129330.fb2 Visioni di terrore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 18

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Occorsero solo quaranta minuti al gran giurì della Contea di Westchester per raggiungere una decisione sul caso del Popolo contro Vera McKay, iscritto a ruolo sotto il numero 63457. Un sorridente Richardson Tremont uscì dalla sala delle udienze, attraversò un corridoio coperto da una passatoia e raggiunse una piccola saletta per le conferenze, per leggere la seguente dichiarazione a un ansioso gruppo di cronisti:

«Il gran giurì ha rinviato a giudizio Vera McKay per l’assassinio premeditato del marito. Sono estremamente soddisfatto di tale decisione e credo che la macchina della giustizia stia procedendo nella direzione giusta. Mi riprometto di aprire il procedimento entro quattro settimane all’incirca e non ho dubbi sul suo esito».

Tremont gongolava. Larry Birch, nauseato, si rintanò in fondo all’atrio. Era il tipico comportamento da gran giurì, pensò, con i giurati che facevano esattamente ciò che il giudice istruttore aveva chiesto. Dopo la sua dichiarazione, Tremont posò sorridente per i fotografi. Segretari e giovani di studio fecero capolino nella saletta per gettare un’occhiata a quello storico evento e arricchire il bagaglio dei loro pettegolezzi.

Ned McKay ricevette per telefono nel suo studio la notizia del rinvio a giudizio. I giornalisti piombarono da lui, sollecitando la solita dichiarazione di sorpresa e di contrarietà. Ned li ricevette e parlò senza consultare appunti, esponendo quanto, per una maggiore efficacia, aveva imparato a memoria.

«Sono turbato», disse, «da ciò che è accaduto questa mattina. Naturalmente mia cognata è innocente finché la sua colpevolezza non venga comprovata, ma l’idea che abbia potuto compiere quello di cui è accusata mi sconvolge. Non ho mai notato in lei nessuna tendenza criminale.

«La mia angoscia è in particolare rivolta a sua figlia Annie, che, in questi ultimi mesi, è passata attraverso così penose vicende. Farò tutto quanto è in mio potere per aiutarla in questa dura prova.»

Era una strana dichiarazione, priva di quella sdegnata difesa di Vera che tutti si erano aspettati. Birch non era andato nello studio di Ned, ma ne sentì i commenti dalla sua autoradio. Si avverava ciò che tante altre volte aveva visto: verdetto di colpevolezza, precipitoso e a furor di popolo.

Lo studio dell’avvocato Elwood P. Frain era degno di un re, ciò che lui riteneva appropriato alla sua posizione tra i luminari del foro. Perché Frain, a volte stigmatizzato per le sue eccentricità, era temuto dai colleghi per la sua smaliziata destrezza procedurale. Durante i trentaquattro anni della sua carriera aveva perso esattamente quattro cause, tutte e quattro riguardanti assassini la cui innocenza non sarebbe stata dimostrabile neanche da un dio.

Vera e la Neuberger erano sedute nel regale ufficio, in attesa che il Grande Uomo emergesse da una conferenza che si svolgeva in un antistudio. Vera era impressionata dall’arredamento. La scrivania di Frain era lunga due metri e mezzo, con il piano in marmo massiccio del Vermont, su cui spiccava un antico calamaio d’oro. Il telefono era placcato oro, la matita a scatto, lì a fianco, di puro platino. Il pavimento scompariva sotto un autentico tappeto rosso afgano, alto due centimetri e mezzo. Ogni armadietto, ogni scaffale erano un pezzo di antiquariato italiano. Anziché la tradizionale illuminazione di un ufficio, Frain si serviva di due lampadari di cristallo, di modello esclusivo, in vetro Steuben.

Di colpo, una pesante porta di quercia venne spalancata. Una figura irruppe di slancio nello studio. «Mrs. McKay, immagino», disse il nuovo venuto.

Vera lo guardò. «Sì», rispose piuttosto stupita.

«Eccomi qui ad assicurarle la libertà.»

Né Vera né la Neuberger credevano ai propri occhi. Era quello Elwood Frain?

Frain non superava il metro e cinquantacinque, aveva una rotonda pancetta prominente ed era completamente calvo. La faccia, che dimostrava tutti i suoi cinquantatré anni, era «decorata» da un paio di baffetti. Aveva gli occhi dal taglio leggermente a mandorla, che gli conferivano un tocco orientale, ma il vestito era decisamente in stile Ordine degli Avvocati di New York: gessato nero, con panciotto in tinta e orologio d’oro con catena con la chiave della Phi Beta Kappa, la più antica associazione universitaria americana, i cui membri eccellono per qualità accademiche. Il convenzionalismo, però, si arrestava all’altezza delle ginocchia. Frain calzava infatti stivaletti neri da cowboy.

«Mi spiace per quanto le è successo», dichiarò a Vera, precipitandosi a stringerle la mano e poi battendole paternamente sulla spalla. La voce era acuta, penetrante e sgradevole. «Lei è vittima di forze schiaccianti. Noi le sbaraglieremo.»

«Pensa davvero di riuscirci?» gli domandò Vera.

«Gesù non ha trasformato l’acqua in vino?» ribatté lui e andò a sedersi alla scrivania.

«C’è gente che sparla di me», precisò Vera.

«E di me!» replicò Frain. «E rincarerà la dose adesso che il suo avvocato difensore sono io. Ma ci ho fatto il callo e non me ne preoccupo assolutamente. Ecco come mi comporto.»

«Mr. Birch ha detto che lei è il migliore», ricordò Vera.

«Lo sono.»

«Mi piace questa sicurezza», commentò la Neuberger. «Lei mi assomiglia.»

«Ne sono lusingato, dottoressa. Mio fratello è medico a Los Angeles, oculista specialista in bambini. Una professione deliziosa. I suoi pazienti non muoiono e non migliorano mai.» Frain rise della propria piccola freddura. «Adesso», proseguì, «ho bisogno di qualche risposta da lei, mia cara.»

«Dica pure.»

«Ma dev’essere sincera con me. Un avvocato può aiutare soltanto se il cliente da informazioni precise e veritiere.»

«Non dubiti.»

«E io le credo. Allora, mi dica la verità, ha ucciso lei suo marito?»

Vera sussultò. «No, naturalmente», rispose con fermezza.

«Benissimo. Era una domanda inevitabile. Prassi ordinaria. Ha qualche idea su chi avesse potuto desiderare la sua morte?»

Vera esitò. «Non proprio», rispose con un sospiro.

Frain la fissò con attenzione, aggrottando poi la fronte. «Non posso assumere la sua difesa», l’ammonì,. «se lei tenta di ingannarmi.»

Ci fu un pesante silenzio, durante il quale Vera si rese conto che Frain era senz’altro capace di leggerle nel pensiero. «D’accordo», disse alla fine, «ma mi è difficile. Non voglio danneggiare qualcuno che potrebbe essere innocente.»

«Questo lo lasci giudicare a me», disse Frain. «Qui non possiamo mettere in galera nessuno. Non possiamo spedire nessuno a Sing Sing. Tutto quanto possiamo fare è parlare.»

Vera tirò un profondo sospiro. «Bene, non so perché, ma a volte mi viene l’idea tremenda che mio cognato, Ned… voglio dire, il martello con cui Harry è stato ucciso era suo. Ne sono certa. So che sembra assurdo…»

«No, non lo è. Caino non uccise Abele? Il più antico delitto noto all’umanità fu un fratricidio.»

«Ma Ned non aveva nessun motivo.»

«Lei questo non lo sa, quindi non lo dica. E poi non gliene serviva uno necessariamente.»

«Questo non quadra», disse la Neuberger.

«Ci sono molti delitti senza motivazione, delitti passionali. Delitti per contrasti insignificanti. E la maggior parte accade nell’ambito familiare o tra amici.»

Vera scosse la testa, sempre più smarrita. «Ma è stato sempre così buono con noi.»

«Be’, e che cos’altro si aspettava che facesse?» chiese Frain. «Che sventolasse una bandiera con su scritto che aveva ucciso suo fratello?»

Vera abbassò gli occhi, sentendosi tremendamente ingenua. «No», rispose sommessamente, soggiogata da Frain.

«Ora, che cos’altro le fa pensare che Ned McKay abbia eventualmente a che fare con questo atroce crimine?»

Vera gli parlò della visione di Annie, in cui Ned voleva ucciderla, e dei propri sospetti sul martello.

«La visione se la scordi», le ordinò Frain agitando una mano, sprezzante. «Potrei portare al banco dei testimoni, tutti in una volta, Mosè, Freud e Houdini, e nessuno crederebbe una virgola di quella faccenda. Dobbiamo attaccarci al concreto. Non dobbiamo dare l’impressione che lei sia fuori di testa.»

«Ma le visioni sono vere», intervenne la Neuberger.

«E con questo?» ribatté Frain. «La verità è in un processo quello che l’onestà è nel commercio delle automobili usate: una convenienza, non una necessità.» Ridacchiò. «I suoi sospetti su suo cognato si basano su quanto mi ha esposto ora?»

«Più o meno. Come ho detto, il martello…»

«La parola di Ned McKay contro la sua. Anche se trovassimo qualcuno che l’abbia visto usare il martello a casa, lui direbbe d’averlo preso in prestito da suo marito. È un punto morto.»

«E allora che cosa possiamo fare?» gli domandò Vera.

«Quello che fanno quasi tutti in queste situazioni. Ci concentreremo sulla sua difesa, non alla ricerca di altre persone sospettabili… almeno per ora. Lei non ha in mano niente contro Ned.»

«Ha ragione. È un sollievo per me. Era soltanto un’idea balorda.»

«Bene, mi parli di queste donne linguacciute.»

La faccia di Vera avvampò per la collera. «Non so nemmeno chi siano.»

«Si sprema le meningi. E si ricordi di giocare a carte scoperte con me. Non ha proprio nessuna idea di chi volesse calunniarla, per un qualsiasi motivo?»

«No», affermò Vera con sicurezza.

Frain alzò le spalle, accentuando il gesto a significare che la convinzione di Vera risultava piuttosto assurda. «Mi sembra impossibile», osservò con tono ironico e meravigliato. «Capita quasi a tutti di scontrarsi con la gente, o perlomeno di avere qualche idea riguardo a chi non siamo simpatici.»

«Ma io sono sempre andata d’accordo con tutti», rispose Vera.

«Quindi, in proposito, buio assoluto», si rammaricò Frain. «Mi dica, Annie ha mai avuto delle discussioni a scuola che potessero riflettersi su di lei?»

«Che mi risulti, no.»

«Ha per caso delle abitudini o dei comportamenti che altri possano disapprovare?»

«Per esempio?»

«Per esempio bere, drogarsi, fare orgette. Sia sincera, la prego.»

Vera sembrò stupefatta, poi imbarazzata. «Ho sempre cercato di vivere in modo decente», rispose.

«Senta», rimbeccò Frain, «smetta di fare la Vergine Maria. Lei deve fare qualcosa di sbagliato.»

«A volte sono timida e la gente crede che sia fredda», ammise Vera.

«Quindi qualcuno pensa che lei lo disprezzi. Be’, è già qualcosa. E questo, nessuno glielo ha mai detto in faccia?»

«No, lo intuisco e basta.»

«Naturalmente, quando suo marito scomparve, vi furono pettegolezzi su di lei.»

«Sì, ma senza seguito. Non furono amici o persone che mi conoscevano a metterli in giro.»

«Osservazione centrata», commentò Frain. «Lei pensa di essere una persona simpatica, mia cara?»

«Mi sforzo di esserlo.»

«Non era questa la domanda. Impari a deporre correttamente.»

«Mi sembra di essere simpatica alla gente», disse Vera. «Io mi sforzo di esserlo.»

«Ha mai sentito Harry giudicarla male, magari in un momento di rabbia?»

«Naturalmente no!»

«Ecco che si inalbera di nuovo. Non deve farlo», la rimproverò Frain, alzando la voce. «Si comporti così al processo e la giuria la sospetterà senz’altro.»

«Cercherò di non farlo», gli assicurò Vera.

«Ricorda il vecchio proverbio che la moglie è l’ultima a sapere? È sempre possibile che Harry ce l’avesse con lei. Dopo l’ufficio potrebbe essere andato al bar a scaricare le grane di famiglia. E magari anche rincarando la dose. Ma chiunque, sentendolo, poteva spettegolare in giro, aggiungendovi del suo.»

«Non posso credere una cosa simile da parte di Harry.»

«Non le sto chiedendo di credere niente», scattò Frain, piuttosto seccato. «Le sto chiedendo se potrebbe essere possibile.»

«Ma non lo è!» si accanì Vera. «Harry non ha mai frequentato i bar. Ci volevamo bene.»

«È sicura di sapere che cosa c’era nei più intimi recessi della sua mente?»

«Sì, ne sono sicura.»

«Direi proprio», sentenziò Frain, «che lei o è Dio o un’illusa. Non c’è altra alternativa.»

Vera diventò penosamente conscia di come Frain la stesse guardando severamente e capiva che l’avvocato non approvava del tutto il suo modo di rispondere. «Credo di avere conosciuto mio marito», aggiunse a voce bassa.

«Lo credo anch’io», ribatté Frain. «Quanto a fondo lo conoscesse è legato agli sviluppi del processo. Solo, si prepari a tutte le insinuazioni che l’accusa le scaglierà addosso.» Sorrise. Non era un sorriso gradevole, e nemmeno cordiale, ma faceva capire a Vera che l’ometto cercava di aiutarla, di corazzarla contro la battaglia imminente. «Voglio chiederle qualcosa di molto importante», disse.

«Sentiamo», rispose Vera, allarmata da quel brusco cambiamento.

«Lei è molto affezionata a sua figlia?»

«Oh, tantissimo.»

«Sono inseparabili», aggiunse la Neuberger. «Un affetto del genere non l’ho visto spesso.»

«Ha mai fatto alla piccola niente che possa essere usato contro di lei?»

«Non penso proprio.»

Di nuovo, si intromise la Neuberger. «Averla portata da me, ecco quello che quei farabutti potrebbero rinfacciarle. Potrebbero anche dire che lei non si è valsa delle tradizionali cure mediche, con quei dottori le cui mogli sfoggiano grossi anelli. E diranno che lei ha fatto del male a Annie credendo alle sue visioni. Tutte cose che ho già visto.»

«La dottoressa ha ragione», disse Vera con crescente apprensione. «Ma prima avevo fatto esaminare la piccola dai medici tradizionali. Senza nessun giovamento.»

«A parte la situazione attuale, c’è qualcos’altro? Ha mai fatto del male ad Annie?»

«Non gliene farei mai.»

«Sono certo che Annie ha sofferto molto quando suo padre è scomparso. C’è stato qualcuno che ha tentato di riversare su di lei la responsabilità totale o parziale di questo?»

«No. Ero in pena per la piccola e ho interpellato lo psicologo della scuola, ma lui è stato molto comprensivo.»

«Le ha raccomandato qualcosa che lei si è rifiutata di fare o che non ha fatto?»

«Allude alle cure?»

«Sì.»

«Lui mi ha suggerito soltanto di fare alcuni discorsi ad Annie e io ho seguito i suoi consigli.»

«Non crede che quello psicologo abbia espresso qualche critica al suo comportamento?»

«Non riesco a pensare a niente del genere.» Vera constatava che l’espressione di Frain a poco a poco era diventata sempre più cupa, così come il tono delle domande. «Che cosa c’è che non va?» chiese, sapendo comunque che la domanda poteva essere fuori luogo.

Frain si concesse una pausa a effetto, indugiando con lo sguardo, per alcuni istanti, sulle pareti dello studio. «Mia cara», disse infine, «ho per lei una notizia molto penosa, che avrà sviluppi davvero dolorosi.»

Vera si appoggiò alla spalliera della sedia, tesa e ansiosa. Non aveva la minima idea di che cosa le stesse piombando addosso.

«Proprio mentre stavo venendo qui», spiegò Frain, «sono stato informato che Mr. Ned McKay ha presentato istanza al Tribunale dei minori per ottenere la custodia temporanea di sua figlia.»

La faccia di Vera di colpo diventò rossa. «Oh, mio Dio!» mormorò. «Perché?»

«La richiesta, cui ci opporremo nettamente, si basa sul fatto che lei non è una madre idonea.»

«Non sono idonea?»

«Si controlli, mia cara. Agitarsi non le servirà a niente. Mr. McKay sostiene di essere uno zio affettuoso, dalla reputazione ineccepibile. Il suo costante interessamento e la sua sollecitudine nei confronti della bambina non si possono mettere in discussione. Inoltre, asserisce che lei è accusata di omicidio, con una reputazione che sta per essere messa in dubbio. Insiste perché la piccola sia affidata a lui, almeno finché il processo non sarà concluso. Poi sarà il verdetto a decidere a chi verrà affidata Annie.»

Vera cominciò a scuotere la testa, incredula e atterrita. «Quel miserabile!» gemette, sconvolta e furente. «Per tutti questi anni ho creduto che fosse dalla mia parte. Tutti questi anni…»

«Un momento», la interruppe Frain, con una voce che stava diventando di nuovo stridula. «Lei non giudica la faccenda nel modo giusto. Supponiamo che suo cognato si sia sempre comportato lealmente con lei. Supponiamo che voglia davvero bene ad Annie. La sua non sarebbe un’iniziativa logica?»

«Lei si schiera dalla sua parte?» gli domandò Vera, furibonda.

«Certo che no. Deve smetterla di saltare alle conclusioni. In una causa lei deve sempre capire il punto di vista dell’avversario. Altrimenti è finita. Può darsi che Mr. Ned McKay sia del tutto in buona fede.»

Vera era troppo sbalordita e distrutta per poter connettere lucidamente. Riuscì solo a guardare Frain, implorando il suo aiuto. «Non voglio perderla», ansimò alla fine e cominciò a piangere disperatamente.

«Farò del mio meglio», rispose Frain, impietosito e commosso, «ma dovremo mettercela tutta. Suo cognato gode di un’eccellente reputazione in città. Mentre lei, diciamo, è piuttosto compromessa.»

«Non riesco a crederci», sussurrò Vera. «Annie è tutto quello che ho. Non possono portarmela via. Non può togliermela.»

«La cosa è nelle mani del giudice», disse Frain.

Di colpo gli occhi di Vera lampeggiarono di terrore. «Ma se Ned voleva uccidere Annie… mio Dio, l’avrà con sé! Che cosa le farà?»

«Ci stiamo muovendo», sentenziò Frain, «su un terreno assolutamente vago. Non posso garantirle proprio niente. Lei è in una posizione difficile, mia cara signora… molto molto difficile.»

Sedendo sullo scanno, pronto ad ascoltare la petizione di Ned, il giudice Archie S. Brendel consultò rapidamente alcuni appunti. Poi si schiarì la gola, come faceva di solito quando cominciava a procedere. Gli occhiali sulla punta del naso riflettevano la luce nella montatura di metallo. I suoi capelli, ricci e grigi alle tempie, avevano un taglio perfetto. Brendel, a quarantotto anni, tentava di apparire nello stesso tempo come un giudice e un uomo, i cui migliori anni professionali dovevano ancora venire.

Non tutto era per vanità. Brendel amava davvero la legge e traeva un’enorme soddisfazione dalle udienze che presiedeva. Il fatto era, però, che spesso vedeva il lato astratto della legge e minimizzava l’elemento umano.

La sala delle udienze era piccola. Tutte quelle del Tribunale dei Minori erano piccole, poiché le udienze avvenivano a porte chiuse.

Brendel sedeva su un normale banco soprelevato, mentre le parti in causa occupavano due tavoli di fronte a lui. A uno sedeva, da solo, Ned McKay. All’altro stavano Vera ed Elwood Frain. Annie, il cui destino stava per essere deciso, non era nemmeno presente; Marie Neuberger non era ritenuta parte in causa e quindi non le era permesso di assistere.

Vera e Ned, di colpo avversari in giudizio, non si scambiarono neanche un’occhiata. Nell’atmosfera carica di tensione, si comportavano come se non si fossero mai conosciuti. Ned sembrava particolarmente colpito dal cambiamento e giocherellava nervoso con una penna nell’attesa, evitando di guardare verso il tavolo di Vera. Sebbene conoscesse Elwood Frain da molti anni non lo salutò.

La famiglia McKay stava dividendosi.

Brendel guardò Ned. «È pronto, Mr. McKay?»

«Sì, vostro onore.»

«Mr. Frain?»

«Pronto, vostro onore.»

«Mr. McKay», chiese Brendel, «è assistito da un legale?»

Ned si alzò lentamente. «Vostro onore», dichiarò, «ho scelto di rappresentare me stesso.»

Brendel lo sbirciò da sopra gli occhiali. «Conosce i rischi che corre?»

Ned si rendeva conto del pericolo di farsi coinvolgere emotivamente dal suo caso tanto da rimetterci le penne. Correva il rischio perché quella era la causa più importante della sua vita e non si fidava di nessun altro.

«Sì, li conosco.»

«Molto bene. Mr. McKay», proseguì il giudice, «l’istanza che lei mi pone davanti è quanto mai seria. Come sa, raramente un bambino è sottratto ai genitori e comunque solo dopo che siano addotte prove esaurienti a sostegno della richiesta.»

«Ne sono consapevole, vostro onore. Questa è una delle cause più penose che abbia mai dovuto intraprendere, ma i fatti parlano da sé.»

«Lei ha qualche prova che Mrs. McKay abbia effettivamente maltrattato la bambina?»

«Naturalmente no», rispose Ned. «Ama Annie. Ma ci sono altre cose. Mrs. McKay è sospettata di omicidio.»

«Solo sospettata», lo rimproverò Brendel.

«Certo. Ma è per l’assassinio del padre della bimba che la si accusa. Io temo che la piccola possa risentirne.»

«Vuole alludere al fatto che la signora potrebbe far del male a sua figlia?»

«No di certo, quando è in condizione di ragionare.»

«Ovviamente questa è solo un’ipotesi.»

«Sono d’accordo», disse Ned, «ma stiamo parlando della vita di una bambina. E io ne chiedo soltanto la custodia per la durata del processo. Se Mrs. McKay è assolta, tutto a posto. Le riconsegno Annie con enorme piacere. Se è condannata, però, mi rivolgerò immediatamente a questa corte per ulteriori decisioni.»

«Lei mi sta chiedendo di togliere una figlia alla madre in conseguenza di ciò che potrebbe verificarsi, anziché di ciò che si è verificato.»

«Sì, vostro onore. Ma prego vostro onore di ricordare che sono lo zio di Annie McKay. La piccola mi conosce da quando è nata. Sono sempre a casa sua.»

«Comunque, per la bambina sarebbe un trauma.»

«Non terribile. A casa con me si troverà benissimo.»

«Ha altre considerazioni da esporre?»

«Sì, vostro onore. Mrs. McKay ha affidato Annie alle cure di una certa dottoressa Marie Neuberger, una psicanalista dalla reputazione, diciamo, controversa. Ritengo che Annie abbia diritto a cure più adatte, specie nei momenti in cui soffre di continui stress psicologici.»

«A quanto mi risulta, la bambina sta bene», sottolineò Brendel.

«Forse», ribatté Ned. «Ma i precedenti della dottoressa Neuberger sono ben noti, così come le sue teorie. Il problema di quale danno possa arrecare è effettivo. Ha perso due cause per condotta professionale scorretta.»

«Ritiene, Mr. McKay, di poter essere obiettivo in questa sede? Dopotutto, è stato suo fratello a essere assassinato. Forse il suo interessamento verso la piccola è una reazione emotiva, comprensibile, naturalmente.»

«Sono sicuro di poter essere obiettivo, vostro onore. Sono avvocato e capisco le implicazioni del caso.»

«Può dimostrare di non nutrire nessun rancore verso Mrs. McKay?»

«Be’», rispose Ned, «veramente non posso provare quello che non esiste. Ma invito la corte a cercare le conferme che desidera da vicini e amici. Testimonieranno che ho sempre avuto eccellenti rapporti con mia cognata. Le voglio bene. Ma voglio bene anche ad Annie.»

«Mi risulta, però, che Mrs. McKay ha accusato lei di averle ucciso il marito. È vero?»

«In un momento di esasperazione, vostro onore.»

«Comunque è vero…»

«Sì, signore, ma non ho dato alla cosa il minimo peso.»

«Tuttavia potrebbe infuenzare la sua opinione su Mrs. McKay. O mi sbaglio?»

Ned esitò un attimo. Frain appariva compiaciuto. Da come l’udienza era andata avanti sino a quel momento, secondo lui, il giudice non sembrava condividere le argomentazioni di Ned. Frain si chinò verso Vera e le sussurrò all’orecchio: «Credo che il suo caro cognato sia in difficoltà». Lei rimase in silenzio.

«Vostro onore», ricominciò Ned, «il mio giudizio su Mrs. McKay è stato influenzato da molti fattori. Uno dei quali, posso ammetterlo, è la sua accusa. Cosa più che naturale. Altro fattore, i commenti fatti su di lei da donne della nostra comunità.»

«Da avvocato, Mr. McKay, lei dà peso alle chiacchiere?» gli chiese Brendel.

«Certamente no. Ma come zio, devo essere sensibile a tutto.»

Brendel continuò a porre stringenti domande a Ned, mostrando a volte la propria impazienza di fronte alla mancanza di prove precise e definite contro Vera. La legge ammetteva l’allontanamento di un bambino dai genitori solo se il bambino fosse stato effettivamente in pericolo e Brendel applicava la legge rigorosamente alla lettera. Quando ebbe finito con Ned, si rivolse a Frain.

«Mr. Frain, ha sentito le motivazioni di Mr. McKay. Suppongo che lei non sia d’accordo.»

Frain, tutt’altro che cerimonioso e cortese, scattò in piedi, come un giocattolo a molla, davanti al banco imponente. «Non sono d’accordo?» proruppe retoricamente. «Vostro onore, sono indignato per l’attacco, del tutto ingiustificato, verso Mrs. McKay. E sono sbalordito dal comportamento di un uomo che dovrebbe precipitarsi a difenderla, anziché bersagliarla con tutte quelle assurde calunnie.»

«Lei può garantire che la bimba non corre pericoli?» gli domandò Brendel.

«Certo che posso. È sintomatico, vostro onore, che nessuno di quelli che attaccano Mrs. McKay metta in dubbio la sua devozione per Annie.»

«Mr. McKay sottolinea che è sospettata di omicidio e che quindi non si può rischiare di affidarle una vita umana.»

«Questa è una violazione del nostro sistema legale», dichiarò Frain, la cui voce aspra sembrava tagliare l’aria. «Mrs. McKay verrà comunque assolta, ma fin da ora ha il diritto di essere considerata innocente.»

Brendel consultò alcuni appunti che aveva preso durante il discorso di Ned. «Che cosa può dirmi sulla qualità dell’assistenza medica attualmente riservata alla piccola?»

«Posso solo rilevare», rispose Frain, «che Mrs. McKay ha dovuto affrontare una malattia di Annie che le è stata quasi fatale. Ovviamente è una di quelle madri che ricorre soltanto ai migliori medici.» Lì Frain, da attore consumato, fece spallucce, come a minimizzare il punto successivo. «Ora, in merito alla dottoressa Neuberger, lei è una psicanalista. Come vostro onore sa bene, in base alla sua vasta esperienza, la psicanalisi è un campo in cui le valutazioni personali differiscono largamente. Una ciarlatana per alcuni è una dea per altri.»

«Concordo», disse Brendel.

«Obiezione!» gridò Ned, saltando in piedi.

Brendel ne fu sbalordito. Le obiezioni erano rare in procedimenti del genere. «Su che cosa verte la sua obiezione?» chiese.

«Contesto la sostanza generale delle affermazioni di Mr. Frain», esclamò Ned. «Sono del tutto irrilevanti.»

«Forse perché lei non riesce a capirle!» ribatté ferocemente Frain.

Brendel picchiò con il suo martelletto, cosa che di solito era costretto a fare solo per giovani indisciplinati. «Signori, vi richiamo all’ordine!»

I due tornarono a sedersi.

«Mi rendo conto», continuò Brendel, «della tensione che questo caso comporta, ma cercate di controllarvi. Mr. McKay, a lei la parola.»

Ned si alzò lentamente, parlando questa volta in tono più calmo. «Vostro onore», cominciò, «i punti da me sollevati sono fondati. Mrs. McKay è sotto accusa. In vita sua, non ha mai manifestato nessuna tendenza alla violenza, ma, se l’accusa è giusta, può avere ucciso suo marito, mio fratello. Ora ci viene detto che si è sempre dimostrata devota verso Annie. Ma si era sempre mostrata devota anche verso Harry. Che cosa prova tutta questa devozione?»

«La maternità è un’altra cosa!» lo interruppe Frain. «Mogli che uccidono i mariti ce ne sono a bizzeffe. Quante volte ha sentito di una madre che abbia ucciso sua figlia?»

Di nuovo Brendel picchiò con il martelletto. «All’ordine, Mr. Frain!»

«Chiedo scusa, vostro onore.»

Mr. Frain era soddisfatto. Maestro nelle interruzioni, sapeva di conseguire comunque un effetto dirompente prima di essere richiamato all’ordine. Di nuovo bisbigliò all’orecchio di Vera: «Questa volta credo di averlo in pugno. Non è ben preparato».

Ned proseguì, lamentando che il giudice non desse sufficiente peso ai trascorsi di Marie Neuberger e alla sua reputazione negativa presso l’ordine dei medici.

L’udienza si trascinò, durando in totale tre ore buone, di gran lunga più di quanto avessero pensato gli interessati. Vera, amareggiata per le allusioni maligne di Ned sulla sua idoneità come madre, si sforzò di mantenersi calma, ascoltando i continui suggerimenti che Frain le bisbigliava all’orecchio. Solo una volta le fu chiesto di parlare, quando Brendel le chiese se sarebbe stata psicologicamente in grado di avere cura di Annie durante il processo. «Sì», aveva risposto con sicurezza.

Il giudice Brendel, alla fine, si ritirò per riesaminare il verbale. Chiese alle due parti di ripresentarsi alla corte alle nove del mattino seguente.

All’ora fissata, Ned, Vera e Frain ripresero posto nella saletta. Brendel entrò, sedette al banco e aprì una cartelletta marrone. Scrutò le due parti. Era evidente che né Ned né Vera avevano chiuso occhio quella notte.

«Ho preso la mia decisione», annunciò Brendel.

Tutti i presenti si sporsero, ansiosi.

«Vagliate le prove, nell’applicazione delle norme di legge», continuò Brendel, «questa corte decide per Mr. McKay.»