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— Dico solo banalità.

— Non esistono. Forse esiste gente banale.

— Le piace ballare, Miss Drummond?

Lei rispose con la massima serietà. — Definisca cosa intende per le piace.

Aprii la bocca e la richiusi, due o tre volte. Provateci un po’ voi.

— E per l’amor di Dio, mi dica perché sta facendo di tutto per non parlarmi. Comincio a preoccuparmi.

— Shara! — Norrey era allibita.

— Zitta. Voglio sapere.

Mi buttai. — Shara, prima che morisse, ebbi il privilegio di conoscere Bertram Ross. L’avevo appena visto ballare. Un produttore che mi conosceva e mi aveva in simpatia mi portò dietro le quinte, come si potrebbe portare un bambino a conoscere Papà Natale. Mi aspettavo che fuori dal palcoscenico, in riposo, sembrasse più vecchio. Sembrava più giovane, come se tentasse di tenere a freno quella sua incredibile capacità di movimento. Lui mi parlò. Dopo un po’, io smisi di aprire la bocca, perché non ne usciva una parola.

Lei taceva, aspettando il resto. Solo gradualmente comprese l’enormità del complimento. Io avevo pensato che fosse ovvio. Moltissimi artisti esigono di ricevere complimenti. Quando lei capi, non arrossì e non fece smancerie. Non inclinò la testa e non disse: — Oh, suvvia. — Non disse: — Mi sta adulando. — Non distolse gli occhi.

Annuì lentamente e disse: — Grazie, Charlie. Vale molto di più di tante chiacchiere oziose. — C’era una sfumatura di tristezza nel suo sorriso, come se ci fossimo scambiati una battuta amara.

— Prego.

— Per amor del cielo, Norrey, perché sei così sconvolta?

Il gatto, adesso, aveva mangiato la lingua a Norrey.

— È delusa per colpa mia — commentai. — Ho detto una cosa sbagliata.

— Quale cosa sbagliata?

— Avrei dovuto dire: Miss Drummond, credo che lei dovrebbe rinunciare alla danza.

— Caso mai: Shara, credo che tu dovresti… Che cosa?

— Charlie… — incominciò Norrey.

— Avrei dovuto dirle che non tutti possiamo essere ballerini professionisti. Shara, dovevo dirti di mollare la danza… prima che sia la danza a mollare te.

Spinto dalla necessità di essere onesto con lei, ero stato più brutale di quanto dovessi, pensai. Ma avrei scoperto che la franchezza non sgomentava mai Shara. Lei la esigeva.

— Perché proprio tu? — Fu tutto quel che disse.

— Siamo nella stessa barca, io e te. Abbiamo entrambi un prurito che i nostri corpi non ci permettono di grattare.

I suoi occhi si raddolcirono. — Qual è il tuo prurito?

— È identico al tuo.

— Eh?

— Il tecnico doveva venire a riparare il telefono il giovedì. Io e la mia compagna di stanza, Karen, avevamo una prova che durava tutto il giorno. Lasciammo un biglietto. Signor tecnico dei telefoni, siamo dovuti uscire e non potevamo certo chiamarla, eh, eh. Per favore, si faccia dare la chiave dal portiere ed entri: il telefono è in camera da letto. Il tecnico non si fece vedere. Non si fanno mai vedere. — Mi sembrava che mi tremassero le mani. — Tornammo a casa dalla scala sul retro, dal vicolo. Il telefono non funzionava, ma non pensai di togliere il biglietto appeso alla porta principale. La mattina dopo mi sentii male. Crampi. Vomito. Io e Karen eravamo soltanto buoni amici, ma lei restò a casa per curarmi. Immagino che un venerdì sera un biglietto come quello sembrasse ancora più plausibile. Questo tizio aprì la serratura con un pezzo di plastica, e Karen uscì dalla cucina mentre stava staccando lo stereo. S’infuriò tanto che le sparò. Due colpi. Il chiasso gli mise paura: quando arrivai io, stava già uscendo dalla porta. Ebbe giusto il tempo di spararmi una pallottola nella giuntura dell’anca, e poi scappò. Non lo presero mai. E non vennero mai a riparare il telefono. — Adesso le mani non mi tremavano più. — Karen era una brava ballerina, ma io ero ancora più bravo. Nella mia mente, lo sono ancora.

Shara aveva sgranato gli occhi. — Non sei Charlie… Charles Armstead?

Annuii.

— Oh, mio Dio. Dunque ecco dove sei finito.

Fui scosso dalla sua espressione: mi strappò via dal confine freddo e ventoso dell’autocommiserazione. Incominciai, un po’, a commiserare lei. Avrei dovuto intuire la profondità della sua empatia. E nel senso che contava di più, ci somigliavamo troppo… avevamo in comune lo stesso scherzo amaro. Mi chiesi perché avevo voluto turbarla.

— Non potevano ricostruire l’articolazione? — chiese a voce bassa.

— Posso camminare splendidamente. Se ho un motivo abbastanza forte, posso addirittura correre per brevi distanze. Ma non posso ballare in modo decente.

— E così sei diventato un video-man.

— Tre anni fa. Quelli che conoscono bene il video e la danza, al giorno d’oggi, sono più o meno comuni come i reggicalze. Oh, sì, registrano i balletti fin dagli Anni Settanta… con l’immaginazione di un cameramen del telegiornale. Se filmi una commedia con due telecamere piazzate nella buca dell’orchestra, è un film?

— Tu fai per la danza ciò che la macchina da presa ha fatto per il teatro?

— Un’analogia abbastanza azzeccata. Ma non quadra, nel senso che la danza è più vicina alla musica che al dramma. Non puoi interromperla e ricominciare, o tornare indietro e girare daccapo una scena che non è venuta bene, e neppure invertire i tempi per ottenere un programma di riprese comodo. L’evento si svolge, e tu lo registri. Sono l’equivalente di quello per cui l’industria discografica paga il massimo… una specie di mix-man abbastanza competente per sapere quale strumento suona in modo più fievole al momento e per alzargli il microfono… e con tanto buon senso da aver dato i microfoni migliori ai grossi calibri. Ce ne sono pochissimi, come me. E io sono il migliore.

Shara l’accettò come aveva preso il complimento rivolto a lei… al valore facciale. Di solito, quando dico così, non m’importa niente della reazione o meglio spero che l’ascoltatore si scandalizzi. Ma ero compiaciuto del modo in cui l’aveva accettato: tanto compiaciuto, anzi, da sentirmi turbato. Una vaga irritazione mi fece ridiventare brutale, sebbene sapessi che non sarebbe servito a niente. — E tutto questo porta al fatto che Norrey sperava che ti avrei suggerito una simile forma di sublimazione. Perché nel mondo della danza, sarà più facile che la spunti io, anziché tu.

Lei s’impuntò. — Questo non lo credo, Charlie. So di cosa stai parlando, non sono tanto stupida; ma credo di potercela fare.

— Sicuro. Sei troppo grossa, ragazza mia. Hai due tette che sembrano le due metà di un melone da esposizione, e un didietro che per averlo qualunque attrice di Hollywood si venderebbe i genitori. E nella danza moderna, questo ti spaccia. Ti spaccia. Credi di potercela fare? Ti ci spaccherai la testa, come sto facendo io. Norrey?

— Per l’amor di Dio, Charlie!

Mi raddolcii. Non posso far indispettire Norrey… le voglio troppo bene. — Scusami, tesoro. La gamba mi tormenta e sono arrabbiato. Lei dovrebbe farcela… e non ce la farà. È tua sorella, e quindi la cosa ti rattrista. Bene, io sono un estraneo, e mi fa infuriare.

— E come credete che mi senta io? — scattò Shara, facendoci sussultare tutti e due. Non immaginavo che avesse una voce così potente. — Allora tu vorresti che rinunciassi e prendessi a nolo una telecamera, eh, Charlie? O magari che mi mettessi a vender mele davanti allo studio? — Strinse i denti. — Bene, che tutti gli dei della California meridionale mi maledicano, se smetterò. Dio mi ha dato un formato grande, ma non c’è un chilo di troppo, e mi calza come un guanto e, Cristo, so farlo ballare e ballerò. Forse hai ragione… può darsi che prima mi ci spacchi la testa. Ma ce la farò. — Trasse un profondo respiro. — Adesso, grazie per le gentili intenzioni, Char… Mister Armst… oh, merda. — Le lacrime le riempirono gli occhi e lei scappò via in fretta, rovesciando addosso a Norrey una mezza tazza di caffé freddo.

— Charlie — disse Norrey a denti stretti, — perché mi sei tanto simpatico?

— Le ballerine sono stupide. — Le porsi il mio fazzoletto.

— Oh. — Per un po’, Norrey continuò ad asciugarsi il vestito. — Come mai sono simpatica a te?

— I video-man sono intelligenti.

— Oh.

Passai il pomeriggio nel mio appartamento a rivedere il materiale registrato quella mattina, e più lo guardavo e più mi arrabbiavo.

La danza richiede una motivazione intensa in età tenerissima… una devozione cieca, un investimento puntato sul potenziale non ancora realizzato dell’ereditarietà e dell’alimentazione. Puoi incominciare a studiare danza classica, poniamo, a sei anni… e a quattordici ti ritrovi con le spalle troppo larghe, e tutti quegli anni d’impegno totale sono completamente sprecati. Shara aveva messo gli occhi sulla danza moderna… e troppo tardi aveva scoperto che Dio le aveva dato un corpo di donna.