129330.fb2 Visioni di terrore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 16

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15

Il viso bagnato di lacrime, le labbra tremanti, Vera sedeva nel suo soggiorno di fronte al detective Simeon. Ned stava al suo fianco, cercando vanamente di tranquillizzarla. Marie Neuberger, sbalordita per le notizie sulle telefonate, se ne stava seduta, fissando con aria cupa il pavimento, chiedendosi se la sua paziente le aveva detto tutta la verità.

«Non è… non è vero!» esclamò Vera, singhiozzando irrefrenabilmente. «Perché queste donne dicono cose del genere? Chi sono? Io non so chi sono.»

«Feccia della peggior specie», asserì Ned, nel suo miglior stile retorico. «Della specie che rovina case e famiglie.»

«Ma perché?» singhiozzò Vera.

«Malati di mente», rispose Ned. «Persone che godono nel fare cose di questo tipo. Lei ha detto che è una faccenda organizzata. Potrebbe magari essere una porcheria escogitata in un ambiente studentesco.»

«Vede, signora», disse Simeon, diffidando, da buon professionista, sia delle telefonate sia di Vera, «queste donne hanno detto che sarebbero pronte a deporre contro di lei. Il che non può non riguardarci.»

«Ma mi faccia il piacere!» sbottò Ned. «Certi scherzi non riguardano voi. Sono una maledizione solo per noi.»

«Può darsi, ma io devo andarci a fondo. Mrs. McKay, ci sarà un’indagine sul suo conto. Vede, in tutta franchezza, posso dirle che una di queste donne si è offerta di vedermi segretamente. Ha detto che in questa occasione rivelerà la propria identità e che porterà un’amica. La faccenda si fa seria quando la gente esce allo scoperto.»

«Il che non accadrà», affermò Ned.

«È già accaduto», confidò Simeon.

Vera lo fissò, sbalordita. Ned restò a bocca aperta. La Neuberger scosse la testa.

«Sta scherzando, naturalmente», disse Ned.

«Ho avuto un colloquio con la donna mezz’ora fa», ribatté Simeon.

Vera lo guardò dritto negli occhi, il viso sconvolto dalla collera. «Chi è?»

«Non posso dirlo», rispose Simeon deciso. «Dobbiamo tutelarla. Ma le posso dire, Mrs. McKay, che è persona stimatissima qui da noi.»

«Impossibile!»

«Lo è, signora. E so anche che lei e questa donna siete, a quanto mi risulta, amiche.»

«Bell’amica», mormorò Vera, lottando per dominare la rabbia.

«Ci ha raccontato di essere stata con lei in alcuni ristoranti, precisandone le date in modo che io potessi controllare e, signora, le garantisco che quelle colazioni ci sono proprio state.»

«Vado al ristorante un sacco di volte», ribatté Vera. «Perlomeno, ci andavo prima che Harry… sparisse. Non è un delitto pranzare fuori casa.»

«No, certo», ammise Simeon. «Ma quello di cui la signora dice che avete parlato è…»

«Per favore!» scattò Ned. «Deve proprio torturare questa povera donna?»

«Sto solo citando dei fatti», replicò il detective.

«Okay», disse amaramente Ned, «ma cerchi di capire quello che sta provando Vera. Se lei è mai stato bersagliato di una campagna di calunnie…»

«È questo il punto», disse Simeon. «Perché mai queste donne dovrebbero fomentare una campagna simile contro Vera McKay?»

«L’ho già detto. Menti malate, malvagità.»

«Signore, sono troppe le persone coinvolte. Non può spiegarlo in questo modo.» Simeon si rivolse a Marie Neuberger, estremamente imbronciata, che indossava un paio di logori blue jeans, ballerine e un maglione di lana troppo grande per lei. «Lei, signora, è molto taciturna. Ha qualche idea al riguardo?»

La Neuberger alzò gli occhi al soffitto. «Si aspetta forse che io analizzi un’intera città?» chiese. «Lei parla come un pivello. No, non ho nessuna teoria. È tutto uno schifo. Mi si rivolta lo stomaco.»

«Anche a me», riconobbe Simeon. Arrischiò un sorriso all’indirizzo di Vera. «Mrs. McKay, la faccenda presenta un bel po’ di problemi, per lei e per me.»

«Ma io non ho fatto niente!» protestò Vera.

«Personalmente, le credo», rispose Simeon. «Però è inevitabile che ci saranno dei sospetti.»

«Che cosa intende dire, quali sospetti?» domandò Vera.

«Vuole dire», intervenne sarcasticamente Ned, «che qualche genio penserà che tu sei coinvolta nell’omi…»

«Oh, no!» mormorò Vera, interrompendolo. «Oh, mio Dio, no!» E si nascose la testa tra le mani.

«Odio dover fare così», brontolò Simeon. «Mi dispiace dover riferire notizie così brutte. Adesso bisogna che vada.»

Ned lo guardò con squisita comprensione. «Non è colpa sua», disse calmo. «Lei sta facendo il suo dovere.»

Il detective lo ringraziò con un cenno del capo, si alzò lentamente e scivolò fuori della casa, senza che Vera in realtà se ne accorgesse.

Nel soggiorno dei McKay cadde un lungo silenzio. Annie apparve per un attimo sulle scale, dopo un sonnellino, vide l’aria che tirava e ritornò nella solitudine della sua stanza. Alla fine Marie Neuberger si alzò, osservò alcune foto di famiglia appese a una parete e batté le mani.

«Non mi va affatto a genio», dichiarò con solennità tutta europea. «Questa faccenda crea una complicazione dopo l’altra.»

Ned parve preso in contropiede. «Dottoressa, lei non crede a una virgola di tutto questo, vero?»

«Sono una scienziata», rispose la Neuberger. «Io mi baso solo sui fatti, non su isterie collettive come chi mi critica. Come si fa a credere a qualcuno, qui? E che importanza ha? Chiacchiere e stampa esploderanno e semineranno dolore e dispiaceri. Dobbiamo tagliare la testa al toro.»

«In che modo?» domandò Vera.

«So che ci sono psicologi che, dopo aver tentato inutilmente tutto, ricorrono a macchine per scoprire le bugie.»

«La macchina della verità?» chiese Ned.

«Esattamente. Con certa gente spregevole dobbiamo adeguarci. Voglio che Vera si sottoponga a una di quelle prove.»

«No!» obiettò subito Ned.

«Perché dice di no?»

«Non permetterò che Vera si sottoponga alla prova della macchina della verità. Come avvocato, posso dirle che quegli strumenti sono affidabili solo all’ottanta per cento, il che per me non è sufficiente. Persone che dicono la completa verità, spesso risultano bugiarde. Niente da fare.»

Vera sollevò lentamente la testa. «Io sono disposta, invece», affermò tranquilla.

«Ecco!» esclamò la Neuberger. «Lei sì che ha coraggio.»

«Spiacente!» insisté Ned. «Adesso parlo come avvocato della famiglia. Sono io che decido che cosa fare o non fare.»

Ci fu un nuovo lungo, pensoso silenzio. La Neuberger era chiaramente scontenta. «Allora», domandò poi, «come facciamo a vedere dove sta la verità?»

La risposta non era facile e le due donne guardarono Ned. Evidentemente si era nel suo campo specifico. «Vede», disse lui, «questo mi spiace. Dottoressa Neuberger, ho cercato di vedere le cose dal suo punto di vista e nutro un grandissimo rispetto per lei. Ma mi sorprende e mi turba che lei possa dubitare di Vera con tanta facilità.»

«Non dubito per niente», ribatté la Neuberger. «Badi bene, questa famiglia mi piace. Ma che piaccia a me, conta poco.»

Di nuovo Vera cercò di calmare le acque. «Non essere in collera con la dottoressa Neuberger», disse a Ned. «Posso capire quello che prova. Queste donne bisogna affrontarle direttamente. Le loro calunnie vanno controbattute.»

«Le controbatteremo in tribunale», disse Ned cupo.

«Potrebbe essere troppo tardi», obiettò la psicanalista.

«Non c’è altro modo», disse Ned. «Quelle mentono. Hanno montato una congiura. È quasi impossibile smentire una campagna così subdola. Ma metto la gente sotto giuramento, la sottopongo a un controinterrogatorio stringente e vedrai che le contraddizioni saltano fuori, eccome.»

Ma Vera era preoccupata per la Neuberger. «Per quanto riguarda lei, qual è il suo parere?»

«Una gran confusione», rispose la dottoressa. «Vera, cerchi di capire che sono stata tradita molte volte. Devo essere prudente. Ma non l’abbandonerò per i pettegolezzi di altre femmine. Finora lei non ha fatto niente per cui potessi sospettarla. E verso Annie ho degli obblighi. Rimango al vostro fianco… a meno che non venga provato che le cose siano tutte a suo netto sfavore.»

Il fatto che la Neuberger non le lasciasse sollevò molto Vera. Adesso, i sospetti che fosse stata lei, Vera, a fare fuggire Harry sarebbero tornati a galla, si sarebbero dilatati in qualcosa di molto peggio. Giornalisti come Larry Birch non ci avrebbero creduto tanto facilmente. Ma Simeon, era evidente, la considerava come una sospetta. Vera non riusciva a immaginare nessuna delle proprie amiche coinvolta in tali mostruose menzogne.

I cronisti meno responsabili diedero ascolto alla campagna di calunnie e la trasformarono in un’orgia di articoli scandalistici, attenti a evitare il reato di diffamazione, ma abilissimi a introdurvi quel pizzico di malizia che fa vendere i giornali e rovina la reputazione. Un cronista iniziava così il suo pezzo:

Le autorità hanno oggi preso in esame la possibilità che Vera McKay, vedova dell’ucciso Harry McKay, assicuratore a Tarrytown, possa saperne di più, di quanto finora abbia ammesso, in merito alla sparizione del marito. Quelli che una fonte assai attendibile, vicina agli ambienti del procuratore distrettuale, definisce come «nuovi e inquietanti» indizi a carico di Mrs. McKay, sono emersi in questi ultimi giorni. Pur rifiutando di scendere in particolari…

La fonte attendibile vicina agli ambienti del procuratore distrettuale, così come ogni smaliziato lettore poteva intuire, era il procuratore distrettuale stesso.

S. Richardson Tremont amava essere il P.D. della Contea di Westchester. Era il coronamento di un sogno nato con lui, vagheggiato per lui dal padre, eminente avvocato penalista. Avendo raggiunto il traguardo, Tremont non nutriva ulteriori ambizioni. Voleva soltanto mantenersi la carica e ciò significava l’accumulo di un più che pingue record di incriminazioni, essenzialmente nei casi importanti. Lo zelo di Tremont era sostenuto da un’innata sfiducia nel prossimo che gli rendeva facile pensare il peggio quasi di chiunque. Le dicerie su Vera trovarono subito una vasta eco in lui.

Tremont aveva la pelle olivastra, con i pori molto dilatati, e la bocca leggermente storta, dovuta a una brutta protesi dentaria. Vestiva senza badare a spese, ma i vestiti che portava non sembravano mai fatti su misura per il suo metro e settantacinque. I capelli crespi, ribelli al pettine, si arruffavano al minimo soffio di vento.

Appena informato dalla polizia di Tarrytown delle telefonate anonime, Tremont convocò una conferenza stampa e dichiarò che il caso McKay aveva subito una svolta decisiva. Seduto alla scrivania nel suo sobrio ufficio, si autodefiniva il procuratore distrettuale del popolo, espose i motivi che lo portavano a una simile conclusione.

«Queste nuove fonti sono credibili», disse ai giornalisti. «Non sono false. Non provengono da persone animate da spirito di vendetta. Ne sono molto preoccupato.»

«Secondo lei, perché sono venute fuori tutte assieme in una volta?» chiese un cronista.

«Tormento intimo», rispose Tremont.

«Tormento intimo?»

«L’ho già sperimentato in altre occasioni. Gente che conosce i protagonisti di un caso vede che le cose non vanno nel verso giusto. Vede che un colpevole sta per cavarsela, o che sta per diventare un eroe. La gente si parla, si consulta e concorda di farsi avanti. È così che otteniamo alcune delle nostre migliori informazioni.»

«Può citarci altri casi dove è successo così?» domandò un altro giornalista.

«Dovrei controllare gli archivi.»

«Dicky», intervenne una terza reporter, chiamandolo con il diminutivo usato dagli amici di Tremont, «quando vedremo queste donne?»

«Nessuna anticipazione al riguardo. Sono considerate testimoni essenziali, secondo la procedura. Sono coperte dal segreto istruttorio, per ora.»

«I sospetti su Vera McKay si estendono agli episodi in cui è coinvolta la figlia?»

«Quei cosiddetti fenomeni psichici?» chiese Tremont alla giornalista.

«Esatto.»

«Naturalmente, sì. Mi sono sempre soffermato su certi fatti. Uno dei miei primi casi riguardava una donna la quale pretendeva che sua figlia fosse in contatto con i defunti. Dava a noleggio la bambina alle vedove inconsolabili. E anche nel caso in esame c’è qualcosa di affine.»

«In che senso?»

«Lasciamo perdere. Devo cautelarmi prima di un processo. Ma stiamo controllando la possibilità che la madre abbia istruito la ragazzina per quelle faccende. Stiamo cercando di scoprire perché. Ne saprò di più tra breve.»

«Puoi fare qualche accenno, al momento attuale, circa la tua opinione, Dicky?»

«In via confidenziale», dichiarò solennemente Tremont, «stiamo lavorando sulla teoria che Mrs. McKay possa essere stata coinvolta con qualcun altro. Ora, è possibile che i due siano in attrito. Mrs. McKay, temendo che il suo antico complice la lasciasse nei guai, potrebbe avere indotto sua figlia a inscenare l’affare delle visioni, ivi compreso il ritrovamento della tomba. Poi si atteggia a madre affranta e innocente di una figlia benedetta dal Cielo. Premetto però che questa è solo una teoria.»

La teoria era stramba e ogni giornalista lì presente lo sapeva. Sapeva anche che Tremont credeva ad ogni parola che pronunciava. Non che fosse cattivo. Però aveva un concetto della natura umana in base al quale giudicava Vera in un modo ancora più severo di quello del più velenoso dei giornalisti.

«Ha qualche prova concreta su tutto questo?» domandò uno scettico cronista.

«Francamente no. Stiamo mettendo assieme, con logica, tutti i pezzi, sperando che le prove si concretizzino. Ho avuto molte intuizioni durante la mia carriera e ritengo assai fondata quella attuale.»

La conferenza stampa era finita. Larry Birch, che era rimasto in fondo all’ufficio di Tremont e non aveva fatto domande, era turbato. Vedeva che i giornali stavano montando un processo e sapeva che non poteva fare niente per impedirlo.

I suoi timori si avverarono rapidamente. Attraverso commenti di fonti non nominate, mediante fantasiose ricostruzioni, i giornali dipinsero Vera come una donna ambigua, probabilmente bugiarda, dal futuro incerto.

Annie era descritta come una bambina che poteva senz’altro essere stata «plagiata» e la Neuberger come una psicanalista che recitava con zelo una parte. Nessuno, naturalmente, formulava accuse dirette. Ma le subdole insinuazioni, il continuo dubitare di queste persone e delle loro motivazioni erano altrettanto dannosi.

Tremont sospettava, ma voleva le prove.

Squadre di agenti setacciarono la zona dov’era stato trovato il corpo di Harry, anche con l’aiuto di bulldozer. Si scavò un intero acro, come se la polizia stesse cercando qualche reperto archeologico. Era l’arma del delitto che volevano. Intervennero anche esperti in costruzioni che frugarono parte dell’impianto di fognatura e le fondamenta del ponte di Tappan Zee.

Altre squadre, armate di mandati di perquisizione, si concentrarono sull’auto di Harry McKay e sulla sua casa.

All’improvviso, in un secco e torrido pomeriggio, con il sole ancora alto nel cielo, esplose una febbrile attività attorno al garage di Vera McKay. Gli agenti della squadra di Simeon stavano frugando il posto e uno di loro si precipitò all’autoradio e chiamò d’urgenza il comando. Dopo qualche minuto apparve Simeon, cupo e teso. Vera e la Neuberger videro dalla finestra che davanti alla casa si stava fermando un’altra macchina, con la scritta reparto medicina legale — polizia di tarrytown. Nessuna delle due donne ebbe la minima idea di che cosa stesse accadendo.

Poco dopo Simeon suonò il campanello della porta e Vera andò subito ad aprire.

«Posso parlarle, signora?» chiese il detective.

«Certo», rispose Vera.

Simeon entrò. «Forse le converrebbe far venire qui Mr. McKay», suggerì.

«Perché?»

«Be’, è il suo avvocato.»

«Sta lavorando», ribatté Vera. «Non voglio disturbarlo in questo momento.»

«Allora potremmo combinare un appuntamento», propose Simeon.

Guardò Vera con un’espressione che, più che scetticismo, rivelava un sottile disprezzo mai dimostrato in precedenza.

«Voglio sapere a quale proposito», insisté Vera.

Simeon esitò, cercando di fornirle una risposta adeguata e nello stesso tempo burocraticamente idonea. «Non è escluso che debba affrontare nuovi problemi.»

Vera arretrò istintivamente, come per difendersi. «Quali problemi?»

«Signora, non credo sia possibile discuterne senza che lei abbia l’assistenza di un legale.»

Vera guardò alle spalle di Simeon. La porta era ancora aperta e lei scorse distintamente un poliziotto che stava dirigendosi alla sua auto con in mano un sacchetto di plastica, contenente un oggetto pesante. «Che cosa stanno portando via?» domandò.

Simeon scosse la testa. «Mrs. McKay, non si ostini. Lei deve avere un avvocato.»

«E se non posso disporre subito di Ned?»

Simeon sbirciò l’auto della sezione di medicina legale, che stava partendo in quel momento. «Facciamo così», disse, «devo fare un salto al laboratorio. Che cosa ne dice di telefonare da lì a Mr. McKay e trovarsi sul posto?»

«D’accordo», rispose Vera, con calma. «Ma voglio che mi dica che cos’hanno portato via dal mio garage.»

Simeon la fissò dritto negli occhi, uno sguardo freddo e sicuro. «Signora», ribatté, «penso lo sappia benissimo anche lei.»

Il laboratorio della polizia era in un edificio di mattoni, a un piano, in una strada di campagna nella zona nord di Tarrytown. Simeon vi portò il suo reperto e vi rimase per quattro ore, ordinando al proprio ufficio che la sua presenza lì o altrove non doveva essere comunicata ai giornalisti. Durante la sosta al laboratorio fece diverse telefonate a Tremont, che si barricò nel proprio ufficio, disdicendo ogni impegno. Un’atmosfera di attesa gravava sia sul laboratorio sia sull’ufficio del Procuratore Distrettuale.

La fonte di tutto ciò era un martello.

Uno degli agenti di Simeon lo aveva scoperto, notando che presentava sulla sua superficie macchie marrone scuro. In quel momento i tecnici stavano esaminando ogni millimetro dell’oggetto, prelevandovi particelle di terriccio, una parte di capello umano e le macchie incrostate. Il martello venne cosparso di polvere per le impronte digitali e la sua superficie contundente fotografata sotto un potente microscopio. Quando l’esame fu completato, il martello fu sigillato in una scatola di plastica e restituito a Simeon. Il detective telefonò a Ned McKay, gli disse che occorreva urgentemente un incontro, presente Vera, e ne concordò l’ora.

Simeon disse a Ned che l’incontro sarebbe stato traumatizzante.

L’indomani Simeon, Ned e Vera si trovarono a casa di lei. Annie era stata mandata a giocare a casa dei Moran. Simeon permise a Marie Neuberger di presenziare, data la sua qualità di consulente medico di Vera. Il detective era anche accompagnato da un collaboratore, un giovane agente della Omicidi. Il giovanotto aveva con sé il martello, ancora sigillato nella sua scatola.

L’atmosfera era tesa ed elettrica, con Vera che ormai si affidava interamente a Ned e con Ned fornito di carta, penna e un piccolo registratore.

Né Vera né Ned sapevano che il Procuratore Distrettuale Tremont aveva già indetto una conferenza stampa per l’ora successiva e aveva informato i mezzi di comunicazione che era in procinto di rilasciare una dichiarazione di importanza decisiva.

Simeon sedeva a disagio su una grande poltrona di fronte a Vera, che, come d’abitudine, si era sistemata su un angolo del divano, con Ned all’altra estremità. La Neuberger e l’aiutante di Simeon stavano su sedie prese in cucina.

«Mrs. McKay», esordì Simeon, «sono certo che lei si rende conto che questa è un’indagine ufficiale di estrema gravita.» La voce era esitante e sommessa. «Desidero sottolineare che qualsiasi cosa lei dica può essere usata più tardi contro di lei.»

Vera guardò Ned.

«Mrs. McKay se ne rende conto», rispose lui. «Dal momento che ovviamente non ha niente da nascondere, la sua premessa non significa molto.»

«Bene», disse Simeon meccanicamente. «Ora, Mrs. McKay, il soggetto di questo nostro incontro è un oggetto trovato nel suo garage.»

«Che cos’è?» domandò Vera.

«Un martello.»

«Eh?»

«Lei possiede un martello, vero, signora?»

«Sì. Naturalmente.»

«Lo usa, Mrs. McKay?» Era una domanda strana e Simeon, nel formularla, la scrutò negli occhi, cercandovi il minimo segno di nervosismo.

«A volte», rispose Vera. «Molte piccole riparazioni le faccio io stessa.»

«Naturale.»

«Che cos’è tutto questo interesse per un martello?» chiese lei.

Simeon, prima di rispondere, fece una pausa a effetto, per cercare di esasperare la tensione. Fissò Vera, poi Ned, poi la Neuberger e di nuovo Vera. «È stato usato per uccidere suo marito», disse alla fine.

Lei si irrigidì. Si portò le mani al viso, poi girò di scatto la testa verso Ned.

Lui risultò non meno scioccato di Vera. «Questo come lo sa, signor Simeon?» chiese, trattenendo uno scatto d’ira.

«Analisi di laboratorio», rispose il detective. «Signore, il sangue di Harry McKay appartiene allo stesso gruppo di quello trovato sul martello. Ci sono anche frammenti d’osso che corrispondono al tipo di osso nella ferita.»

Vera si era fatta cerea ed era rimasta col fiato mozzo alla descrizione. «Lei ha trovato quello nel mio garage?»

«Eh sì, signora. Ed era anche accuratamente nascosto.»

«Non capisco», mormorò lei.

«Intende dire», spiegò Ned, guardando cupamente Simeon, «che qualcuno non voleva che fosse trovato.»

«Proprio così, signora. Noi riteniamo che Mr. McKay sia stato ucciso con quest’arma e poi trasportato là dove fu seppellito. L’arma fu riportata qui e nascosta.»

Scese un silenzio di tomba. «No!» sussurrò Vera inorridita. «Oh no, non sta per caso dicendo che io…»

«Signora, l’evidenza…»

«Mi rifiuto di ascoltarla!» scattò Vera. «È disgustoso! È infame! È degno di quelle donne!» Si girò verso Ned. «Diglielo tu!»

Ma Ned si limitò a scuotere la testa, costernato. «Vera», disse sommessamente, «sentiamo il resto. Sono certo che c’è un equivoco.» Riportò lo sguardo su Simeon.

«Signora», disse il detective, «ho fatto un sacco di considerazioni su questa faccenda. Lei è l’unica che abbia facile accesso al garage, ho notato che è sempre chiuso a chiave. Chiunque altro avrebbe o sotterrato o buttato nel fiume il martello. Certo nessuno estraneo si sarebbe arrischiato a penetrare nel suo garage per nasconderlo. Non ne aveva motivo.»

«Sì, per poi accusare me!»

«Lei ha visto troppi film gialli, signora. Quando io metto questo martello insieme con le affermazioni di tutte quelle donne, disposte a confermarle sotto giuramento in tribunale, il quadro è abbastanza eloquente.»

Vera si abbandonò contro lo schienale, ancora incredula. «Non è vero», disse a bassa voce. «Mi vogliono torturare. È criminale, Harry, io lo amavo. Tutti lo sanno.» Lasciò ricadere la testa sul petto. «Sto sognando, non può essere vero.»

«Credo che abbia il diritto di vedere la cosiddetta arma del delitto», disse Ned stizzito.

«Naturalmente», rispose Simeon. Fece un cenno al suo collaboratore, che gli consegnò il pacco.

«Posso pensare a molte possibilità al riguardo», proseguì Ned. «So che lei non vorrà negare a Mrs. McKay ogni opportunità di confutare questa sua strana teoria.» Si rivolse a Vera. «Non preoccuparti. Questi pasticci sono all’ordine del giorno.»

«Io voglio solo giustizia», disse il detective. Cominciò a disfare il pacchetto. La scatola di plastica scintillò alla luce. Simeon si alzò e andò da Vera. La Neuberger, che era rimasta praticamente immobile per tutto l’incontro-scontro, fissò intensamente la scatola, sapendo che quanto conteneva poteva significare la rovina di Vera. Anche Ned la fissò, ma senza perdere la propria freddezza professionale.

Simeon mise la scatola sotto il naso di Vera. «Signora», disse piano, «sono certo che lei riconoscerà questo martello che abbiamo trovato nel suo garage.»

Vera dovette farsi forza per guardare dentro la scatola.

Di colpo si ritrasse.

Una vampata di furore le accese il volto.

«Quello non è mio!» gridò.

«Su, Mrs. McKay», disse Simeon, «lei sa…»

«Non è mio!» ripeté lei. Poi, con un movimento brusco, si girò verso Ned. Lo guardò, in un primo momento quasi serenamente, come schernendolo. Poi si alzò lentamente e superò la breve distanza che la separava dall’altra estremità del divano, dove il cognato, attonito, era seduto.

Il viso di Vera era tornato ad avvampare di un furore più intenso, più bruciante. Di colpo, protese l’indice agitandolo davanti a Ned e poi puntandoglielo direttamente contro.

«È suo!» disse con voce dura come l’acciaio.

Choc per tutti. Ned apparve stupefatto, la bocca aperta. Vera gli si avvicinò ancora di più. Protese l’indice e picchiò dritto nel petto di Ned… forte.

«È il tuo», disse tagliente. «Tu l’hai ucciso. Tu hai ucciso il mio Harry!»