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— È una canzone di Sugar — disse il capo del gruppo. — È una canzone composta da Sugar.
Christian alzò un sopracciglio, facendo un gesto noncurante.
— Sugar era un tizio che lavorava in una squadra che costruiva strade, e componeva canzoni. Ma è morto, ora.
— Sono le canzoni migliori del mondo — disse un altro ragazzo, e tutti annuirono.
Christian sorrise. Poi scrisse (ed i ragazzi aspettavano con impazienza che il vecchio se ne andasse); — Non siete felici? Perché cantate canzoni tristi?
I ragazzi non seppero cosa rispondere. Ma il capo saltò su e disse: — Certo che sono felice. Ho un buon lavoro, una ragazza che mi piace, e non potrei chiedere di più. Ho la mia chitarra. Ho le mie canzoni. I miei amici.
E un altro ragazzo disse: — Queste canzoni non sono tristi, signore. Certo, fanno piangere la gente, ma non sono tristi.
— Sì — disse un altro. — È solo che sono state scritte da un uomo che sapeva.
Christian scribacchiò: — Sapeva cosa?
— Sapeva. Sapeva e basta. Sapeva tutto.
E poi i ragazzi ritornarono alle loro chitarre e alle loro voci giovani e inesperte. Christian si avviò verso la porta perché aveva smesso di piovere, e perché sapeva quando era ora di abbandonare la scena. Si voltò e fece un lieve inchino verso i cantanti. Loro non se ne accorsero, ma le loro voci erano tutto l’applauso di cui aveva bisogno. Si allontanò dall’ovazione e uscì all’aperto, dove le foglie stavano appena cambiando colore e dove presto, con un piccolo suono inudibile, si sarebbero staccate e poi sarebbero cadute a terra.
Per un attimo credette di aver udito se stesso cantare. Ma era solo un’ultima folata di vento, che si infilava tra i cavi al di sopra della strada. Era una canzone carica di frenesia, e Christian pensò di aver riconosciuto la propria voce.