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«Chi è là?», disse una voce femminile. «C’è qualcuno?»

Non era la sua stanza. Fece un passo indietro e rovesciò di nuovo il cestino.

«Lo so che c’è qualcuno,» disse la voce, con tono spaventato. Sentì qualcosa che cadeva in terra, dopodiché o lei spalancò le tende o tirò su l’avvolgibile della finestra, perché improvvisamente lui la poté distinguere alla pallida luce di un lampione stradale.

Stava seduta sul letto ancora intatto, avvolta in una coperta. Accanto a lei, sul letto, c’era un libro aperto. Doveva essersi addormentata mentre leggeva. C’era una sveglia sul comodino. Segnava le tre e mezzo. La lampada che aveva tentato di accendere si era rovesciata in terra. Lui fece per raccoglierla.

«Non ti avvicinare!» sussultò la ragazza, arretrando fino in cima al letto, ancora con la coperta appiccicata addosso. «Come hai fatto a entrare?»

«Non lo so,» rispose. Si guardò intorno. La porta era incatenata. La finestra. Forse aveva scavalcato la finestra e se l’era chiusa dietro. Nevicava. I fiocchi turbinavano intorno al lampione, e poteva vederli accumularsi sul davanzale. «Non lo so,» disse con l’aria spersa.

La ragazza guardò la finestra e la porta incatenata. «Sei un amico di Allison?» chiese.

«No.» Stephanie Forrester. Aveva fatto da valletto al matrimonio di Stephanie Forrester e… «Sei un’amica di Stephanie?»

«No,» fece lei. «Hai bevuto?»

Ecco come stavano le cose. Aveva bevuto. Questo avrebbe risolto tutta una serie di problemi, ad esempio il fatto che non si ricordasse cosa ci faceva nella stanza di questa strana ragazza nel bel mezzo della notte. «Ho bevuto,» disse, e all’improvviso gli tornò tutto in mente. «Stavo bevendo dei fermatempo con il capo valletto di Stephanie. Birra e vino. Mescolati insieme.»

«Allora tutto si spiega,» commentò lei, ormai abbastanza tranquillizzata. Aveva allentato un po’ la presa sulla coperta, e lui riuscì a distinguere la maglietta marrone che le copriva a malapena i fianchi. Nebraska State College, dicevano le lettere in giallo sulla maglietta. Cercò di non preoccuparsene. Lo stesso fece per la neve.

C’era una semplice spiegazione a tutto ciò. Aveva cominciato a nevicare quando lui era al bar con il capo valletto. A volte nevicava in California. La maglietta le era stata regalata dal suo ragazzo del Nebraska.

«Ce l’hai il ragazzo?» le chiese, e se ne pentì all’istante. Lei si guardò selvaggiamente intorno alla ricerca di qualcosa con cui difendersi. «La maglietta,» aggiunse in fretta e furia. «Pensavo che magari te l’avesse regalata il tuo ragazzo, visto che non è di questa scuola.»

«È di questa scuola,» ribatté lei. «Nebraska State College.»

«Nebraska?» disse. Si appoggiò allo schienale della sedia e per poco non la rovesciò un’altra volta.

«Dov’è che stavi bevendo questi fermatempo di preciso?» chiese la ragazza.

«In California.»

Entrambi rimasero in silenzio per un po’. A un certo punto lei chiese: «Non ti ricordi come hai fatto ad arrivare qui?»

«Sì,» rispose. «Io stavo… no.»

«Ti vena in mente se non ci pensi,» disse la ragazza, e poi sembrò spaventata. «Mi sembra di averlo già detto prima, o di averlo sentito dire da qualcuno. Solo che ho questa strana impressione che non sia ancora accaduto.»

Si fece avanti, appoggiandosi sulle mani, e lo guardò negli occhi. «Io ti conosco,» disse. «Sei uno psicologo temporale.»

«Sono uno studente di lettere,» replicò lui. «Me ne stavo a bere un fermatempo con il capo valletto di Stephanie Forrester, e tutto a tratto si è fatto buio come…»

«Un pozzo da polo a polo,» terminò la ragazza.

Rovesciò la sedia. «Io ti conosco,» disse. «Sei Carolyn Hendricks.»

Scosse la testa. «Sono Carolyn Rutherford.»

«Quello è il tuo cognome da signorina. Quello da sposata è Hendricks.»

«Non sono sposata,» disse lei, di nuovo impaurita.

«Non ancora. Ma lo sarai. Avrai due figlie.»

«Tu sei il dottor Andrew Simons,» fece lei all’improvviso. «Hai passato gli ultimi cinque anni in Tibet a studiare il deja vu.»

«Ho passato gli ultimi cinque anni fra la scuola superiore e Stanford. E perché dovrei studiare il deja vu? Sono uno studente di lettere.»

«Eri uno studente di lettere. Penso che da stanotte ti trasferirai probabilmente a psicologia.» Si rimise a sedere sui talloni. «Hendricks, eh? Mi sa che c’è uno di nome Hendricks a lezione di psicologia.»

«Ma ancora non l’hai incontrato,» disse lui, non più disorientato né a disagio. «E nemmeno io ti ho ancora incontrata. Ma lo farò. Fra circa vent’anni.»

«Sì,» disse lei, «e mi sposerò e avrò due figlie, e tu sarai in Tibet.»

«E ci sarà impossibile unirci perché sarà il momento sbagliato,» aggiunse lui.

«Tutto è possibile.» disse lei. «Sono le tre e mezzo.» Fece un sorrisetto, avvicinandosi a lui. «Non controllano più le stanze dopo la mezzanotte.»

«E la tua compagna di stanza?» domandò lui, e fu quasi sconcertato dal suo improvviso sguardo di allegro stupore.

«Oh,» fece tutta contenta, «in questo trimestre Allison è in Europa.»

«Non riuscivo a trovarti,» disse Don. Stava in piedi sopra di lei con un bicchiere in mano.

«C’era Susy nel nostro letto,» disse assonnata. «Com’è andato il meeting?» Si mise a sedere e si tirò il plaid sulle ginocchia.

«Siamo arrivati secondi.» Si appoggiò sul letto e le passò il bicchiere. «Jennifer Whipple sì è sentita male e non ha potuto fare il numero alla sbarra, e Linda se n’è andata. Tu come stai?»

«Bene,» rispose lei bevendo un sorso. «Che roba è questa?»

«Un suicidio,» disse lui. «Mi ricordo che ci andavi matta al college, allora mi sono fermato al supermercato e ho comprato un po’ di succo di zenzero e…»

«Succo di zenzero!» esclamò Carolyn. «Ecco l’ingrediente che non mi veniva in mente.» Ne bevve un altro sorso. «Ha proprio lo stesso sapore di quelli che faceva Allison. Oh, a proposito di Allison, finalmente mi è venuto in mente quando ho preso la varicella. È stato il trimestre in cui Allison era in Europa. È stato stranissimo. Io… Linda se n’è andata?»

«A metà degli esercizi di volteggio. Non è nemmeno voluta venire sull’autobus con noi. Ho provato a telefonarti.»

«Per dirmi che se n’era andata?»

«No. Per dirti che hai avuto la varicella. Jennifer si è sentita male, e tutto a tratto mi è venuto in mente che l’avevi presa al college. Proprio strano che me lo fossi dimenticato, visto che ci siamo conosciuti per quello. Ti ero venuto a trovare in ospedale.»

«Mi ricordo,» disse Carolyn. «Il dottore mi fece compilare una lista di possibili contagiati, e io feci il tuo nome perché mi sedevi vicino a psicologia.»

«Avevi un aspetto spaventoso quando ti sono venuto a trovare in ospedale,» disse lui, sogghignando. «Eri piena di croste sulla pelle. E standomene lì seduto a guardarti, ebbi una strana visione di noi due sposati con due figli ed entrambi con la varicella. Mi sa che Linda questa parte non l’ha capita.»

«L’hai raccontato a Linda?»

«Certo. Mi diceva quanto eri permalosa al telefono. Ha detto che solo chi sta per prendersi una malattia può essere così acido, e tutto d’un tratto mi sono ricordato come ti ho conosciuta e gliel’ho raccontato.»