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«Proprio lui. Insomma, è di ritorno con una squadra di ricerca e vuole che lavori per lui. Sarebbe per l’intera giornata, per circa un mese, ha detto. Ti paga meglio di quanto ti pagano per il volontariato.»

«Oh, cavolo, non lo so,» disse Carolyn, pensando alle scarpe di Wendy. «Don inizia questa settimana gli allenamenti per la ginnastica, e manca poco alla Fiera dell’Associazione Genitori-Insegnanti. Ti ha detto quanto pagano?»

«Sì, e deve proprio volerti a tutti i costi, perché ha detto che ti pagherà quello che vuoi. E dovrai cominciare il 2 ottobre.»

Carolyn tentò di sollevare la pagina di settembre del calendario con la mano che stringeva ancora il coltello da pane. «Sarebbe mercoledì prossimo, no?»

«Mercoledì prossimo ho l’appuntamento con l’ortodontista,» disse Wendy.

«Dovrò riorganizzare i miei appuntamenti. Fino a che ora rimarrai a scuola?»

«Oh, fino a verso mezzanotte se al Vecchio Scartafaccio gli gira. Quando avrò finito con le indicazioni di emergenza, dovrò rifare in ordine alfabetico l’elenco degli insegnanti assegnati all’ora di ricreazione.»

«Ti richiamo io,» disse Carolyn, e riappese.

«È impossibile che per le sei abbia digerito il polpettone,» disse Wendy.

Carolyn fece alcuni fori in un hot dog con la punta del coltello da pane e lo mise nel forno a microonde. Poi chiamò l’ortodontista e spostò l’appuntamento di Wendy alle quattro e un quarto di martedì.

«Il martedì alle quattro ho l’allenamento,» disse Wendy. «Nicotero dice che se perdiamo anche un solo allenamento non ci fa giocare.»

«Che ore libere avete martedì?» domandò Carolyn alla segretaria dell’ortodontista.

«Alle cinque e tre quarti,» rispose la donna.

«Che ne dici delle cinque e tre quarti?» chiese Carolyn a Wendy.

«Va bene,» disse Wendy.

«Giovedì c’è la Mostra all’università,» disse Liz. «Hai promesso che ci avresti accompagnato, Lisa e io.»

«Ho un’ora libera alle tre e mezza di mercoledì,» disse la segretaria.

«Oh, bene. È dopo la scuola. Mi segni pure,» disse Carolyn.

Aveva appena riattaccato, che il telefono squillò di nuovo.

«Salve, sono Lisa. Posso parlare con Liz?»

Carolyn porse la cornetta a Liz e tirò fuori dal forno l’hot dog di Wendy. Le versò un bicchiere di latte.

«L’allenatore Nicotero dice che faremmo bene a mangiare qualcosa di ciascuno dei quattro gruppi di alimenti. Carne, cereali, latticini…»

«Frutta e verdura.» concluse Carolyn. Diede a Wendy il pomodoro.

Liz riappese il telefono. «Ceno da Lisa,» disse. «Puoi portarmici quando accompagni Wendy?» Corse nella sua stanza e ne tornò con un pacco di cataloghi universitari. «Quale università hai frequentato, mamma?»

«Il Nebraska State College,» disse Carolyn.

«Ti è piaciuto?»

Avevo tutto il tempo del mondo, pensò Carolyn. Non dovevo portare nessuno da nessuna parte, e non avevo mai sentito parlare dei quattro gruppi di alimenti. La mia bevanda preferita era il suicidio, che preparavo con la mia compagna di stanza Allison mescolando insieme diversi tipi di bevande gassate.

«Ci sono stata benissimo,» disse Carolyn.

Suonò il telefono.

«Scusa se ti chiamo così tardi, tesoro,» disse Don. «Non siamo nemmeno a metà. Non aspettarmi per cena. Tu e le ragazze andate a mangiare fuori.»

L’aereo rullò sulla pista e si fermò, e tutti si precipitarono verso il corridoio. Andrew occupava il sedile accanto al finestrino. Prese la sacca da viaggio da sotto il sedile davanti a lui e si appoggiò contro lo schienale. Non avrebbe dovuto bere lo scotch sulla tratta L.A.-Denver. Aveva sperato che gli avrebbe favorito il sonno, in modo da non essere costretto ad ascoltare le chiacchiere della coppia palesemente infelice che occupava i sedili a fianco al suo.

Invece gli aveva suscitato una fantasticheria sentimentale del suo primo anno all’università, che era stato l’anno forse peggiore della sua vita. Per poco non lo avevano sbattuto fuori dal corso propedeutico in giurisprudenza, si era preso una cotta per Stephanie Forrester e poi aveva finito col farle da valletto al matrimonio. Non c’era proprio nessuna ragione per ricordare quell’anno sciagurato, tanto meno con nostalgia.

«Non ho detto che non volevo che giocassi a tennis,» disse il marito della coppia infelice. Si alzò in piedi, aprì il compartimento superiore e ne tirò fuori la valigia e l’impermeabile. «Ho solo detto che quattro lezioni al giorno mi sembravano un po’ troppe.»

«Per tua informazione.» disse la moglie, «Carlos ritiene che abbia delle grandi capacità.» Allungò la mano verso la tasca elasticizzata sullo schienale del sedile, prese l’edizione economica di Passages e la infilò nella borsa.

Andrew si ricordò del progetto del dottor Young e lo prese dalla tasca del suo sedile. Quello era il vero motivo per cui aveva preso lo scotch, cercare di cancellare dalla mente il ricordo delle idee balzane del dottor Young. La sua teoria era che il tempo esisteva non come un flusso continuo, ma come una serie di oggetti quantici separati. Questi venivano percepiti come un flusso a causa di un fenomeno di “persistenza” che si apprendeva fin dall’infanzia. Quella parte della teoria non era così male. La ricerca di Ashtekar all’università di Syracuse aveva già avanzato l’ipotesi della natura quantica del tempo, e l’idea dei blocchi di tempo percettivo di qualche durata era generalmente accettata dagli psicologi temporali. Senza di essa non potevano esistere fenomeni come la musica, che dipendeva dalle relazioni fra le note. Se il tempo fosse stato un flusso continuo, la musica sarebbe stata percepita come una singola nota immediatamente sostituita nella percezione da un’altra, invece che come uno schema di intervallo e di durata.

Ma il concetto di blocchi temporali, o odiecroni, come li aveva battezzati il dottor Young, era un concetto percettivo, non una realtà fisica. Non solo il dottor Young riteneva che i suoi odiecroni fossero reali, ma pensava anche che fossero molto più lunghi di quanto avesse sostenuto qualsiasi psicologo temporale… minuti o addirittura ore, invece dei pochi secondi che occorrevano per ascoltare una melodia. Ma la parte veramente folle della sua teoria era che questi odiecroni si potevano spostare come mattoncini delle costruzioni, e anche metterli uno sopra all’altro.

Tutto ciò non aveva niente a che fare con gli aspetti culturali della percezione del tempo o con il deja vu, e se lui si fosse Ietto fino in fondo la relazione non avrebbe mai accettato la proposta del dottor Young. ma non si era affatto premurato di indagare sul dottor Young. Il dottor Young, invece, aveva indagato su di lui… lo aveva sottoposto a una nutrita serie di test prima di offrirgli l’incarico. E Andrew l’aveva accettato senza nemmeno leggere la relazione. Andrew si alzò e restò lì ricurvo a guardare i passeggeri in fila lungo il corridoio, desiderando che si muovessero.

«Tanto perché tu lo sappia,» disse la donna, «Carlos dice che ho il miglior rovescio che abbia mai visto.»

«Per tua informazione,» disse l’uomo, alle prese con qualche bagaglio nel compartimento superiore, «Carlos è pagato per dire cose come questa alle signore sovrappeso di mezza età.»

Andrew prese dalla tasca del sedile l’avviso plastificato con le istruzioni per la sicurezza e cominciò a studiare i disegni delle uscite di emergenza.

«Pensavo di partecipare a qualche torneo,» disse la donna.

«È proprio questo che voglio dire,» ribatté l’uomo, tirando fuori una racchetta da tennis nella sua custodia color lavanda con chiusura lampo. «Questa dannata storia del tennis ti sta facendo perdere la testa.»

«Come hai perso la testa per i buoni del tesoro di Managua? Come hai perso la testa per quella biondina della banca?» Gli strappò dalle mani la racchetta da tennis.

Secondo le istruzioni c’erano scivoli di emergenza su entrambe le ali. Se fosse riuscito ad arrampicarsi sui sedili fino a raggiungere la fila H e ad abbassare la leva dell’uscita di emergenza…

«Credevo che fossimo d’accordo di non parlare di Vanessa,» disse l’uomo.

«Non sto parlando di Vanessa. Sto parlando di Heather.»

Andrew si accasciò sul sedile, si allacciò la cintura e finse di leggere la relazione, finché tutti non ebbero lasciato l’aereo, a parte il personale di volo. La relazione non aveva più senso adesso di quando l’aveva letta sul serio.

Guardò con desiderio la maniglia dello scivolo di emergenza, poi infilò la relazione nella sacca da viaggio, attraversò la passerella ricoperta e sbucò nel terminal. Il dottor Young e una donna sulla cinquantina dai capelli disorganizzati erano le uniche persone rimaste accanto al cancelletto. La donna stava osservando con interesse qualcosa in fondo alla sala.

«Dottor Simons,» disse il dottor Young, avanzando per stringergli la mano. «Voglio presentarle la dottoressa Lejeune. Dottoressa Lejeune, il dottor Simons dirigerà la parte psicologica del nostro piccolo progetto. Dottoressa Lejeune?»

La dottoressa Lejeune si avvicinò e gli strinse la mano, con gli occhi sempre fissi sull’estremità della sala.