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Non posso dire che la conoscevo veramente, e certo non nel modo in cui Seroff conosceva Isadora. Tutto ciò che conosco della sua infanzia e della sua adolescenza sono gli aneddoti che raccontava per caso mentre potevo sentirla… quanto bastava per darmi la certezza che tutte e tre le biografie contraddittorie attualmente nell’elenco del best-seller sono fittizie. Tutto ciò che conosco della sua vita di adulta sono le ore che passò in presenza mia e dei mie monitor… più che sufficienti per rivelarmi che tutti i resoconti da me letti sui giornali sono fittizi. Carrington probabilmente la conosceva meglio di me, e in un certo senso limitato aveva ragione… ma non avrebbe mai scritto una parola sull’argomento, e adesso è morto.

Ma io ero il suo video-man, fin dai tempi in cui si manovrava la telecamera con le mani, e la conoscevo fuori dalla scena: un tipo di rapporto come non ce n’era un altro sulla Terra o lontano dalla Terra. Non credo che sia possibile descriverlo a qualcuno che non appartiene alla professione… penso si possa dire che è una via di mezzo tra compagni di lavoro e compagni d’armi. Ero con lei il giorno che arrivò allo Skyfac, atterrita ma decisa, per giocarsi la vita puntando su un sogno. La guardai lavorare e lavorai con lei per tutti quei due mesi, durante innumerevoli prove, e ho conservato tutte le registrazioni. E non sono in vendita.

E naturalmente vidi Stardance. C’ero, e la registrai.

Credo di potervi raccontare qualcosa di lei.

Tanto per incominciare non fu affatto, contrariamente a ciò che affermano Shara di Cahill e La danza senza confini — La creazione del neomoderno di Von Derski, l’amore innato per lo spazio e i viaggi spaziali che la spinsero a diventare la prima danzatrice a gravità zero della nostra razza. Per lei lo spazio era un mezzo, non un fine, e all’inizio la sua immensità vuota le faceva paura. E non era neppure vero, come sostiene La vera Shara Drummond di Melberg, che le mancasse il talento per imporsi come ballerina sulla Terra. Se credete che la danza in condizioni d’imponderabilità sia più facile della danza tradizionale, provateci voi. E non dimenticate il sacchetto impermeabile per vomitarci dentro.

Ma nella calunnia di Melberg c’è un pizzico di verità, come c’è in tutte le calunnie migliori. Lei non avrebbe potuto affermarsi sulla Terra: non per mancanza di talento, però.

La vidi per la prima volta a Toronto nel luglio del 1984. A quel tempo dirigevo il dipartimento video del Toronto Dance Theater, e non mi piaceva neppure un po’. A quel tempo non c’era niente che mi piacesse. Quel giorno, il programma prevedeva un interno pomeriggio dedicato a registrare le esibizioni degli allievi, uno spreco di tempo e di nastri che detestavo più di qualunque altra cosa al mondo eccettuata l’azienda dei telefoni. Non avevo ancora visto la nuova messe di quell’anno, e non ero ansioso di vederla. Mi piace assistere a una danza eseguita bene… e di solito gli sforzi di un tirocinante mi sono graditi quanto lo è per voi un vicino di casa che studia il primo anno di violino.

La gamba mi dava fastidio più del solito quando entrai nello studio. Norrey mi guardò in faccia e lasciò un gruppo di giovani speranzosi per correre da me. — Charlie…?

— Lo so, lo so. Sono teneri virgulti, Charlie, con personalità fragili come uova di Pasqua in dicembre. Non morderli, Charlie. Non abbaiare neppure, se ci riesci, Charlie.

Lei sorrise. — Qualcosa del genere. La gamba?

— La gamba.

Norrey Drummond è una ballerina che può permettersi di sembrare una donna perché è piccolina. Pesa circa cinquanta chili, e quasi tutto quel peso è costituito dal cuore. È alta un metro e sessantadue, ed è perfettamente capace di aver l’aria di torreggiare sull’allievo più alto. Ha più energia della Rete Elettrica Nordamericana, e la usa con la stessa efficienza di una pompa a vento. (Avete mai studiato il principio di una normale pompa a pistoni? Andate a controllare il principio di una pompa a vento. Mi domando quale dovette essere la concezione originale di quella nozione, come esperienza emotiva.) La sua danza ha un’unicità che è come una firma, e secondo me è l’unica ragione per cui aveva avuto così poche parti davvero importanti nelle produzioni collettive fino a quando il Moderno ha lasciato il posto al Neomoderno. Mi era simpatica perché non mi commiserava.

— Non è soltanto la gamba — ammisi. — Non mi piace vedere i teneri virgulti che massacrano la tua coreografia.

— Allora non devi preoccuparti. Quello che dovrai registrare oggi è una creazione di… una dei miei allievi.

— Oh, magnifico. Sapevo che avrei dovuto darmi malato. — Lei fece una smorfia. — Dov’è il trucco?

— Eh?

— Perché hai usato quello strano tono di voce quando hai detto una dei miei allievi?

Norrey arrossì.

— Accidenti, è mia sorella.

Io inarcai le sopracciglia.

— Allora dev’essere brava.

— Oh, grazie, Charlie.

— Fesserie. Faccio complimenti sinceri, o non li faccio per niente… e non sto parlando delle leggi dell’ereditarietà. Voglio dire che sei così devota all’etica professionale che faresti i salti mortali pur di non piegarti al nepotismo. Perché abbia lasciato a tua sorella un compito del genere, dev’essere straordinaria.

— Charlie, lo è davvero — disse Norrey, semplicemente.

— Vedremo. Come si chiama?

— Shara. — Norrey me la indicò, e io capii il resto del trucco. Shara Drummond era di dieci anni più giovane della sorella… e più alta di diciassette centimetri, con dodici-quindici chili in più. Notai distrattamente che era di una bellezza sensazionale, ma questo non attenuò il mio sgomento… nei suoi anni migliori, Sophia Loren non avrebbe mai potuto diventare una ballerina moderna. Dove Norrey era piccola, Shara non lo era, e dove Norrey era tornita, Shara lo era molto di più. Se l’avessi vista per strada avrei zufolato con ammirazione… ma nello studio aggrottai la fronte.

— Mio Dio, Norrey, è colossale.

— Il secondo marito di mia madre era un giocatore di football americano — disse Norrey in tono malinconico. — È spaventosamente brava.

— Se è brava, è spaventoso davvero. Povera ragazza. Bene, che cosa vuoi che faccia?

— Cosa ti fa pensare che io voglia che tu faccia qualcosa?

— Sei ancora qui.

— Oh, già. Ecco… vieni a pranzo con noi, Charlie?

— Perché? — Sapevo benissimo il perché, ma mi aspettavo un’educata menzogna.

Ma non era il caso di aspettarla, da parte di Norrey Drummond. — Perché voi due avete qualcosa in comune, credo.

Onestamente, le feci il complimento di non rabbrividire. — Sì, penso di sì.

— Allora verrai?

— Subito dopo le riprese.

Norrey mi guardò con uno scintillio negli occhi e se ne andò. In pochissimo tempo, aveva organizzato lo studio pieno di giovani che vagavano e chiacchieravano in qualcosa che sembrava un collettivo di danza, se si guardava bene. Eseguirono gli esercizi di riscaldamento durante i venti minuti che io impiegai a piazzare e a controllare l’equipaggiamento. Misi una telecamera davanti a loro, una dietro, e ne tenni una in mano, per i primi piani: ma non l’usai.

C’è un gioco che si gioca nella mente. Ogni volta che qualcuno colpisce la vostra attenzione, incominciate a cercare d’indovinare qualcosa sul suo conto. Cercate di estrapolare il suo carattere e le sue abitudini basandovi sul suo aspetto. Quello? Antipatico, disorganizzato… non rimette mai il tappo al tubetto del dentifricio e beve porcherie. Quella là? Il tipo della studentessa d’arte, che probabilmente usa il diaframma e scrive lettere in una calligrafia stilizzata di sua invenzione. Loro? Sembrano insegnanti di Miami, probabilmente venuti qui per vedere la neve o partecipare a un congresso. Certe volte ci vado molto vicino. Non so come inquadrai Shara Drummond, in quei primi venti minuti. Nel momento in cui incominciò a ballare, tutti i preconcetti fuggirono dalla mia mente. Diventò qualcosa di elementare, qualcosa d’inconoscibile, un ponte vivente tra il nostro mondo e quello in cui vivono le Muse.

Conosco, su un piano intellettuale e accademico, tutto quel che c’è da sapere sulla danza, ma non potevo categorizzare o classificare e neppure comprendere veramente la danza che lei eseguì quel pomeriggio. La vidi. L’apprezzai, anche, ma non ero in grado di capirla. Tenevo la telecamera a mano abbandonata fra le dita, e la bocca spalancata. I ballerini parlano del loro «centro», il punto intorno al quale s’incentrano i loro movimenti, e che spesso è vicinissimo al centro di gravità fisico. Si cerca di «ballare al centro», e l’idea «contrazione-e-distensione» che sta alla base di tanta danza moderna dipende da questo centro quale punto focale dell’energia. Il centro di Shara pareva muoversi intorno allo studio, con un moto proprio, trascinandosi dietro gli arti che vi stavano legati più per scelta che per necessità. Qual è la parola per indicare la parte più esterna del sole, la parte che si vede anche in un’eclisse? Corona? Ecco che cos’erano i suoi arti: quattro lingue di fiamma che seguivano il centro nella sua orbita eccentrica e vorticosa, fluendo intorno alla superficie. Il fatto che i due arti inferiori fossero frequentemente a contatto con il pavimento sembrava coincidentale… per la verità anche gli altri due lo toccavano quasi con la stessa regolarità.

C’erano anche altri allievi che ballavano. Questo lo so perché le due telecamere automatiche, diversamente da me, facevano il loro lavoro e registravano il pezzo nella sua integrità. Si chiamava Nascita, e rappresentava la formazione di una galassia che finiva per somigliare a quella di Andromeda. La precisione lasciava abbastanza a desiderare da un punto di vista letterale: ma sinceramente si sentiva che era la nascita di una galassia.

In retrospettiva. Al momento io mi accorgevo soltanto del cuore della galassia: Shara. Gli altri allievi l’eclissavano di tanto in tanto e io, semplicemente, non me ne accorgevo. Mi faceva soffrire guardarla.

Se v’intendente un po’ di danza, questo dovrà sembrarvi orribile. Una danza imperniata su una nebulosa? Lo so, lo so. È una nozione ridicola. E funzionava. Funzionava al livello più viscerale e cellulare… a parte il fatto che Shara era troppo brava in confronto a quelli che l’attorniavano. Non apparteneva a quel branco di apprendisti goffi e zelanti. Era come ascoltare il fu Stephen Wonder che cercasse di lavorare con un’orchestrina raccogliticcia in un bar di Montreal.

Ma non era questo che mi faceva soffrire.

Le Maintenant era un posto abbastanza squallido, ma si mangiava bene e l’erba della casa era eccellente. Se uno avesse presentato la tessera del Diner’s Club, lì dentro, l’avrebbero mandato in cucina a lavare i piatti. Adesso non esiste più. Norrey e Shara rifiutarono uno spinello, ma nel mio lavoro è utile. E poi, avevo bisogno di trovare il coraggio. Come si fa a dire a una donna incantevole che il suo sogno più caro è irrealizzabile?

Non era necessario che interrogassi Shara per sapere che il suo sogno più caro era ballare. Anzi, ballare come professione. Spesso mi sono chiesto quali sono le motivazioni dell’artista professionista. Alcuni cercano la soddisfazione narcisista di sapere che altri pagheranno per vederli o ascoltarli. Alcuni sono così inefficienti o disorganizzati che non sono capaci di mantenersi in nessun altro modo. Certuni hanno un messaggio che ritengono di dover esprimere. Credo che in quasi tutti gli artisti ci sia una combinazione di tutti e tre i fattori. Non è una critica… ciò che fanno per noi è necessario. Dovremmo essere grati al cielo perché le motivazioni ci sono.

Ma Shara era una delle rare eccezioni. Ballava perché per lei era necessario. Sentiva il bisogno di dire cose che non si potevano esprimere in nessun altro modo, e di trarre il significato della sua vita dal fatto che le esprimeva. Qualunque altra cosa avrebbe sminuito e svalutato l’affermazione essenziale della sua danza. E questo lo so semplicemente perché assistetti a quella danza.

Tra gli spinelli e tenere la bocca piena e poi altri spinelli (non tanto, giusto quel che bastava per controbilanciare l’effetto deprimente che causa sempre il mangiare), passò mezz’ora prima che dovessi dire qualcosa, a parte gli occasionali borbottii in risposta alle consuete chiacchiere delle signore a pranzo. Quando arrivò il caffé, Shara mi guardò direttamente negli occhi e chiese: — Lei parla, Charlie?

Senza dubbio era propriola sorella di Norrey.