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"No, mammaaaa… uffa! Io voglio giocare contro il computer!"
Susanna sbuca dalla cucina. "Oh, ma allora! La fate finita? Tanto sono le tre. Forza, in camera a fare i compiti!"
"Ma, mamma… ho poca roba, li posso anche fare dopo…" dice Carolina sbuffando.
"No. Hai già giocato. Li fai ora e basta. Lo sai. Non si discute su questo. Anche tu, Lorenzo, forza, rimetti a posto le carte e i giochi nel cestone e vai di là!"
I due bambini scocciati obbediscono a Susanna. Carolina spegne la consolle e Lorenzo butta tutto nel cestone, tranne le carte che raccoglie con cura e rimette nel loro astuccio di plastica. Poi vanno di là insieme, dandosi qualche spintarella.
Susanna li vede sparire nel corridoio. Si siede sul divano. Si mette comoda, sistemando meglio un cuscino dietro la schiena. Poi si guarda intorno. La casa. La sua casa. La loro casa. I quadri alle pareti. Quello di Schifano. Paesaggio anemico. Proprio come si sente lei ora. Poi quelle cornici con dentro le foto. Momenti di famiglia insieme. I bimbi piccoli. Un suo ritratto fatto dal fotografo, con lei che indossa un grande cappello bianco con le tese. Pietro vestito da calciotto e un'altra con un bel vestito durante il matrimonio di un amico. Ricordi. Lui. Pietro. Quanto ti ho amato. Quanto mi piacevi alle superiori, quando facevi ridere tutti. Quando facevi il furbo e te la cavavi sempre. E poi ci siamo fidanzati. E grazie a te mi sentivo bellissima, una regina, la migliore di tutte. Quanti regali. Quante attenzioni. Le cene. I gioielli. Le vacanze. Poi l'università, la laurea, il lavoro, lo studio. Sì, te la sei sempre cavata. Quanto mi hai presa in giro. Quanto ti ho creduto. Per me eri un mito. Una persona ammirata e da ammirare. Una persona che mi faceva sentire al centro dell'attenzione. Ma perché mi hai fatto questo? Mi hai tradita. Chissà quante volte. Hai toccato, amato, apprezzato altre donne al posto mio. Le hai guardate, ti sei eccitato e mi hai messa da parte. Che rabbia. Che umiliazione. Pensarti con loro, a letto con loro, in macchina con loro o a farle ridere, scherzare, farle sentire importanti. Cosa dicevi loro che non hai detto a me? Non lo so. Non lo saprò mai. Mi fa troppo male. Non lo accetto. E gli occhi di Susanna si velano di lacrime. Rabbia. Delusione. Debolezza. Mi sento sola. Sono sola. Mi
restano solo i figli. E dovrò ricominciare in qualche modo. Poi di colpo si alza. Va verso la finestra. Guarda fuori. Sì, il mondo mica se ne accorge se sto male. Il mondo va avanti. Devo fare qualcosa per me. Devo rinnovarmi. Sono una bella donna. Sono una madre. Sono una persona. Devo farmi coraggio. Poi torna in salotto. Nota su un tavolinetto un dépliant in mezzo a lettere e pubblicità. Lo apre. "Palestra Wellfit. Allenati gratis per una settimana! Prova i nuovi corsi di Kickboxing con Davide Greco e Mattia Giordani… Una disciplina adatta a tutti! Provatela!" e vede alcuni numeri di telefono e una e- mail da contattare per informazioni. Kickboxing. Sarà faticosa? Non mi è mai piaciuta la palestra in sé, corpo libero, body building, pilates, spinning, fitness in genere. Ma una disciplina di lotta e difesa è un'altra cosa… potrebbe essere interessante. E poi ho bisogno di rimettermi in moto, di tonificarmi. Di pensare ad altro.
Susanna prende il cellulare. Rilegge il numero sul dépliant e lo compone. Ma sì, proviamoci.
Trentasei
Niki posteggia velocemente il motorino sotto casa, mette il blocco alla ruota davanti e, proprio mentre sta per entrare nel portone, si accorge di una specie di limousine nera parcheggiata lì di fronte. E che succede? Che cosa è questa storia? O è arrivato un ambasciatore o c'è qualcuno che si sposa… Boh. Solleva le spalle e fa per entrare.
"Mi scusi…" Un signore elegante, con tanto di divisa, scende dalla macchina levandosi il cappello. "È lei la signora Cavalli?"
"Dice a me?" Per un attimo Niki è veramente spiazzata. "Forse intende mia madre!" L'autista sorride. "La signora Nicoletta Cavalli?"
"Sì, sono io. Ma le posso chiedere un favore? Mi può chiamare Niki?"
"Ah sì…" Allora non ci sono più dubbi. In questa strada a questo civico e con questo nome e cognome ci sono solo io. L'autista sorride e apre la portiera.
"Prego, Niki…" Oddio, non posso crederci. Ma che, è uno scherzo, ma che ci sono le telecamere? Oddio… È una sorpresa! O forse un imprevisto, come diceva prima Guido. Ma no, non può essere così pazzo. "Mi scusi. E proprio sicuro che doveva prendere me?"
L'autista la guarda dallo specchietto e le sorride. "Sicurissimo… E chi mi ha mandato a prenderla ha ragione."
"Perché, cosa le ha detto?"
"Che non mi potevo sbagliare, è unica…"
Niki sorride. "Ma stiamo parlando della stessa persona, vero?"
"Credo proprio di sì." L'autista sorride. Niki ricambia ma si sente in colpa per aver anche semplicemente pensato a qualcun altro. Poi l'autista accende lo stereo. "Mi ha detto che se avesse avuto paura, qualche dubbio o non fosse voluta venire con me, le avrei dovuto far sentire questo…" L'autista spinge un bottone e parte Broken Strings, Nelly Furtado e James Morrison insieme.
Niki sorride. Emozionata guarda fuori dal finestrino. Poi con gli occhi umidi di felicità incontra di nuovo quelli dell'autista. "Tutto a posto adesso, signora?" Niki annuisce. "Sì. Mi porti anche in capo al mondo."
La limousine accelera e piano piano va sul suono della canzone… "You can't play on broken strings, you can't feel anything that your heart don't want to feel, I can't teli you something that ain't real…" Verità del dopo. E la musica è così bella.
L'auto procede lenta, quasi senza rumore, come portata su dei cuscinetti di vento, come sospesa, scivola nel traffico, si destreggia tra le macchine e abbandona la città. Ora libera, sull'Aurelia, corre più veloce, poco traffico e uno dopo l'altro i segnali blu con le indicazioni: Castel di Guido, Fregene. E ancora avanti…
Trentasette
Fiumicino.
"Ecco, siamo arrivati." L'autista scende e apre la portiera.
"Ma… A Fiumicino?"
"Così mi è stata data disposizione… Ah, un'altra cosa… Dovrebbe lasciarmi quello…" L'autista indica lo zaino con dentro i libri dell'università.
"È sicuro? Sono i miei libri per l'esame…"
"Vi vengo a prendere io quando tornate… e glieli restituisco. Ha detto di dirle che lì non c'è tempo per studiare."
"Ma dove andiamo?"
L'autista le sorride. "Io non lo so, ma lui sì…" E intanto indica qualcuno alle sue spalle davanti alla porta a vetri che si è appena aperta.
"Alex!" Niki corre e gli salta in braccio travolgendolo. "Ma tu sei pazzo."
"Sì… Me l'hai attaccata tu… questa bellissima follia" poi guarda l'orologio, "andiamo… è tardissimo!"
"Ma dove?"
"New York."
Fanno per correre via. Poi Alex sorride e si gira verso la macchina. "Ah, ci vediamo qui tra quattro giorni. Le faccio sapere l'ora… E grazie."
L'autista rimane davanti alla limousine e li guarda scappare sulla scia della loro felicità, sull'entusiasmo del loro amore. "Domenico. Mi chiamo Domenico."
"Dobbiamo prendere questo bus che ci porta al terminal cinque. Si parte di là per l'America."
"Ma come hai fatto? Tu sei pazzo…"
"Da quando siamo rientrati tutto è diventato troppo normale. E poi dopo LaLuna noi non abbiamo mai festeggiato…"
"Che cosa? Il successo della campagna?"
"No, che mi hai raggiunto al faro… E che stiamo ancora insieme! Il nostro grande unico e personalissimo successo!"
Niki prende il telefonino.
"Che fai? Ti è piaciuta così tanto che te la scrivi?"
"Ma per chi mi hai preso… Guarda che sei tu il pubblicitario!"
"Ah già…"
Niki scuote la testa. "Telefono…"
Alex si appoggia a lei. "So già a chi…"