143382.fb2 Scusa ma ti chiamo amore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 127

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"Qui dentro ci sono altri fogli, altri giorni, altri tragitti. E magari ci sono altre foto, questa volta con un bollino rosso." Si appoggia allo schienale della poltrona. "O forse non c'è assolutamente nulla..."|

Poi lentamente spinge quella cartellina rossa verso Alessandro. "Prego, la prenda, deciderà lei... o meglio, il suo amico... cosa vuole sapere."

Alessandro prende tutte e due le cartelline, se le mette sotto il braccio e si alza.

"Grazie, signor Costa, è stato molto gentile."

"Prego, l'accompagno." Tony Costa lo precede. Gli apre la porta dell'ufficio e va verso l'ascensore. Spinge il pulsante chia mandolo.

"Mi scusi, Belli, se c'ho messo un po più tempo del previsto."

"Ma non c'è problema. Ce ne sarà stato bisogno, no?" e indica le cartelline.

"No, è che abbiamo avuto una piccola crisi..." indica Adele, all'interno dell'ufficio, seduta alla scrivania ancora appresso alle sue unghie. Tony Costa si tira dietro la porta del l'ufficio senza chiuderla, poi si avvicina ad Alessandro. "Dice che lavoro troppo, che non ci concediamo mai nulla. Allora siamo stati una settimana in Brasile. Ha visto che siamo un po abbronzati..."

Non troppo, in verità, pensa Alessandro. Certo però che andarsene in Brasile con la segretaria... non è male fare l'inve stigatore.

"Ha visto quel quadro nuovo in ufficio? L'abbiamo preso a Bahia del Sol!"

"Bello... Sono le baiane, giusto? Laggiù le donne si vestono in quel modo."

"Sì" Tony Costa sorride, "ci si è voluta vestire anche Adele. Ci siamo proprio divertiti. In fondo è un po quel viaggio di nozze che non ci siamo potuti permettere vent'anni fa."

Arriva l'ascensore e si aprono le porte. Tony Costa da la mano ad Alessandro.

"Siamo sposati da tanto e questa è la nostra prima crisi... Ma l'abbiamo superata."

"Bene. Mi fa piacere."

Tony Costa gli sorride.

"Sa, Belli, sono anni che faccio questo lavoro e ne ho viste tante... tantissime. E alla fine ho capito solo una cosa. Quando s'incontra una donna che vale... non vale più la pena di perdere altro tempo."

Lo guarda negli occhi e gli stringe forte la mano. Poi alza il mento indicando le cartelline. "Glielo dica al suo amico."

Ottantadue

Paola mastica la gomma. Seni grandi, senza bisogno d'essere gonfiati. Alta. Forse un po troppo trucco. Forse. Ma Mauro sembra non farci caso. È proprio bella. Ferma il motorino e scende.

"A Pà, che bella sorpresa!"

"Ti devo parlare."

E non c'è più neanche l'ombra di quel sorriso. È fuggito via, come uno di quei corvi fastidiosi e pesanti, quasi storditi per aver mangiato chissà cosa e a caso. Quei corvi che vedi spiccare improvvisamente un volo, fuggire via da qualche ramo di un albero senza neanche un perché.

Mauro la guarda. Paola abbassa gli occhi. E non c'è altro da capire. Quello sguardo abbassato dice tutto. Più di mille parole. Quel silenzio, poi. È come un grido. Mauro le mette una mano sotto il mento, lo solleva un po. "Dimmi, Paola, che c'è?"

Lei resta in silenzio. Gira la testa. Si libera da quella mano. Non ce la fa. Non ha il coraggio di incontrare di nuovo quegli occhi. Poi Paola decide di liberarsi da quel peso. E rialza lo sguardo. Incontra quello di Mauro e stavolta lo sostiene. Fino in fondo.

"È che ti volevo dire..."

Mauro socchiude gli occhi. Preso come da un raptus. Cerca di guardare più in là, oltre, in fondo a quelli di Paola, ancora più in fondo, in quegli occhi che sono stati la sua salvezza. Occhi d'amore, di risate, di passione. Quando li teneva chiusi,

la prima volta che la prese, quando li riapriva dopo ogni primo fresco bacio. Quegli occhi ora sono così diversi. Spenti. Cosa c'è dietro? Cosa c'è nascosto?

"Che mi volevi dì?"

"Ecco, ti sto spiegando..." Paola fa un sospiro lungo, troppo lungo. Mauro improvvisamente si tende come un gatto nervoso che ha sentito una minaccia. Pericolo. Paola se ne accorge... Allora fa un piccolo sorriso. Forse per rendere più accettabile quello che dirà. Come se non fosse poi una cosa così importante o comunque qualcosa di passeggero, di risolvibile.

"Forse è meglio se per un po non ci vediamo."

Mauro porta la mano davanti al viso. Come un ombrello. "Che vor dì, 'sta cosa?"

Paola si scosta, subito si spaventa. E Mauro se ne accorge. "Che è? Perché c'hai paura? Che, c'hai paura che te meno?" E rallenta il suo parlare. "Se c'hai paura che te metto le mani addosso... allora vuor dì anche che c'è un motivo per cui può accade..."

Paola abbassa lo sguardo. Non ce la fa più. Quante volte ha immaginato e provato questa scena? Praticamente ogni pomeriggio, ormai da almeno un mese. Da quel giorno. Da quel provino. Da quando l'ha conosciuto. Ha provato questa scena più di qualsiasi altro copione mai studiato prima. Ma stavolta non le sta venendo bene. Non è arrivata fino in fondo. Non come avrebbe voluto. Come aveva deciso. Paola crolla. Allora tanto vale che Mauro lo sappia. Come viene viene.

"No, niente Ma... è che ho conosciuto uno... e..." rialza il viso, lo guarda, cerca di sorridere, "cioè, ancora non è successo niente, eh?"

Mauro non ci crede, non può credere a quello che sente. "Ancora? Come ancora non è successo niente?"

"Eh sì, ti giuro, è vero... Non c'ho fatto niente."

"Ho capito, ma quell'"ancora" che vor dì? Che deve succede? Che succederà?"

Mauro cambia espressione. I suoi lineamenti si tirano.

Diventa quasi di pietra. "Ho capito. È quel regista che ti ha dato il biglietto quella volta che c'ero anch'io, vero?"

Paola sorride. "Macché, quello è gay." Poi torna seria, si ferma un attimo, "No, è il suo direttore di fotografia. Antonio." Paola sorride, felice, aperta, soddisfatta della sua sincerità.

"E certo... Antonio." Mauro per tutta risposta fa uno strano sorriso. Poi le parte con la mano aperta, grande, decisa, da destra verso sinistra. Pum. Uno schiaffo in piena faccia. Che la fa vacillare. La sposta, la scuote, la rintrona, la pettina tutta dall'altra parte. Paola si rialza, riemerge, stordita, tra i suoi capelli. Se li sistema alla meno peggio con tutt'e due le mani. Li raccoglie, per trovare di nuovo la luce. Per capire. Ed ecco apparire lì in mezzo i suoi occhi. Stupiti, sorpresi, spaventati. E improvvisamente si copre con quelle stesse mani. Perché capisce che su di lei sta per abbattersi... l'uragano Mauro.

"Mortacci tua, disgraziata, infame che non sei altro, bestia in calore. Ecco perché tutt'oggi ce l'avevi staccato" e la colpisce. E le sue mani sono come pale impazzite di un mulino a vento. Che scendono, e salgono, e picchiano. E gelosia e dolore. Come un trattore senza guida, che procede folle a zig zag. Ma che non miete frumento. Trita quelle bionde messi della povera Paola. E giù cazzotti, e manate, e schiaffi, e ancora e ancora. E Paola scivola e Mauro prende la rincorsa e sta per tirarle un calcio in piena pancia, quando viene di colpo risucchiato. Sparisce di botto, via, contro un muro vicino al cancello.

"Fermo. Sta fermo, Ma..." Paola riapre gli occhi già gonfi. Si riprende. Si rialza piano, dolorante, scioccata, rimbambita da tutte quelle botte.

"Ma io l'ammazzo, 'sta stronza, lasciarne!" Mauro cerca di liberarsi, scalcia, salta in alto, si lancia all'indietro. Ma il padre lo tiene fermo. Lo stringe a sé come se fosse una catena. Lo tiene immobile con le sue forti braccia da operaio di cantiere, con quella stessa facilità con cui lo faceva quand'era bambino.

"Fermo, Ma, sta fermo."

E Paola scappa via, quasi inciampando, scivola su se stessa, annaspa ancora un po, poi sparisce dietro l'angolo. Uno spor

tello si chiude. Un'auto si mette in moto. E quella Volvo scura passa sgommando davanti a loro. Si porta via Paola. Si porta via una storia e l'illusione che potesse durare per sempre. Padre e figlio rimangono così, soli, in una piccola piazzola desolata di una qualsiasi periferia.

Renato lo lascia andare, allarga le braccia liberandolo da quella morsa umana.

"Annamo va, Ma, saliamo che è pronto da mangia." Tira fuori le chiavi di tasca e apre il cancello. Poi si ferma un attimo sul portone. Si gira verso il figlio. "Allora, sali? Tua madre sta ad aspetta noi pé butta la pasta."