143382.fb2 Scusa ma ti chiamo amore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 126

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"Ok." Alessandro mette in moto e parte. Corso Italia, cinema Europa. Salaria. Poi Niki si mette a ridere. "Soprattutto vorrei vedere come s'illumineranno gli occhi di mio padre quando lo verrà a sapere!"

Alessandro si ricorda di quell'uomo elegante, alto, frettoloso e soprattutto... muscoloso. E per un attimo vorrebbe avere un rapporto diverso con quella famiglia. Ecco, magari aver fatto un altro tipo di incidente. Cioè di quello stesso tipo ma non con Niki. Insomma se gli toccasse mai oltrepassare di nuovo quella porta, vorrebbe essere sul serio quel promotore finanziario.

"Ecco, fermati qui! Ci sentiamo dopo?"

"Certo!"

"Mi penserai mentre lavori?"

"Certo."

"Sì, ma mi rispondi sempre certo. Vai in automatico! Non mi stai neanche a sentire, secondo me. E non mi rispondere certo!"

"Certo... che non rispondo certo. E dai, sto scherzando Niki! È che ho un po di pensieri."

Niki si avvicina e lo bacia morbida sulle labbra. Poi gli poggia le mani sulle tempie come a impedirgli di guardarsi intorno. "Ci sarà un giorno che verrò prima dei giapponesi e di tutti quegli altri?"

Alessandro le sorride. "Certissimo!"

"Ok. Allora cullandomi in questa vana speranza, ti lascio andare."

IL

Alessandro le sorride, riparte e la saluta prima di una curva con la mano fuori dal finestrino, allontanandosi. La vede farsi più piccola nello specchietto. Guarda l'orologio. Sono quasi le tre e mezza. Giusto in tempo per arrivare puntuali a quell'appuntamento. E finalmente capire. Sempre che ci sia sul serio qualcosa da capire.

Ottanta

Case, caseggiati, muri rovinati, un pezzo d'acquedotto crollato e poi una grande distesa di verde. Una grotta in alto tra quegli alberi del colle. E ancora muri, qualche manifesto staccato, una scritta imprecisa. E di nuovo verde, verde, verde. E una macchina scassata, un pezzo di discarica e nulla più. Nulla più. Mauro accelera come può col motorino e continua a correre senza occhiali. Senza casco. Senza nulla. Piccole lacrime al vento e occhi arrossati. E il gas a manetta cercando di lasciare alle spalle quella giornata. Quanti ragazzi c'erano a quel provino? Mille, duemila? Boh. Non finivano mai. Non finivano più. Un'intera giornata, dalla mattina alla sera, fino alle nove. Mauro guarda l'orologio. No, fino alle nove e un quarto. Solo una bottiglietta d'acqua e un tramezzino confezionato al prosciutto cotto e carciofi, di quelli in busta delle macchinette. C'era poca scelta d'altronde: o quello o quei dolci che fanno venire ancora più sete. Poi fermi. Tutti fermi su quelle panche dure ad aspettare il proprio numero. Un numero. Siamo solo un numero. Il grande Vasco diceva "Siamo solo noi". Ma noi chi? In quella sala c'era uno che girava con una camera digitale e riprendeva. M'hanno fatto entrare, poi una domanda e via. Ma che capisci da una domanda? "Grazie, va bene, le faremo sapere. La chiamiamo noi." Mi chiamano loro. E ora? Ora nulla, a casa, vicino al cellulare a controllarlo di continuo. Gli ho lasciato tutti e due i miei numeri. Almeno, se trovano occupato a casa, c'è l'altro. La scorsa settimana ho aspettato un

giorno intero a casa e poi? Poi niente. Sarà sempre così la mia vita? Posso diventare famoso. È un diritto di tutti. L'hanno detto anche l'altra sera in tv, a quel talk. Hanno fatto vedere un vecchio pezzo di film. "Ognuno di noi ha diritto al proprio quarto d'ora di celebrità..." Lo diceva quel tizio biondo finto, basso, americano, quello che dipingeva le facce tutte uguali, come a Marilyn. Come si chiamava, Andy qualcosa... Insomma quello lì. E io? Io ho fatto il provino del Grande Fratello e di tutti quegli altri reality che stanno partendo. Uno m'ha anche chiesto centocinquanta euro per girarmi uno showreel, scioril, così ha detto, un filmato che fa vedere le mie qualità. Così lui lo fa circolare e io mi risparmio un sacco di giri. Seee. Come no. Troppo ci credo.

Mauro fa una curva stretta e imbocca la strada per casa sua. Si piega troppo. Il motorino sbanda un po ma lui veloce porta il peso dall'altro lato e leva il piede sinistro, pronto a poggiarlo per terra, nell'eventualità di cadere. Ma il Kymco si stabilizza e vola via così. Verso casa sua. Tranquillo. Fa il salitone. Qualche cassonetto aperto. Un po d'immondizia per terra. Un vecchio scaldabagno. La sua marmitta echeggia in quella strada solitaria. Mauro guarda a destra. Quella piccola fuga laterale, quel campo abbandonato. Sorride. Quante volte abbiamo giocato con gli amici del quartiere in quel campetto. Qualche volta sono stato lì con la macchina di papa, una sosta dovuta, prima di riportare Paola a casa. Paola. Si ricorda qualche momento in quella macchina. La musica nello stereo. Il caldo della notte. I sedili scomodi che cigolano sempre. I piedi sul cruscotto. I vetri appan\nati. Il sapore del sesso. Unico. Splendido. Irripetibile. Più tardi

fquei finestrini abbassati per prendere un po d'aria. Un filo di

fumo che esce. Sorrisi nella penombra. E quel profumo ancora di lei, di tutta lei, addosso. Paola. Oggi non mi ha chiamato. E, quando ho provato io, era staccato. Forse non prendeva. Alza il sopracciglio non trovando risposta. Fa un'ultima curva. Ormai è arrivato. E, quando la vede, sorride. Ecco Paola. Anche lei sorride. Alza il mento da lontano. Mauro la guarda mentre si avvicina. Cerca ancora quel sorriso. Ma non c'è più. Non c'è già più.

Ottantuno

La Mercedes mi è ferma, posteggiata al lato della strada, sotto un vecchio lampione grigio, scrostato dal tempo, come molto di ciò che lo circonda. Alessandro attraversa la strada. Un cassonetto bruciato poggia, indeciso e traballante, su una delle due ruote rimaste. Un gatto beige chiaro, un po spelacchiato, rovista tra buste mezze aperte, improvvisamente esplose, piene di spazzatura sparsa, lasciate malamente per terra. Qualche condomino che si credeva un buon pivot deve averle lanciate dal terrazzo, cercando di far centro in quel cassonetto. Niente da fare. Lo ha mancato. Ma la sua partita era comunque già persa.

Alessandro prende l'ascensore. Terzo piano. Il vetro smerigliato con la scritta "Tony Costa" non è stato cambiato. È ancora rotto. Alessandro suona.

"Avanti."

Apre lentamente la porta che cigola. Come la prima volta, lo accoglie un ambiente caldo ma un po antico. Tappeti lisi, una pianta ingiallita. La segretaria stavolta è seduta alla scrivania. Alza gli occhi un istante. Poi riprende a limarsi le unghie. Tony Costa gli viene incontro.

"Buonasera, Belli. La stavo aspettando. Si accomodi. Vuole un caffè?"

"No, grazie. L'ho appena preso."

"Be, anch'io, ma me ne voglio concedere un altro. Adele, ci pensi tu?"

La segretaria sbuffa un po. Poi lascia cadere la Umetta sul

t

tavolo. Si alza, scompare dietro la porta e va a prepararlo. Alessandro si guarda in giro. Non è cambiato nulla. Forse solo quel quadro. Un grande olio, vivace. È celeste, e giallo e arancione. È una donna sulla spiaggia. I vestiti ballano al vento, mentre lei tiene con le mani un largo cappello bianco. Così colorato sembra anche fuori posto in quel grigiore.

"Allora, Belli, come sta?"

"Bene, tutto bene."

Tony Costa si appoggia allo schienale. "Mi fa piacere. È pronto?"

"Certo." Alessandro sorride. Poi si preoccupa. Senza volerlo sta usando quel "certo" anche per lui. Che ci sia un'attinenza logica? Poi preferisce smettere di pensarci. Prende dalla tasca dei soldi. "Ecco qua i rimanenti millecinquecento euro."

"Ma io non dicevo se è pronto a pagare. Dicevo se è pronto... se è ancora convinto di voler sapere."

"Sì, il mio amico è ancora di questa intenzione."

Tony Costa sorride. Poi appoggia tutt'e due le mani sul tavolo aiutandosi così ad alzarsi dalla poltrona. "Bene." Si gira e apre uno schedario. Tira fuori una cartelletta celeste. C'è scritto "Pratica Belli". La poggia davanti ad Alessandro. Si siede di nuovo. "Eccoci qua." Arriva la segretaria col caffè.

"Grazie, Adele."

"Prego" e torna alla sua Umetta per le unghie.

Tony Costa apre la cartelletta.

"Allora, ecco qua, su questo foglio ci sono tutte le uscite, i giorni di pedinamento, i tragitti... vede, per esempio. aprile. Via dei Parioli. Alimentari. Ore ,. Quando vicino c'è un bollino celeste vuoi dire che c'è anche una foto. E sono tutte contrassegnate da un numero. Questa per esempio è la numero..." Tony Costa allunga il collo per leggere meglio, "sedici. Quindi in quest'altra busta c'è la foto corrispondente che documenta quella via, in quel giorno e a quell'ora."

Alessandro guarda compiaciuto la precisione di quel lavoro. Perfetto. Chiaro. Impossibile sbagliarsi. Quello che uno vuole sapere, non lo può più non sapere.

"Tenga, questi sono i suoi soldi."

Tony Costa li prende in mano. Li guarda un attimo. Infine li mette in un cassetto.

"Non li conta?"

"Non ce n'è bisogno. Nel nostro lavoro la fiducia di chi decide di affidarci i suoi segreti va ricambiata. Ecco, allora, queste sono tutte le foto. Vede..." le apre e le sparpaglia sul tavolo. Alessandro non crede ai suoi occhi. Sembrano delle carte per una partita. Chissà, forse era meglio non sedersi a quel tavolo. Questa è una di quelle partite da non giocare. Quelle carte poi hanno un'unica figura. Camilla. Camilla che cammina. Camilla che fa la spesa. Camilla che entra dal parrucchiere. Camilla in auto. Camilla che entra nel portone di casa.

"Come vede, Belli, è un lavoro durato un mese. E questi sono i primi risultati."

Alessandro le guarda tutte. Camilla è sempre da sola o tutt'al più con qualche amica. In due o tre foto è perfino con Enrico. Ma non nulla di pericoloso, di compromettente o fuori dalla norma.

Fa un sospiro profondo, di sollievo. "Be, stando a queste, allora, non c'è nessun problema."

Tony Costa sorride, raccoglie tutte le foto e le rimette nella busta. "Questo era per farle vedere che ho lavorato seriamente. I soldi che mi ha dato non li ho rubati." Poi si alza. Apre nuovamente lo schedario. "Poi c'è questa qui." Tony Costa poggia un'altra cartella sul tavolo. È rossa. Alessandro la guarda. Sopra c'è scritto solo "Belli". Tony Costa si siede. Mette la mano sopra la cartella e lo guarda.