143382.fb2 Scusa ma ti chiamo amore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 161

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Olly guarda Niki. Uno sguardo triste. Dispiaciuto. Cerca aiuto dagli occhi dell'amica. "Non gli credere, Niki. È uno stronzo, ci vuole mettere una contro l'altra..."

Fabio sorride e si siede lì vicino. "Certo... certo. Sono cazzate. Vuoi che ti racconto i dettagli, Niki? Vuoi che ti racconto di tutti i suoi nei, ne ha uno particolare e in un posto strano... O vuoi che ti parlo del suo tatuaggio, ti dico com'è e anche dove ce l'ha?"

Olly continua. "Non gli credere, Niki, ti prego. È la sua parola contro la mia. Del mio tatuaggio può benissimo esserlo venuto a sapere da qualcun altro. Ora ci vuole solo fare del male."

Niki alza la mano. "Ok, ok... Ora basta, Fabio. Vattene. Qualunque cosa sia successa tu non mi interessi più. E se fosse ¦ successo, anche meglio. Conferma ancora di più quello che pensavo..."

Fabio si alza e la guarda. "E cioè?"

J

Niki sorride. "Che sei uno stronzo... sei cattivo, inutile, che sai fare solo del male, che sei un parassita, che vivi la vita pen sando che sia solo una guerra. Come quelli che dicono "molti nemici molto onore"... ma la sai una cosa? A farsi un nemico non ci vuole niente. Anzi è facile... Basta essere stronzi. Proprio come te. Il vero onore invece sta nel farsi un amico, ti devi far voler bene, essere stimato, impegnarti, essere leale, essere amato... è molto più difficile, più faticoso." Si avvicina a Olly. Le sorride. "... Ma anche più bello."

Fabio scuote la testa. Monta dietro il motorino del suo amico. "Annamosene, va, queste mi sembrano tutte sceme. È il festival dei buoni sentimenti e dell'ipocrisia."

Niki sorride. "Ma allora lo vedi che non capisci proprio nulla... Noi, non siamo sceme... siamo Onde."

Centosedici

Una settimana dopo. Tutto più chiaro e perfino il cielo sembra più azzurro. Alessandro è nel suo ufficio. Arriva la segretaria.

"C'è quel signore per lei."

"Grazie... lo faccia entrare." Alessandro si siede alla scrivania. Sorride quando lo vede entrare. Tony Costa. Sembra più magro dell'ultima volta che l'ha visto. "È dimagrito."

"Sì, mia moglie mi ha messo a dieta. Allora, ecco le notizie che mi aveva chiesto. Sono riuscito a procurarmi i voti, sono andate tutte abbastanza bene alla maturità. Ma nessuna di loro naturalmente sa ancora i risultati. Niki Cavalli ha preso

/"

Bene, pensa Alessandro. Sarà contenta, si aspettava di meno e in più l'ho proprio affossata io. "Il numero di telefonino però è cambiato, non ho ancora trovato quello nuovo. Parte tra due giorni con le sue amiche..." Tony Costa sfoglia un blocchetto che ha in mano. "Ecco qua, con le Onde... ecco, si chiamano così e vanno in Grecia. Santorini, Rodi, Mikonos e Ios." Tony Costa ripone il blocchetto. "Si deve preoccupare solo di quest'ultima, la chiamano l'isola dell'amore."

Alessandro sorride. "Grazie, quanto le devo?"

"Oh, niente... basta l'anticipo. Questo è stato un lavoro fin troppo facile."

Alessandro accompagna Tony Costa all'ascensore. "Spero un giorno di vederla anche per altre ragioni. Lei mi è simpatico."

"Grazie, anche lei."

Alessandro rimane lì, mentre le porte dell'ascensore si chiudono. Poi torna nel suo ufficio. Sta per chiudersi dentro quando arriva Andrea Soldini.

"Alex! Ma non dovevi..."

Alessandro raggiunge la sua poltrona, si siede e sorride.

"Ma figurati... È un pensiero."

"E lo chiami pensiero? Mi hai fatto un regalo bellissimo! Un Macintosh MacWrite Pro, è velocissimo poi! Ma perché lo hai fatto?"

"Volevo ringraziarti, Andrea... Tu mi hai aiutato moltissimo."

"Io? Ma le idee sono venute tutte a te, quelle foto, lo slogan, quella ragazza poi! Niki è perfetta! Hai visto i cartelloni? Stanno perfezionando i colori per l'Italia ma io sono sicuro che saranno bellissimi. È una pubblicità semplice e geniale!"

"Sì, all'estero è andata molto bene. Vediamo quando uscirà qui da noi."

"E dici molto bene all'estero? Sembra che la caramella sia già finita su tutto il mercato internazionale. Hanno sfondato dappertutto! Tu hai sfondato."

"Comunque non volevo ringraziarti per questo, o meglio, anche per questo..."

"E per cosa allora?"

"Ti ho regalato quel computer per sdebitarmi della mail che mi hai mandato... amico mio... O meglio: "amico vero"."

Andrea si sente morire. "Ma io..."

"Non è stato così difficile. Conoscevi Marcelle Lavoravi con Elena. Avevi accesso per lavoro al suo computer. E soprattutto ti era simpatica Niki... È stata spedita alle venti e quarantacinque da un computer della nostra azienda. L'altro giorno, in ufficio a quell'ora eravate rimasti solo tu e Leonardo. E lui non credo proprio che pensi alla mia felicità. Quindi... sei stato tu."

"Non dovevo?"

"Scherzi? Prima mi sentivo in colpa e ora mi sento felice...

Goditi il computer! Però ti prego, qualunque altra cosa accade, se vuoi essere un "mio amico vero" non mandarmi email!"

"Oh, capo. Allora c'è un'altra cosa che devo dirti." Alessandro lo guarda perplesso. "Devo preoccuparmi?"

"No. Non credo... O almeno spero. Ti ricordi la storia della scorciatoia? La persona che avevo nello staff avversario che ci informava delle loro idee?..."

"Sì, allora?"

"È giusto che tu lo sappia. Era Alessia. Preferiva vederti vincere anche se lei veniva spostata a Lugano e tu saresti rimasto a Roma."

"Non me l'aspettavo. E come sta?"

"Meglio..." Andrea Soldini è un po imbarazzato.

"Abbiamo iniziato a frequentarci..."

"Bravissimo!" Alessandro si alza dalla poltrona, va verso di lui e lo abbraccia. "Vedi che alla fine c'è chi ti sa apprezzare?!"

Centodiciassette

E ancora un'altra notte. Notte fonda. Notte di gente allegra. Notte di luci, suoni, clacson, festa. Notte che finisce troppo presto. Notte che non passa mai. Delusione. Amarezza. Tristezza. Disperazione. Troppe cose per metterle in una notte sola. Non conto un cazzo. Non conto proprio un cazzo. Per lei io non conto un cazzo, non ho mai contato un cazzo. Mauro corre col motorino. Senza casco. Senza occhiali. Senza niente. Lacrime. E non solo per il vento. Cazzo, cazzo, cazzo. L'unica poesia che è capace di comporre, l'unica rima, l'unica musica facile da suonare, semplice, di periferia. Musica di rabbia e di dolore. Musica di mal d'amore. Corre e non sa dove andare. E piange e singhiozza e non si vergogna. Corri, motorino, corri. Voglio farla finita. Continua così, sulla tangenziale, continua a perdersi in una città che non sente più sua, che non gli appartiene. Perché, cazzo? Perché? Ci sto troppo male. Troppo. Mortacci tua, Paola. Sei proprio una stronza. Una grandissima stronza. E nella disperazione il pensiero più sciocco, più basso, più ragazzine In quei giorni quel tipo non ha potuto toccarla. C'aveva le sue cose. E ride. Magra consolazione. E un po più sereno guida nella notte. Lascia la tangenziale. Poi rallenta un po. Fa ondeggiare il motorino sul bordo della strada, uscendo e rientrando dalla striscia bianca che sta a metà sullo scalino creato da un nuovo asfalto appena steso. Il motorino scende e cammina sui sampietrini. Tin tin tin. Il rumore della gomma su quei sassi rialzati e poi di nuovo su, perso nel silenzio del gri

gio di quell'asfalto e giù di nuovo. Tin tin tin. E così via, sciocco gioco metropolitano di chi non ha voglia di pensare. Non pensare. Non pensare. Mauro fa un respiro lungo e poi sbuffa dalla bocca tutta l'aria in alto. E un altro respiro ancora più lungo, più del primo e di nuovo fuori l'aria. Ecco. Sta meglio. Sì, si sente meglio. Continua a guidare così. Sale sul cavalcavia. Due mignotte sono ferme, in fondo alla strada. Gli vengono incontro. Una alza la gonna cortissima davanti e mostra il pube nudo. Radi peli scomposti sotto la luce del lampione. Stanchi, stufi di respirare smog. L'altra, con delle scarpe alte, laccate di rosso, si gira su se stessa e piegandosi in avanti, mostra il sedere nudo, bianco, sodo. Mauro fa una curva col motorino, le sfiora, cerca in qualche modo di colpirle con un calcio. Così, per scherzo. Ma le due polacche quel tipo di scherzo non lo capiscono. E gridano parolacce nella loro lingua. Una prende un sasso da terra e glielo tira dietro. Niente. Mira sbagliata. Finisce sul bordo della strada. Sicuramente, pensa Mauro, non hanno passato l'infanzia al tiro a segno del Luna Park. Lui sì. Si allenava coi soldi di suo padre a tirare una stupida pallina da ping pong in una vaschetta trasparente. Se tutto andava bene, tornava a casa con un bustone d'acqua e un pesce rosso. Che avrebbe fatto un tuffo nel cesso dopo neanche una settimana. Mauro sbanda un po col motorino, poi curva e scende dal cavalcavia, sparendo nella notte. Le due mignotte si ricompongono e restano nel freddo della notte, di fronte a un fuoco spento da tempo aspettando un cliente a cui vendere un po di sesso in attesa di un amore vero. Perché l'amore vero lo cercano tutti. Senza doverlo vendere o comprare. Ma forse da lì non passerà mai.

Mauro sorride tra sé mentre torna verso casa. Cazzo, quella bruna che m'ha mostrato il culo me la sarei fatta. M'ha eccitato. È che nun c'ho un euro, porca troia. E ripiomba in una disperazione assurda. Improvvise immagini confuse. Paola. Paola quando l'ha conosciuta. Paola a una festa. Paola che si spoglia. Paola che ride. Paola e la sua prima volta. Paola con lui sotto la doccia quel giorno che non c'era nessuno in casa. Paola quella

volta in montagna, l'unica vacanza che hanno fatto. Quella breve vacanza. Una piccola vacanza di un giorno in una camera d'albergo. Con quei due tipi ricconi che facevano snowboard, lui un sacco più grande di lei. Del vino bianco. E la cena sotto le stelle. Paola. Dove sarà ora? Dove sarà domani? Dove sarà nella mia vita? E improvvisamente torna disperato. Si perde. Pensa, ricorda, soffre. Ha finito le lacrime. E quasi la benzina. Cazzo, ma quando l'ho fatta? Avevo il pieno oggi. Di colpo s'accorge d'essere arrivato sotto casa sua. Ma non ha voglia di salire su. Non subito. Ha paura di trovare sveglio qualcuno. Di sentire domande, di dover dare risposte. Così, con un filo di gas continua a camminare. Si ferma poco dopo. Scende, mette la catena al motorino e fa per entrare in quel pub. L'unico che resta aperto fino a tardi da quelle parti. Ma che dico. Stasera è ancora presto. Mauro guarda l'orologio. Sono le undici. Pensavo di più. Le notti che fanno male non passano mai. Spinge la porta del pub. Una mano gli si poggia sulla spalla.