126838.fb2 Stardance - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 6

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— L’aspetto visuale è secondario. Non voglio una gravità d’un sesto, Charlie. Voglio la gravità zero.

La guardai a bocca aperta.

— E voglio che tu sia il mio video-man.

Dio, era incredibile. Sentivo il bisogno di restare cosi a bocca aperta e di riflettere per parecchi minuti. Lei mi lasciò fare, e aspettò pazientemente che avessi finito.

— Il peso non è più un verbo, Charlie — mi disse poi. — Quella danza si concludeva con l’affermazione che non si può vincere la gravità… lo dicesti tu stesso. Bene, quell’affermazione è inesatta… superata. La danza del ventunesimo secolo dovrà prenderne atto.

— Ed è appunto ciò che ti occorre per farcela. Un nuovo tipo di danza per una ballerina di tipo nuovo. Unico. Colpirà il pubblico, e tu dovresti avere per anni l’intero campo tutto per te. Mi piace, Shara. Mi piace. Ma potrai farcela?

— Ho pensato a quel che dicesti tu: non puoi battere la forza di gravità, ma è bello tentare. Mi è rimasto nella mente per mesi, e poi un giorno sono andata a trovare un vicino che aveva la TV e ho visto un servizio su una squadra al lavoro allo Skyfac Due. Sono rimasta sveglia tutta la notte a pensarci, e l’indomani mattina sono venuta negli Stati Uniti e ho trovato un posto allo Skyfac Uno. Sono stata lassù per quasi un anno, per avvicinarmi a Carrington. Posso farcela, Charlie, posso farcela. — Aveva stretto i denti in un modo che avevo visto già una volta… quella volta che mi aveva risposto male a Le Maintenant. Era un segno di decisione incrollabile.

Comunque, io aggrottai la fronte. — Con l’appoggio di Carrington. Shara distolse gli occhi. — I pranzi gratis non esistono…

— Lui quanto si fa pagare?

Rimase zitta abbastanza a lungo perché quel silenzio fosse una risposta. In quel momento ricominciai a credere in Dio per la prima volta dopo tanti anni, solo per poterlo odiare.

Però tenni la bocca chiusa. Lei era abbastanza grande per amministrare da sola le sue finanze. Il prezzo d’un sogno continua a salire ogni anno. Diavolo, me l’ero quasi aspettato fin dal momento che mi aveva chiamato.

Ma solo quasi.

— Charlie, non startene lì con quella faccia contratta. Di’ qualcosa. Urla, dammi della puttana, qualcosa.

— Sciocchezze. Non sono la tua coscienza: faccio già fatica ad essere la mia. Vuoi ballare, hai uno sponsor. E adesso hai un video-man.

Quell’ultima frase non avevo nessuna intenzione di dirla.

Stranamente, all’inizio sembrò quasi che la deludesse. Ma poi si rilassò e sorrise. — Grazie, Charlie. Puoi liberarti subito di quello che stai facendo?

— Lavoro per una stazione TV educativa di Shediac. Ho persino dovuto registrare un servizio sulla danza. Un orso ballerino dello Zoo di Londra. La cosa sorprendente è che ballava bene. — Shara sorrise. — Posso liberarmi.

— Benissimo. Non credo che potrei farcela senza il tuo aiuto.

— Ma lavorerò per te. Non per Carrington.

— D’accordo.

— Dov’è il grand’uomo, comunque? A fare il sommozzatore nella vasca da bagno?

— No — disse una voce tranquilla, dalla porta. — Ero a fare i lanci col paracadute nell’atrio.

La poltrona a rotelle era un trono mobile. Lui aveva addosso un abito da quattrocento dollari color gelato alla fragola, un maglione azzurro-polvere e un orecchino d’oro. Le scarpe erano di vero cuoio. L’orologio era quel modello nuovo senza cinturino che ti dice l’ora, letteralmente. Non era abbastanza alto per Shara e aveva le spalle assurdamente larghe, sebbene il vestito cercasse di nascondere l’uno e l’altro. Gli occhi sembravano due mirtilli. Il sorriso era quello d’uno squalo che si chiede quale parte sarà più saporita. Avrei voluto schiacciargli la testa fra due macigni.

Shara si alzò. — Bryce, questo è Charles Armstead. Ti ho detto…

— Oh, sì. Quello del video. — Lui avanzò con la poltrona a rotelle e mi porse una mano curatissima. — Sono Bryce Carrington, Armstead.

Io rimasi seduto, con le mani sulle ginocchia. — Oh, sì. Quello ricco.

Alzò educamente un sopracciglio. — Ah, un altro tipo maleducato.

Bene, se è bravo quanto dice Shara, ha il diritto di esserlo.

— Sono un cane.

Il sorriso sparì. — Finiamola con queste schermaglie, Armstead. Non pretendo belle maniere dalla gente creativa, ma se è necessario ho una riserva di disprezzo più significativa della sua. Ora sono stanco di questa maledetta gravità e ho passato una giornata faticosa testimoniando per un amico, e a quanto sembra hanno intenzione di richiamarmi anche domani. Vuole questo lavoro o no?

Mi aveva messo con le spalle al muro. Lo volevo. — Già.

— Allora d’accordo. La sua stanza è la 2772. Fra due giorni torneremo allo Skyfac. Si trovi qui alle otto del mattino.

— Avrò bisogno di parlarti del materiale che ti servirà, Charlie — disse Shara. — Chiamami domani.

Mi girai di scatto verso di lei, e Shara evitò il mio sguardo.

Carrington non se ne accorse. — Sì, prepari un elenco di tutto il materiale che le occorre, prima di domani, così lo porteremo con noi. Non badi a spese… Se non chiede qualcosa, dovrà farne a meno. Buonanotte, Armstead.

Mi voltai verso di lui. — Buonanotte, Mr. Carrington. — Signore.

Carrington guardò il narghilé e Shara si affrettò a riempirlo di nuovo. Girai sui tacchi e mi avviai alla porta. La gamba mi faceva tanto male che per poco non caddi, ma strinsi i denti e ce la feci. Quando arrivai alla porta, dissi a me stesso: adesso l’aprirai e uscirai, e invece girai di nuovo sui tacchi. — Carrington!

Sbatté le palpebre, sorpreso di scoprire che esistevo ancora. — Sì?

— Si rende conto che Shara non l’ama affatto? Non le importa niente? — Avevo alzato la voce e senza dubbio stringevo i pugni.

— Oh — disse lui, e poi ripeté: — Oh. Dunque è così. Immaginavo che il successo, da solo, non bastasse a spiegare tanto disprezzo. — Posò il bocchino del narghilé e intrecciò le dita. — Mi permetta di dirle una cosa, Armstead. Nessuno mi ha mai amato, che io sappia. Questo appartamento non mi ama. — Per la prima volta la sua voce assunse un tono umano. — Ma è mio. Ora se ne vada.

Aprii la bocca per dirgli cosa poteva farsene del lavoro che mi era stato offerto, ma poi vidi la faccia di Shara e la sua espressione addolorata mi riempì di vergogna. Me ne andai subito e quando la porta si chiuse dietro di me vomitai su un tappeto che valeva poco meno di un’Hamilton Masterchrome Board. Mi pentii di aver messo la cravatta.

Il viaggio fino al Pike’s Peak Spaceport, almeno, fu esteticamente piacevole. Mi piace viaggiare in aereo, scivolare tra le nubi maestose, guardare la processione ondulata delle montagne e delle pianure con il mosaico dei campi e dei sobborghi che si rivela sotto di me.

Ma il tragitto fino allo Skyfac a bordo dello shuttle personale di Car-rington, That First Step, sembrava una replica di un vecchio telefilm dei Commandos Spaziali. Lo so che non possono mettere oblò nelle navi spaziali… ma accidenti, un televisore a circuito chiuso non offre risoluzione, valori cromatici e presenza più della TV di casa vostra. Le uniche differenze sono che le stelle non si «muovono» per dare l’illusione del viaggio, e non c’è un regista che effettui il montaggio della registrazione per offrire scene sensazionali.

Esteticamente parlando. La differenza esperienziale è che quando guardate i Commandos Spaziali non vi vendono rimedi contro le emorroidi, non vi legano a un divano, non vi aggrediscono con i tuoni, non vi fanno pesare più di mezza tonnellata per un tempo irragionevolmente lungo e poi non vi lanciano dall’orlo del mondo in condizioni d’imponderabilità. Io quasi mi aspettavo la nausea, ma quello che venne fu ancora più sconvolgente: l’improvvisa, inattesa, totale assenza di dolore alla gamba. In quanto a questo, Shara stava peggio di me: riuscì appena in tempo ad aprire il sacchetto per vomitarci dentro. Carrington si slegò e le fece un’iniezione antinausea con movimenti sicuri. Sembrò passare un’eternità prima che le facesse effetto; ma quando lo fece il cambiamento fu enorme… il colore e la forza ritornarono rapidamente, e Shara si era ripresa completamente quando il pilota annunciò che stavamo per attraccare e pregò tutti di allacciare le cinture di sicurezza e di star zitti. Quasi mi aspettavo che Carrington latrasse per ricordargli le buone maniere, ma evidentemente il magnate non era tanto stupido. Stette zitto e si legò.

La gamba non mi faceva male. Neppure un po’.

Il complesso Skyfac sembrava un mucchio disordinato di pneumatici per bicicletta e di palloni da spiaggia di varie grandezze. Quello verso cui si diresse il nostro pilota era piuttosto una gomma per trattori. Abbinammo la rotta, diventammo il suo assale e appaiammo la rotazione, e quel coso maledetto estromise una specie di tubo che ci prese direttamente nella camera di compensazione. La camera era «sopra» i nostri divani, ma vi entrammo e ne uscimmo con i piedi in avanti. Dopo qualche metro all’interno del tubo, la direzione in cui ci muovevamo divenne «giù», e le maniglie divennero una scaletta. Il peso aumentava ad ogni passo; ma anche quando arrivammo in un compartimento cubico piuttosto grande, rimase molto inferiore a quella normale della Terra. La mia gamba, comunque, ricominciò a darmi fastidio.

La camera cercava d’essere una sala da ricevimento di tipo classico (— Si accomodi, prego. Sua Maestà la vedrà tra poco. —) ma la bassa gravità e le tute pressurizzate appese lungo due pareti rovinavano l’effetto. Diversamente dalle armature dei Commandos Spaziali, una vera tuta pressurizzata sembra un sacco di forma umana e, vuota, ha un’aria particolarmente comica. Un giovane bruno in tweed si alzò da una scrivania attrezzatissima e sorrise. — È un piacere rivederla, Mr. Carrington. Spero che abbia fatto buon viaggio.

— Ottimo, Tom. Ricorda Shara, naturalmente. Questo è Charles Armstead. Tom McGillicuddy. — Tutti e due mostrammo i denti e dicemmo che eravamo lieti di far conoscenza. Ma capivo che, nonostante i convenevoli, McGillicuddy era agitato.

— Nils e Mr. Longmire la stanno aspettando nel suo ufficio, signore. C’è… c’è stato un altro avvistamento.

— Maledizione — cominciò Carrington, e s’interruppe. Lo fissai. Tutta la forza del mio sarcasmo migliore non era riuscita a farlo infuriare. — Sta bene. Si occupi dei miei ospiti mentre vado a sentire cos’ha da dirmi Longmire. — Si avviò verso la porta, muovendosi come un pallone da spiaggia al rallentatore, ma con le sue gambe. — Oh, sì… lo Step è carico di materiale ingombrante, Tom. Lo faccia portare alle rimesse, e faccia mettere l’equipaggiamento nel Magazzino Sei. — Se ne andò. Sembrava preoccupato. McGillicuddy mise in funzione la scrivania e diede gli ordini necessari.