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— Perché — disse Guillermo — deve aver tentato ugualmente di fare musica. E quando si infrange la legge una seconda volta, ti viene tolto il potere di infrangerla una terza. — Guillermo parlava con un tono molto serio, e cosi agli uomini della squadra di costruzione la storia di Sugar suonò maestosa e terribile come un’opera. Si affollarono nella camera di Sugar e lo trovarono con lo sguardo fisso sulla parete.
— Eri un Compositore? — chiese l’uomo che aveva fede.
— È vero, Sugar? — chiese l’uomo che amava Rodgers e Hammerstein.
— Sì — disse Sugar.
— Ma Sugar — disse l’uomo che aveva fede, — Dio non può volere che un uomo smetta di fare musica, anche se ha infranto la legge.
Sugar sorrise. — Nessuno l’ha chiesto a Dio.
— Sugar — disse Guillermo — siamo nove in questa squadra, nove, e non c’è nessun altro per molte miglia qui intorno. Tu ci conosci, Sugar. Giuriamo sulla tomba di nostra madre, tutti noi, che non lo diremo mai ad anima viva. Perché dovremmo? Sei uno di noi! Ma canta, maledizione, canta!
— Non posso — disse Sugar. — Tu non capisci.
— Non è questo che Dio intendeva — disse l’uomo che aveva fede. — Tutti noi facciamo ciò che più ci piace ed ecco che arrivi tu, che ami la musica, e non puoi cantare una sola nota. Canta per noi! Canta con noi! E solo tu, noi e Dio lo sapremo!
Tutti promisero. Tutti pregarono.
E il giorno seguente, quando l’uomo che amava Rodgers e Mammerstein intonò «Love, Look Away», Sugar cominciò a cantare senza parole. Quando l’uomo che aveva fede cantò «God of our Fathers», Sugar cantò sottovoce con lui. E quando l’uomo che amava le canzoni popolari cantò «Swing Low, Sweet Chariot», Sugar si unì a loro con una strana voce acuta, e tutti gli uomini risero, si rallegrarono e diedero il benvenuto alla voce di Sugar nella canzone.
Inevitabilmente Sugar cominciò ad improvvisare. Prima le armonie, naturalmente, strane armonie che stupirono Guillermo, il quale poi si unì a lui con un sorriso, mentre cercava di intuire ciò che Sugar stava facendo con la musica.
E dopo le armonie, Sugar cominciò a cantare le proprie melodie, con parole sue. Erano di natura ripetitiva, con parole semplici e con melodie ancora più semplici. Eppure le ideò secondo strane strutture e ne fece delle canzoni che non si erano mai udite prima, che suonavano sbagliate, ma che pure erano assolutamente perfette. Non ci volle molto perché l’uomo che amava Rodgers e Hammerstein, l’uomo che aveva fede e quello che amava le canzoni popolari imparassero le canzoni di Sugar e le cantassero con gioia o con tristezza, con rabbia o con allegria, mentre lavoravano sulla strada.
Anche Guillermo imparò le canzoni, ed esse mutarono il suo forte registro di tenore al punto che la sua voce, che dopo tutto era stata assolutamente normale, divenne qualcosa di mirabile e di insolito. Un giorno Guillermo disse a Sugar: — Ehi, Sugar, la tua musica è tutta sbagliata, ragazzo. Ma mi piace il modo in cui la sento nel naso! E lo sai, mi piace anche come me la sento in bocca!
Alcune delle canzoni erano inni: — Lasciami affamato, Signore! — cantava Sugar, e la squadra si univa a lui.
Alcune erano canzoni d’amore: — Trovati qualcun altro, — cantava Sugar con rabbia; — Ho sentito la tua voce al mattino, — cantava Sugar teneramente; — È già estate? — cantava triste Sugar, e anche la squadra cantava con lui.
Con il passare dei mesi la squadra cambiò, un uomo se ne andava al mercoledì e un altro prendeva il suo posto al giovedì, a seconda degli operai specializzati che erano richiesti nei vari cantieri. Ogni volta che c’era un nuovo arrivato, Sugar rimaneva zitto, finché questi non avesse dato la sua parola, e così il segreto era al sicuro.
Ciò che alla fine distrusse Sugar fu il semplice fatto che le sue canzoni erano indimenticabili. Gli uomini che se ne andavano, proponevano le canzoni ai componenti della loro nuova squadra; questi ultimi le imparavano e le insegnavano ad altre squadre. Gli uomini insegnavano le canzoni nei bar e nelle strade; la gente imparava in fretta ad amarle; e un giorno un’Osservatore cieco udì le canzoni e comprese immediatamente chi per primo le avesse cantate. La musica era di Christian Haroldsen, perché in quelle melodie, per quanto semplici, soffiava il vento delle foreste del nord e la caduta delle foglie aleggiava oppressiva in ogni nota e… l’Osservatore sospirò. Prese un attrezzo speciale dal suo corredo, salì a bordo di un aereo e volò fino alla città più vicina al luogo dove lavorava una certa squadra. E l’Osservatore cieco prese una macchina della compagnia con autista, raggiunse la strada e dove essa finiva, nel punto in cui stava cominciando ad inghiottire una striscia di terra selvaggia, l’Osservatore cieco uscì dalla macchina e udì cantare. Una voce acuta stava cantando una melodia che avrebbe potuto far piangere anche un uomo senza occhi.
— Christian — disse l’Osservatore e la canzone si interruppe.
— Lei — disse Christian.
— Christian, anche dopo che hai perso le dita?
Gli altri uomini non capirono… tutti gli altri, cioè, tranne Guillermo.
— Osservatore — disse Guillermo. — Osservatore, non ha fatto nulla di male.
L’Osservatore fece un sorriso forzato. — Nessuno ha detto che l’abbia fatto. Ma ha infranto la legge. Tu Guillermo, ti piacerebbe lavorare come servitore nella casa di un uomo ricco? Ti piacerebbe fare l’impiegato di banca?
— Non mi tolga dalla squadra della strada, la prego — disse Guillermo.
— È la legge che indica dove gli uomini saranno felici. Ma Christian Haroldsen ha infranto la legge. E se ne è andato in giro facendo sentire alla gente musica che non avrebbe mai dovuto ascoltare.
Guillermo capì di aver perso la battaglia ancor prima di cominciare, ma non riuscì a trattenersi. — Non gli faccia del male, amico. Io ero nato per ascoltare la sua musica. Lo giuro su Dio, mi ha reso più felice.
L’Osservatore scosse tristemente il capo. — Sii sincero, Guillermo. Tu sei un uomo sincero. La sua musica ti ha reso infelice, vero? Tu hai tutto ciò che puoi desiderare dalla vita, eppure la sua musica ti rende triste. Ogni volta, triste.
Guillermo cercò di ribattere, ma era sincero, guardò in fondo al suo cuore e seppe che quella musica era piena di dolore. Anche le canzoni allegre contenevano un lamento; anche quelle rabbiose piangevano; persino quelle d’amore sembravano dire che tutto muore e che la contentezza è la cosa più passeggera. Guillermo guardò in fondo al suo cuore e tutta la musica di Sugar ricambiò il suo sguardo e Guillermo pianse.
— Solo non gli faccia del male, la prego — mormorò Guillermo, tra le lacrime.
— Non gliene farò — disse l’Osservatore cieco. Poi camminò verso Christian che se ne stava passivamente in attesa e mise l’attrezzo speciale davanti alla gola di Christian. Christian boccheggiò.
— No — disse Christian, ma la parola si formò solo con la lingua e con le labbra. Non uscì alcun suono. Solo un sibilo d’aria. — No.
— Sì — disse l’Osservatore.
La squadra guardò in silenzio l’Osservatore che portava via Christian. Non cantarono per giorni. Ma poi Guillermo dimenticò il suo dolore e un giorno cantò un’aria dalla Bohéme, e da allora le canzoni ricominciarono. Ogni tanto cantavano una delle canzoni di Sugar, perché le canzoni non potevano venir dimenticate.
In città, l’Osservatore cieco diede a Christian un pezzo di carta ed una matita, e Christian immediatamente prese la matita nelle pieghe del palmo della mano e scrisse: — Che cosa farò ora?
L’Osservatore cieco rise. — Abbiamo un lavoro per te! Oh, Christian, se abbiamo un lavoro per te! — Il cane abbaiò forte sentendo il suo padrone ridere.
Applauso
In tutto il mondo c’erano solo due dozzine di Osservatori. Erano uomini riservati, che sorvegliavano un sistema che necessitava di poca sorveglianza perché in effetti rendeva felici quasi tutti. Era un buon sistema, ma come la macchina più perfetta, qua e là si rompeva. Qua e là qualcuno agiva da folle danneggiando se stesso, e per proteggere tutti ed anche quella persona, un Osservatore doveva accorgersi della follia ed andare a porvi rimedio.
Per molti anni il migliore degli Osservatori fu un uomo senza dita e senza voce. Arrivava in silenzio, vestendo un uniforme che lo designava con il solo nome di cui avesse bisogno: Autorità. E lui trovava il modo più facile, più gentile, eppure il più efficace, per risolvere i problemi, curare la follia e preservare il sistema che rendeva il mondo, per la prima volta nella storia, un luogo bellissimo in cui vivere. Praticamente per tutti.
Perché vi erano ancora alcune persone, una o due ogni anno, che cadevano vittime di un circolo vizioso creato da loro stessi, persone che non riuscivano ad adattarsi al sistema né a danneggiarlo, persone che continuavano a violare la legge anche se sapevano che questo le avrebbe distrutte.
Alla fine, quando le gentili mutilazioni e privazioni non riuscivano a curare la loro follia e a reintegrarli nel sistema, veniva loro data un’uniforme ed anch’essi andavano fuori. Ad Osservare.
Le chiavi del potere erano affidate alle mani di coloro che più avevano ragione di odiare il sistema che erano chiamati a conservare. Erano infelici?
— Sì — rispondeva Christian nei momenti in cui osava porsi questa domanda.
Nel dolore compiva il suo dovere. Nel dolore invecchiava. E alla fine gli altri Osservatori, che onoravano l’uomo silenzioso (perché sapevano che una volta aveva cantato canzoni magnifiche), gli dissero che era libero. — Il tuo servizio è finito — gli disse l’Osservatore senza gambe, e sorrise.
Christian alzò un sopracciglio come per dire: — E allora?
— Allora puoi andare.
Christian se ne andò. Si tolse l’uniforme, ma poiché non gli mancava né il tempo né il danaro, poche porte rimasero chiuse per lui. Andò dove aveva vissuto nelle sue vite precedenti. Una strada tra le montagne. Una città dove una volta aveva conosciuto ogni ingresso di servizio di drogherie, caffè e ristoranti. E infine andò in un luogo nei boschi dove una casa stava cadendo e pezzi perché nessuno l’aveva più abitata per quarant’anni.
Christian era vecchio. Il fragore del tuono gli suggerì solo che stava per piovere. Tutte le vecchie canzoni. Tutte le vecchie canzoni, pianse dentro di sé, ma solo perché non riusciva a ricordarsele e non perché la sua vita fosse stata particolarmente triste.
Mentre era seduto in un caffè nella città vicina per ripararsi dalla pioggia, sentì quattro ragazzi che strimpellavano la chitarra cantando una canzone che lui conosceva. Era una canzone che aveva inventato mentre l’asfalto colava in un torrido giorno d’estate. I ragazzi non erano musicisti, e certo non Compositori, ma cantavano con il cuore ed anche se le parole erano allegre, la canzone riusciva a commuovere tutti quelli che la ascoltavano.