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Scavalcai d’un balzo la scrivania e abbassai la testa per centrarlo in pieno allo sterno. La sua poltroncina era imbullonata al pavimento, e si spezzò di netto. Io mi ripresi così magnificamente che ebbi il tempo di sferrargli uno splendido destro. Sapete che, quando colpite secco un pallone da basket, rimbalza sul pavimento? È quello che fece la testa di Carrington, al rallentatore per via della bassa gravità.
Poi Cox mi rimise in piedi di peso e mi spinse nell’angolo più lontano della stanza. — No — mi disse, e la sua voce doveva essere satura di quell’«abitudine al comando» di cui parlano tanto perché mi bloccò di colpo. Rimasi lì ad ansimare mentre Cox aiutava Carrington a rialzarsi.
Il milionario si tastò il naso fracassato, si guardò le dita sporche di sangue e mi fissò con occhi pieni d’odio. — Lei non lavorerà mai più in televisione, Armstead. È finito. Finito. Di-soc-cu-pa-to, ha capito?
Cox gli batté la mano sulla spalla, e Carrington si voltò di scatto. — Cosa diavolo vuole? — latrò.
Cox sorrise. — Carrington, una volta il mio povero padre disse: Bill, fatti i nemici per scelta, non per caso. In tutti questi anni, ho avuto modo di scoprire che è un ottimo consiglio. Lei mi fa schifo.
— Ed è ancora poco — confermò Shara.
Carrington sbatté le palpebre. Poi gonfiò quelle spalle assurdamente larghe e ruggì: — Fuori, tutti quanti! Fuori subito dalla mia proprietà!
Per tacito consenso, attendemmo che parlasse anche McGillicuddy. — Mr. Carrington, è un privilegio e un onore essere stato licenziato da lei. La considererò sempre una vittoria di Pirro da parte sua. — Gli rivolse un mezzo inchino, e uscimmo, tutti euforici per una sensazione adolescenziale di trionfo che durò circa dieci secondi.
L’impressione di precipitare che si ha in gravità zero è vera, letteralmente, ma l’organismo impara presto a trattarla come un’illusione. Adesso, a gravità zero per l’ultima volta, per quell’ultima mezz’ora prima di ritornare nel campo gravitazionale della Terra, sentivo di cadere. Precipitavo in un pozzo di gravità senza fondo, trascinato giù da un’incudine che era il mio cuore, mentre sopra di me fluttuavano i brandelli di un sogno che avrebbe dovuto sostenermi.
La Champion era tre volte più grande dello yacht di Carrington, e questo mi diede una soddisfazione puerile fino a che ricordai che Carrington l’aveva fatta venire lì senza dover pagare il combustibile e l’equipaggio. Una sentinella, nella camera di compensazione, ci salutò militarmente quando entrammo. Cox ci portò in uno scompartimento a poppa e ci disse di allacciarci le cinture. Notò il modo in cui usavo soltanto la mano sinistra per aggrapparmi e darmi la spinta, e quando ci fermammo disse: — Mr. Armstead, il mio povero padre mi disse anche questo: «Colpisci le parti molli con la mano. Le parti dure colpiscile con un corpo contundente.» A parte questo, non trovo nulla da criticare nella sua tecnica. Mi dispiace di non poterle stringere la mano.
Mi sforzai di sorridere, ma non me la sentivo. Dissi: — Ammiro il suo gusto in fatto di nemici, maggiore.
— Non si può pretendere di più. Purtroppo non avrò la possibilità di far dare una controllata alla sua mano fino a che non saremo atterrati. Il rientro avrà inizio immediatamente.
— Lasci perdere.
S’inchinò a Shara, non le disse che era profondamente addolorato eccetera, augurò buon viaggio a tutti e ci lasciò. Ci legammo sui divani antiaccelerazione per attendere l’accensione. Vi fu un lungo, pesante silenzio, carico di una tristezza condivisa che la spavalderia avrebbe solo contribuito a sottolineare. Non ci guardavamo, come se temessimo che la somma de! nostro dispiacere potesse raggiungere una specie di massa critica. L’angoscia ci ammutoliva, e credo che in quell’angoscia vi fosse ben poca autocommiserazione.
Ma poi sembrò che fosse passato parecchio tempo. Dallo scompartimento vicino giungeva fioco il parlottare dell’intercom, ma il nostro non era inserito nel circuito. Alla fine ci mettemmo a discutere le probabili reazioni della critica a Massa è un verbo, e se l’analisi era una cosa seria e se il teatro era veramente morto: di tutto, tranne che dei nostri progetti per il futuro. Poi non ci fu più niente di cui parlare, e così stemmo zitti di nuovo. Credo si potrebbe dire che eravamo in stato di shock.
Non so perché, ma fui il primo a uscirne. — Perché diavolo ci mettono tanto? — esclamai irritato.
McGillicuddy fece per dire qualcosa per calmarmi, poi diede un’occhiata al suo orologio e gemette. — Hai ragione. È quasi un’ora.
Guardai l’orologio sulla parete, mi confusi fino a quando capii che era regolato sull’ora di Greenwich anziché su quella di Wall Street, e capii che aveva ragione lui. — Cristo! — gridai. — Lo scopo di questa storia è proteggere Shara dall’eccessiva esposizione all’imponderabilità! Vado a vedere cosa succede.
— Aspetta, Charlie. — McGillicuddy, che aveva tutte e due le mani in buono stato, si sganciò più in fretta. — Accidenti, resta qui e sbollisci. Vado a sentire la causa del ritardo.
Tornò pochi minuti dopo, stravolto. — Non andiamo da nessuna parte. Cox ha ricevuto l’ordine di non partire.
— Cosa? Tom, di cosa diavolo stai parlando?
Lui aveva un tono strano. — Lucciole rosse. Per la verità, sembrano piuttosto api. Dentro un pallone.
Non era possibile che stesse scherzando, e quindi voleva dire che doveva avergli dato completamente di volta il cervello, il che significava che ero piombato nel mio incubo preferito, nel quale tutti impazziscono tranne me e incominciano a straparlare. Perciò abbassai la testa come un toro infuriato e uscii alla carica, così in fretta che la porta ebbe appena il tempo di togliersi di mezzo.
Ma fu anche peggio. Quando arrivai sulla soglia della sala comando, andavo troppo in fretta perché qualcosa potesse fermarmi, a meno di una barriera di corpi umani, e quelli dell’equipaggio che erano presenti furono colti alla sprovvista. Ci fu un po’ di scompiglio alla porta, e poi piombai in sala comando, e allora decisi che ero impazzito anch’io, e quindi tutto, in un certo senso, andava a posto.
La paratia anteriore della sala comando era un televisore enorme… e abbastanza fuori centro per irritarmi, nitido sullo sfondo nero come una quantità di sigarette accese in una stanza buia, c’era davvero uno sciame di lucciole rosse.
La convinzione dell’irrealtà lo rendeva plausibile. Ma poi Cox mi richiamò alla realtà abbaiandomi: — Via dalla sala comando! — Se fossi stato in condizioni di spirito normali, sarebbe bastato per farmi scappare a rintanarmi nell’angolo più lontano della nave: ma nello stato in cui ero servì soltanto a farmi accettare la situazione impossibile. Rabbrividii come un cane bagnato e mi girai verso di lui.
— Maggiore — chiesi disperatamente, — cosa succede?
Come un re può divertirsi nei vedere un villico insolente che rifiuta d’inginocchiarsi, Cox rimase colpito dal fenomeno di qualcuno che rifiutava di obbedirgli. Questo mi fruttò una risposta. — Ci troviamo di fronte ad alieni intelligenti — disse laconicamente. — Credo che siano plasmoidi.
Non avevo mai creduto, neppure per un momento, che l’oggetto misterioso che aveva saltabeccato di qua e di là da quando ero arrivato allo Skyfac fosse vivo. Cercai di assorbirlo, poi abbandonai l’impresa e tornai alla cosa che mi stava più a cuore. — Non m’importa neppure se quelli hanno otto renne come Papà Natale: lei deve riportare immediatamente sulla Terra questa bagnarola.
— Signore, la nave è in Allarme Rosso e in Attesa di Combattimento. In questo momento si sta raffreddando la cena di tutti quanti, nell’America del Nord. Mi riterrò fortunato se riuscirò a rivedere la Terra. E adesso lasci la mia sala comando.
— Ma non capisce? L’imponderabilità prolungata potrebbe uccidere Shara. E lei è venuto quassù per impedirlo, maledizione…
— Mr. Armstead! Questa è una nave militare. Ci troviamo di fronte a una dozzina di esseri intelligenti che sono apparsi dall’iperspazio circa venti minuti fa, esseri che quindi usano un motore privo di parti visibili e tale da trascendere la mia comprensione. Se questo può farla sentire meglio, so perfettamente di avere a bordo una passeggera che ha per la specie un valore intrinseco molto superiore a quello della nave e di tutti gli altri che vi si trovano, e se questo può consolarla, è una consapevolezza che causa una distrazione del tutto inutile, e non posso lasciare quest’orbita come non posso farmi spuntare le ali. E adesso, vuol lasciare la sala comando o devo farla trascinare via?
Non ebbi la possibilità di decidere: mi trascinarono via.
D’altra parte, quando tornai nel nostro scompartimento, Cox aveva inserito il nostro schermo in circuito, e Shara e McGillicuddy lo osservavano con attenzione estatica. Feci altrettanto, dato che non avevo niente di meglio da fare.
McGillicuddy non aveva sbagliato. Si comportavano davvero in modo simile alle api, nella rapidità dei movimenti. Mi ci volle un po’ prima che potessi contarli tutti: erano dieci. Ed erano davvero entro un pallone… una cosa indistinta, appena tangibile, al confine fra il trasparente e il traslucido. Sebbene sfrecciassero come furiosi moscerini rossi, lo facevano soltano entro i confini del loro sferoide… non lo lasciavano mai e sembrava che non ne toccassero mai la superficie interna.
Mentre li guardavo, gli ultimi avanzi dell’adrenalina smisero di farmi effetto, lasciando un senso d’energia frustrata. Cercai di rendermi conto che quegli effetti speciali tipo Commandos Spaziali rappresentavano qualcosa che era… più importante di Shara. Era una nozione sconvolgente, ma non potevo respingerla.
Nella mia mente c’erano due voci, ed entrambe urlavano domande a pieni polmoni, e ognuna ignorava quel che chiedeva l’altra. Una gridava: «Quei cosi sono amichevoli? Oppure ostili? Conoscono questi concetti? Quanto sono grossi? Quanto sono lontani? Da dove vengono?» L’altra voce era meno ambiziosa, ma altrettanto energica: e ripeteva sempre la stessa domanda: «Per quanto tempo ancora Shara potrà restare in condizioni d’imponderabilità senza morire?»
La voce di Shara era piena di meraviglia. — Stanno… stanno danzando.
Guardai meglio. Se c’era uno schema, un disegno, in quel brulichio da mosche sull’immondizia, io non lo riconoscevo. — A me sembrano movimenti casuali.
— Charlie, guarda. Tutta quell’attività furiosa, eppure non si urtano e non urtano le pareti del loro involucro. Devono essere in orbite coreografate con la precisione di quelle degli elettroni.
— Gli atomi danzano?
Shara mi lanciò un’occhiata strana. — No, Charlie?
— Raggio laser — disse McGillicuddy.
Lo guardammo.
— Quei cosi devono essere plasmoidi… l’uomo con cui ho parlato ha detto che li hanno avvistati sul radar. Questo significa che sono gas ionizzati… quel genere di cose che produceva le segnalazioni degli UFO. — Ridacchiò, poi si trattenne. — Se poteste tagliare quell’involucro con il laser, scommetto che si potrebbe deionizzarli benissimo… e poi quell’involucro deve contenere il supporto vitale, qualunque cosa metabolizzino.
Mi girava la testa. — Allora non siamo indifesi?
— State parlando tutti e due come militari — esclamò Shara. — Vi dico che stanno danzando. I danzatori non sono combattenti.
— Andiamo Shara — gridai. — Anche se quei cosi fossero lontanamente simili a noi, quello che dici non può essere vero. Pensa ai combattimenti dei samurai, al karaté, al kung fu… sono danze. — Indicai lo schermo con la testa. — Tutto ciò che sappiamo di quelle braci animati è che viaggiano nello spazio interstellare. E questo basta per spaventarmi.
— Charlie, guardali — ordinò lei.