143382.fb2 Scusa ma ti chiamo amore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 20

Scusa ma ti chiamo amore - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 20

"E per te... ecco la tua ombra perfetta." Alessandro si sporge un po in avanti per vedere chi arriva. E proprio in quel momento nell'ufficio di Leonardo entra lui. Si ferma sulla soglia. Sorride. Alessandro non crede ai suoi occhi. "No..." Si lascia cadere sulla poltrona, afflosciandosi nello schienale fin quasi a sparirci dentro. Leonardo cerca tra i vari fogli farfugliando tra sé "Com'è che si chiama che me lo dimentico sem

pre... Ah, eccolo qua". Prende felice il foglio e lo alza sorri dendo. "Il tuo nuovo assistente è... Andrea Soldini."

Fermo sulla porta, Andrea Soldini sorride. E saluta. "Salve a tutti..."

"Allora, ti presento Alessandro, sarà la persona per la quale da oggi in poi dovrai dare tutto. Fin quasi a morire."

Alessandro lo guarda, alzando il sopracciglio. "Ah, ecco, ti stavi allenando già da ieri sera..."

Leonardo lo guarda incuriosito. "Ma vi conoscete già?"

"Sì."

"Ma non avete mai lavorato insieme però..."

"No."

"Ecco, a me interessa solo questo. Benissimo! Allora fuori di qui, a lavorare. E vi ricordo il gioco, la sfida, la gara, il grande certamen. Abbiamo la possibilità di presentare due progetti. Io mi gioco tutto attraverso voi. Chi azzeccherà l'idea giusta per lo spot di LaLuna, cioè se grazie a lui ci daranno la campagna, questa persona diventerà il nostro direttore creativo estero."

Marcello esce con Alessia. Sorridono. Anche Alessandro guadagna l'uscita. Leggermente abbattuto guarda Andrea Sol dini. Niente da fare. Si sente sconfitto in partenza.

"Ah, scusate..." Leonardo li richiama un attimo. "E non vi io detto una cosa. L'altro, chi perde, verrà mandato alla sede di Lugano. Che vinca il migliore!"

IL

Quindici

Strada. Strada di periferia. Strada di traffico, di smog, di panni stesi, disordinati, di cassonetti ammaccati, di scritte senza amore, improvvisate. Le sue strade. Mauro è alla guida di un vecchio Kymco sfondato col casco calato sulla testa e slacciato al collo. Ha un giubbotto Levis ormai consumato, sporco di tutto quel tempo che se n'è fregato di lui. Chiude e lega il motorino sotto casa, su quella piazzola fatta di mattonelle spaccate dal sole, con quella ringhiera arrugginita dai giorni. C'è una saracinesca abbassata lì vicino, un vecchio alimentari che ha chiuso, abbandonando tutto, lasciando solo delle vecchie pesche che ormai si sono stampate sul pavimento, difficili anche da raschiare via. Antichi sapori di un affresco di vita ormai passata. Mauro suona al portone.

"Chi è?"

"So io, ma."

Uno scatto. Il cancello si apre e Mauro entra veloce. Si richiude alle sue spalle con quel vetro ingiallito tenuto su da un intreccio di ferro battuto e arrugginito. Nell'angolo in basso un vetro spaccato, una pallonata di troppo di un giovane calciatore mai emerso. Due mosche giocano a rincorrersi. Mauro sale gli scalini a due a due e il fiato non gli manca. È ricco di quello dall'alto dei suoi ventidue anni. È il resto che gli manca. Troppo. Tutto.

"Ciao, ma." Un bacio veloce su quella guancia leggermente bagnata di sudore domestico.

"Muoviti, che sono tutti a tavola."

La madre sbuffa e ancora accaldata torna in cucina. Sa già che Mauro sta andando a tavola senza averlo fatto e glielo dice. "E lavati le mani, le ho viste, sai? Sono lerce."

Mauro entra in bagno, le mette velocemente sotto un getto d'acqua fredda per lavarle. Ma a volte non c'è abbastanza sapone per togliere i segni di una giornata. Poi si asciuga con un piccolo telo rosa stinto e liso, in parte bucato e già un po nero. Ora di più. Esce, si tira su i pantaloni, li calza quasi muovendocisi dentro. Poi si siede a tavola.

"Ciao, Eli."

"Ciao, Maù" lo chiama così la sua sorellina piccola. Ha sette anni e una faccia allegra e divertente, piena di fantasia e di tutto quello di chi ancora non sa tante cose, di chi non conosce le difficoltà che l'aspettano dietro l'angolo dei suoi prossimi anni.

Mauro con la forchetta taglia un pezzo di frittata e se lo mette in bocca.

"E aspetta tua madre, no?" Renato, il padre, gli da una pacca forte sulla spalla mentre Carlo, suo fratello più grande, lo guarda impassibile.

"A pà, io c'ho fame."

"Appunto. Per questo aspetti. Perché c'hai fame e perché devi ave rispetto pé chi te da da magna. Tuo fratello potrebbe mangiare. No tu. Tu devi aspetta tua madre."

Annamaria arriva dalla cucina, portando un grosso piatto. Lo poggia al centro, ma le sfugge quasi di mano e rimbalza sulla tavola, facendo un gran rumore.

"Ecco..." Poi si siede, si rassetta i capelli, mandandoseli un po indietro, affaticata da quell'ennesima lunga giornata fatta di solite cose simili tra loro.

Renato si serve per primo, poi lascia cadere il mestolo dentro la zuppiera. Carlo lo raccoglie, prende un po di pasta e fagioli e serve Elisa, la piccola, che subito impugna malamente il cucchiaio come fosse un piccolo pugnale. E si butta avida su quel piatto, affamata di vita.

"Ne vuoi tu, ma?"

L_

"No, mi riposo un attimo. Passala a tuo fratello."

Carlo allunga il piatto a Mauro che subito se ne versa un bel po. Poi guarda la madre.

"Sul serio non ne vuoi, ma? Guarda che sta finendo."

"No. Davvero. Finiscila tu."

Mauro da un'ultima raschiata al fondo e poi comincia a mangiare. Tutti piegati sui piatti. Senza controllo. Senza limiti. Il silenzio è rotto solo dal rumore delle posate che sbattono, da qualche auto che passa lontana. E poi i profumi. Profumi di altre case così simili a quella. Case cantate da Eros, quelle case ai bordi di una periferia. In quella canzone che lo ha portato lontano per cercare di dimenticarle. Case descritte nei film o raccontate nei romanzi da chi magari nemmeno c'è mai stato e crede di sapere. Case fatte di sudore, di falsi quadri, di stampe ingiallite, di calendari scaduti, legati a quel tifo che il tempo non cancella, il gol di un calciatore, uno scudetto, una qualsiasi ragione è buona per fingere di far festa. Renato finisce per primo di mangiare e allontana il piatto. "Ahh..." Sta meglio. È dalle sei che è in piedi. Si versa dell'acqua.

"Allora? Che hai fatto oggi?" Mauro alza il viso dal piatto. Non pensava che ce l'avesse con lui. Sperava almeno di finire di mangiare. "Eh? Si può sapere? Allora che hai fatto oggi?" Mauro si pulisce con il tovagliolo che è ancora piegato vicino al piatto. "A pà, ma che ne so. Me so svegliato e so stato un po in giro. Poi ho accompagnato Paola che doveva fare un provino..."

"E poi?"

"Poi... L'ho aspettata e quando ha finito l'ho riaccompagnata a casa. E poi so venuto qui. Hai visto, no? Ho fatto pure tardi... Quel motorino va pianissimo e c'era pure traffico."

Renato allarga le braccia.

"E certo, che te frega, no... Tanto qui c'è la cena assicurata. Noi dobbiamo tutti sgobba pé fatte fa giornate come questa..." Carlo taglia un pezzo di frittata e se la mette nel piatto. "Guardalo. Guardalo..." Il padre lo indica. "Tuo fratello non te dice nulla perché te vuole bene. Invece te dovrebbe piglia a

calci in culo. Lui se sveglia alle sei per andare a lavorare, per fare l'idraulico. Va ad aggiustare i tubi, lui, pé farti fare i giri in motorino, per accompagna Paola... Ma che me ne frega a me che devi accompagna Paola..." Carlo manda giù un pezzo di frittata e guarda negli occhi Mauro. Mauro incrocia il suo sguardo, poi si pulisce la bocca un'altra volta e lancia il tovagliolo sul tavolo.

"Va be, io esco. M'è passata la fame." Allontana con la gamba la sedia, fatta di quella paglia ormai un po logora e ribelle, poi si allontana veloce verso la porta.

"E certo" fa il padre indicandolo, "ha magnato... che je frega. Ma stasera, Annamarì, me fai il piacere che metti il chiavistello, 'sto cafone non rientra."

Elisa lo guarda uscire. Annamaria le toglie il piatto ormai vuoto da sotto. "Vuoi un po di frittata, amore?"

"No, non mi va."

"Allora ti sbuccio una mela."

"No, non mi va neanche la mela."