129330.fb2 Visioni di terrore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 20

Visioni di terrore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 20

19

«È un circo», scrisse Larry Birch, osservando la scena fuori del tribunale della Contea di Westchester a White Plains. «La gente di questa fiorente e compiaciuta provincia sembra avere trovato lo spettacolo dell’anno. C’è chi lo paragona apertamente alla saga di Lizzie Borden.»

C’era un po’ di esagerazione, ma non troppo. Nell’edificio di mattoni a due piani del tribunale erano confluiti più giornalisti di quanti mai si fossero occupati in precedenza di un processo nella Contea. L’atmosfera era di festa, ricca di aspettativa. Alcuni dei giornalisti erano commentatori televisivi noti in tutta la nazione e avevano immediatamente attirato il loro circolo di ammiratori.

«Tu che cosa pronostichi?» chiese Birch a un collega del New York Post.

«Colpevole», rispose quello.

«Perché?»

«Aumenta la tiratura. Chi se ne frega di uno che viene assolto?»

La stessa domanda Birch la rivolse a un cronista televisivo.

«Colpevole», fu la risposta. «Non c’era nessun altro.»

La risposta turbò Birch, perché anche lui si era soffermato su quell’aspetto. Le giurie, lo sapeva bene, spesso condannano un accusato perché sembra essere il solo possibile assassino.

Birch continuò il suo sondaggio, attraverso una folla eterogenea di spettatori fra cui impiegati che utilizzavano l’intervallo per il caffè e massaie in giro a fare spese. La sensazione predominante era che Vera fosse colpevole, con un’ampia percentuale di persone che disapprovava si fosse rivolta a una psicanalista «ciarlatana» dell’West Side. Alcune donne affermavano che il fatto di avere tolto a Vera la figlia era la «prova» della sua colpevolezza.

Elwood Frain entrò in tribunale con Vera. L’avvocato era magnifico, in un abito su misura dal taglio impeccabile, con panciotto di satin e stivaletti grigi di camoscio. Vera indossava un modesto tailleur blu scuro con camicetta bianca e portava grossi occhiali scuri per nascondere gli occhi gonfi.

Tremont fece il suo ingresso qualche minuto più tardi, destando meno impressione di Frain, ma largamente favorito al totalizzatore. La sua dichiarazione alla stampa si limitò a esprimere la speranza che giustizia era fatta e a sottolineare che il popolo, a Westchester, «non può lasciare impunito il delitto». Si abbandonò anche alla riflessione, espressa a voce alta, sul tipo di donna che era capace di privare la propria figlia del padre. Le sue parole suonavano tanto più convincenti proprio perché lui credeva a quello che stava dicendo.

Birch entrò in aula per prendere posto nel settore riservato alla stampa. Si chiedeva quando avrebbe visto la prima dei testimoni segreti che avevano sparlato di Vera e che evidentemente erano l’arma principale nelle batterie di Tremont. Rimuginò sulla propria idea che quelle fossero in sostanza manovrate dall’esterno, come se facessero parte di una congiura. Sembrava un’ipotesi stiracchiata, e, comunque, assurda.

L’aula si riempì rapidamente fino a traboccare. L’anemico condizionatore d’aria era allo stremo e la temperatura sfiorava i ventisette gradi. Furono portati altri ventilatori per rinfrescare l’atmosfera rovente. Era come un processo dei vecchi tempi, quando la calura era più feroce del pubblico accusatore. Birch sapeva che il disagio rendeva più difficile la concentrazione dei giurati.

I colpi di martello echeggiarono sopra il brusio della folla, che li ignorò. Il martello risuonò ancora, e poi ancora, ma svogliato, diretto riflesso dell’uomo che sedeva al banco. Il giudice Melvin Watson era seccato e annoiato. Di lì a un anno sarebbe andato in pensione e si sarebbe dedicato a tempo pieno alla pesca. Era un uomo dall’aspetto mite, la cui pigrizia era leggendaria tra i giudici di Westchester. Gli avevano affidato il caso McKay perché non aveva altri impegni. Non aveva nessun particolare interesse al processo né tanto meno alle sue possibili conseguenze. Era un uomo, come una volta aveva scritto un cronista locale, che un giorno sarebbe morto senza lasciare nessuna traccia di sé.

«Silenzio in aula!» ordinò senza convinzione Watson. «Esigo silenzio.»

Alla fine la gente si calmò.

«Ha inizio il procedimento del Popolo contro Vera McKay», cominciò Watson. «So che al riguardo c’è stata parecchia pubblicità e che qualcuno si aspetta di assistere a un buono spettacolo. Io non organizzo spettacoli, quindi che ognuno si comporti doverosamente.»

La giuria era stata formata mediante una speciale selezione preprocessuale, un esperimento per accelerare la prassi, in modo che Watson poté passare direttamente alle dichiarazioni preliminari. «Ascolterò le eccezioni introduttive.»

Frain scattò in piedi. «Chiedo che l’accusa venga ritirata, vostro onore.»

«In base a che cosa?»

«In base al fatto che il procedimento, nei suoi termini, non ha ragione d’essere.»

«Respinto. Mr. Tremont, a lei.»

Tremont si alzò e avanzò lentamente verso la giuria, composta da otto donne e quattro uomini, tutti di mezza età. Si schiarì la voce e automaticamente si ravviò i capelli.

«Signore e signori della giuria», cominciò, «non è facile mandare una vicina in galera per tutto il resto della vita, ma non è neanche facile perdere un vicino per un brutale delitto. Il crimine merita la punizione e la punizione si adegua al crimine. Nei giorni che seguiranno dimostreremo che la donna che siede al tavolo della difesa, che asserisce di essere l’innocente spettatrice, la madre devota, la vedova affranta, è in realtà una cinica assassina che odiava il marito che l’amava tanto. Non fatevi fuorviare da appelli alla vostra compassione o pietà, perché costei non ha avuto compassione né pietà quando ha fracassato la testa di Harry McKay.»

Vera appariva composta, mascherando il tumulto interiore.

«È vostro dovere», proseguì Tremont, «fare in modo che giustizia sia fatta, che la società sia protetta. Tutti voi sapete che cosa accade quando i criminali sentono di poter sfuggire alla punizione. Lo vedete sulle strade di New York, ogni giorno. Fate in modo che non accada anche qui.»

Tremont aveva concluso e ritornò alla svelta al suo posto. La tirata era stata tipica di lui: incentrare l’accusa sui mali della società e predicare il collasso della legge e dell’ordine se non gli avessero dato retta. Larry Birch scrisse nei suoi appunti che Tremont sarebbe potuto benissimo essere un evangelista se fosse nato con una maggiore dose di fuoco e zolfo.

Prima di alzarsi Frain attese qualche attimo, sperando di creare attesa tra giornalisti e pubblico, ma più segnatamente tra i giurati. Finalmente si alzò in piedi, con un’espressione di esagerato stupore sul volto. «Signore e signori», iniziò, senza abbandonare il tavolo della difesa, «sono confuso.» Sorrise e sollevò le mani in un gesto di candore. «Io, nella dichiarazione preliminare del procuratore distrettuale, non ho sentito nominare nessuna prova contro la mia cliente. E voi?» Girò attorno lo sguardo, conscio che quel suo insolito esordio polarizzasse subito l’attenzione. «Non ho sentito nulla che mi indurrebbe a rinchiudere questa donna in un tetro e lurido carcere per il resto della sua vita. Qualcuno di voi ha sentito?»

Frain si allontanò leggermente dal suo tavolo, dando l’impressione di essere un ometto in minatura nell’immensa aula. «Amici miei», continuò, «stiamo parlando della vita di una donna, non di un’altra tacca sulla pistola del procuratore. Stiamo parlando di uno specifico, controverso dibattimento nella Contea di Westchester e non», guardò verso Tremont e sorrise beffardo, «del declino della civiltà occidentale. Non so neanche perché questa donna sia sottoposta a processo. Forse lo sa il procuratore distrettuale. Forse si degnerà di svelarvelo lui. Ma io so che lei è innocente. Amava suo marito, questo è un fatto. Oh, ci saranno le solite malelingue in giro a dire che non gli voleva bene. La bontà suscita sempre invidia, gelosia, persino odio.» Guardò intensamente i giurati. «Sapete bene come certe persone odino due coniugi felici.»

E quindi si sedette, bruscamente.

Watson fece un debole cenno verso Tremont. «Può chiamare i testimoni.»

Tremont si alzò di nuovo. Tradizionalmente, le testimonianze introduttive vertevano su argomenti di routine e tecnici: riassunto del crimine, relazioni di laboratorio, procedure di polizia. Ma Tremont aprì l’escussione dei testi d’accusa con una bomba.

«Chiamo Roberta Moran», annunciò a un’aula che subito ammutolì.

Tutti puntarono gli occhi su Vera, che restò sbalordita e si chinò verso Elwood Frain. «È la mia vicina di casa. A volte fa da baby-sitter ad Annie. Sua figlia gioca con la mia. È lei che ha telefonato a Ned la notte in cui Annie si è ammalata. Non riesco a crederci.» Provava l’impulso irrefrenabile di andare lei stessa a fronteggiare direttamente Roberta Moran.

«Ha mai avuto attriti con lei?» le chiese Frain.

«No.»

«A scuola, Annie è più brava di sua figlia?»

«Credo siano circa allo stesso livello.»

«Harry la conosceva?»

«Buongiorno, buonasera e basta.»

Frain si strinse nelle spalle. «Dovremo aspettare e sentire che cosa dice.»

Roberta Moran, con un aspetto più matronale del solito, si portò al banco, evitando accuratamente di guardare Vera. Il cancelliere le si accostò con aria svogliata. Lei posò la tozza mano sinistra sulla Bibbia.

«Giura solennemente di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?»

«Lo giuro», rispose la Moran.

«Si sieda.»

Tremont allora si avvicinò con passo scattante al banco dei testimoni. «Buon giorno, Mrs. Moran», disse.

«Buon giorno», rispose la donna, con una traccia di nervosismo nella voce.

«Per il verbale, vuole darci nome e cognome completi?»

«Roberta Harriet Moran.»

«È sposata?»

«Sì.»

«E abita due case più in là dell’accusata?»

«Esatto.»

«Da quanto tempo è vicina di casa di Vera McKay?»

«Quando abbiamo traslocato lì tre anni fa, i McKay ci abitavano già.»

«Capisco. Come definirebbe i suoi rapporti con Vera McKay?»

«Siamo amiche. Ci vediamo alcune volte la settimana.»

«Un buon rapporto?»

«Cordiale… in apparenza.»

Vera si irrigidì di colpo a quella nota stridente.

«In apparenza?» domandò Tremont.

«Be’, sa, Vera era così tesa l’anno scorso che mi sentivo a disagio per lei.»

«Come descriverebbe questa tensione, Mrs. Moran?»

La Moran guardò Vera con un’espressione compassionevole, ma lei distolse lo sguardo.

«Be’», replicò la Moran, «non è facile parlarne…»

«Ci provi», insisté Tremont.

«Va bene. Vera e Harry non andavano d’accordo, capisce? Fingevano sempre il contrario, ma lei veniva sempre da me a lamentarsi del marito.»

Vera restò a bocca aperta per la sorpresa e l’indignazione.

«Di che cosa si lamentava, esattamente?» la incalzò Tremont.

Frain esplose: «Obiezione, vostro onore! Argomentazioni del genere si identificano con il pettegolezzo!»

«Obiezione respinta», brontolò Watson. «Risponda alla domanda, Mrs. Moran.»

«Be’, Vera, a dir poco, trovava che Harry era noioso. Tutto lavoro, capisce, e quando si dedicava alla famiglia, così diceva lei, sembrava dedicarsi quasi esclusivamente ad Annie.»

«Questo è tutto?»

«Evidentemente Harry non aveva una grande opinione di Vera. Perlomeno lei la pensava così. Sa, i McKay sono gente importante a Tarrytown e Vera, be’, non è che si ammazzasse in casa. E credo che i suoi commenti a proposito di altri uomini non migliorassero la situazione.»

«Sia più precisa, per favore.»

«Vera ha gli occhi lunghi. Mi spiace ammetterlo, ma è così. Avevo l’impressione che Harry lo sapesse. A Vera piaceva un amico di lui che lavorava alla Camera di Commercio.»

«E non ha mai dato seguito a queste… simpatie?»

«Non lo so.»

«Mi dica, Mrs. Moran, Mrs. McKay ha mai accennato a un suo interesse a divorziare da Harry?»

«Del matrimonio era insoddisfatta.»

«Voleva il divorzio, allora…»

Frain saltò su di nuovo. «Obiezione, obiezione! L’accusa sta influenzando la teste!»

«Obiezione accolta», stabilì Watson. «Stia attento, Mr. Tremont.»

Tremont annuì, avendo già raggiunto lo scopo e si rivolse di nuovo a Roberta Moran. «Mrs. Moran, Mrs. McKay non ha mai manifestato interesse a risolvere i suoi problemi matrimoniali?»

«Oh, sì.»

«In che modo?»

«Parlava di lasciare Harry e di portarsi via Annie, ma lei non è tipo da decisioni ferree, capisce? Aveva paura.»

Vera stava ormai fissando apertamente la Moran, quasi non volesse credere ai suoi occhi. «È una menzogna dietro l’altra», sussurrò a Frain. «Non c’è una parola di vero.»

Frain, accorgendosi della sua crescente agitazione, le mise una mano sulle sue, per tranquillizzarla. «Verrà il nostro turno», la rassicurò. Continuava però a scrutarla, preoccupato che lei non riuscisse a mantenersi calma.

«Non è vero», bisbigliò Vera. «Perché Roberta sta comportandosi così?»

Tremont continuò a battere il ferro. «Mrs. Moran», chiese, «se Vera McKay aveva paura di lasciare Harry, che cosa voleva fare, allora?»

«Oh, diceva di volergli parlare chiaro una volta per sempre, ma non lo faceva mai. Lui era così grande e grosso che lei aveva sempre paura di essere picchiata.»

«Nient’altro?»

«Be’…»

«Vada avanti.»

«A volte si dicono certe cose senza averne l’intenzione.»

«Tutta la verità, Mrs. Moran.»

Roberta Moran sbirciò di sfuggita in direzione di Vera. «Una mattina», riferì con un sospiro e un’espressione virtuosa, «Vera è venuta da me dopo che le bambine erano andate a scuola. In quell’occasione mi ha detto, più decisa che mai, quanto odiasse Harry. Ha detto…»

«Sì?»

«Ha detto: ‘Come vorrei che ci fosse qualcuno che lo facesse fuori’.»

Putiferio in aula.

Giornalisti che abbandonavano l’aula precipitandosi a telefonare per riferire quella testimonianza schiacciante. Spettatori che rumoreggiavano.

Frain, livido, si alzò ancora una volta. «Obiezione, vostro onore! L’affermazione è irrilevante e ingannevole. Molta gente dice cose che non pensa, dettate solo da impulsi emotivi del momento. La giuria non dev’essere influenzata…»

«Obiezione respinta. Proceda, Mr. Tremont.»

«Vostro onore», dichiarò il procuratore distrettuale, «non ho altre domande.» Guardò Frain. «A lei la teste», disse e quindi ritornò, trionfante, al proprio posto.

Larry Birch osservò attentamente Frain, domandandosi in che modo il maestro avrebbe controbattuto l’offensiva sferrata da Tremont proprio all’apertura del dibattito. Lo stesso Birch era profondamente scettico su Roberta Moran, insospettito dal suo comportamento da robot programmato: gli sembrava imbeccata. Scrisse sul taccuino che «la teste iniziale sembrava troppo perfetta, troppo ideale per l’accusa per essere attendibile. Pare uscita da un film di Hollywood, o da una vecchia commedia».

L’attenzione si concentrò sul Elwood Frain che si era alzato lentamente e si avvicinava al banco dei testimoni. Per un attimo rimase muto, limitandosi a fissare negli occhi un’ansiosa Roberta Moran.

«Buon giorno, Mrs. Moran», le disse in tono cupo.

«Buon giorno.»

«Mi consenta di porle una domanda, signora», proseguì Frain, soppesando ogni parola. «Lei ritiene che una donna che voglia uccidere il proprio marito andrebbe in giro a raccontarlo a tutti?»

Tremont balzò in piedi. «Obiezione! La domanda è capziosa!»

«Obiezione accolta», concesse Watson.

Frain sospirò. «Ritiro la domanda. Con la teste ho finito.» Tornò al suo posto. La domanda, non inserita a verbale, non si sarebbe però cancellata dalla memoria dei giurati.

«Questo è tutto il suo controinterrogatorio della teste?» gli chiese Watson.

«Sì, vostro onore, per il momento», rispose Frain.

Watson fece spallucce e fece cenno a Tremont di chiamare il teste seguente. Tremont si alzò. «Chiamo Lily Singleton.»

Vera era senza parole.

«Chi è?» le domandò Frain.

«La presidentessa dell’Associazione genitori-insegnanti. Lavoriamo assieme. È sempre in contatto con me. Era al party di Annie, quando è uscita dalla clinica.»

«Ha litigato con quella?»

«Mai.»

«Ne è sicura?»

«Mai.»

«Ha qualcosa contro di lei?»

«Non credo.»

Lily Singleton raggiunse con deliberata rapidità il banco e prestò giuramento come se fosse roba di tutti i giorni. Era l’immagine di un’organizzazione, di un dinamismo, di un’efficienza incredibili. Il morbido, lucente completo pantaloni di velluto era fuori luogo nell’aula, ma lei non se ne curava. Era l’ultima moda di Westchester e tanto bastava.

«Le sue generalità, signora?» le chiese Tremont.

«Lily Susan Singleton», sillabò la voce autoritaria, quasi metallica.

«Indirizzo?»

«Quattro sedici River Lane, Tarrytown.»

«Posso chiederle il suo rapporto con l’accusata?»

«Oh, conosco Vera McKay da circa tre anni. Lavoriamo assieme nell’AGI, che presiedo da due anni consecutivi.»

«A suo merito», commentò Tremont. «Mrs. Singleton, come descriverebbe Vera McKay?»

«Vera è sempre stata una delle nostre migliori collaboratrici», rispose la Singleton. «È competente ed efficiente. Le è sempre piaciuto lavorare per la scuola, diceva che la distoglieva dai suoi problemi.»

«Quali problemi, Mrs. Singleton?»

«Quelli che aveva con Harry.»

Vera la fissò. «È una menzogna!» esplose, questa volta abbastanza forte da essere udita da tutti.

Watson picchiò con il suo martelletto per superare il mormorio nell’aula. «Silenzio», impose pigramente. «Mrs. McKay, si astenga dall’interrompere.»

Frain si alzò. «La convenuta deplora la sua esclamazione», disse. «Ma ha trovato… difficile riconoscere il vero in ciò che è stato detto.»

Altro brusio tra i presenti.

Tremont proseguì. «Desumo, quindi, Mrs. Singleton, che Mrs. McKay avesse seri problemi matrimoniali.»

«Seri è un eufemismo. Erano di dominio pubblico a Tarrytown. Certa gente era pronta a scommettere quanto e se quel matrimonio sarebbe durato.»

«Il motivo di questo?»

«Be’, santo Cielo, Vera non si lasciava sfuggire occasione per lamentarsi di Harry. Ricordo che appena prima che lui… sparisse, o che cos’altro fosse, stavamo preparando gli addobbi per un ballo dell’Associazione e Vera ha affermato di non avere nemmeno accennato ad Harry che ci sarebbe stato un ballo.»

«Le ho detto perché non glielo aveva accennato?»

«Ha sostenuto che voleva venirci da sola… per divertirsi davvero.»

La folla cominciò a mormorare, ma il brusio fu subito zittito dalla domanda successiva.

«Quell’affermazione, signora, l’ha colpita?» domandò Tremont.

«Be’», rispose Lily Singleton, «non è così che si fa a Tarrytown, o in generale dappertutto, in occasioni del genere.»

«Come si è comportata Mrs. McKay al ballo?»

«Benissimo, in realtà. La gente che ignorava i suoi veri sentimenti le ha chiesto perché Harry non fosse presente. Pensavano non stesse bene e che lei fosse venuta perché faceva parte dell’Associazione.»

«Che cos’ha spiegato Mrs. McKay a quella gente?»

«Che Harry stava bene, ma che era voluto restare a casa per vedere alla TV una partita di pallacanestro. Lo ha messo in cattiva luce e mi sono accorta che ne godeva.»

«Quella sera le ha parlato dei propri sentimenti verso Harry?»

«Oh, sì.»

«Che cosa le ha detto, Mrs. Singleton?»

«Be’, eravamo circa a metà della festa. Vera sembrava divertirsi molto. Si guardò intorno e mi disse: ‘Sarebbe tutto così se lui fosse morto’.»

Emozione e mormoni in aula e ancora una volta i cronisti volarono a telefonare in redazione l’ultima novità.

Frain era turbato dalla deposizione della Singleton perché la teste era così sicura di sé. Non sarebbe stato facile metterla in difficoltà. Si chinò verso Vera. «Lei ha mai detto niente di tutto ciò?»

«No», rispose lei.

«Dobbiamo scoprire il motivo per cui queste donne depongono così. E ci sarà ben altro, mi creda.»

«Sono tutte d’accordo», commentò Vera con amarezza.

«Già, ma provi a dimostrarlo. Dovremmo riuscire a svelare che esiste una congiura.»

Vedendo che Frain la scrutava intensamente Vera capì quello che lui stava pensando. Dubitava di lei. Come ogni avvocato, anche Frain talvolta era stato ingannato dai clienti. Un’eventualità che gli faceva paura, che lo umiliava.

L’emozione in aula si placò quando il giudice Watson, consultando l’orologio in previsione dell’intervallo di colazione, picchiò con il martelletto. Dal momento che Tremont aveva praticato una così larga breccia nel fronte avversario, tutti si aspettavano che avesse concluso le sue domande e avrebbe passato la teste a Frain. Ma il procuratore distrettuale aveva da fare un’altra domanda.

«Mrs. Singleton, qualcuno potrebbe dire che il commento di Mrs. McKay era estemporaneo e insignificante. È accaduto qualcosa quella sera, o in qualche altra occasione, che le facesse pensare non fosse tale?»

Lily Singleton si mosse a disagio sulla sedia di legno. «Be’… sì», rispose.

«Ci dica, allora.»

«Più tardi, quella sera, Vera mi ha detto che si augurava che Harry morisse. Io l’ho presa sul ridere e le ho risposto che, sicuramente, non parlava sul serio, che in quel momento era arrabbiata con il marito. Ma lei ha ribattuto, e me lo ricordo esattamente: ‘Vedrai’. Nient’altro. Solo: ‘Vedrai’.»

Tremont si girò verso Frain. «A lei la teste, avvocato.»

«Nessuna domanda», dichiarò Frain. Riteneva inutile tentare di smantellare una deposizione basata su riferimenti precisi, per quanto scettico fosse sulla loro veridicità.

Watson, sollevato, poté pestare con il suo martelletto. «La seduta è aggiornata alle ore quattordici di questo pomeriggio.»

Pubblico e giornalisti si alzarono, stiracchiandosi, dando inizio agli interminabili commenti che sarebbero andati avanti anche ben oltre l’emissione del verdetto. Frain era seriamente preoccupato. Il fronte d’attacco di Tremont era chiaramente bene orchestrato e Frain sapeva che nei processi, come in guerra, il risultato era uno solo quando il numero era schiacciante su ogni altra cosa. E il pericolo era anche maggiore in una piccola città come Tarrytown.

Mentre l’aula si stava svuotando, ci fu un’improvvisa confusione sul fondo. Giornalisti e fotografi, costretti fuori durante la seduta, si piazzavano in posizione, a spese degli spettatori.

Era arrivato Ned McKay, tutto tirato a lucido, ma cupo in volto.

«Mr. McKay», gli chiese uno dei giornalisti, «perché non è venuto quando il processo è cominciato?»

«Ritenevo che la mia presenza potesse risultare inopportuna nella fase iniziale e ho voluto evitarlo. Ho deciso di venire durante l’intervallo, per poi restare un po’.»

«Ha saputo delle deposizioni delle testi?»

Ned sospirò e scosse la testa, sconfortato. «Sì», rispose con evidente tristezza. «Ho ascoltato la radio.»

«Che cosa ne pensa?»

Ned si strinse nelle spalle. «Che cosa posso dire? Che cosa si può dire? Sento cose cui non riesco a credere.»

Proprio in quel momento Vera e Frain lasciavano l’aula da una porta lì vicina. Alcuni cronisti si staccarono da Ned per intervistare i due, ma quasi tutti gli altri non si mossero, affascinati da un possibile incontro tra gli ormai nemici McKay. Un giornalista, anzi, tentò addirittura di spingere Vera, che si era fermata e fissava Ned. Frain tentò di trascinarla via, ma lei resisté. Era quello, dopotutto, l’uomo che aveva Annie e che, se lei fosse stata condannata, avrebbe potuto tenersela per sempre.

Le telecamere si accesero, in agguato. I giornalisti pregavano per un incontro-scontro, ma furono delusi. Vera, consigliata da Frain, che le sussurrava all’orecchio i pericoli di eventuali battute, di cui poi si sarebbe pentita, girò le spalle e si allontanò.

Allora si fece avanti Birch. «Ehi, Mr. McKay!» gridò. «Dov’è Annie?»

Ned McKay sorrise. «È a casa mia… con un’infermiera, naturalmente, una vecchia amica di famiglia. Non l’affiderei mai a nessun altro.»

«Non crede», domandò Birch, «che nel primo giorno del processo a sua madre lei dovrebbe essere con la bambina, cercando di renderle meno dura la cosa?»

Una tensione vorace immobilizzò l’orda dei giornalisti. Ned si accigliò e di colpo parve sulla difensiva. Maledisse tra sé quella domanda. «Sono stato con Annie questa mattina», rispose. «E naturalmente tornerò da lei non appena la seduta di questo pomeriggio si sarà conclusa. Oggi non vado in studio. Voglio stare con lei stasera. Amo moltissimo mia nipote.»