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Ned andava avanti e indietro nel suo studio, con il ricevitore incollato all’orecchio, mentre con la mano libera gesticolava come se stesse arringando una folla.
«Ho appena parlato con Laval», disse. «Ascolta, Vera. Non mi capita molto spesso di arrabbiarmi con te, ma questa volta l’hai fatta grossa. Credo davvero che tu abbia esagerato.»
«Non so», rispose Vera con il cuore che le batteva forte e assalita dall’atavica deferenza verso i componenti maschili della famiglia.
«Non lo sai? Se non lo sapevi, allora perché non hai consultato me prima di portare Annie da una mediconzola da strapazzo?»
«Perché devi subito presumere che…»
«Senti, Annie è troppo importante per me.»
«Ma di tutto quello che abbiamo tentato, niente ha funzionato.»
«Tu non sai essere paziente, Vera, e ti manca l’esperienza necessaria per affrontare certi problemi. Sei sottosopra, e lo sei stata per un bel po’. Adesso, Sandy non vuol più sentir parlare di Annie e, considerato quanto ha fatto per lei, non ti sembra una pazzia? E se lui non vuole più saperne per colpa di questa ciarlatana, nessun altro vorrà impegnarsi.»
«E allora?» domandò Vera, cercando di controllarsi. «Ce n’è stato uno, dico, uno solo, che sia riuscito a darci una mano?»
«A darci una mano? Hanno salvato la vita ad Annie e, come minimo, ti hanno impedito di impazzire in tutta questa faccenda. Non ti hanno immischiata con streghe e fattucchiere.»
«Ma non hanno nemmeno aiutato Annie.»
«Vera, tu cerchi i miracoli», disse Ned, adottando una tattica più condiscendente, quasi paterna. «Guarda, capisco quanto tu ti senta frustrata. Vengo lì a prenderti e ne parliamo. Potremmo accompagnare via Annie, in Europa, magari. Ci sono ottimi medici anche all’estero. Qualcuno saprà che cosa fare.»
Nonostante le sue riserve sulla Neuberger, e il brusco attacco della dottoressa nei confronti di Annie, Vera si sentì irritata dai rimproveri di Ned.
«Rimango qui ancora un po’», dichiarò seccamente. «Fammi sentire che cosa dice questa dottoressa e, se non ne ricavo niente, proveremo quello che suggerisci.»
«Ma potrebbe essere troppo tardi», insisté Ned.
«Staremo a vedere», replicò conciliante lei.
Vi fu una lunga pausa. «Vera», proruppe Ned, «non vorrei metterti alle strette, ma Annie è la figlia di mio fratello. Ho qualche responsabilità verso di lei. Voglio essere sicuro che sia protetta.»
«Siamo entrambi interessati alla stessa cosa, Ned», ribatté Vera, «ma io resto qui.»
Ned era deluso e furente, ma cercò di controllarsi. «Come vuoi», concluse pacatamente, «ti concedo una proroga. Finisci la tua visita con la Neuberger. Ascolta quello che ti dice. Ma stasera ti telefono a casa.»
Vera non rispose e Ned riattaccò. Per lei era stato un colloquio impegnativo, il più difficile che avesse mai sostenuto da quando era entrata a far parte della famiglia McKay. Da una parte provava un certo orgoglio. Dall’altra, sapeva di essere intrappolata tra un medico eccentrico e un cognato che si era sempre dimostrato devoto e affettuoso.
«Se l’è cavata bene», commentò la Neuberger. «Non l’avrei mai creduto.»
«Grazie», rispose Vera seccamente, risentita per il complimento a doppio senso.
«Signora», proseguì la Neuberger, «non so se l’imbrattacarte, Birch, gliel’ha detto, ma il mio metodo esige che i pazienti rimangano qui almeno per una notte. Ciò mi permette di valutarli in diverse condizioni. Inoltre non amo i discorsi affrettati, come succede con gli psichiatri alla moda.»
«Rimanere qui?» sbottò Vera.
«Crede che sia una fogna, qui?»
«Mai saputo di un metodo simile», esclamò Vera, circondando con un braccio le spalle di sua figlia, in un gesto protettivo.
«E quegli altri contaminuti non hanno mai saputo che cosa affligge questa bambina», la rimbeccò la Neuberger. «Però lei ci è andata. Perché? Perché hanno cravatte di seta comprate nei negozi di lusso.»
«Ritengo di sì», ammise Vera, sorridendo perfino alla battuta della Neuberger. «Ma se restiamo, Ned vedrà rosso.»
«E allora? È Dio, lui? Scaglia tuoni e fulmini?»
«No, ma è sempre stato come un secondo padre per Annie. Si preoccupa per lei. È un uomo sensibile.»
La Neuberger fece una smorfia. «Anche lui, senza dubbio, porta cravatte di seta e ha una macchina di lusso.»
«Sì.»
«Una categoria di persone di cui ho sempre diffidato. Ma questo Ned non può certo farle del male.»
Vera fece un cenno di diniego, sinceramente perplessa. «Penso proprio di no», rispose.
«Perché lo pensa soltanto?»
«Non lo so. È strano. Una delle ultime visioni di Annie era che Ned veniva in casa per ucciderla.»
La Neuberger si irrigidì di colpo. Una luce cupa e intensa le balenò negli occhi. «Mi dica di più», disse lentamente.
«Oh, non era niente…»
«Spetta a me deciderlo. Lei mi dica.»
Vera si sentì quasi incapace di riferire una storia che coinvolgeva Ned. Per un attimo le sembrò di essere una visionaria, una pettegola. Ma ubbidì alla Neuberger. «Una notte Annie si è svegliata e ha avuto la visione di suo padre… morto.»
«Normale», stabilì la psicanalista abbozzando un sorriso. «Continui.»
«Aveva una brutta ferita in testa», disse Vera. «Be’, ho telefonato a Ned e lui è arrivato di corsa. Ha confortato Annie, e me, e lei è tornata a letto.
«Però, più tardi si è svegliata ed è caduta dalle scale. Ho dovuto riportarla in ospedale. Mi ha detto di aver avuto la visione di Ned che stava venendo con una pistola per ucciderla.»
La Neuberger non aprì bocca, ma Vera intuì che il racconto la turbava. L’anziana dottoressa appariva scossa e agitata. Per la prima volta sembrava dimenarsi sulla poltrona e giocherellare nervosamente con le dita. «Lei… ha parlato a Ned di questa faccenda?» chiese alla fine.
«Sì.»
«Lui che cos’ha detto?»
«È stato molto comprensivo.»
«La bimba è stata trattenuta in ospedale, dove lei ha pagato, e non le hanno fatto niente?»
«Sì, direi proprio che è successo così.»
«E Annie ha avuto un’altra visione?»
«Sì. Mio Dio, è stato terribile. Ha visto suo padre morto, vicino al ponte di Tarrytown. Allora in ospedale le hanno messo la camicia di forza e l’hanno drogata. In quel momento ho deciso di venire da lei.»
«Capisco. In passato la bambina ha mai inventato storie poco plausibili?»
«Non proprio.»
«È una risposta un po’ insufficiente.»
«Voglio dire che tutti i bambini dicono cose che fanno arrabbiare i genitori. Ma Annie non ha mai avuto il vizio di mentire… o roba del genere.»
«C’è la possibilità che qualcun altro possa dare alla piccola le notizie che poi lei rivela?»
«Penso proprio di no.»
La Neuberger sorrise maliziosa. «Perché no? Forse lo nasconde solo a lei.»
«Non mi nasconderebbe nulla.» «Chi lo dice? Ha un documento che lo garantisca?» «No, ma…»
«Vede, signora, sono una psicanalista. Non è una novità: quando uno dei genitori se ne va di casa, a volte il bambino è portato a una certa ostilità contro il genitore che è rimasto. Annie può credere che sia stata lei, sua madre, a far scappare il marito. Potrebbe recitare tutta una commedia, senza parlargliene… per ripicca.»
«Su questo non posso assolutamente esser d’accordo!»
«Bella scoperta! Ieri sono stata convocata per la cosiddetta verifica della mia denuncia dei redditi. Anch’io non ero d’accordo, eppure ho dovuto pagare duecento dollari. Chi si cura se uno è o non è d’accordo? Mi hanno detto che avevo lavorato di forbici sulla mia dichiarazione delle tasse. Immaginarsi! E conoscevo Freud!»
«Ma Annie e io siamo così legate!»
«Sempre.»
«Che cosa vuol dire, sempre?»
«Ogni mamma ritiene di essere legata ai suoi figli quando c’è un problema come il suo. Il punto è: è possibile, e non dia fuori di matto o non si metta a sfasciarmi i mobili, che la piccola sia stata in contatto con il padre?»
«Non capisco.»
«Mi spiego. A volte, quando abbandona la famiglia, il padre si tiene segretamente in contatto con i figli. Ha mai sentito raccontare di padri che rapiscono i figli?»
«Sì.»
«Quindi, nel nostro caso, il padre potrebbe, come si dice, ronzare di nascosto nei paraggi. Magari vedere la piccola vicino a scuola, o telefonarle quando lei non è a casa. E le raccomanda di non dire niente a mammina.»
Vera scosse la testa, totalmente incredula. «Non Harry! Non Annie!»
«Li conosce entrambi così a fondo?»
«Sì!»
«Allora come mai lei non è in grado di spiegare perché la bambina si comporti come una demente?»
«Non è una demente!»
«Lei si aspetta che io creda che Annie sia una specie di veggente? Pensa proprio che io presti fede a queste stupidaggini?»
A Vera montò di nuovo il sangue alla testa. «Dopo tutto questo», gridò concitata, «lei dubita ancora di me?»
«Dubito sempre», disse la Neuberger con notevole supponenza. «Qui capitano un sacco di imbroglioni. Pensano che io dia loro la benedizione per andare a giocare a Las Vegas.»
«Noi non apparteniamo a quella categoria.»
La Neuberger alzò le spalle. «Vedremo. Adesso smettiamo. Lei aspetti qui.»
«Aspettare che cosa?» le domandò Vera.
«Che io rifletta. Devo sistemarvi per stanotte, organizzare tutto.»
Vera non era rimasta d’accordo di restare, ma non aveva nemmeno rifiutato. «Avrà le risposte?» chiese, dopo una breve esitazione.
La Neuberger allargò le braccia. «Chi può saperlo? Tutti vogliono le risposte, come in un libro di testo», disse. «Devo consultare libri e appunti, magari anche telefonare a qualche collega.»
«Ma… qualche idea ce l’ha?» Il volto di Vera andava assumendo un’aria di disperata ansietà.
«Idee ne ho. Ma non le do una garanzia come quando compra un televisore. Se non posso aiutarla, comunque, non le presenterò nessuna parcella.»
«Dottoressa, lei ritiene che Annie sia… mentalmente disturbata?»
Per la prima volta il volto della Neuberger si illuminò di un sorriso da nonna. Un sorriso che riscaldava la stanza, donandole vivacità e umanità.
«No», rispose come se fosse stata sempre una cosa ovvia, «non è mentalmente disturbata.»
«Sia ringraziato il cielo», mormorò Vera.
«Per le turbe mentali, la manderei da uno di quei pagliacci con l’infermiera che seleziona gli appuntamenti. Qui la cosa è differente.» La Neuberger si alzò e si stiracchiò. «Adesso aspetti qui. Mangerete in cucina. Ho del salame che ho preso in quel buon negozio qui sotto, non le porcherie del supermercato, e ci sono anche vino e minestra. Più tardi parleremo ancora.»
La Neuberger scomparve nei meandri del suo appartamento, si infilò un cardigan e andò in uno studiolo tappezzato di libri. Si sedette su una seggiola di legno, prese un taccuino giallo e un mozzicone di matita e cominciò a mettere giù appunti.
Dopo la sparizione della dottoressa, i sentimenti di Vera nei suoi confronti cominciarono a oscillare dal calore al sospetto, all’ostilità e viceversa. E intuiva che chiunque venisse in contatto con quella strana donna probabilmente sperimentava la stessa gamma di sensazioni. Raccontò ad Annie le fiabe preferite mentre il sole tramontava e il soggiorno diventava ancora più deprimente. Alla fine la bambina disse di avere fame e madre e figlia andarono in cucina.
Il locale conservava le originarie pareti a piastrelle bianche e i tubi dell’acqua non incassati nel muro. Gli elettrodomestici erano vecchi, ma puliti. Il frigorifero ben rifornito, con una netta prevalenza dei cibi che denotavano l’origine europea della Neuberger: budini, abbondanza di birra, ingredienti per la pastasciutta. Vera decise di rinunciare al salame e preparò invece una minestra e un’insalata di tonno. Mentre mangiavano, cercò di distrarre Annie con giochi di parole e di aritmetica.
Alle nove di sera Annie si addormentò sul divano, in braccio alla madre. E Vera rimase ancora ad aspettare. Era dalle cinque che Marie Neuberger non si faceva vedere. A volte Vera si chiedeva se anche la dottoressa non si fosse addormentata… o peggio. Appena dopo le nove, però, Vera udì tonfi di volumi che venivano chiusi, poi la voce della psicanalista che parlava al telefono. Non riuscì a percepire tutto quanto veniva detto, ma qualche parola filtrò attraverso le pesanti porte di legno del vecchio e già glorioso edificio: morte… avvertimento… protettrice… confusione.
Finalmente, poco dopo le dieci si aprì una porta.
Una lama di luce guizzò da un lungo corridoio sul tappeto persiano e sul divano. Vera alzò gli occhi. Marie Neuberger le stava davanti, in piedi. «È risolto», disse.
Il cuore di Vera ebbe un tuffo. Ma poi la sua abituale prudenza ebbe il sopravvento. «Mi dica», fu la sua contenuta risposta.
La Neuberger accennò con la testa verso il settore privato dell’appartamento. «Nel corridoio a sinistra c’è una cameretta», disse. «Metta a letto la piccola.»
Vera prese in braccio Annie e la portò nella stanzetta degli ospiti, adagiandola sul lettino, l’unico pezzo d’arredamento oltre a una vecchia cassapanca. La bambina si svegliò per un momento, si guardò attorno imbambolata e riprese a dormire. Vera uscì senza far rumore e tornò dalla Neuberger.
«Sediamoci in cucina», propose la psicanalista. «Così non sveglieremo la povera bimba.»
Vera la seguì ed entrambe sedettero al tavolo dal consunto ripiano di formica rossa. Il ventilatore del piccolo locale frusciava e ogni tanto una delle ventole, allentata, urtava il telaio producendo un suono metallico. A parte quel rumore monotono, la cucina era silenziosa e dava una sensazione di calda intimità.
La Neuberger consultò brevemente il suo taccuino, inforcando gli occhiali che teneva nel taschino del cardigan. Poi li tolse e li posò sul tavolo fissando Vera. «Allora», disse, «lei ha un problema e lo esamineremo insieme. La prego di ascoltarmi senza preconcetti, perché quello che sentirà non se lo sentirà dire da altri medici.»
«Senz’altro», rispose Vera. Si sporse in avanti, le mani strette, quasi tremando per l’ansia.
«Cominciamo con un semplice assunto», esordì la Neuberger. «Credo che lei sia sincera.»
Vera sospirò di sollievo e si lasciò ricadere indietro.
«E credo che la bimba, anche lei, dica la verità.»
«Io so che dice la verità!» confermò Vera, convinta, per la prima volta, che qualcuno prendeva sul serio il problema.
«Adesso dobbiamo porci la domanda», proseguì la Neuberger, «di come avvengano questi cosiddetti miracoli. Dev’essere coraggiosa. Il solo fatto che le dica che lei e la piccola siete sincere non deve farla esultare. La faccenda è seria… una faccenda grave. Che mi rattrista.»
La gola di Vera parve chiudersi. Il suo respiro divenne affannoso.
«C’è pericolo per lei e per Annie», affermò asciutta la Neuberger. «Ecco perché la bambina ha queste visioni, per lottare contro questo pericolo. Per proteggervi. Per salvarvi.»
Gli occhi di Vera si riempirono di terrore.
«Ascolti attentamente», la rimproverò la dottoressa. «Mi sono sempre chiesta se i morti possano inviare segnali ai viventi, non proprio a tutti i viventi, ma a una particolare persona. Uno muore, il cervello muore, ma che cos’altro fa? Entra in una sfera spirituale dove continua a esistere? Invia idee, pensieri, avvertimenti a qualcuno nel mondo dei viventi?»
Vera cominciava a sentirsi disorientata. «Questo che cosa c’entra con?…»
La Neuberger sollevò una mano grinzosa. «Ora le spiego, non mi interrompa. Io credo che qualcosa sia trasmessa dal defunto, se lo spirito di chi è morto è correttamente influenzato.
«Ora, è pacifico che queste faccende di Annie sono cominciate con la sua malattia. Le cose che vede non possono essere spiegate come coincidenze o percezioni extrasensoriali come le hanno detto gli altri medici. Io penso…»
La Neuberger si interruppe, si sporse e afferrò la mano di Vera, un gesto assai raro in quella donna di solito austera e riservata. «Penso», continuò, «che c’entri la bambina morta nel Kansas.»
Un brivido gelato percorse Vera dalla testa ai piedi. «Quella che è caduta sui binari?»
«Sì. Nella sua visione, Annie ha creduto di essere lei quella bambina. Ho fatto qualche telefonata. Mi sono convinta che Annie non poteva assolutamente aver saputo di quella morte. E sono anche convinta che la grave malattia di Annie è stata provocata dal decesso di quella bambina. In un modo, che noi mortali non afferriamo, la percezione di quella piccola morta è entrata in Annie, subito dopo che lei è caduta sui binari del treno, nel Kansas. Questo ingresso ha prodotto un violento trauma nell’anima di Annie, ne ha indebolito la resistenza e ha causato la sua apparente infermità. C’è un’identità spirituale tra quella bambina morta e lei.»
Vera sussultò.
«Annie vede quello che la bambina morta vuole che lei veda. Nel nulla, al di là della vita, la morta ha un punto di vantaggio. Può vedere ciò che l’Annie vivente non può vedere. Normalmente, lei vede le cose normali. Ma a volte interviene lo spirito della bambina morta. Fa sì che Annie sperimenti le strane cose di cui lei mi ha parlato… queste predizioni.»
«Ma perché?»
«Si sarà accorta», replicò la Neuberger, fissando Vera negli occhi, «che queste predizioni, se ascoltate, aiutano lei o la piccola. Consideri la prima visione. Annie voleva avvertirla di un incidente automobilistico, ma le è stato impossibile. Poi c’è stato quel pezzo di vetro nel prato che avrebbe potuto tagliarla. Fortunatamente lei lo ha cercato e lo ha visto. Sì, e quindi l’incendio del palazzo. E poi…»
Di colpo, Vera si portò le mani sul viso, che le si era contratto in una smorfia di disperazione. «Harry!» gemette. «Annie ha detto che era…»
«Ci arriviamo!» urlò la Neuberger. «Si controlli!»
«Sì, sì, cercherò.»
«Ascolti, adesso», insisté l’altra. «Ascolti più attentamente che mai, perché stiamo arrivando al nocciolo di tutto quanto.» Cominciò a parlare più lentamente, perché Vera capisse bene ogni parola. «La bambina del Kansas è diventata la protettrice di Annie, e sua. È dall’altra parte, nel nulla tra vita e morte, morta fisicamente, parte del suo spirito inserito in Annie. Vede quello che è pericoloso per lei e per Annie.»
«Perché?» domandò Vera.
«Perché a sua volta il suo spirito è influenzato. Un’altra persona, morendo, si è unita a lei.»
La Neuberger vide Vera che si irrigidiva, le vene del collo che pulsavano. Rafforzò la stretta sulla mano di Vera. «Lei intuisce il seguito», disse.
Vera abbassò gli occhi, tentando di assumere un’aria coraggiosa.
«L’altra persona è Harry», dichiarò la Neuberger senza enfasi. «E lei deve accettare il fatto che è morto e, da morto, protegge voi due tramite lo spirito di questa bambina di Topeka. Tramite il suo spirito ha trovato il modo di tornare alla famiglia che, da vivo, ha abbandonato.»
Vera cominciò a piangere. La Neuberger non fece nessun tentativo perché smettesse. «Non voglio credere a questo», singhiozzò Vera. «È soprannaturale. È assurdo.»
«Deve crederci. È la sola spiegazione. Non è logico, naturalmente, perché queste cose non rientrano nell’ambito della logica.»
«Ma lei non può provare…»
«Non ancora. Ma presto ci riuscirò.»
Vera tremava e le sue lacrime, rotolandole giù dalle gote, bagnavano il tavolo. «Io… io non so che cosa dire», gemette. «Gli altri medici…»
«Se ne scordi, di quelli.»
«Se Harry è morto», chiese Vera, esitando, «ha un significato che fosse ferito alla testa e che si trovi vicino al ponte?»
«Direi che è probabile, ma dovremo controllare.»
Vera all’improvviso smise di piangere e guardò incerta la Neuberger, come se dubitasse di lei. «Ma la visione di Harry morto, vicino al ponte… non è un avvertimento contro un pericolo.»
«Questo lei non lo sa», le spiegò la dottoressa. «Lei non può sapere che cosa può comportare la notizia della morte di suo marito. Questo verrà a saperlo… da Annie.»
«Quando?»
«Quando coloro che sono dall’altra parte saranno pronti.»
Vera si abbandonò contro lo schienale della sedia, tentando di raccogliere le idee, di affrontare l’enormità di quanto aveva appena ascoltato. Impossibile recepirlo nella sua complessità, inquadrarlo in una qualsiasi prospettiva razionale. Poi un pensiero le balenò in testa, un orrendo pensiero, da incubo. Guardò la Neuberger, gli occhi dilatati dal terrore. «Annie ha creduto che Ned fosse venuto per ucciderla!» ansimò. «Che cosa significa questo?»
«Non lo so davvero», rispose la Neuberger. «Certo sembra assurdo. Tenga presente che è possibile che alcune visioni siano soltanto incubi. Potrebbero essere venute, nel caso specifico, per pura coincidenza. Ma, d’altra parte…»
«D’altra parte che cosa?» la sollecitò Vera.
«Una persona prudente terrebbe un po’ più d’occhio questo Mr. Ned.»
«Sì», ammise Vera, troppo attonita e confusa per rendersi conto delle implicazioni di quanto stavano dicendo. Si agitò inquieta sulla sedia. «Dottoressa, c’è qualcosa di troppo perfetto nella faccenda. La bambina muore là nel Kansas. Annie si ammala immediatamente. Harry… si mette in contatto con la bambina…»
La Neuberger sorrise, consapevole dell’obiezione. «L’intera scienza medica mi riderebbe dietro se mi mettessi a spifferare queste cose. Ma tutto collima. Forse un giorno riusciremo a capire. Magari scopriremo qualcosa sulla bambina del Kansas, anche se, attualmente, Birch mi dice che non sanno ancora chi era.»
«Ho quasi paura», dichiarò Vera, «di quello che potrebbe accadere nell’immediato futuro.»
«Non abbia paura. Io credo che suo marito stia tentando di rendere chiare le circostanze del proprio decesso. Penso che stia cercando di dire che non ha abbandonato la propria famiglia. È possibile, io non lo so, che la stessa cosa che ha posto fine alla sua vita sia quella che ora minaccia lei e Annie.»
Vera scrollò il capo, completamente frastornata da quella giungla di idee e di teorie. «Adesso che cosa facciamo?» domandò.
Il viso della Neuberger si illuminò di colpo. «La domanda mi piace», disse.
«Perché?»
«Perché significa che lei accetta la mia diagnosi.»
Vera tacque. Sì, quello era implicito nella sua domanda e lei si chiedeva se avesse davvero avuto intenzione di spingersi fin lì. «È tanto strano», disse quasi impercettibilmente.
«Ma lei la accetta?»
Per un attimo le balenò in mente il pensiero della collera di Ned. Si sentì di colpo restia, timorosa, di nuovo pronta a rifugiarsi nel guscio a lei tanto familiare. Ma lottò contro la tentazione di fare marcia indietro. Al di là di tutto, l’istinto le suggeriva di essere finalmente sulla strada giusta. Ed era sempre più attratta dall’autoritaria personalità della Neuberger. L’anziana psicanalista le appariva come una persona le cui capacità andavano ben oltre quelle di altri medici.
«Sono con lei», disse Vera sommessamente.
«Le occorrerà molta forza d’animo, molto coraggio», l’avvertì la Neuberger. «Dobbiamo rendere più stretto il contatto tra il padre e la bimba.»
«Come?»
«Annie dev’essere tenuta il più vicino possibile al luogo dove ha visto suo padre morto. In base alla mia esperienza, la vicinanza fisica è essenziale. Penso sia possibile che le facoltà spirituali dei defunti si indeboliscano con la distanza, un po’ come le radio onde. Le possibilità di nuove visioni saranno più elevate se Annie è vicina al luogo.»
«C’è un motel nei pressi del ponte di Tarrytown.»
«Il posto adatto.»
Vera sospirò: si accingeva a iniziare una nuova fase della propria esistenza e ne era consapevole. «Farò la prenotazione», disse.
«Anche per me.»
«Che cosa?»
«Vengo anch’io», spiegò la Neuberger. «Quando ho in cura un paziente sto con lui notte e giorno, non come quei dottori che vanno al club in campagna. Io vivo con il paziente, ne studio ogni azione. Devo essere presente quando Annie avrà un’altra visione.»
Vera stava abituandosi alla Neuberger, quindi la pretesa non la stupì più di tanto. «Capisco», disse. «Prenoterò anche per lei.»
«E io le sono grata. Ma devo farle una richiesta precisa.»
L’espressione di Vera dimostrò che, chiaramente, non capiva.
«Riguarda quel Ned», precisò la Neuberger.
Vera abbassò gli occhi.
«Attenzione! Noi non sappiamo. Può darsi benissimo che sia un uomo meraviglioso. Ma bisogna salvaguardare Annie da lui… per ogni evenienza.»
Con uno scatto, Vera gridò disperata: «Perché dovrebbe volerla uccidere? Perché? Perché? Non esiste nessun motivo!»
«Silenzio!» impose brusca la Neuberger, alzandosi in piedi. «Le domande sono premature. Quante volte devo ripeterglielo?»
«Ma io voglio parlarne!» la implorò Vera. «Non lo capisce? Ecco perché continuo a tornare sull’argomento.»
La Neuberger si sedette di nuovo e riafferrò la mano di Vera. «Sì che capisco. Le spiego una cosa. Può darsi che qualcuno abbia tentato di uccidere Annie. Un pazzo. Un maniaco. Suo padre, attraverso lo spirito della piccola morta, l’ha messa in guardia. Ma Annie ha ricevuto un’immagine falsata dell’assassino e ha pensato che si trattasse di Ned.»
Vera ne fu rinfrancata. «Sì», disse, «questo rende tutto molto più chiaro. Molto più chiaro.»
«Ma… proteggiamola», insisté di nuovo la psicanalista.
«D’accordo», annuì alla fine Vera. «Conosco quelli della polizia di Tarrytown. Strano, di solito è Ned che si occupa di cose del genere.»
«Non adesso», replicò la Neuberger con tono molto deciso.
«Certo. Me ne occuperò io stessa.»
Vera trascorse la notte in casa della Neuberger e Ned non telefonò. Rimase chiuso in casa, turbato, facendo piani, riflettendo. Era deciso a discutere fino in fondo con Vera sul trattamento medico da riservare ad Annie, anzi, sull’intero problema della piccola. Il punto focale, era come impostare esattamente la discussione, e vi si dedicò con la sua mentalità di avvocato. Accarezzò l’idea di un’azione legale che sottraesse Annie alla Neuberger. Ma questo, lo sapeva bene, avrebbe inevitabilmente gettato cattiva luce sul nome dei McKay. Rimuginò tutta notte sulla questione.
Birch, da parte sua, restò di guardia fuori dell’Ansonia finché le luci si spensero nell’appartamento della Neuberger. Sapeva, per esperienza personale, che la dottoressa avrebbe avuto la meglio su Vera, che alla fine avrebbe superato i propri pregiudizi sull’eccentricità della psicanalista per rendersi conto del suo effettivo valore. Birch prese dal taschino un mozzicone di matita, aprì il suo taccuino macchiato di caffè e cominciò ad abbozzare l’inizio del suo articolo:
Mentre le luci impallidivano, a una a una, era evidente che la battaglia stava per avere inizio. Da un lato v’erano due creature torturate, Vera McKay e la sua figlioletta Annie, aiutate da un medico eccezionale, la dottoressa Marie Neuberger. Di fronte a loro, c’erano potenze al di là dell’umana comprensione, potenze che potevano tormentare, annichilire e distruggere.