129330.fb2 Visioni di terrore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 17

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«Vera», disse Ned, «questa è un’assurdità e tu lo sai.» Si rivolse a Simeon: «Il martello apparteneva a mio fratello. Ce l’aveva da anni. Veniva da casa dei nostri genitori».

«Non è vero!» esclamò Vera. Cominciò a percuotersi le ginocchia con le mani, agitando selvaggiamente la testa.

La Neuberger sedeva, silenziosa. Guardò con attenzione Vera, quindi Ned e infine Simeon. «Che prova ha lei», chiese bruscamente, «che questo martello appartenesse a Harry McKay?»

Il detective si strinse nelle spalle. «Era nel suo garage», rispose.

La Neuberger sbuffò, sprezzante. «E questa è una prova? Sarebbe bastata a Sherlock Holmes?»

«Comunque, signor Simeon», disse con forza Ned, «questo non rende colpevole Vera McKay, né rende colpevole me, naturalmente. Mia cognata è chiaramente sconvolta. Non si rende neanche conto di quello che dice. Non penso che, ora come ora, possa sostenere oltre questo…»

«No!» insisté Vera. «Voglio parlarne. Parliamone finché la faccenda non è chiarita!»

«Vera, ascoltami! Sono il tuo avvocato. Sono…»

«No! Non me ne importa! Questo martello è tuo, Ned.»

Ned sbirciò Simeon. «Non è più lei», commentò a bassa voce.

«Signora», domandò il detective, ignorando per il momento Ned, «se il martello è di Ned McKay, dov’è quello di suo marito?»

«Non lo so», ribatté Vera. «Come posso saperlo? Non badavo a cose del genere. Forse l’assassino… Dio sa che cosa. Non ho ucciso mio marito. Per quale ragione avrei dovuto farlo?» Scoppiò in singhiozzi disperati.

«Be’», rispose Simeon, ritenendo necessario chiarire fino in fondo la propria posizione agli effetti futuri, «moltissime di quelle donne pensavano che una ragione lei ce l’avesse, signora.»

«Non rispondere!» le ordinò Ned.

Ma Vera si girò ancora di scatto verso di lui. «Perché non mi difendi?» lo implorò. «Perché non dici niente?»

«Vera, sono un avvocato. C’è tempo e luogo.»

«Tu mi stai abbandonando! Certo, ci sei di mezzo!»

«Vera, smettila!» Ned scattò in piedi. «Nessuno ti sta abbandonando, ma sei nei guai. Lo capisci o no? Hai un problema legale di fronte.»

«Che cosa vuoi dire?» le chiese lei, furibonda.

«La polizia ovviamente ritiene… be’, ne parliamo dopo.»

«No! Adesso!»

Ned abbassò gli occhi, cercando di evitare lo sguardo della cognata. «Vera», disse, «non riesco personalmente a credere che tu abbia ucciso Harry. Ma altri lo credono. Non mi ero mai accorto di nessun serio attrito tra voi due. Forse non vedevo quello che avrei dovuto vedere.»

Vera ascoltava in un silenzio stupefatto.

«Tutti noi vorremmo ignorare quanto hanno affermato quelle donne», proseguì Ned, «e sono certo che ne dimostreremo l’inconsistenza. E il martello… era di Harry, Vera. Quando mi hai accusato d’avere ucciso mio fratello, anche se eri sconvolta, ho capito che si è trattato soltanto di un meccanismo irrazionale di difesa. Stavi cercando di distogliere l’attenzione dal fatto che era il martello di Harry.»

«Perché mi stai facendo questo?» gli domandò Vera, disperata.

«Non ti sto facendo niente», ribatté Ned. La sua voce divenne suadente, quasi mielata. Una voce fiduciosa e convinta. «Affronterai il processo, Vera. Io ti aiuterò. Mi caverò il sangue per te, se sarà necessario. Non posso accettare il fatto che tu abbia ucciso Harry.»

A Simeon parve di scorgere delle lacrime negli occhi dell’avvocato.

Ned si accostò a Vera e le mise una mano sulle spalle. «Qualsiasi cosa tu abbia o non abbia fatto», le disse, «non posso odiarti, nemmeno dopo la tua terribile accusa contro di me. Questa faccenda è una tragedia per tutti noi, e specialmente per Annie, cui adesso voglio bene più che a chiunque altro, compreso Harry.»

Nella stanza piombò un lungo, pesante silenzio che Simeon aveva sperimentato molte altre volte. Un momento tipico e ricorrente quando non c’è più altro da dire, quando ha parlato l’evidenza, quando le carte sono tutte in tavola. Nessuno era soddisfatto. Nessuna persona con un po’ di umanità, pensò Simeon, poteva rallegrarsi di quanto era successo alla famiglia McKay di Tarrytown.

Il passo successivo fu uno dei più penosi della sua carriera di detective. Lentamente, con riluttanza, si tolse di tasca un paio di manette.

«No!» si ribellò Ned. «Questo non è necessario. Sono sicuro che Mrs. McKay capisce l’importanza di collaborare. Verrò e resterò con lei, finché sarà necessario.»

«Benissimo», rispose Simeon, mettendo via le manette.

L’ufficio «registrazione» al comando di polizia era tipico. Un annoiato e panciuto sergente sedeva a una grande scrivania, posta su una piattaforma alta trenta centimetri. Il locale era scarsamente illuminato, con deprimenti pareti grigiastre. Puzzava di sigari scadenti.

Vera sedeva su una lunga panca di legno, aspettando il suo turno, con Simeon da un lato, Ned dall’altro e la Neuberger vicina al detective. Vera era muta, come in trance, incapace di registrare il fatto che stava per essere formalmente accusata dell’assassinio del marito. Sembrava tutto un incubo, qualcosa che sarebbe svanito all’alba, qualcosa di bizzarro, di cui si sarebbe occupato Ned.

«McKay, Vera», citò il sergente, come se stesse spuntando delle voci dall’elenco della spesa.

Fu Ned a far alzare a metà la cognata dal sedile. Simeon li guidò fino alla scrivania in mezzo al chiacchiericcio degli altri arrestati.

Vera sentì a malapena quello che seguì. Vi fu un rapido scambio di parole tra Ned e il sergente, che buttò giù qualche dato. Qualche minuto più tardi, Vera si trovò in un’altra stanza attigua alla prima, in piedi di fronte a un anziano e indifferente magistrato con tanto di toga, seduto su uno scanno ad ascoltare le imputazioni, al ritmo di una al minuto.

Di nuovo le parole fluirono come un ronzio confuso e Vera non si rese nemmeno conto che veniva messa in libertà provvisoria, sotto la responsabilità di Ned, dietro una cauzione di venticinquemila dollari, che lui stesso versò.

Poi fu riaccompagnata a casa, ma quell’esperienza aveva cambiato per sempre la sua vita.

Sebbene molti della stampa l’avessero previsto, persino sperato, la notizia dell’imputazione di Vera per l’assassinio di Harry McKay esplose come una bomba. I cronisti andarono a nozze con le vicende del caso McKay e munsero tutto il possibile dalla situazione in cui Vera si veniva a trovare. Due giornalisti, addirittura, firmarono un contratto con un editore di New York per scrivere in velocità una versione romanzata del caso per un tascabile economico a grande tiratura, sperando, sia loro sia la casa editrice, che Vera fosse processata e risultasse colpevole.

Il fulcro dell’attenzione era adesso S. Richardson Tremont. Simeon, attraverso il procedimento d’imputazione, era diventato qualcosa di più di un testimone per l’accusa, colui che sarebbe stato chiamato per esporre le prove raccolte dalla polizia. Stava a Tremont sottoporre il caso al gran giurì. Se quest’ultimo indiziava Vera, e di solito i gran giurì fanno quello che il procuratore distrettuale chiede, allora lei avrebbe subito il processo. Già Tremont si vedeva al centro di uno dei grandi processi della storia di Westchester. E, secondo la sua particolare mentalità, era convinto di svolgere un compito indispensabile alla società civile. Vera McKay, gli diceva la sua indole diffidente, era la personificazione del male. Doveva essere estraniata per il bene della società e perché sua figlia ne fosse protetta.

Tremont uscì dalla sua modesta casa il giorno successivo all’imputazione di Vera, diretto verso il suo ufficio e a un’altra conferenza stampa. Aprì la portiera della Chevrolet Monte Carlo nera, messagli a disposizione dalla contea e parcheggiata sul vialetto, ma sentì dei passi che gli si avvicinavano, violando l’erba del suo prato. Si girò a guardare. Riconobbe l’uomo, di cui però non conosceva il nome.

«Mr. Tremont?»

«Sì?»

«Larry Birch. New York Daily News

«Oh, certo», rispose il procuratore con un pronto sorriso. «Ho letto i suoi articoli.» Non era vero.

«Grazie», disse Birch. «Vede, signor Procuratore Distrettuale, mi sto ponendo degli interrogativi sul caso McKay.»

«Eh?»

«Lei non pensa?…»

Tremont sollevò di colpo una mano come per zittirlo. «Tra alcuni minuti terremo una conferenza stampa. Senza dubbio il suo giornale è stato avvisato.»

Birch si grattò la testa. «Perbacco!» esclamò. «Non credo proprio. O magari hanno perso l’appunto. Io di certo non l’ho avuto.»

«Sarà nel mio ufficio. Sarò lieto di vederla lì.»

«Oh, signore», disse Birch con comica timidezza, «ho un appuntamento con il dentista che…»

Tremont non aveva nessuna voglia di inimicarsi la stampa. «Che cosa vuole sapere?»

Birch tirò fuori il suo taccuino e la penna, soddisfatto di essersi assicurato, ancora una volta, un’intervista in esclusiva. «Signore, molta gente nutre dei dubbi sulle prove di questo caso.»

«Veramente?»

«Sì, signore, anche se può sembrare sorprendente. Mrs. McKay ha sempre goduto di un’ottima reputazione. Sì, ci sono state voci dopo la scomparsa di Mr. McKay e la bambina è stata presa in giro dai compagni di scuola, ma erano malignità. Non è mai venuto a galla niente di concreto. Poi si scopre il cadavere del marito e subito succede un sacco di cose.»

«All’osservatore attento non sfugge il momento opportuno.»

«Ben detto, signore», ribatté Birch. «Ma l’osservatore attento è molto sorpreso per com’è arrivato velocemente questo momento opportuno. Le donne che si sono fatte vive. Dico, qualcuna di loro poteva pure andare dalla polizia dopo la scomparsa di Harry McKay.»

«Ma non l’hanno fatto.»

«E questo non le dà da pensare?»

Tremont assunse di botto un’aria seccata. «Ne abbiamo già parlato nell’ultima conferenza stampa. Le signore probabilmente pensavano che Harry alla fine si fosse deciso ad abbandonare una situazione penosa.»

«E poi», lo interruppe Birch, «quando occorreva la prova tangibile la polizia trova l’arma del delitto.»

Tremont sorrise con condiscendenza. Sollevò di nuovo la mano destra e agitò l’indice, come un maestro che catechizzi un allievo. «Lei dimentica», sentenziò, «che è stato solo pochi giorni fa che abbiamo saputo che c’era un delitto. Prima non potevamo cercare un’arma del delitto.»

«Perché no?»

«Perché ‘no’?»

«Lo chiedo a lei, signore.»

«Perché non ce n’era il motivo.»

«Nessuno aveva mai sospettato il delitto?»

«No.»

«Quindi, nessuno aveva mai sospettato Vera McKay di avere fatto del male al marito.»

«Esatto, Mr. Birch.»

«Il che mi sorprende.»

«A che proposito?»

«A proposito di come Mrs. McKay potesse essere una così pessima moglie e non ci fosse stato nessuno a chiedersi a voce alta se non era stata lei a fare fuori il marito in tutti quei mesi dopo che lui era sparito dalla faccia della terra.»

«Be’», osservò Tremont alzando le spalle, «la gente, in quel periodo, può anche avere fatto commenti in privato.»

«In una città come questa, signore, i commenti in privato diventano molto presto di dominio pubblico.»

«Sì, lo ammetto», disse Tremont consultando l’orologio. «Forse non siamo stati sospettosi come dovevamo. Ma qui da noi non crediamo alla caccia alle streghe.»

«Lo vedo», ribatté Birch.

«Adesso devo proprio scappare.»

«Solo un minuto ancora, signore», insisté Birch. «Sembra che abbiate solo prove indiziarie indirette. In realtà non avete provato niente.»

«Molti casi sono basati su prove indiziarie indirette, che spesso sono le più risolutive, dipende dalle circostanze.»

«Non è che vi lasciate sfuggire troppo facilmente dalle maglie altri sospettati?»

«Non ci sono altri sospettati.»

Birch inarcò le sopracciglia cespugliose. «So da fonti vicine a lei che Mrs. McKay ha affermato che l’arma del delitto appartiene al cognato.»

«La McKay può dire quello che le pare», replicò Tremont. «Ned McKay non è e non è mai stato un sospettato, tant’è vero che gli ho appena parlato stamattina. È molto turbato per tutta la faccenda, specialmente per la sorte della bambina. È davvero un gran bravo zio, quell’uomo.»

Tremont salì in macchina e si dileguò.

Da quando aveva guidato Vera alla tomba di Harry, Annie non aveva più avuto altre visioni. Era diventata, perlomeno temporaneamente, il personaggio dimenticato di un dramma che le sue strane facoltà avevano creato. Eppure, nonostante l’età, era consapevole che qualcosa era andata spaventosamente male. Scontrosa, cercava di isolarsi, tentando persino di non farsi vedere da Vera e dalla Neuberger, che, entrambe, notavano la sua tensione e si preoccupavano.

Mentre Tremont stava illustrando alla stampa in che modo avrebbe sottoposto al gran giurì il caso della McKay, Vera, la Neuberger e Annie stavano facendo, in ritardo, colazione. La psicanalista cercava di passare insieme con la bambina il maggior tempo possibile, studiandola, analizzandola, tentando di aiutarla in quel periodo difficile. E voleva trovare la risposta alle domande che lei e Vera si erano poste, da quando il nuovo incubo era cominciato in quel breve tratto di terreno vicino all’Empire Motel. Dov’era adesso l’angelo protettore? Dov’era lo scudo soprannaturale che aveva salvato Vera dall’incendio e dagli incidenti, che aveva aperto la strada alla verità sulla sparizione di Harry? Perché permetteva che Vera fosse torturata in quel modo?

«Hai fatto qualche sogno ieri notte, Annie?» chiese la Neuberger, mentre la bambina addentava un toast.

«Sì», rispose lei, masticando.

«Raccontami com’era, allora.»

«Lo stesso sogno che ho avuto anche la notte prima», disse Annie. «La mamma se ne andava via, come papà, ma non era morta.»

«Capisco. E tu, mentre tutto questo succedeva, dormivi sempre?»

«Sì. Come la notte ancora prima.»

La Neuberger sondava la bambina per accertarsi che avesse avuto un sogno, non una nuova visione. Ora ne era sicura. «Questa volta la mamma dove andava?» le domandò.

Annie abbassò gli occhi.

«Devi dirmelo. L’altra notte hai detto che andava in un bosco. Anche questa volta nello stesso posto?»

«No», rispose Annie. «Il poliziotto, la portava via lui, come hanno detto alla TV.»

Vera si agitò. Aveva cercato di mantenere l’atmosfera di casa normale, per quanto possibile, di fronte alla dura prova che l’attendeva, ma Annie a volte aveva sentito i telegiornali, che inevitabilmente avevano parlato del probabile arresto di Vera, e aveva compreso fin troppo bene.

«La TV si sbaglia, tesoro», disse Vera tentando di rassicurarla.

«Però continuano a dire così», ribatté Annie. Guardò la madre, desolata. «Ti metteranno in prigione?»

«No», disse Vera, lottando per mostrarsi calma. «Annie, è tutto uno sbaglio.»

Allora intervenne la Neuberger. «Parlami ancora del sogno», chiese alla bambina.

«Non c’era poi molto altro.»

«Dimmelo lo stesso.»

«Mettevano in prigione la mamma e lei doveva indossare un vestito buffo, quello che una volta ho visto in un film. Mi venivano attorno dei bambini. Restavano qui davanti a casa e gridavano.»

La Neuberger vide le lacrime spuntare negli occhi di Annie. «Che cosa gridavano?»

Annie guardò Vera, quasi per scusarsi. «Gridavano: ‘Tua mamma ha ucciso tuo papà!’» Poi scoppiò a piangere, respinse la sedia così violentemente da farla quasi capovolgere e cercò di abbandonare la tavola.

Vera l’afferrò per un braccio. «Sono dei bugiardi!» proruppe, dimenticando che si trattava solo di un sogno. «Annie, io volevo bene a papà. Non lo sai?»

Ma la bambina, spaventata dalla reazione della madre, cercò di divincolarsi. «Lasciami andare!» gridò.

«No!» si ostinò Vera. «Non voglio che tu gli creda! È tutto un errore, Annie! Vedrai!»

«La lasci andare», l’ammonì, calma, la Neuberger. «Vuole restare per conto suo.»

Vera ubbidì e la bimba corse su per le scale e si sbatté dietro la porta della sua camera.

Negli occhi di Vera si riflettevano la paura e l’angoscia. «Sospetta di me», disse alla Neuberger con voce tremante, tormentandosi le mani.

«C’era da aspettarselo», spiegò pacatamente la Neuberger. «La mente infantile è facilmente influenzarle, ecco perché i bambini si fanno irretire da estranei. Lei deve aspettarsi dei problemi con Annie finché questa mostruosa menzogna non si dimostrerà falsa.»

«Se», mormorò Vera.

«Non ho capito. Che cosa, se?»

«Se sarà dimostrata falsa. Tutta quella gente è contro di me. Non riesco a sperarlo.» Vera era madida di sudore freddo. «Il martello è di Ned. So che è suo.»

Stava cominciando a divagare, senza concatenare troppo le idee, ma la Neuberger sapeva che era un bene, una specie di sfogo. Vera tacque, con gli occhi che saettavano intorno alla stanza, come se sospettassero di ogni cosa. «Lui sapeva che il martello è suo!» esplose poi. «Perché non l’ha detto? Ci vuole bene. Mi occorre un avvocato.»

Si voltò guardando un cassetto vicino all’acquaio della cucina, si alzò all’improvviso e vi si diresse. Dal piano di sopra arrivavano chiaramente i patetici singhiozzi di Annie. Vera aprì il cassetto e ne tirò fuori una busta. «L’ho avuta qualche giorno fa», spiegò alla Neuberger. «L’ho messa qui e non ci pensavo neanche più. Chissà dove avevo la testa.»

«Che cos’è?» domandò gentilmente la psicanalista.

«È di Mr. Birch del News. Da quando mi ha indirizzata a lei, credo si consideri mio consigliere permanente.» E rise, nervosa. «Ha un avvocato per me.»

«Dovrebbe intendersene», commentò la Neuberger. «È l’amico di tutti gli imbroglioni.»

Vera trasse la lettera dalla busta. Era scritta su carta del Daily News, macchiata di ditate lungo gli orli. Vera fissò il nome che Birch aveva battuto a macchina: elwood P. frain. Poi lui aveva aggiunto di suo pugno: «Se la Neuberger le va, questo signore le piacerà ancora di più. È il migliore».

«Voglio vedere questo tizio», dichiarò Vera alla Neuberger. «E al più presto.»

Fissò ancora la lettera, consapevole che la sua esistenza presto si sarebbe incrociata con l’illustre avvocato difensore Elwood P. Frain.