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E di nuovo le sirene ulularono a Tarrytown. Quella volta, però, convergevano su un’Annie che non stava per essere trasportata all’ospedale. Era viva, in buona salute, anche se ossessionata di trovarsi sopra la tomba del padre.
Le auto della polizia frenarono con uno stridio di pneumatici, fermandosi nel parcheggio del motel. Ne scesero i rappresentanti della legge che Elmer Greer, il quale aveva finalmente trovato un compito, guidò alla «tomba».
Vera e la Neuberger erano con Annie. Larry Birch, avvisato dalla radio della polizia, era corso al motel, restando però discretamente in disparte. Ned McKay era stato informato dal suo detective privato e successivamente convocato dalle autorità; ma aveva ritenuto più prudente non farsi vedere.
Gli agenti erano agli ordini del sergente Charles Washington, un negro gigantesco, già stella di prima grandezza nella squadra di football della Sleepy Hollow High School, e forte di un’inappuntabile carriera di quindici anni nella polizia. Washington aveva un aspetto autoritario e imponente, ma parlava con voce morbida, quasi vellutata. Il suo perenne sorriso e il suo rifiuto di perdere le staffe lo avevano reso inestimabile nel prevenire disordini razziali e nel raffreddare zuffe familiari.
Washington si portò dietro tre agenti mentre avanzava tra gli alberi, usando un’enorme pila elettrica per farsi strada. Trovò Vera, Annie e la Neuberger in una piccola spianata, circondata da alberelli e erbacce. La bambina tremava e rabbrividiva, mentre la madre le circondava le spalle con un braccio. La psicanalista stava ancora prendendo appunti.
«Che cosa succede qui?» domandò affabilmente Washington.
«Qualcosa di veramente profondo», rispose la Neuberger.
«Non capisco, signora.»
Vera tolse per un attimo il braccio dalle spalle di Annie e avanzò di fronte a Washington. «Sergente, mi chiamo Vera McKay.»
«Lo so, signora, dalla chiamata.»
«Allora lei conosce, probabilmente, la storia di mia figlia.»
«Be’, certo. I giornali e tutto il resto, capisce.»
«Ha avuto un’altra visione.»
Washington esitò, non sapendo lì per lì come affrontare quel problema. «Signora», chiese, «in che cosa possiamo esserle utili?»
«Mia figlia ha visto suo padre», spiegò Vera nervosamente, «sepolto quii»
«Oh, capisco.»
Uno degli agenti si coprì la bocca con la mano per nascondere una risata. Washington lo fulminò con un’occhiata di rimprovero. «Signora», domandò, «è sicura che non si sia trattato di un incubo? Sa, anch’io ho dei figli piccoli. Succede.»
«Non era un incubo», ribatté Vera. «Dobbiamo scavare qui. Se mia figlia ha ragione, lei sa che cosa troveremo.»
«Sì, signora.»
«Abbiamo bisogno della polizia. Se mio marito è… è meglio ci sia un poliziotto come testimone.»
«Senz’altro, signora.»
«Avete delle vanghe?» chiese Vera.
Washington sembrò restio a rispondere. «Be’, le abbiamo», rispose alla fine, senza entusiasmo.
«Qualcosa non va?» chiese Vera.
«Signora, ho per lei una profonda simpatia», replicò l’uomo, «ma la cosa è, come si suoi dire, irregolare.»
«Ah, il libretto dei regolamenti», ironizzò la Neuberger.
«Sì, signora. Non posso impiegare degli uomini per questa faccenda delle visioni. Devo avere qualcosa di effettivamente evidente.»
Vera divenne chiaramente agitata. «Annie ha già avuto ragione altre volte», scattò. «Mio marito è scomparso. Nessuno l’ha visto. Ci aiuti, per carità. Sarò io stessa a scavare. Mi dia solo una pala e rimanga come testimone.»
Washington, diviso tra la compassione e la burocrazia, sospirò e si concesse una breve pausa per riflettere. «Non voglio interpellare il mio capo», spiegò, «perché non sarebbe mai d’accordo. La sola cosa che posso fare è lasciar qui un paio di uomini e ripassare a prenderli domani. Io non posso rimanere.»
«Incorruttibili sbirri», brontolò la Neuberger. Washington fece finta di non sentirla.
«Ma se troviamo qualcosa», disse Vera con la voce che le tremava all’idea del corpo di Harry sottoterra, «lei non si sentirebbe uno sciocco a non essere rimasto?»
Washington ci rimuginò su un attimo. Non aveva pensato a quella possibilità. «Be’», ammise, «potrebbe esserci qualche grana.» Seguì una lunga pausa, carica di tensione. «Forse un modo c’è per cui potrei giustificare di aver lasciato qui un uomo.» Gli era venuta un’idea, un diversivo tattico che aveva usato in precedenza. «Potrei dire che la bambina necessitava di protezione contro eventuali profittatori della faccenda…»
«Naturale!» concordò la Neuberger. «Potremmo rovinarla, torturarla.»
«Ritengo che questo potrei spiegarlo», proseguì Washington, pensando a voce alta. «Anzi, potrei addirittura restare io stesso, ma senza collaborare. Dovremmo solo osservare e basta.»
«Sì, naturalmente», annuì Vera.
Washington spedì un agente a prendere le vanghe.
Vera chiese a Elmer Greer di aiutarla a scavare. Greer, umiliato dalla propria precedente incapacità a essere di grande aiuto, accettò subito. Il sergente Washington si sentì un intruso, ma permise ai suoi uomini di illuminare con le grosse torce della polizia la scena.
Vera e Greer iniziarono a scavare subito dopo le 23.30.
L’aria era ancora satura di umidità. Tutti quanti attorno al gruppetto respiravano con difficoltà, risentendo dell’umidità. E la temperatura cominciò ben presto ad abbassarsi rapidamente. L’aria umida penetrava nelle ossa, quasi a sottolineare l’atmosfera livida e spettrale già creata dalle torce. Un televisore dall’Empire era sintonizzato a tutto volume su una replica del Tenente Colombo e la Neuberger, al di sopra del rumore delle vanghe che affondavano nel terreno, udiva chiaramente la voce di Peter Falk.
Per un po’ nessuno fu molto loquace. Tutti, Annie compresa, osservavano i due che scavavano. La lontana, animata eco del traffico sul Tappan Zee offriva uno stridente contrasto con quel sordo lavoro.
Era passato solo un quarto d’ora, quando Washington si fece avanti con un’aria colpevole sul viso. «Lasci fare a me, signora», pregò. «Non è giusto. Infrangeremo un pochino i regolamenti.»
«Ma no, ce la faccio benissimo», rispose Vera.
Ma Washington vedeva la sua faccia pallida e spaventata. Tra la confusione generale, ossessionato dai regolamenti di polizia, il sergente non aveva pensato che in realtà Vera stava scavando per cercare il corpo del marito.
«Dia a me, signora. La prego, si metta là a sedere.» Con dolcezza, le tolse la vanga di mano.
«Grazie», sussurrò Vera, e Washington poté scorgerle gli occhi luccicanti di lacrime.
Il sergente affondò la pala nel terreno, tirandone su tre o quattro volte di più di quanto fosse stata capace Vera. Il suolo era duro e l’umidità lo rendeva ancora più pesante. Elmer Greer si arrese e fu sostituito da uno degli uomini di Washington.
Un radiomessaggio gracchiò nella ricevente dell’auto di Washington e fu distintamente udito dal punto dello scavo. Il poliziotto tornò lentamente alla macchina e rispose spiegando che stava ancora «analizzando» la situazione al motel.
La fossa raggiungeva la profondità di quasi un metro e mezzo.
Washington era zuppo di sudore da capo a piedi. Scavava per accontentare Vera, convinto tuttavia che non ne sarebbe uscito niente. «Signora», disse, «chiunque seppellisca un uomo in un bosco come questo, normalmente non scaverebbe così a fondo, sa?»
«Lei non crede che Harry sia lì sotto?» chiese ingenuamente Vera.
«Signora, non so dove sia. Ma non penso proprio che si trovi qui sotto.»
Vera sospirò profondamente, dolorosamente, poi chinò gli occhi su Annie, che era seduta su una coperta, mezza imbambolata dal sonno. «Tesoro, tu che cosa ne dici?»
«Papà è lì», rispose la bimba.
«Ne sei certa?»
«L’ho visto, mammina.»
Washington e l’agente si scambiarono un’occhiata scettica, che non sfuggì a Vera.
«Non so che cosa dire di più!» esclamò questa. «Vi sono grata di quanto state facendo, ma non posso chiedervi di aiutare se pensate che è inutile.»
La Neuberger intervenne bruscamente. «Io a questa piccola credo», affermò decisa. «Lavorerò io.»
«Non glielo permetterei, signora», replicò pacatamente Washington.
«Dobbiamo scavare ancora», riprese la psicanalista. «Dobbiamo avere la certezza. Una normale fossa è profonda circa due metri. Forse questo assassino era un perfezionista. Sì, ne ho visti altri del genere.»
«D’accordo», acconsentì Washington. «Andremo giù ancora un po’.» Ritornò al lavoro, assieme all’aiutante.
Vera guardò ansiosa Annie. La testa della piccola ciondolava. «È così tardi», disse rivolta alla Neuberger. «Forse è meglio che la riporti al motel.»
«No», si oppose la Neuberger. «Potremmo averne bisogno qui. Potrebbe avere un’altra visione. In quella squallida stanza sarebbe inutile.»
Vera non obiettò.
Intanto il televisore all’Empire era stato spento e la voce di Peter Falk non giungeva più tra gli alberi. Il traffico sul ponte era diminuito, come sempre accadeva a quell’ora di notte, così anche quel rumore si era affievolito. Alla fine, un silenzio quasi assoluto dominò la scena. Le pile delle torce stavano esaurendosi e la visibilità si faceva più scarsa.
Vera avvertiva una sensazione sempre più pressante d’impotenza mista a paura.
E in quel momento… Washington si fermò.
«Che cosa c’è?» chiese la Neuberger.
Il sergente non le rispose. Si girò invece verso l’agente che lo aiutava. «Fammi luce qui», gli disse con un tremito improvviso nella voce.
Vera e la Neuberger si fissarono a vicenda.
Washington scrutò nella fossa, guidato dal raggio tremolante della pila. Vera, d’impulso, scattò in avanti, anche lei per guardare. «Non vedo niente», disse.
«Pietra frantumata qui giù, signora», le spiegò Washington.
«Che cosa significa?»
«È quello che accade quando la terra viene smossa con la vanga.»
«Le vostre vanghe?»
«No, Mrs. McKay. Quel punto lì non l’abbiamo toccato affatto.»
La constatazione colpì Vera come un pugno. Di colpo, senza pensarci, strappò la vanga dalle mani dell’agente e cominciò a scavare freneticamente.
«No!» gridò Washington.
«Lo troverò!» proruppe Vera, irrigidendo le mascelle. Saltò dentro la fossa. «Se è qui sotto, lo troverò.»
Sembrava un’invasata, le mani strette sul manico della vanga, le vene sporgenti, la pelle di un pallore cadaverico.
La Neuberger era strabiliata, Washington stupefatto.
La terra volava via a raffiche. Vera sembrava quasi ringhiare mentre lavorava con una velocità febbrile. Washington cercò d’intervenire per aiutarla. «No», lo bloccò Vera. «Voglio farlo da sola, adesso. Se l’hanno messo qui sotto, sarò io a tirarlo fuori!»
Washington si tirò indietro e rimase a osservare, nel raggio delle torce che stava indebolendosi.
Vera si affannò per quattordici minuti, con il fiato pesante, pieno di sospiri, sussulti e colpi di tosse. Poi, le mani tremanti di terrore, si fermò e fissò il punto dove stava scavando.
Lasciò cadere la vanga e indicò.
«Lì!» disse con un’espressione mistica sul viso contratto.
Washington si avvicinò lentamente alla fossa. Guardò dentro e vide un brandello di stoffa azzurro pallido, a righine sottili. «Sembra far parte di una manica», osservò preoccupato.
Allora, quasi repentinamente com’erano esplosi, il vigore selvaggio e la determinazione abbandonarono Vera. Si appoggiò alla vanga e cominciò a singhiozzare irrefrenabilmente. «Non posso!» gridò.
Washington si affrettò a farla uscire dalla fossa. La condusse vicino ad Annie e alla Neuberger. «Cerchi di riposarsi, adesso, Mrs. McKay», le disse con dolcezza. «Ce ne occupiamo noi.»
Ma il freddo Washington, il tetragono poliziotto che si vantava di non farsi mai prendere dall’emozione, si accorse che stava tremando. Poteva esserci un corpo lì sotto. La bambina poteva aver ragione. Guardò il suo aiutante, un agente di vent’anni, ancora alle prese con l’acne giovanile, e gli lesse la paura sul volto.
Comunque Washington aveva un lavoro da fare. Prese la vanga e si calò con prudenza nella fossa. Con il tocco preciso di uno scultore saggiò la terra attorno al pezzo di stoffa per vedere se fosse attaccato a qualcosa. Sì, era attaccato, non veniva via. Scese con la punta di qualche centimetro. Con una delicatezza sempre più crescente l’enorme callosa mano di Washington guidò la vanga finché, di colpo, incontrò qualcosa di duro. Grattò con l’attrezzo, cercando di mettere a nudo l’ostacolo.
Il sergente deglutì: fissava carne umana pietrificata.
Abbandonò la vanga. Con espressione cupa tornò da Marie Neuberger, che era discosta da Vera un due o tre metri. «Signora», le bisbigliò, «abbiamo trovato resti umani.»
La psicanalista annuì: lo aveva previsto.
«Forse, signora, sarebbe meglio che Mrs. McKay si allontanasse…»
«L’accompagnerò al motel», disse la Neuberger. «Lei non scavi più finché non torno. Devo essere presente.»
«D’accordo, signora.»
La Neuberger si avvicinò a Vera. «Vera», le disse, «penso che dobbiamo rientrare. È meglio.»
Vera, ancora singhiozzando sommessamente, la fissò, quasi rabbiosa. «L’hanno trovato!» Prima che la Neuberger riuscisse a rispondere, scattò in piedi e si slanciò verso la fossa.
Washington le si parò davanti di scatto, facendola quasi cadere. «Non guardi, signora!»
«Voglio vedere. Lui è mio, non vostro!»
«Signora, non è più come prima!» Afferrò Vera, tentando di bloccarla.
«No!» urlò lei. Si divincolò e corse sull’orlo della fossa. Guardò dentro, nel buio. «Fatemi luce!» ordinò. Washington capì che non si poteva fermarla. Si avvicinò alla fossa e vi diresse il raggio della torcia.
Vera guardò dentro, con reazioni dapprima esitanti. La vista della carne rinsecchita non sembrava ancora scuoterla. «Voglio vedere di più», disse con calma.
Washington si calò dentro piano e cominciò a rimuovere altro terriccio. Apparve la sagoma di una spalla.
A Vera si mozzò il fiato e le gambe le si piegarono.
La Neuberger si mosse per sorreggerla.
«Ancora!» insisté Vera con voce quasi soffocata, in un parossismo di agonia.
Washington esitò un attimo, poi continuò. Il contorno di un uomo affiorò, a mano a mano che la terra veniva rimossa. Vera aveva riguadagnato un minimo di controllo, ma teneva gli occhi chiusi mentre Washington lavorava.
Alla fine il sergente fu pronto a scoprire la testa del morto. Alzò lo sguardo su Vera. «Tenga chiusi gli occhi, signora.» Poi, quasi religiosamente, rimosse un po’ di terra.
La testa, pensò Washington, risultava notevolmente ben conservata, come se una forza superiore fosse intervenuta perché la prova del delitto rimanesse intatta. L’identità della salma non lasciava dubbi. Washington riconobbe Harry McKay dalle fotografie delle persone scomparse. «Ho finito, signora», disse sommessamente a Vera.
Con lentezza, con solennità, lei aprì gli occhi, prima guardando davanti a sé, quasi riluttante a riconoscere quel corpo. Ma poi abbassò la testa, puntando gli occhi umidi di lacrime dentro la fossa illuminata dalla torcia. Contemplò il volto, pietrificato, rigido, eppure intatto nei lineamenti. «Harry», disse con voce sommessa, quasi infantile.
Poi svenne.
I poliziotti la trasportarono al motel, mentre Washington, tornato alla sua auto, lanciò per radio un messaggio, uno solo, raramente trasmesso nella pacifica Tarrytown.
All’alba sul luogo della fossa c’era il caos.
Cronisti e fotografi si accalcavano dietro le transenne di legno per vedere meglio. Automobili provenienti dal Tappan Zee deviavano per costeggiare il posto, dopo aver sentito al giornale radio del rinvenimento della salma di Harry. Gente che affluiva in macchina da Tarrytown, alcuni con macchine fotografiche, altri che si passavano la voce. Rapidamente si sparse la notizia che i cadaveri erano due.
Gli ospiti del motel elargirono alla stampa i particolari della corsa di Annie nei boschi e ci volle ben poco perché il fatto divenisse di dominio mondiale. Ancora una volta Annie era una celebrità. Vera e la Neuberger la tennero al sicuro nel motel, nella camera sorvegliata da una squadra di poliziotti di Tarrytown. «No comment», era la sola risposta autorizzata di fronte alle domande della stampa.
La parola «sovrannaturale» costellò gli articoli dei giornali e provocò l’afflusso di esseri viscidi e subdoli, cani attorno a un osso. «Ministri» e «guaritori» fasulli apparvero intorno al motel, con Bibbie e libri di fede alla mano, di cui alcuni in vendita, decisi a immortalare su pellicola l’avvenimento e a divulgare la loro contorta versione delle facoltà di Annie.
L’investigatore Ed Simeon arrivò, in abito azzurro estivo spiegazzato, cravatta dal nodo approssimativo, aspetto ancora più emaciato del solito.
Non aveva chiuso occhio e l’incubo di dover affidare la moglie a una clinica statale per malattie mentali lo torturava mentre si avviava verso il luogo della tomba, taccuino in mano, pronto al suo compito. La persona scomparsa era stata trovata. Ora Simeon doveva trovare un assassino.
Subito dopo arrivò la Cadillac di Ned McKay. Ne emerse un Ned sconvolto, ovviamente a pezzi. Barba non fatta, capelli spettinati, netta antitesi all’immagine abituale. Indossava un pullover rosso e pantaloni beige e aveva le scarpe slacciate.
Simeon lo scorse, gli si avvicinò e gli pose, comprensivo, una mano sulla spalla. Insieme si diressero verso la fossa. Simeon gli fece strada fin sull’orlo, ma lì Ned fu assalito da una batteria di flash. Si coprì gli occhi, il volto contratto dalla rabbia. Simeon fissò severamente i fotoreporter, ma loro se ne infischiarono. Ned si voltò di scatto per evitare le macchine fotografiche, incespicando e facendo cadere un po’ di terra nella fossa.
Alla fine i fotografi desistettero. Ned fissò l’umido sepolcro, immobile e privo d’espressione in viso, per qualche attimo. «È Harry», piagnucolò, come se fosse ancora necessaria l’identificazione. «Sembra riposare così in pace laggiù.» Poi si morse le labbra. Simeon cercò di tirarlo via, ma lui si oppose. «Che strano», disse, «quel pazzo, o chiunque ha fatto questo, ha scavato così in profondità.»
«Sì, signore», convenne Simeon, ripetendo il commento del sergente Washington, «davvero singolare.»
«Non l’avremmo mai trovato, se non fosse stato per Annie», proseguì Ned con una voce che, rispetto al solito, era un bisbiglio. «Bimba benedetta da Dio.»
«Sì, signore.»
«Voglio andare da lei e da Vera.»
Simeon se lo tirò dietro e l’affidò a un agente perché lo scortasse fino alla stanza dove alloggiavano Vera e Annie.
Non appena Ned cominciò a tornare sui suoi passi i giornalisti presero a bersagliarlo di domande, demolendo quel poco di austerità che ancora restava nell’atmosfera.
«Mr. McKay, suo fratello era forse in qualche guaio?»
Ned continuò a camminare, ma non cercò di evitare le risposte. «No», rispose con voce triste. «Harry si teneva fuori da qualsiasi problema.»
«La cosa non ha l’impronta di un regolamento di conti tra gang rivali?»
«Non so niente del genere», ribatté Ned. «Chi poteva volere la morte di Harry?»
«Non potrebbe essere opera di un cliente scontento?» chiese un giornalista. «Magari qualcuno cui era stato rifiutato un indennizzo?»
Ned si strinse nelle spalle. «Come faccio a saperlo? Vi sono pazzi dappertutto.» Scosse la testa e a quasi tutti i cronisti sembrò sul punto di scoppiare in lacrime.
«Non prova un certo sollievo ora che è finita?» gli domandò una giornalista.
Ned si fermò. Si girò verso la donna, di colpo duro e risoluto in volto. «Non è finita», disse seccamente. «Dobbiamo scoprire chi è stato a ucciderlo. Allora sarà finita.» Riprese a camminare, raggiungendo poi il parcheggio dell’Empire e facendosi accompagnare alla stanza di Vera.
Aprendogli la porta, lei rimase a guardarlo, il volto tormentato, gli occhi gonfi e lacrimosi. Non aprì bocca. Gli cadde tra le braccia e ricominciò a singhiozzare.
«Dentro», sussurrò Ned. «Evitiamo i giornalisti.» Dolcemente le circondò le spalle con un braccio e la fece rientrare in camera. Annie dormiva sul letto. Marie Neuberger, su una sedia, stava terminando di stendere una particolareggiata serie di appunti sugli incredibili avvenimenti della nottata.
La psicanalista sollevò lo sguardo. Le fu facile indovinare chi era il nuovo venuto.
«È questo, Ned?» chiese freddamente a Vera.
«Sì, è lui», confermò Vera tra i singhiozzi.
Ned la fece sedere e si precipitò verso la psicanalista. «Vorrei scusarmi», le disse, trasudando sincerità. «Le dobbiamo tutto. Ero davvero prevenuto sul suo lavoro. Credo proprio che la mia linguaccia di avvocato mi abbia preso la mano.» Poi, d’impulso, strinse la mano alla Neuberger.
«Ha detto bene», rispose la dottoressa. «Chi si converte diventa il miglior credente.»
Ned guardò Annie. «Piccolo angelo», disse, con voce roca. «Chi mai avrebbe pensato che sarebbe toccato a lei trovare il corpo di suo padre?» Si avvicinò di nuovo a Vera. «Dovesse costarmi ogni giorno che mi rimane», dichiarò, «e fino all’ultimo centesimo, questa faccenda la chiariremo. Da questo momento rinuncio ad ogni altra mia attività. Aiuterò la polizia. Farò qualsiasi cosa per scoprire chi ci ha portato via il nostro Harry.»