129143.fb2 Un nemico vivo o morto - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

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Allargò le braccia e gettò indietro la testa. I capelli gli ricaddero al posto giusto, ma la cravatta gli saltò fuori un’altra volta.

«Signor Whitlow», pensò il capo, con gelida e sardonica allegria, «se davvero si è messo in testa l’idea che noi si sia disposti a invadere un altro pianeta per migliorare la psicologia dei suoi abitanti, se la scordi subito. I terrestri non significano niente per noi. La loro maturazione è una faccenda tanto recente che non ce ne saremmo neppure accorti senza che lei fosse qui a farcela notare. Che continuino pure a far la guerra, se vogliono. Che si sterminino pure fra loro. Non sono fatti nostri».

Whitlow ammiccò più volte. «Ma…» cominciò a dire con rabbia. Poi si riprese. «Ma non vi stavo chiedendo di farlo per ragioni umanitarie. Vi ho fatto notare, no?, che ci sarà un bottino…»

«Dubito molto che i suoi terrestri abbiano qualcosa in grado di tentarci».

Whitlow quasi cadde giù dal macigno. Fece per farfugliare qualcosa, poi cambiò un’altra volta, radicalmente, il suo approccio. Nella sua espressione era balenato un guizzo astuto. «È possibile che voi stiate tentennando perché avete paura che i molluscoidi venusiani vi attacchino, se violerete la tregua perpetua attuando un’incursione armata contro un altro pianeta?»

«Niente affatto», pensò il capo con asprezza, rivelando per la prima volta una certa alterigia e un orgoglio razziale frutto di tanti aridi eoni di tradizione. «Come le ho già detto prima, i molluscoidi sono una razza chiaramente inferiore. Niente più che esseri acquatici. Non li abbiamo più visti da molte epoche. Per quanto ne sappiamo, potrebbero essersi estinti. Certo non siamo legati a loro da accordi ormai logori, se dovesse presentarsi un motivo valido e vantaggioso per infrangerli. E noi non abbiamo nessuna, ripeto: nessuna, paura di loro!»

Whitlow annaspò convulso tra i propri pensieri. Le sue mani dalle dita a spatola tracciavano gesti altrettanto confusi. Risospinto verso i suoi argomenti originari, balbettò in modo assai poco convincente: «Ma deve esserci senz’altro qualche tipo di bottino che renda per voi conveniente invadere la Terra. Dopotutto la Terra è un pianeta ricco di ossigeno, di acqua e di minerali e forme di vita organica, mentre Marte deve lottare contro la scarsità di tutte queste cose».

«Proprio così», pensò il capo. «E noi abbiamo sviluppato uno stile di vita che si adegua perfettamente a questa penuria. Raccogliendo la polvere interplanetaria che fluttua nelle vicinanze di Marte, e con l’uso giudizioso della trasmutazione e di altre tecniche, ci siamo assicurati una scorta sufficiente di tutti i materiali grezzi indispensabili. La spropositata abbondanza della Terra sarebbe un imbarazzo per noi e finirebbe per sconvolgere il nostro sistema. Un’accresciuta disponibilità di ossigeno ci costringerebbe ad imparare un nuovo ritmo respiratorio per evitare di morirvi annegati dentro… oltre a rendere disagevole e pericolosa per noi una qualunque invasione della Terra. Rischi analoghi potrebbero derivarci dall’abbondanza di altri elementi chimici e composti. E in quanto alle forme di vita che pullulano dovunque sulla Terra, in modo così nocivo, nessuna di esse sarebbe di qualche importanza su Marte… salvo la sfortunata circostanza in cui una di esse trovi rifugio nei nostri corpi e dia inizio a un’epidemia».

Whitlow trasalì. Che se ne rendesse conto oppure no, la sua vanità planetaria era rimasta ferita. «Ma lei si sta scordando della cosa più importante», protestò. «I prodotti dell’industria e dell’ingegnosità dell’uomo. Perché l’uomo ha cambiato la faccia del suo pianeta più di quanto voi abbiate mai fatto col vostro. L’ha coperto di strade. Non si raduna all’aperto nel modo selvatico che fate voi. Ha edificato grandi città. Ha ideato ogni sorta di veicoli. In una simile abbondanza certamente troverete molte cose per voi desiderabilissime».

«Del tutto improbabile», fu la risposta del capo. «Non riesco a veder raffigurata nella sua mente una sola cosa che possa destare, in noi, anche un semplice, passeggero interesse. Noi ci siamo adattati al nostro ambiente. Non abbiamo bisogno d’indumenti o di case o di tutte le altre cose artificiali che i suoi maladattati terrestri richiedono. Il dominio che noi abbiamo del nostro pianeta è assai più grande di quello che voi avete del vostro, ma non ci mettiamo certo a farne la propaganda in maniera tanto pacchiana. Dall’immagine che lei ne fa, posso vedere che i terrestri sono dediti all’adorazione di tutto ciò che è grosso ed eccessivo, e sono altresì vittime della più grossolana forma di esibizionismo».

«Ma poi ci sono le nostre macchine», insisté Whitlow, ribollendo dentro di sé e tirandosi il colletto. «Macchine d’incredibile complessità, adatte a ogni scopo. Macchine senz’altro utili a un’altra specie oltre che a noi».

«Sì, posso immaginarmele», commentò il capo, sarcastico. «Giganteschi e goffi grovigli di ruote e leve, fili e griglie. In ogni caso, le nostre sono migliori».

Rivolse una rapida domanda all’anziano: «La sua rabbia rende la sua mente un po’ più vulnerabile?»

«Non ancora».

Whitlow fece un ultimo sforzo, controllando con grande difficoltà la sua indignazione: «Oltre a tutto questo, c’è la nostra arte. Tesori culturali d’incalcolabile valore. Opere d’una specie dalla creatività assai più ricca della vostra. Libri, musica, dipinti, sculture. Certamente…»

«Signor Whitlow, lei sta diventando ridicolo», l’interruppe il capo. «L’arte non ha nessun significato al difuori del suo ambiente culturale. Quale interesse si aspetta che noi dimostriamo nei confronti dell’impacciata autoespressione d’una specie immatura? Inoltre nessuna delle forme d’arte da lei citate potrebbe venire adattata al nostro modo di percepire, salvo la scultura… e in questo campo i nostri conseguimenti sono incomparabilmente superiori, poiché noi abbiamo una consapevolezza diretta della solidità. La sua mente è soltanto una mente-ombra, limitata agli esili modelli bidimensionali».

Whitlow si erse in tutta la sua altezza e incrociò le braccia sul petto. «Molto bene!» esclamò con voce raschiante. «Vedo che non posso convincervi. Ma…» puntò l’indice della mano destra verso il capo, «… lasci che le dica qualcosa! Lei disprezza gli umani, pensa di poter fare a meno di loro. Li ha definiti grossolani e infantili. Lei disdegna le industrie della Terra, la sua scienza, la sua arte. Rifiuta di aiutare l’umanità nel bisogno. Crede di potersi permettere di fare a meno degli umani. Va bene. Faccia pure. Questo è il mio consiglio. Fate pure… e vedrete quello che succederà!» Una luce vendicativa cominciò ad ardere nei suoi occhi. «Conosco i miei simili. Li conosco perché li ho studiati per molti anni. La guerra ha fatto dell’uomo un tiranno e uno sfruttatore. Ha fatto schiave le bestie dei campi e delle foreste. Ha fatto schiava la sua stessa specie, quando ha potuto, e quando non ha potuto ha imprigionato i suoi simili con le subdole catene delle necessità economiche e la soggezione dettata dal prestigio. È perverso, ostinato, brutale, uno strumento dei suoi impulsi più abbietti, e inoltre è abile, cocciuto, insistente, spinto da un’ambizione sconfinata! Possiede già l’energia atomica e i razzi come mezzi di trasporto. Nel giro di pochi decenni disporrà di navi spaziali e armi subatomiche. Fate pure, e aspettate! La predisposizione per far sempre la guerra lo porterà a sviluppare queste armi fino a livelli a tutt’oggi mai sognati di efficienza distruttiva. Aspettate anche questo! Aspettate che gli uomini arrivino su Marte in forze. Aspettate che abbiano fatto la vostra conoscenza e si siano resi conto di quali meravigliosi lavoratori sareste con la vostra corazza che vi rende adatti a qualunque tipo di ambiente. Aspettate che trovi una scusa per litigare con voi, che vi sconfigga e vi renda tutti schiavi e vi spedisca lontani dal pianeta, schiacciati dentro fetidi scafi, per obbligarvi a lavorare nelle miniere della Terra e sul fondo degli oceani, nella stratosfera e sugli asteroidi che l’uomo già adesso è bramoso di sfruttare. Sì, fate pure, aspettate!»

Whitlow s’interruppe, il petto che gli pulsava affannoso. Per un attimo fu conscio soltanto della sua sadica soddisfazione per aver sgridato quelle esasperanti creature simili a scarafaggi. Poi si guardò attorno.

I coleotteroidi si erano fatti più vicini. Le forme di quelli più prossimi si erano fatte più distinte e definite, somigliando repulsivamente a dei ragni che quasi invadevano la sua sfera di luce. In ugual modo anche i loro pensieri si erano fatti sempre più vicini, fino a formare un muro minaccioso, più nero di quello che incombeva sulla notte marziana. Era scomparsa quella riservatezza arrogante e spassionata che tanto l’aveva irritato. Incredulo, si rese conto di essere riuscito a penetrare la loro corazza e a toccarli in un punto vulnerabile.

Colse un rapido pensiero dal capo all’anziano: «E se il resto di loro assomiglia a questo anche soltanto un poco, allora si comporteranno proprio come ha detto lui. È un’informazione in più».

Whitlow tornò a guardarsi lentamente intorno, la fronte una volta ancora coperta dalle ciocche di capelli che gli erano ricadute in avanti, cercando un indizio che gli spiegasse l’improvviso mutamento nell’atteggiamento dei coleotteroidi. Il suo sguardo perplesso finì per appuntarsi sul capo.

«Abbiamo cambiato idea, signor Whitlow», gli disse spontaneamente il capo, in tono truce. «All’inizio le avevo detto che noi non esitiamo mai a intraprendere delle iniziative quando ci viene fornita una ragione valida e sufficiente. Ciò che i suoi sciocchi argomenti sull’umanitarismo e sul bottino non sono riusciti a ottenere, ce l’ha dato il suo ultimo sfogo. Le cose sono proprio come dice lei. I terrestri finiranno per attaccarci, e anche con qualche speranza di successo, se noi aspetteremo inerti. Perciò, a ragion di logica, dobbiamo agire in modo preventivo, e prima lo faremo meglio sarà. Faremo una ricognizione sulla Terra, e se le condizioni laggiù saranno quello che lei ha descritto, l’invaderemo».

Dalle profondità del suo sconforto Whitlow in un istante si trovò catapultato all’acme di una gioia febbrile. Il suo volto fanatico divenne radioso. Il suo corpo allampanato parve espandersi. I capelli gli schizzarono all’indietro.

«Meraviglioso!» ridacchiò, e proseguì eccitato: «Naturalmente, farò tutto ciò che posso per aiutarvi. Vi fornirò dei mezzi di trasporto…»

«Questo non sarà necessario», lo interruppe bruscamente il capo. «Non ci fidiamo dei suoi grandi poteri più di quanto se ne fidi iei. Abbiamo le nostre navi spaziali, più che adeguate a qualunque impresa. Non è nostra abitudine ostentarle più di quanto ostentiamo gli aspetti meccanici della nostra cultura. Non le usiamo, come farebbero i suoi terrestri, per farne volutamente bella mostra in giro. Nondimeno le abbiamo, pronte nei nostri magazzini, in caso di bisogno».

Ma neppure quello sprezzante rimprovero poté offuscare l’esultanza di Whitlow. Il suo volto era radioso, gli occhi gii sbattevano frenetici sotto la spinta delle lagrime che urgevano per uscire. Il pomo d’Adamo gli andava su e giù quasi a soffocarlo.

«Ah, amici miei… miei buoni amici! Se soltanto riuscissi a farvi capire cosa significa per me questo momento! Se soltanto potessi dirvi quanto sono felice, poiché penso che il grande momento sta per arrivare! Quando gli uomini alzeranno gli occhi dalle loro buche e dalle loro trincee, dai loro caccia e dai bombardieri, dai loro posti d’osservazione e dai quartier generali, dalle loro fabbriche e dalle case, per vedere, tutti, questa nuova minaccia dai cieli… Quando tutte le loro meschine divergenze d’opinione verranno a cadere come un indumento sporco e a brandelli. Quando taglieranno il filo spinato di quest’odio illusorio e si uniranno insieme, mano nella mano, finalmente veri fratelli, per affrontare il comune nemico. Quando, nel compimento dell’impresa comune, essi raggiungeranno infine una pace perfetta e durevole!»

Fece una pausa per respirare. I suoi occhi vitrei fissavano con amore la stella azzurra della Terra, che adesso stava ormai sfiorando l’orizzonte.

«Sì», gli giunse debole e asciutto il pensiero del capo. «Per uno con un temperamento emotivo come il suo si tratterà indubbiamente di una scena molto toccante… appagante. Per un po’».

Whitlow abbassò lo sguardo senza capire. L’ultimo pensiero del capo era stato come una graffiata di striscio: il tocco, lieve come una piuma, d’un artiglio avvelenato. Non capiva il perché, ma fu conscio d’un crescente timore.

«Cosa…» s’impaperò. «Cosa… vuol dire?»

«Voglio dire», fu il pensiero del capo, «che durante la nostra invasione della Terra non avremo neppure bisogno di usare la tattica del divide et impera, che sarebbe di norma indicata in un caso del genere… lei sa, unirsi a una fazione della Terra per aiutarla a sconfiggere l’altra, gli esseri che combattono non badano mai molto alla natura dei loro alleati — per poi fomentare ulteriori disunioni, e così via. No, con la nostra superiorità negli armamenti potremo con tutta probabilità dedicarci a un diretto lavoro di pulizia, evitando lunghe e fastidiose macchinazioni. Perciò è probabile che lei riesca ad avere quella sua fugace visione dei terrestri uniti, per la quale si è tanto affannato».

Whitlow lo fissò bianco in volto per l’orrore che si stava chiarendo in lui. «Cosa intende dire con “per un po’ ”?» bisbigliò con voce rauca. «E cosa intende con “fugace visione”?»

«Ma certo tutto ciò dovrebbe esserle ovvio, signor Whitlow», rispose il capo, irradiando un buonumore quasi offensivo. «Non supporrà, anche soltanto per un attimo, che siamo disposti ad attuare una piccola, sciocca invasione e che, dopo aver sgomentato i terrestri, siamo disposti a ritirarci? Sarebbe il sistema giusto per garantirci, in modo assoluto, una loro controinvasione su Marte in un prossimo futuro. In effetti, la nostra invasione servirebbe soltanto ad accelerare la loro… e arriverebbero con intenzioni ferocemente ostili, con l’intento di spazzar via completamente una minaccia. No, signor Whitlow, quando noi invaderemo la Terra, sarà per proteggere noi stessi da qualsivoglia minaccia futura. Il nostro scopo sarà lo sterminio più completo e totale, compiuto con la maggior efficienza e rapidità possibili. La nostra attuale superiorità militare ci consente di esser certi del successo».

Whitlow fissò il capo con gli occhi fuori dalle orbite, come una statua di se stesso, macchiata di giallo e screpolata qua e là. Aprì la bocca… ma tornò a chiuderla senza dir nulla.

«Non avrà mica creduto, signor Whitlow», continuò il capo con estrema gentilezza, «che avremmo fatto qualcosa soltanto per far piacere a lei? O a qualcun altro… salvo che a noi stessi coleotteroidi?»

Whitlow fissò quelle orribili uova nere a otto zampe che si accalcavano sempre più dappresso intorno a lui: l’incarnazione vivente dell’oscurità velenosa del loro pianeta.

Tutto ciò che riuscì in qualche modo a biascicare, fu: «Ma… pensavo che lei avesse detto… che era un grosso malinteso pensare a degli esseri alieni come a mostri diabolici, intenzionati soltanto a saccheggiare… a distruggere…»

«Forse l’ho detto, signor Whitlow. Forse l’ho detto… forse», fu l’unica risposta del capo.

In quell’istante il signor Whitlow si rese conto di cosa fosse veramente un alieno.

Come in preda a un incubo soffocante, osservò i coleotteroidi che si facevano sempre più vicini. Udì il pensiero carico di disprezzo che il capo rivolgeva all’anziano, senza neppure preoccuparsi di schermarlo: «Non ti sei ancora impadronito della sua mente?» e il «no» dell’anziano e il rapido ordine impartito dal capo agli altri.

Le uova nere invasero la sua sfera di luce, crudeli artigli corazzati si aprirono per ghermirlo… quelle furono le ultime impressioni che Whitlow ebbe di Marte.

Un paio d’istanti più tardi — poiché il congegno gli garantiva un trasporto istantaneo attraverso qualunque distanza spaziale — il signor Whitlow si trovò all’interno di una bolla che conservava per qualche miracolosa proprietà la normale pressione atmosferica terrestre anche negli abissi privi di maree dei mari venusiani. In posizione invertita rispetto a quella d’un pesce in un vaso, scrutò l’ondeggiante vegetazione fosforescente e i giganteschi edifici rivestiti di fango che in parte essa mascherava. Navi luccicanti e creature tentacolate gli sfrecciavano tutt’intorno.

Il capo dei molluscoidi rimirò l’intruso che era penetrato nei suoi giardini privati, con un’altera disapprovazione che neppure la sorpresa riuscì a scuotere.

«E lei cos’è?» pensò, gelido.

«Sono… sono venuto qui per informarla della minacciata violazione d’una tregua durata millenni».

Cinque occhi in cima a lunghi peduncoli lo fissarono con una freddezza uguale al pensiero che continuava a bussargli nel cranio: «Ma cos’è lei?»

Un improvviso impulso di dolente onestà costrinse il signor Whitlow a rispondere: «Suppongo… suppongo che lei mi chiamerebbe un guerrafondaio».