142413.fb2 Amore 14 - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 17

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"No. Mi dispiace. 20,40. Ha pagato in contanti."

"Grazie lo stesso."

Esco dalla Feltrinelli affranta. Niente. Non ho più possibilità, Massi non lo rivedrò mai più. Ma non sapevo quanto mi stavo sbagliando.

Prendo l'autobus e tutto mi appare più triste, meno colorato, quasi in bianco e nero. C'è poca gente e tutti mi sembrano appannati, neanche una coppia, uno che rida, uno che ascolti un po'"di musica, che tenga il tempo muovendo la testa. Non c'è niente da fare, quando svanisce un sogno anche la realtà sembra più brutta. Ehi... Però! Questa me la devo segnare sul diario delle mie citazioni. In verità non ce l'ho ancora, però me lo vorrei tanto prendere! Ho raccolto sì qualche mia citazione ma le ho scritte sul diario di scuola e sul telefonino che quei due mi hanno rubato.

Mi viene in mente all'improvviso la mail che mi ha scritto ieri Clod. Sta leggendo un libro di Giovanni Allevi, che tra parentesi a lei piace un casino non tanto per come suona ma per come è, si intitola La musica in testa. Mi ha copiato una cosa che mi sembra fortissima e che ci sta troppo bene adesso: "Quando insegui un sogno nella tua strada incontri tantissimi segnali che ti indicano la direzione, ma se hai paura non li vedi". Ecco. Non li vedi. Piuttosto, mi guardo sospettosa dietro le spalle. Non è che mi fanno fare la stessa fine anche a quello che mi ha regalato Alis? E così, tanto per stare più sicura, lo sposto dalla tasca dietro a quella davanti. Ah bene, mi sento un po'"più sollevata. Com'era quella frase che avevo sul telefonino? Sì, perché poi a essere sincera era una sola. Sì, me la ricordo: "Non c'è niente di più bello di una cosa iniziata per caso e finita bene!".

Mi piace un sacco e non so perché mi fa pensare di nuovo a Massi e a tutto quello che sarebbe potuto essere e... Ehi, ma questa è la mia fermata ! Suono appena in tempo il campanello della prenotazione fermata e l'autobus frena bruscamente. L'autista mi guarda sempre nello stesso specchietto e poi scuote la testa. Una signora un po'"cicciotta non riesce ad afferrare in tempo l'asta di ferro e precipita tra le braccia di un anziano signore. Ma lui non si arrabbia. Anzi, sorride. La signora si scusa in tutti i modi possibili. E lui continua a sorridere.

"Ma non c'è problema. Non mi sono fatto niente." Intanto io scendo e alla fine sorrido anch'io. Chissà magari questa mia distrazione ha cambiato il destino di qualcuno.

L'autobus riparte, mi passa davanti mentre cammino. Vedo lui e lei, l'anziano signore e la signora cicciotta, che chiacchierano ridendo. Magari ho creato una nuova coppia. Forse non lo sapremo mai, ma a volte siamo proprio noi a far capitare qualcosa nella vita degli altri. A volte volendolo, a volte no. Arrivo sotto casa e improvvisamente li vedo tutti lì, come sempre. Come allora. Le ragazze sedute sul muretto, i ragazzi che giocano a pallone. Corrono nel cortile sudati e appassionati con delle porte improvvisate che prendono spunto da un garage dalla serranda arrugginita e dall'altra parte il palo è una pompa verde dell'acqua, un po'"ingiallita dal sole, e subito dopo, qualche metro più in là, dei giubbotti buttati per terra. I ragazzi del cortile. Corrono, gridano, urlano il loro nome.

"Vai retta, vai Fabio! Passala, dai! Fabio, Ricky, vai Stone, vai." Si passano un pallone mezzo sgonfio, ormai scuro, segnato dai tanti calci. E corrono. Corrono sotto l'ultimo sole, sudati da quel pomeriggio di gioco, con ai piedi degli scarpini fasulli, dei vecchi mocassini da festa ormai rigati da quelle pietruzze dell'asfalto impreciso. E poi loro, le tifose del cortile. Anto, Simo, Lucia, Adele. Una lecca un ChupaChups, un'altra sfoglia annoiata un vecchio "Cioè", lo riconosco. È di almeno due mesi fa. C'era dentro il poster di Zac Efron. L'altra cerca disperatamente sul suo iPod, che poi in realtà è un vecchio Mp3, chissà quale canzone. Mi vedono. Adele mi saluta.

"Ciao Cà."

Anto alza la testa e fa un segno con il mento, Simo mi sorride. Lucia continua a leccare il ChupaChups e abbozza un "Ao..." che dovrebbe essere ciao, se non fosse che vuole ingrassare per forza.

E si rimettono a guardare quell'improbabile partita. E io le saluto tutte come al solito con il mio mitico "Ciauuu! " e scappo via. Entro di corsa nel portone e chiamo l'ascensore. Ma siccome non mi va di aspettare, salgo le scale di corsa, i gradini a due a due. E passando li vedo attraverso il vetro del pianerottolo. Riccardo corre come un pazzo. Ha la palla ai piedi. E non la passa. Bretta è lì, al so fianco, gli corre vicino, lo segue. Stanno in squadra insieme.

"Dai passala! Passala!" Ma Fabio, che gioca contro, è più veloce e gliela ruba e parte verso l'altra porta insieme a Stone. E Bretta si arrabbia, si gira e corre pure lui verso la sua porta.

""Ti avevo detto di passarla, te lo avevo detto!" Troppo tardi. Stone e Fabio fanno goal con una pallonata forte sulla saracinesca del garage arrugginito che rimbomba fino su per le scale. Ricky rimane in mezzo al cortile con le braccia sui fianchi. Fa un respiro lungo per riprendere fiato. Poi con la mano si porta indietro i capelli. Sono sudati, lunghi come sempre. Bretta passa lì vicino arrabbiato e da un calcio a una molletta rotta caduta da chissà quale stendino.

"Siamo tre a zero per loro..."

"E capirai! Ora li rimontiamo."

"Seee, va bè..."

Poi Ricky guarda in su, in direzione delle scale. E mi vede. I nostri sguardi si incrociano. Mi sorride. E io un po'"arrossisco e scappo via. Corro veloce su per le scale e in un attimo sono di nuovo lì. Allora. Tre anni prima. Io avevo undici anni, lui tredici. Ero innamoratissima di Riccardo. Di quell'amore che non sai bene cosa significa, che non sai dove inizia ne dove finisce. Ti piace vederlo, incontrarlo, parlarci, ti sta simpatico e dopo un po'"che non lo vedi ti manca. Insomma quell'amore lì che è di un bello... perché è assurdo. E" amore allo stato puro. Senza l'ombra di un pensiero, solo felicità e sorrisi. E voglia di fare regali, come quelli che desideri ricevere tu dai tuoi genitori e che a volte però loro non ti fanno perché in quel caso non è compito loro.

14 febbraio. San Valentino. È stata la mia prima volta. Il mio primo regalo a un uomo. Un uomo... un ragazzo! Un ragazzo... un bambino. Mi fermo qui và, perché dopo quello che ho scoperto su di lui, non so più quale parola dovrei usare.

Drin.

"Carolina vai tu ad aprire che io ho le mani sporche, sto cucinando..."

"Sì mamma.

"Prima di aprire chiedi chi è! "

Alzo gli occhi al cielo. Ma ti pare che mi dice sempre le stesse cose!

"Hai capito?"

"Sì mamma." Mi avvicino alla porta. "Chi è?"

"Riccardo." Apro e me lo trovo di fronte con i suoi capelli lunghi, così lunghi... ma pettinato. Con una camicia di jeans leggera, in tinta con i suoi occhi blu, un sorriso felice, per niente imbarazzato che poi finisce per sottolineare quello che ha tra le mani.

"Tieni, ti ho portato questo."

"Grazie." Rimango lì sulla porta. Poi prendo quel pacchetto e lo giro, lo guardo meglio. E una piccola panchina di ferro con due cuori seduti sopra. Sono di stoffa rossa, un cuore ha le trecce, l'altro i capelli neri.

"Siamo noi due..." Sorride Ricky. "E lì sotto ci sono dei cioccolatini."

"Tieni," glielo ridò, "aspetta, aprilo tu. Io vado un attimo dentro."

E torno poco dopo, proprio quando è riuscito a togliere il nastro e tirar via la carta trasparente e finalmente prende un cioccolatino dalla scatola e lo guarda per vedere di che sapore è. Ma io sono più veloce. Non se lo aspetta.

"Tieni." Gli do anch'io un pacchetto, Ricky lo guarda confuso, se lo rigira tra le mani.

"È per me?" E certo, vorrei dirgli. E per chi se no? Ma sorrido e faccio solo sì con la testa. E lui è felice e scarta veloce il suo pacchetto. E se lo ritrova così tra le mani. Un cappellino. "Che bello. Blu come piace a me. L'hai fatto tu?"

"Ma che! " rido. "Le iniziali, sì! " E gliele faccio notare sul bordo: R e G. Ricky Giacomelli. Ma in realtà mento. E chi le sa fare! Cucire? Se solo prendo un ago mi buco. Peggio delle rose del giardino. Però ho dovuto mettere a posto la cucina non so quante volte per avere poi il coraggio di chiedere a mia madre di fare quelle iniziali sul cappellino. E non era tanto per la cucina da mettere a posto, quanto per le domande che già sapevo che ci sarebbero state su quelle iniziali. E per chi sono? Come mai glielo regali? E cosa avete fatto? E cosa abbiamo fatto, mamma! Ma saranno pure affari nostri. Anche perché non c'è niente di peggio che non avere il coraggio di ammettere neanche con se stessi che non sai proprio cosa fare... Non ti immagini assolutamente nulla.

Ricky se lo mette.

"Come ci sto?"

"Benissimo" sorrido e rimaniamo così sulla porta a guardarci. Poi Ricky prende un cioccolatino.

"Ti piace fondente?"

"Sì, molto." E me lo passa. Lui lo prende al gianduia. Li scartiamo insieme, guardandoci, sorridendo, appallottolando le carte stagnole dorate. Poi lui mi prende la mia dalle mani e la mette intorno alla sua, facendo così una palla dorata più grande, la lascia cadere nel vuoto e la colpisce al volo con un calcio, gli fa fare un arco e la fa volare fuori da una finestra aperta sulle scale.

"Ehh... goal." Fa lo spiritoso e alza tutte e due le mani al cielo. E io batto le mani divertita. "Bravo! Forte!" Ma poi tutto rientra nel silenzio delle scale. In quel pomeriggio invernale, a un passo da quella pioggia sottile che cade un po'"più in là, dov'è finito quel piccolo pallone da calcio improvvisato. E così rimaniamo in silenzio a guardarci. Ricky si leva il cappellino. Ci gioca tra le mani, ora leggermente imbarazzato. Guarda giù, guarda le sue mani, poi di nuovo i miei occhi. Così faccio io. Poi improvvisamente Ricky si avvicina, la sua testa ondeggia verso di me... Come se... Come se... Sì, mi vuole baciare. E io verso di lui. Proprio oggi, il primo bacio, San Valentino, la festa...

"Che carini! I due innamorati che si stanno per baciare! "

Mia sorella, che idiota!

"Ci stavamo solo salutando!"

"Sì, sì... salutatevi presto allora perché di là ha detto mamma che è pronto."

Poi per fortuna se ne va.

Ci guardiamo solo un attimo, imbarazzati. Poi Ricky cerca di risolvere la situazione. "Vieni stasera?"

"Dove?"

"A casa di Bretta, fa la festa."

"Ah sì, è vero! Me ne ero completamente dimenticata! " E rimaniamo così sulla porta. Guardandoci in silenzio. "A tavola!" Ripassa mia sorella. E ride. Giuro che la odio. "Bè, ciao. Ci vediamo stasera" e chiudo la porta. Ricky corre su di corsa felice, si infila il cappellin. E sorride. Stasera la rivedo. Ma non parlava di me! Parlava di Rossana. E sapete chi è? La mamma di Bretta. Già perché questo l'ho scoperto solo la sera della festa. E mi ha fatto crollare il mondo. Una delusione incredibile. Poi ho capito che il mondo dei maschi non può crollare. E" fatto così.