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— C’è un signore di nome Shiburo Ito che vuole vederla — comunicò l’interfono. — È interessato all’acquisto di manufatti storici di un certo rilievo.
Mentre aspettavo che entrasse nel mio ufficio privato, chiesi al computer centrale i dati su di lui, e questi apparvero sullo schermo collocato prudentemente nella parte posteriore della mia scrivania. Quel Mr. Ito non era altri che Ito della Ito Freight Booster di Osaka; non era necessario controllare il suo estratto conto tramite le banche private Dun Lo Bradstreet. Se Ishiburo Ito della Ito Booster firmava un assegno di poco inferiore al debito nazionale, si poteva star sicuri che non era scoperto.
L’uomo magro e calvo che scivolò nel mio ufficio portava un kimono di seta rossa ed un obi di ricco broccato nero, apparentemente con i ricami di Mendocino. Senza dubbio, nei miasmi dello smog di Osaka, avrebbe fatto colpo sui villici con l’ultima creazione di Saville Row. Tutto in lui era così: sapeva muoversi con tale grazia e sicurezza su quel confine come una lama di rasoio che separa la classe dall’ostentazione, come sanno fare solo i Giapponesi, soprattutto quando hanno milioni di solidi yen alle spalle. Mr. Ito non era uno stupido. Qualunque cosa volesse, la voleva per precise ragioni personali, e sarebbe stato irremovibile nei suoi desideri. Il tipico uomo d’affari giapponese di grosso calibro, un esempio di quella razza che ci aveva esclusi dal centro dell’arena internazionale degli affari.
Mr. Ito si inchinò impercettibilmente mentre mi porgeva il suo biglietto da visita. Io risposi piegando impercettibilmente il capo nella sua direzione, rimanendo seduto. Questi giochetti di espressioni facciali e gestuali possono apparire ridicoli, ma non si può fare affari con i Giapponesi se non si accettano queste regole.
Mentre si sedeva di fronte a me, Ito trasse un cilindro nero dalla manica del suo kimono e lo mise cerimoniosamente sulla scrivania davanti a me.
— Mi è dato di capire che lei è un esperto dei manifesti di Fillmore dei primi anni sessanta, Mr. Harris — disse. — La fama della sua collezione è arrivata fino agli ambienti di Osaka e di Kyoto, dove risiedo. La prego, mi permetta di aggiungere ad essa questo piccolo contributo. Il pensiero che questo mio oggetto possa riposare in compagnia di quelle superbe rarità mi procurerà un grande piacere e mi renderà per sempre suo debitore.
Mi tremavano le mani mentre svolsi il manifesto. Viste le sue risorse finanziarie, il piccolo e rispettoso dono di Ito non poteva certo essere deludente. Mio padre amava vantarsi dei conti spese dei tempi andati, quando erano gli uomini d’affari americani a condurre il gioco, ma bisogna dire che i benefici a latere del modo giapponese di gestire gli affari non avevano certo bisogno di commenti.
Ma quando aprii il dono mi ci volle un grosso sforzo per non perdere il controllo e lanciare un fischio. Perché quello che avevo in mano era niente meno che un esemplare nuovo di zecca del primissimo manifesto Grateful Dead in finissimo chiaroscuro, un pezzo rarissimo, non disponibile a nessun prezzo. Non osai indagare su come Mr. Ito ne fosse venuto in possesso. Semplicemente, condividemmo un lungo attimo di silenzio contemplando il manifesto, la cui bellezza e valore storico trascendevano qualunque evento avesse congiurato per portarci entrambi alla sua presenza.
Come poteva ora Mr. Ito non essermi simpatico? Chi dice che i Giapponesi occupano la loro attuale posizione soltanto in virtù della loro potenza economica?
— Spero che mi venga concessa l’opportunità di compiacere la sua sensibilità come lei ha compiaciuto la mia, Mr. Ito — dissi infine. Questo era il modo di formulare i ringraziamenti: non li si ringrazia per un dono come quello, e li si porta a parlare d’affari attraverso le vie più traverse.
Improvvisamente Ito tradì un grande imbarazzo, e assunse un’espressione quasi furtiva. — Perdoni il mio ardire, Mr. Harris; ma spero che lei sia in grado di aiutarmi a risolvere una faccenda familiare di una certa delicatezza.
— Una faccenda familiare?
— Proprio così. Mi rendo conto che questa è un’imbarazzante intrusione, ma lei è ovviamente un uomo di gusto e di infinita discrezione, così se vorrà scusare la mia sfacciataggine…
La sua compostezza sembrò evaporare completamente, come se fosse sul punto di chiedermi di fargli da ruffiano per qualche sua disgustosa perversione. Ebbi la sensazione che d’un tratto il potere avesse fatto un enorme balzo nella mia direzione, e che stesse per presentarsi una grossa opportunità finanziaria.
— La prego, Mr. Ito, si senta libero…
Ito sorrise nervosamente: — Mia moglie proviene da una famiglia che ha conseguito sommi risultati in campo artistico — disse. — In verità entrambi i genitori hanno ottenuto l’elevata condizione di Tesori Culturali Nazionali, un’onorificenza che non si stancano mai di ricordarmi. E anche se io ho raggiunto un grosso successo finanziario con le mie imprese, essi mi considerano un nikulturi, un semplice mercante, con notevoli lacune nella raffinatezza artistica rispetto alle loro illustri persone. Lei comprende la situazione, Mr. Harris?
Annuii mostrando la massima comprensione. Questi Giapponesi sono veramente geniali nel rendersi la vita difficile! Ecco qui uno dei più grandi industriali giapponesi che si faceva piccolo piccolo al solo pensiero di quei parenti acquisiti che campavano alle sue spalle, e che lui probabilmente avrebbe potuto vendere e comprare con pochi spiccioli. Allo stesso tempo era chiaro che stava per prendersi una rivincita su quei bastardi, escogitando qualche folle stratagemma che avrebbe avuto un senso solo per un Giapponese. Ho l’impressione che i Giapponesi siano molto più bravi a gestire il mondo che non le loro vite private.
— Mr. Harris, desidero acquistare un importante oggetto artistico americano per i giardini della mia residenza di Kyoto. In effetti deve essere di grandezza tale da ricordare ai genitori di mia moglie il mio successo nella vita pratica ogni volta che il loro occhio si posi su di esso; e lo metterò in mostra in maniera tale che il loro sguardo non possa fare a meno di cadervi sopra spesso. Ma naturalmente deve possedere doti di bellezza e storicità tali da testimoniare che il mio gusto non è meno elevato del loro. Così acquisterò rispetto ai loro occhi, e ristabilirò la tranquillità nella mia casa. Mi è stato detto che lei è un prezioso consigliere in questo genere di cose, ed io sono impaziente di esaminare qualunque oggetto con questi requisiti che lei vorrà mostrarmi.
Così si trattava di questo! Voleva comperare qualcosa di abbastanza grande da colpire i parenti spocchiosi, ma non si fidava fino in fondo del proprio gusto: voleva che fossi io a mostrargli ciò che voleva vedere. Ed era un pesciolino rosso che nuotava in un mare di yen! Stentavo a credere alla mia fortuna. Quanto potevo ricavarne?
— Ah… di che dimensioni deve essere questo manufatto, Mr. Ito? — chiesi con la maggior naturalezza possibile.
— Desidero acquistare un pezzo importante di architettura monumentale americana, in modo da poter convertire i giardini della mia residenza in una cornice adeguata alla sua bellezza e storicità. Quindi è necessario un pezzo di proporzioni classiche. Naturalmente deve essere degno di divenire un polo di attrazione, altrimenti ne risulterebbe sicuramente un’imbarazzante perdita di prestigio.
— Naturalmente.
Questa non sarebbe stata una delle solite vendite. Persino il vecchio Hilton o la Cooperstown Baseball Hall che avevo scaricato l’anno passato sarebbe stata troppo poco. A modo suo, Ito, stava dicendomi che non era una questione di prezzo: non c’erano limiti. Questo era quello che avevo sognato per tutta la vita! Un gonzo con un illimitato conto in banca che si metteva fiducioso nelle mie mani!
— Se le fa piacere, Mr. Ito — dissi, — possiamo subito esaminare varie possibilità qui a New York. Il mio saltapicchio è sul tetto.
— Molto generoso da parte sua trascurare i suoi molti impegni per me, Mr. Harris. Ne sarei lieto.
Sollevai il saltapicchio dal suolo, lo portai a trecento metri e poi feci un balzo a mach 1,5 in direzione sud oltre la giungla di cemento in rovina all’estremità di Manhattan. La curva ci portò a fluttuare ad un miglio a nord dell’isola di Bedloe. Mi abbassai a novanta metri e planai lentamente verso la Statua della Libertà, perdendo impercettibilmente quota a mano a mano che ci avvicinavamo alla Signora senza Testa, in modo che quando fummo a pochissima distanza dalla costa arrivammo quasi a toccare il suolo. Era un buon trucco per far sembrare più allettante la merce; manipolare la prospettiva in modo che l’enorme statua verde senza testa sembrasse spuntare dalla baia come un colosso in rovina mentre noi ci avvicinavamo ad essa.
Mr. Ito non tradì alcuna emozione. Guardava dritto fuori dalla bolla senza dire una parola o fare un solo gesto.
— Come lei senza dubbio sa, questa è la famosa Statua della Libertà — dissi. — Come molti manufatti simili, è a disposizione di qualunque acquirente che la voglia mostrare con la dignità che le spetta. Naturalmente non avrei nessuna difficoltà a convincere l’Ufficio delle Antichità che le sue intenzioni sono esemplari sotto questo punto di vista.
Innestai il pilota automatico in modo che il velivolo girasse intorno alla statua ad un’altezza di cinquanta metri: così Ito poteva avere una visione completa e rendersi conto dell’effetto della statua sotto ogni angolatura, e di quanto fosse adatta alle sue esigenze. Ma lui continuava a rimanere immobile senza tradire alcuna particolare emozione.
— Come lei può vedere, nulla è stato toccato da quando gli Insurrezionisti fecero saltare la testa della statua — dissi io cercando di risvegliare il suo interesse — Quindi la statua ha acquistato un ulteriore significato storico che aumenta la sua già formidabile venerabilità. In origine un dono della Francia, assunse un significato storico come emblema di affinità tra la rivoluzione francese e quella americana. Situata all’ingresso della rada di New York, divenne agli occhi di generazioni di immigrati, il simbolo stesso dell’America. E il danno recato dagli Insurrezionisti serve solo a farci rammentare come siano stati fortunati ad uscire da quella situazione con tanta facilità. E aggiunge anche una certa atmosfera malinconica, non trova? Emozione, bellezza intrinseca e storicità unite in un unico elegante pezzo di scultura monumentale. E il prezzo richiesto è assai inferiore a quello che si potrebbe pensare.
Quando alla fine parlò, Mr. Ito sembrò imbarazzato; — Sono sicuro che mi perdonerà quanto sto per dirle, Mr. Harris, dal momento che l’emozione è prodotta dal più alto rispetto per il nobile passato della sua grande nazione, ma trovo questa specifica opera d’arte un tantino deprimente.
— Come mai, Mr. Ito?
Il saltapicchio completò il giro della Statua della Libertà e ne cominciò un altro, mentre Mr. Ito abbassò gli occhi fissando le acque oleose della baia prima di rispondermi.
— Il simbolismo di questa statua mutilata è una cosa che rattrista, poiché rappresenta il declino rispetto alla passata grandezza della sua nazione. Se io dovessi trasportarlo a Kyoto commetterei un atto ignobile, un insulto alla memoria della grandezza della sua nazione. Sarebbe un’affermazione di presuntuoso orgoglio.
Ma vi rendete conto? Lui era offeso perché pensava che mettere in mostra la statua in Giappone sarebbe stato come insultare gli Stati Uniti, e quindi io, offrendogliela, stavo implicitamente insinuando che lui era nikulturi. Tutto questo quando quel dannato vecchiume rappresentava per qualunque americano solo un altro decrepito rottame dei passati giorni di gloria che i Giapponesi, che andavano pazzi per quel genere di porcherie, potevano essere spinti a pagare cifre esorbitanti per il discutibile piacere di impacchettarlo e portarselo via! Questi Giapponesi ti fanno impazzire: chi altri avrebbe potuto sentirsi offeso se voi gli aveste suggerito di fare qualcosa che loro pensavano vi avrebbe offeso, mentre invece l’avevate ritenuta una proposta in buona fede?
— Spero di non averla offesa, Mr. Ito — sbottai. E avrei subito voluto mordermi la lingua per averlo detto, perché era proprio la cosa meno opportuna. Io lo avevo offeso e metterlo nella condizione di doverlo negare per rispetto alla buona educazione, costituiva un’ulteriore offesa.
— Sono sicuro che la cosa non poteva essere più lontana dalle sue intenzioni, Mr. Harris — disse Ito con convincente sincerità. — Una fitta di tristezza al pensiero della caducità della grandezza, nulla di più. Effettivamente, si potrebbe dire che l’esperienza in sé è stata salutare per l’anima. Ma fare di quell’opera d’arte una parte permanente delle cose che mi circondano, sarebbe più di quanto potrei tollerare.
Era davvero ciò che pensava o era solo melliflua buona educazione giapponese? Chi poteva dire cosa pensasse in realtà quella gente? Qualche volta penso che non lo sappiano nemmeno loro. Ad ogni modo, dovevo mostrargli qualche cosa che gli facesse cambiare umore, ed anche in fretta. Hmmmm…
— Mi dica, Mr. Ito, le piace il baseball?
Gli occhi gli si illuminarono come fari, ed il malumore evaporò nel calore di un subitaneo e quasi infantile sorriso. — Ah, sì — disse. — Ho un palco allo stadio di Osaka, anche se devo confessare di avere una preferenza per i Giants. Come è strano che questo profondo gioco abbia avuto un simile declino nella sua patria di origine.
— Forse. Ma questo fatto ha reso disponibile sul mercato qualcosa che sono sicuro lei troverà molto congeniale. Vogliamo andare?
— Ma certo — disse Ito. — Trovo questo ambiente un tantino opprimente.
Pilotai il saltapicchio a cento cinquanta metri di quota e programmai un balzo a mach 2,5 in direzione nord così rapido che ci lasciammo indietro in un baleno l’enorme massa di rame sudicia e scrostata. È sconcertante quanta disgustosa emozione i Giapponesi siano capaci di provare di fronte ad un qualunque vecchio rottame. Vecchi rottami nostri, per giunta, come se il Giappone non avesse abbastanza rottami, vecchi e inutili, per conto suo. Ma non sono certo io a dovermi lamentare: questo mi permette di guadagnare piuttosto bene. Conoscete tutti il vecchio adagio sullo sciocco e il suo danaro.
La traiettoria del saltapicchio ci portò a sorvolare a un’altezza di trecento metri la confluenza dell’Harlem con l’East River. Senza cambiare quota, guadai il saltapicchio a nord est sopra il Bronx a trecento chilometri all’ora. Prima dell’Insurrezione quest’area era ricoperta di case popolari ed era stata rasa al suolo da bombe incendiarie, esplosivi ad alto potenziale e napalm. Non si era mai trovata una ragione economica per sgomberare quell’enorme massa di macerie ed ora la terra sfregiata e gli edifici diroccati erano coperti da distese di erba incolta, sommaco velenoso, cespugli contorti e macchie d’alberi che in una o due generazioni avrebbero potuto formare una foresta, A causa di quella folle e irregolare topografia, era un’area assolutamente inutilizzabile e quasi disabitata, a parte qualche patetico rimasuglio di vecchie tribù di hippies che se ne stavano per conto loro e a cui non valeva la pena di dare la caccia. Alcune baracche isolate e tende rabberciate erano gli unici segni di insediamenti umani in quell’area. Questo era davvero un territorio deprimente, e volevo che Mr. Ito lo oltrepassasse in fretta e ad alta quota.
Per fortuna non mancava molto, e dopo un paio di minuti il saltapicchio si librava a centocinquanta metri sopra il nostro obiettivo, l’unica struttura intatta in quell’area. Il viso di pietra di Mr. Ito si illuminò di una gioia così infantile che capii subito d’aver fatto centro; dunque non mi ero sbagliato nel supporre che non avrebbe resistito ad una simile offerta.
— Eccolo! — gridò estasiato. — Lo Yankee Stadium! L’antico campo sportivo era passato attraverso l’Insurrezione senza altri danni, se si escludono dei muri esterni di cemento anneriti e bucherellati. Ogni cosa intorno era stata quasi completamente demolita, ad eccezione di alcuni brevi tratti della vecchia metropolitana sopraelevata che ancora si ergevano lì accanto, uno scheletro di un tenue color ruggine coperto di muschio e viticci. Le rovine tutt’intorno ne erano completamente ricoperte, enormi mucchi di pietrisco, edifici sventrati, cisterne arrugginite che formavano intricate collinette simili a giungle artificiali intorno al centro svettante costituito dallo stadio, che era anch’esso ricoperto di viticci e piante rampicanti che lo confondevano in parte con il selvaggio panorama circostante.
L’Ufficio Nazionale delle Antichità aveva circondato lo stadio con un alto recinto di filo spinato elettrificato per tener lontani gli hippies che scorrazzavano in quell’area. Una guardia solitaria, con in dotazione un’arma di fabbricazione giapponese, pattugliava costantemente il perimetro con un velivolo monoposto ad un’altezza di cinque metri. Feci scendere il saltapicchio a quindici metri e girai per cinque volte intorno allo stadio, in modo che Ito, affascinato dall’idea, potesse contemplarlo in lungo e in largo e convincersi che sarebbe stato degno di figurare come pezzo forte del suo giardino, invece di rimanere nascosto in quelle spregevoli rovine. La guardia salutava ogni volta che le nostre rotte si incrociavano: doveva essere un lavoro noioso e ingrato starsene lì senza altra compagnia che quelle vecchie rovine e qualche banda di hippies vagabondi.
— Possiamo entrare? — chiese Ito con un tono di assoluta reverenza. Gente, l’avevo agganciato! Era raggiante come un bambino che stesse per ereditare un negozio di caramelle.
— Certamente, Mr. Ito — dissi io, portando il saltapicchio fuori dalla sua rotta circolare e planando dolcemente sopra l’orlo del vecchio campo sportivo e sorvolando il tetto di quella che una volta era stata la tribuna. Con molta lentezza guidai il velivolo verso l’intrico di erba alta, cespugli e alberi rinsecchiti che ricopriva il vecchio campo da gioco.