian. E Christian, con il palmo delle mani e le nocche ormai inutili, si alzò e uscì dal Bar e Tavola Calda di Joe. La gente si spostò ancora per farlo passare ed ascoltò con attenzione le parole dell’Osservatore cieco: — Quello è un uomo che ha infranto la legge, e a cui era stato proibito di essere un Compositore. Lui ha infranto la legge una seconda volta e la legge vuole che lui smetta di sovvertire un sistema che vi rende tutti felici.

Tutti compresero. Ne furono addolorati, e si sentirono a disagio per alcune ore, ma quando furono tornati a casa, la casa-giusta-per-loro, e furono tornati al lavoro, che era quello-giusto-per-loro, la semplice soddisfazione per la loro vita cancellò il momentaneo dolore per Chris. Dopotutto, Chris aveva infranto la legge. Ed era la legge che li manteneva al sicuro e soddisfatti.

Persino Joe. Persino Joe dimenticò presto Chris e la sua musica. Sapeva di aver agito per il meglio. Ma non riuscì ad immaginare perché un uomo come Chris avesse voluto infrangere la legge, e soprattutto quale legge avesse infranto. Non c’era una legge in questo mondo che non fosse intesa a rendere felice la gente… e non c’era alcuna legge che Joe potesse pensare anche solo lontanamente di voler infrangere.

Eppure. Una volta Joe si avvicinò al pianoforte, sollevò il coperchio e suonò tutti i tasti. E quando lo ebbe fatto, appoggiò il capo sulla tastiera e pianse, pianse perché sapeva che quando Chris aveva perso quel piano, aveva perso anche le sue dita, così da non poter mai più suonare… come se Joe avesse perso il suo bar. E se mai Joe avesse dovuto perdere il suo bar, la vita non avrebbe più avuto alcun significato.

Per quel che riguardava Chris, qualcun altro cominciò a frequentare il bar, guidando lo stesso furgone delle consegne, e nessuno vide mai più Chris in quella parte del mondo.

Terzo Movimento

— Oh, che meravigliosa mattina! — cantò uno della squadra addetta alla costruzione della strada, un tipo che aveva visto Oklahoma! per quattro volte nella sua città.

— Culla la mia anima nel grembo di Abramo! — cantò un altro che aveva imparato a cantare quando la sua famiglia era solita riunirsi a suonare la chitarra.

— Guidami, luce gentile, nel buio che mi circonda! — disse uno della squadra che aveva fede.

Ma un altro di essi, l’uomo senza mani che reggeva i segnali che indicavano al traffico di Fermarsi o di Rallentare, ascoltava, senza mai cantare.

— Perché non canti mai? — chiese l’uomo che amava Rodgers e Hammerstein. Lo chiedeva a tutti, prima o poi.

E l’uomo che chiamavano Sugar si limitò a scrollare le spalle: — Non mi va di cantare — diceva, quando diceva qualcosa.

— Perché lo chiamano Sugar? — chiese una volta un nuovo arrivato. — A me non sembra per niente dolce.

E l’uomo che aveva fede rispose: — Le sue iniziali sono C.H. Come lo zucchero. C H, sai. — E il nuovo arrivato rise. Un gioco di parole stupido, ma quel genere di battute rendevano la vita sopportabile alla squadra addetta alla costruzione della strada.

Non che la vita fosse così dura. Perché anche questi uomini erano stati sottoposti ai test ed avevano il lavoro che più li rendeva felici. Essi erano orgogliosi della pelle bruciata dal sole e della fatica che indolenziva i muscoli, e la strada che si allungava e si assottigliava dietro di loro era la cosa più bella al mondo. E così cantavano tutto il giorno, sapendo che non avrebbero potuto essere più felici di quanto lo erano quel giorno.

Tranne Sugar.

Poi arrivò Guillermo. Un messicano tozzo che parlava con un accento marcato; Guillermo ripeteva a tutti quelli che glielo chiedevano: — Posso anche venire da Sonora, ma il mio cuore è a Milano! — e quando qualcuno gli domandava perché (e anche quando nessuno glielo domandava), lui spiegava: — Io sono un tenore italiano in un corpo messicano — e ne dava la prova cantando ogni nota scritta da Verdi e da Puccini. — Caruso non era nessuno — si vantava Guillermo. — Acoltate questo!

Guillermo aveva dei dischi e cantava insieme ad essi, e quando lavorava con la squadra si univa a qualunque canzone e cantava in coro oppure intonava un assolo ben al di sopra della melodia, con una ruggente voce tenorile che scoperchiava i tetti e riempiva le nuvole. — Io so cantare — diceva Guillermo, e subito gli altri della squadra rispondevano: — Maledettamente vero, Guillermo! Canta ancora!

Ma una sera, Guillermo volle essere sincero e raccontò la verità. — Ah, amici miei, io non sono un cantante.

— Che cosa dici? Certo che lo sei! — fu la risposta unanime.

— Sciocchezze! — gridò Guillermo con tono teatrale. — Se sono davvero un grande cantante, perché non mi avete mai visto registrare delle canzoni? Eh? Questo sarebbe un grande cantante! Sciocchezze! I grandi cantanti sono allevati per essere dei grandi cantanti. Io sono solo un tipo a cui piace cantare, ma che non ha talento! Io sono un tipo a cui piace lavorare nei cantieri stradali con uomini come voi e cantare a squarciagola. Ma all’opera non potrei mai cantare! Mai!

Non lo disse con tristezza. Lo disse con fervore, con sicurezza: — Io appartengo a questo luogo! Posso cantare per voi, che vi divertite ad ascoltarmi! Posso cantare in sintonia con voi quando sento l’armonia nel mio cuore. Ma non pensate che Guillermo sia un grande cantante, perché non lo è!

Era una serata di sincerità ed ognuno spiegò perché era felice nella squadra di costruzione delle strade e perché non avrebbe voluto essere in nessun altro luogo. Tutti, tranne Sugar.

— Avanti, Sugar. Non sei felice qui?

Sugar sorrise. — Sono felice, mi piace qui. Questo è un buon lavoro per me. E mi piace sentirvi cantare.

— E allora perché non canti con noi?

Sugar scosse il capo. — Non sono un cantante.

Ma Guillermo lo guardò con aria saputa. — Non sei un cantante! Ah! Non sai cantare. Un uomo senza mani che rifiuta di cantare non è un uomo che non sa cantare, eh?

— Che cosa diavolo vuoi dire? — chiese l’uomo che amava le canzoni popolari.

— Voglio dire che quest’uomo che chiamate Sugar è un’impostore. Non è un cantante! Guardategli le mani. Non ha più le dita! Chi taglia le dita agli uomini?

La squadra non cercò di indovinare. C’erano molti modi in cui un uomo poteva perdere le dita e nessuno di questi erano affari loro.

— Ha perso le dita perché ha infranto la legge, e gli Osservatori gliele hanno tagliate! Ecco come un uomo perde le dita! Che cosa faceva con le dita, che gli Osservatori volevano che non facesse più? Stava infrangendo la legge, vero?

— Basta — disse Sugar.

— Come vuoi — rispose Guillermo, ma per una volta gli altri non rispettarono l’intimità di Sugar.

— Raccontacelo — chiesero tutti. Sugar uscì dalla stanza.

— Raccontacelo — e Guillermo si decise. Sugar doveva essere stato un Compositore che aveva infranto la legge, e a cui era stato impedito di comporre la musica. Il solo pensiero che un Compositore lavorasse nella loro squadra, addirittura uno che aveva infranto la legge, riempì gli uomini di meraviglia. I Compositori erano rari, ed erano tra gli uomini e le donne più venerati.