171361.fb2 Amanda ? Morta Nel Parco - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 4

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Capitolo Secondo

21 dicembre

Aveva visto di nuovo la pallottola magica. In sogno, ne aveva osservato il lento fluttuare dalla canna della pistola alle sue budella, l'aveva vista penetrare nella sua carne e farne sprizzare il sangue.

Andando in bagno, Riker urtò con il piede nudo contro una bottiglia di birra vuota. Non percepì l'impatto della carne contro il vetro, tanto il sogno recente era ancora vivido di fronte ai suoi occhi.

Un giorno l'alcol l'avrebbe ucciso. I riflessi lo avrebbero tradito e… bum! Sveglio o addormentato, la pallottola magica fluttuava verso di lui, sospesa a pochi centimetri dalla sua testa.

Ma lui e la bottiglia ormai erano una vecchia coppia di coniugi. E Riker preferiva il sogno della pallottola ai ragni che lo avevano perseguitato durante l'ultimo tentativo di divorziare dall'alcol.

Quanti anni erano passati? Tredici? Almeno tredici.

Stava provando a smettere, assicurato a un letto con le cinghie, in preda al delirium tremens, il giorno in cui Kathy Mallory era entrata attraverso la finestra della clinica in cui non era consentito l'ingresso ai bambini. Era atterrata sul pavimento sulle suole di gomma, con l'atteggiamento furtivo di una ladra nata. Per un attimo l'immagine della bambina si era confusa con quella dei ragni che strisciavano lungo il suo corpo, sulle lenzuola e sui muri.

Il ragno più grande pendeva dal soffitto, tesseva alacremente la bava setosa mentre si avvicinava sempre più al suo viso, in un aereo balletto di otto frenetiche zampe nere.

«Il ragno! Levamelo dagli occhi!» aveva urlato a Mallory, che allora era ancora Kathy (solo anni dopo, entrata in polizia, gli avrebbe proibito di chiamarla per nome). Kathy si era avvicinata al letto e lo aveva scrutato negli occhi, dichiarando di non vedere alcun ragno. Quindi lo aveva guardato con disprezzo. Era così vicina che Riker riusciva a vedere se stesso riflesso nei suoi occhi.

Si era girato verso lo specchio appeso al muro dell'ospedale, per vedere meglio quello che Kathy aveva visto: il suo volto madido di sudore, contratto e affondato nella paura. Un filo di vomito gli correva dalla bocca al mento. Annuì lentamente. Kathy aveva ragione. Era talmente patetico che neanche dei ragni avrebbero potuto sopportare di vivere nella sua mente. Fu grato a Helen Markowitz per aver insegnato a Kathy a non sputare. Si era accorto che la piccola era stata tentata di farlo, dopo averlo guardato negli occhi. Invece si era limitata a guardarsi intorno e se n'era andata com'era venuta, sparendo dalla finestra. Le piccole mani si erano aggrappate alla finestra a ghigliottina, chiudendosela dietro senza alcun rumore e senza lasciare traccia della sua visita clandestina.

In seguito, dopo che i ragni se ne furono andati a tormentare qualcun altro, Riker non era riuscito a rinunciare alla bottiglia, ma aveva giurato a se stesso di non perdere mai più la faccia davanti a Kathy. Quella marmocchia impietosa aveva messo fine alle sue sbronze plateali. Per essere un ubriacone, Riker era diventato quasi rispettabile: inciampava di rado e non barcollava più in pubblico.

Anche attraverso gli occhiali da sole, la luce gli feriva gli occhi. Aprì la portiera della piccola automobile marrone di Mallory e salì a bordo. Si sporse verso il parabrezza, abbassò i parasole e guardò il proprio quartiere strizzando gli occhi. «Non ricordavo più che aspetto avesse il mattino.»

Silenzio di tomba da parte della collega.

Mentre si vestiva e si sbarbava, Riker aveva fatto aspettare Mallory, una vera maniaca della puntualità. Affondò nel sedile imbottito. Sorrise affabilmente, strinse il nodo della cravatta, in attesa di una battuta cattiva da parte della ragazza. Ma lei avviò il motore e partì lasciandosi dietro una striscia di gomma bollente.

Riker si aggrappò al cruscotto per contrastare la sensazione che il suo cervello, gravato dai postumi dell'alcol, stesse sguazzando di qua e di là all'interno del cranio.

«Okay, Mallory. Sarà una lunga giornata. Cerca di fare la brava.»

La macchina rallentò sino a raggiungere una velocità consentita dalla legge, e il tono di voce di lei era ingannevolmente civile quando disse: «Gli agenti non hanno combinato nulla con i portieri della Upper West Side. La vittima non viveva da quelle parti. Nessuno l'ha riconosciuta dalle fotografie.»

Così Mallory aveva cominciato a indagare senza di lui. Chissà quali altre informazioni aveva raccolto sul caso. Ed erano solo le dieci del mattino. Normalmente, a quell'ora, Riker sarebbe stato ancora a letto, indeciso se aprire gli occhi e lasciarsi cadere sul pavimento, per rotolare fino al bagno.

Nel tono di: "Beccati questa, te la sei cercata" disse: «Se avessi qualche anno di esperienza sul campo, sapresti che è difficile per la maggior parte delle persone identificare un cadavere da una foto dell'obitorio, anche quando il viso è intatto. Una madre potrebbe riconoscere il figlio o la figlia in un batter d'occhio, forse un amico intimo, ma un portinaio? Nossignore. Così non sappiamo ancora se la vittima viveva o no in quella zona.»

L'espressione di Mallory di profilo poteva essere letta come un velenoso: "Questa me la paghi", oppure come un sarcastico: "Sì, come no".

«Dove siamo diretti?» arrischiò Riker. «A Brooklyn?»

«No» disse lei. «A Brooklyn ci sono già stata. Anna ha portato i vestiti a un centro di raccolta che li ha mandati in camion a un magazzino di Manhattan. Il mucchio di Anna è stato destinato a una casa d'accoglienza per le donne maltrattate nell'East Village.

«Allora stiamo andando lì?»

«Ci sono già stata. Il blazer di cashmere non era nell'inventario. Qualcuno al magazzino deve aver deciso di tenerlo per sé. Ecco dove stiamo andando, al magazzino.»

«Potrebbe averlo sottratto un volontario della casa di accoglienza. Come fai a escluderlo?» Ahi, domanda stupida. Probabilmente Mallory aveva rivoltato il posto come un guanto, inimicandosi chiunque nel raggio di…

«È un'amica di Anna a gestire la casa. Ha aperto lei stessa il pacco di Anna. Niente blazer. Perciò adesso andiamo al magazzino e parliamo con tutti quelli che potrebbero averlo avuto per le mani.»

Fecero dieci minuti di strada in silenzio. Questo era il bello di stare con Mallory, non parlava di cose futili. Se apriva la bocca, era per assestargli un colpo o per puntualizzare qualcosa. Quando si fermarono accanto al deposito, Riker scelse le parole con cura. Le mise una mano sulla spalla prima di entrare nell'edificio.

«Mallory, niente bravate da cowboy questa volta. Ti ho sostenuta con Coffey, ma aveva ragione, e tu lo sai. Se devi spendere una pallottola, cerca di fare un lavoro pulito. Okay? Fine della lezione.»

Attraversarono il corridoio in un silenzio risentito e salirono al terzo piano in una scatola di metallo grigio delle dimensioni di una bara. Le porte dell'ascensore si aprirono su un'unica stanza, lunga e larga quanto un isolato. Corridoi irregolari, formati da pacchi sovrapposti e mucchi di indumenti, si estendevano in lontananza producendo l'illusione ottica di convergenze parallele. La polvere volteggiava nell'aria attorno al muletto che faceva la spola tra le estremità dell'ampia corsia centrale, sollevando scatole di cartone mentre un uomo dalle gambe arcuate e dallo stomaco da bevitore di birra urlava dei numeri in un megafono.

Mallory fece luccicare il distintivo e si diresse verso l'uomo del megafono. Una luce sudicia filtrava dalle finestre mai lavate nell'ambiente che sapeva di vecchio e di sudore. Riker riconobbe l'odore degli abiti usati che aveva portato da bambino.

Raggiunse Mallory ed estrasse il taccuino.

Il caposquadra dalle gambe arcuate leggeva dei numeri da un foglio e contemporaneamente rispondeva alle domande di una Mallory apparentemente distratta.

«Nessuno toccherebbe uno di quei pacchi» disse il caposquadra. «Chi rischierebbe il lavoro per uno schifo di straccio di seconda mano?»

Riker sorrise. Lo straccio in questione doveva essere costato a Mallory almeno novecento dollari, forse di più. Solo il meglio, per Mallory. Helen Markowitz si era assicurata che fosse così, fin dai tempi in cui a Riker era ancora consentito chiamare Mallory Kathy. Ma a dispetto degli abiti firmati che Helen regalava alla bambina, la piccola Kathy preferiva indossare blue jeans, scarpe da tennis e t-shirt.

Oggi la tenuta era la stessa, con l'aggiunta di un blazer di lana grigia tagliato su misura, sotto il quale la fondina da spalla contenente la grossa pistola formava un vistoso rigonfiamento. Le scarpe da tennis di tela erano state rimpiazzate dal paio di calzature sportive di pelle più costoso che fosse mai stato realizzato.

«Chi smista i pacchi man mano che arrivano?» chiese Mallory.

«Uno degli otto ragazzi» disse il capo, prima di urlare «489» nel megafono.

«Falli venire qua, tutti e otto.»

«Ascolta, dolcezza, sono sempre felice di collaborare con la polizia, ma non…»

«Ho forse chiesto la tua collaborazione? Ho detto falli venire.»

Con un brivido Riker comprese che il caposquadra era un tipo all'antica: non tollerava di essere cazziato da una donna. L'uomo si girò verso Mallory con l'espressione rabbiosa di un pitbull, le labbra aperte a mostrare i denti. Ma qualcosa nel viso di lei lo zittì. Forse quel qualcosa gli aveva rammentato che quella mattina era uscito disarmato.

Si schiarì la gola, sollevò il megafono e chiamò i nomi degli otto uomini. Quelli comparvero da dietro le pile di cartoni, sudati, con in mano raccoglitori e matite. Si disposero in una fila irregolare, osservando Mallory con malizia e curiosità.

Sotto lo sguardo indagatore di Mallory, la malizia evaporò, sostituita da espressioni di disagio. Mallory si concentrò su uno dal pomo d'Adamo sporgente. Sudava più degli altri, aveva i capelli rossi e il viso coperto di efelidi. L'uomo ingobbì le spalle e abbassò la testa nel tentativo di occupare meno spazio possibile. I suoi muscoli si tesero, gonfiandosi sotto il tessuto sottile della sua t-shirt.

Mallory si girò verso Riker e sollevò impercettibilmente il mento. Si voltò nuovamente verso l'uomo dai capelli rossi, mentre Riker andava a piazzarsi alla sua destra. L'uomo esitò, poi si mise a correre. Riker cercò senza riuscirci di agguantarlo per la maglietta. Ora Mallory tallonava il rosso, e Riker trotterellava nella scia di polvere sollevata dalle scarpe dei due.

«Jimmy» stava gridando il caposquadra, «torna indietro, idiota! È solo una giacca di seconda mano!»

Ma Jimmy non era più a portata di orecchio.

Jimmy Farrow stava correndo più veloce di quanto non avesse mai fatto per sfuggire a un poliziotto, e ne aveva seminati non pochi. Voltando la testa vide che il vecchio arrancava, paonazzo per lo sforzo, ma la donna gli era quasi addosso, il blazer svolazzante aperto a mostrare una pistola enorme.

Oh, Cristo, stava sogghignando? Sì.

Puttana!

Lo marcò stretto lungo le strade anguste, poi attraverso gli incroci trafficati di Houston, oltre il muro del cortile di un palazzo del West Village.

Jimmy saltò, si aggrappò alla scala antincendio e vi si issò. Prese a salire, guardando in basso attraverso la grata del primo pianerottolo. Nessuna traccia della sua inseguitrice. A un tratto una mano, dall'alto, lo afferrò per i capelli.

Da dove diavolo spuntava la puttana? Come era arrivata fin lì?

Un calcio sul ginocchio gli fece perdere l'equilibrio. Rotolò fin sull'orlo della grata della scala antincendio.

Il sangue gli affluì alla testa mentre annaspava con le braccia nel vuoto. Guardò il marciapiede tre piani sotto di lui. Torcendo la testa, vide la donna che lo afferrava per la parte posteriore dei jeans e gli si inginocchiava sulle gambe. Era nelle sue mani. Una mossa e lui sarebbe finito di sotto.

«Così hai rubato tu la giacca di cashmere e…»

«La giacca!» urlò Farrow. «È per questo? Quella fottutissima giacca?»

«L'hai rubata tu, vero?»

Vide il suolo avvicinarsi di qualche centimetro. Una brezza invernale gli gelò il sudore sul corpo, facendolo rabbrividire.

«Sì, l'ho rubata! Va bene?»

«Le è piaciuta?»

Pazza di una puttana. Cosa vuole?

«Sì, le è piaciuta! Le è piaciuta molto!»

Sotto di lui apparve il poliziotto più vecchio. Se la prese comoda a salire le scale, come se fosse una cosa da niente vedere un povero bastardo che penzolava a mezz'aria con la testa puntata verso il cemento.

Sbirri maledetti.

«Mallory, non farmi questo» disse il vecchio. «Se non vuoi che Coffey si accanisca sulle mie povere chiappe.»

La donna tacque.

«Se cade di sotto, tre giorni di scartoffie da compilare non ce li leva nessuno.»

Mallory allentò la presa e Farrow scivolò di qualche centimetro verso il basso.

«Va bene, va bene! Farò tutto quello che volete» urlò. «Ho già detto che sono stato io! Tiratemi su!»

Quattro mani rudi lo sollevarono e lo misero a sedere sulla piattaforma. Il vecchio tirò fuori un taccuino. «Parla, ragazzo. Ti ascoltiamo.»

«Questo mese l'assegno dell'assistenza sociale di mia nonna è saltato. La vicina si è occupata di farle la spesa finché mia madre non ha potuto passarle del denaro. Volevo soltanto darla ad Amanda, la vicina di casa. Volevo darle qualcosa. È stata un'idea di mia nonna.»

«Fammi capire» disse il vecchio, tracciando cerchi sul taccuino. «Prima dai la giacca ad Amanda, poi la fai fuori: è questo che ti ha detto di fare la nonna?»

Oddio, questi si sono bevuti il cervello tutti e due.

«Non le ho fatto niente. Le ho solo dato quella giacca.»

«Tu e Amanda eravate molto intimi?»

«No! Vado nel palazzo di mia nonna due volte alla settimana per dare una pulita in giro. Toccherebbe a mia nonna, ma non ce la fa più a pulire tutti quei pavimenti e quelle scale.»

«Ma che bravo ragazzo!» disse il vecchio. «E di Amanda che ci dici?»

«La incrocio ogni tanto nell'atrio, questo è tutto. Lei e mia nonna erano amiche. Chiedete alla vecchia.»

La vecchia li stava aspettando sui gradini d'ingresso dell'edificio. Jimmy Farrow stava sul marciapiede tra due agenti in uniforme, la testa china e le mani ammanettate dietro la schiena. Riker salì i gradini dietro Mallory e vide la vecchia che guardava ora Mallory ora il nipote, le labbra semiaperte in un'espressione di incredulità.

«Polizia» disse Mallory, mostrando il documento d'identità e il distintivo. «Lei è la signora Farrow? Questo è suo nipote?»

La vecchia signora assentì, aprendo e chiudendo gli occhi rapidamente. Riker si voltò a guardare il marciapiede. La sirena sull'auto di pattuglia aveva disperso come blatte la maggior parte delle prostitute, ma una stava tornando indietro zigzagando, troppo "stonata" dal crack per avere paura.

«Voglio entrare nell'appartamento di Amanda Bosch» disse Mallory.

«Ha un mandato?» chiese la donna, automaticamente.

Riker se lo era aspettato. Quella era una zona in cui una frase del genere veniva facilmente alle labbra, prima ancora dell'immancabile «Sono innocente.»

«È morta» disse Mallory. «Pensa che mi serva un mandato?»

La vecchia fece lentamente segno di no con la testa. "Non può essere", dicevano gli occhi della signora Farrow. Si strinse al collo il golfino leggero, come se potesse proteggerla da Mallory. Mallory le sbatté in faccia la foto. «È lei? È Amanda Bosch?» La signora Farrow fissò l'immagine e si fece il segno della croce. «Allora?» la incalzò Mallory. «Sì, sì. È Amanda Bosch.»

Mallory prese un appunto, e Riker seppe che il suo meticoloso verbale avrebbe riportato che la vittima era stata identificata alle 10.56. Seguirono la vecchia su per le scale e poi lungo il corridoio fino al secondo pianerottolo. La mano tremante della signora Farrow armeggiò qualche secondo con la serratura prima di riuscire ad aprire.

Riker entrò nell'appartamento dietro Mallory. La signora Farrow esitò sulla soglia per un momento, poi si allontanò lungo il corridoio.

La prima cosa che Riker notò dell'appartamento fu la sua estrema pulizia. Dall'ingresso poteva vedere attraverso il cucinino tirato a lucido la stanza successiva. Immacolata, odorosa di detergente. Tutto pronto per l'arrivo di un ospite? Oppure l'appartamento era stato ripulito per cancellare tracce di sangue e impronte?

La maniglia interna della porta d'ingresso risplendeva. Guardò in basso e mosse la testa per vederla da tutte le angolazioni. Era possibile che ci fossero impronte residue, ma ne dubitava. Perfino la precisissima Mallory, maniaca dell'ordine com'era, tralasciava di pulire a quel modo la sua maniglia prima di uscire dal proprio appartamento. Riker chiamò un agente in uniforme rimasto sul pianerottolo con Jimmy Farrow.

«Potrebbe essere questo il luogo del delitto. Chiedi alla vecchia se puoi usare il suo telefono per chiamare i tecnici.»

«Tempo sprecato» disse Mallory, chinandosi a osservare un tavolino scintillante. Tutte le superfici splendevano. «Un lavoro molto ben fatto. Se il nostro uomo la scampa per infermità mentale, lo assumo per fare le pulizie da me.»

Markowitz l'aveva istruita bene. Non toccava nulla, le mani ficcate nelle tasche dei jeans mentre continuavano la perlustrazione di rito nella stanza successiva. Nella minuscola camera da letto c'era spazio unicamente per un letto singolo e un computer. Mallory sapeva bene di non doverlo toccare, ma nel momento in cui lo vide le sue mani uscirono dalle tasche.

Da quel momento si sarebbe concentrata solo sulla macchina. Non aveva ereditato la mania di suo padre per i dettagli.

La porta dello sgabuzzino era socchiusa. Gli occhi di Riker si adattarono alla debole luce all'interno finché non fu in grado di distinguere una vecchia culla di legno posata sul pavimento. Evidentemente Amanda si era procurata una culla per il bambino, poi l'aveva messa via, lontana dalla sua vista, dopo l'aborto.

Riker volse lo sguardo altrove.

Esaminò accuratamente la libreria, trovandovi manuali di stile e libri di consultazione: uno su come preparare un dattiloscritto per la composizione, un altro su come diventare uno scrittore pubblicato. Anche in questa stanza tutte le superfici erano state pulite. Alla luce che entrava dalle due finestre, scorse i segni del passaggio della spugna sul muro, in alto. C'era stato del sangue sui muri? Amanda aveva tentato di colpirlo prima che lui la uccidesse?

«È chiaro» disse Riker, girandosi verso Mallory, che stava leggendo l'etichetta di un floppy disk sul ripiano della consolle. «Questo dev'essere il luogo del delitto, e il bastardo l'ha lucidato.»

Mallory prese a passeggiare avanti e indietro davanti al computer. Lottava contro il desiderio di accenderlo. Prima di farlo doveva aspettare che un tecnico le dicesse quello che Mallory già sapeva: il computer era stato ripulito.

Niente a che fare con lo stile del vecchio, si disse ancora Riker. Markowitz pretendeva che i suoi investigatori registrassero anche i particolari apparentemente più insignificanti.

Un agente in uniforme comparve sulla soglia. «C'è una squadra di tecnici in zona. Saranno qui entro mezz'ora.»

«Grazie, Martin» disse Riker.

Venti minuti più tardi Heller, il capo della Scientifica, si dichiarava d'accordo con Mallory circa l'inutilità di cercare delle impronte. Stava al centro della stanza, e lasciava vagare i lenti occhi castani sulle superfici immacolate dei mobili e degli oggetti che lo circondavano. Mentre Heller si metteva i guanti di gomma, con un cenno del capo mandò uno dei suoi in cucina. Un terzo uomo stava già lavorando nel salotto. Heller, spazzola alla mano, fece per chinarsi sul comodino accanto al letto.

«No. Comincia dal computer» disse Mallory. «Ne ho bisogno.»

Forse un altro uomo con gli anni di esperienza di Heller nel Dipartimento si sarebbe risentito a ricevere un ordine diretto da Mallory, che era più giovane della sua figlia più giovane. Lui si limitò a fare un cenno di assenso col capo, senza offendersi, e collocò i suoi strumenti di lavoro sul pavimento, accanto al computer.

La sagoma di un agente in uniforme si stagliò nel vano della porta. «Il suo assistente ha portato questa.» Porse a Mallory una borsa di cuoio. Lei la aprì mettendo in mostra una serie di sofisticati strumenti e scatole contenenti floppy disk.

Mallory cominciò a girare intorno a Heller che lavorava con la polvere nera.

«Sta attento che quella porcheria non danneggi la tastiera» disse. «E che non entri nei fori di ventilazione.»

Riker non aveva mai visto Heller lavorare con tanta rapidità, avrebbe fatto qualunque cosa per placare Mallory.

«Salgo a parlare con la vecchia e il ragazzo.» Disse Riker.

«Bene.»

Adesso Mallory era al computer. Riker non esisteva più, né i tecnici che le lavoravano attorno.

Mentre Riker si chiudeva la porta alle spalle, Heller lavorava sul comodino imprecando contro quell'assassino maniaco della pulizia, senza considerare che a pochi metri da lui sedeva una donna altrettanto fanatica e per giunta armata.

«Quello non imbustarlo» disse Mallory mentre Heller tentava di estrarre lo schedario dal tavolino accanto al computer. «Ne ho bisogno. È una lista di clienti, tutta la gente per cui faceva delle ricerche.»

«Lì ci sono le tue pinzette?» chiese Heller, guardando nella cassetta degli attrezzi di Mallory.

Mallory sollevò lo sguardo verso di lui. Pensava che non sapesse come si maneggiavano le prove? No. Heller stava solo facendo il suo lavoro. Markowitz aveva sempre vezzeggiato e coccolato Heller, anche quando gli faceva venire le convulsioni a forza di controllare i dettagli dei dettagli. E lei aveva bisogno di quest'uomo.

«Non preoccuparti, Heller. Se ci fossero state le sue impronte sul computer, non lo avrebbe certo lasciato qui.» Spostò la sedia di lato. «Ecco, guarda.»

Heller si piegò a osservare un elenco di nomi sullo schermo luminoso del computer. Si girò verso la prima scheda visibile nel contenitore.

«Vedi? Tutte le informazioni nella prima voce coincidono con quella scheda. Stai guardando una copia elettronica della scheda su carta. Qualcuno ha lavorato su questo computer circa sei ore dopo la morte della Bosch. Chiunque abbia pulito l'appartamento ha pulito anche il computer. Ha cancellato questo file. L'ho recuperato con l'aiuto di un programma speciale. Se sarò fortunata, le informazioni nello schedario non coincideranno esattamente con quelle nel computer.»

«Pensi che il tizio potrebbe aver rimosso la sua scheda?»

«Potrei scommetterci. Perché avrebbe cancellato la lista se non ci fosse stato dentro anche lui?»

Heller assentì mentre un tecnico gli porgeva una busta di plastica contenente un reperto. Scarabocchiò le sue iniziali sull'etichetta e tornò a guardare Mallory.

«Noi abbiamo finito, Mallory. Non posso dirti molto, a parte il fatto che il nostro uomo è alto. A giudicare dai segni della spugna sul muro.»

«Come sai che non è salito su una sedia?»

«Guarda quelle tracce. Non ci sono segni che indichino che l'assassino abbia interrotto il lavoro per spostare la sedia. Ha camminato per tutta la lunghezza della parete. Dev'essere sul metro e ottantacinque, metro e novanta. Porteremo i tappeti e il materasso al laboratorio. Se c'era del sangue, lo scopriremo. Abbiamo preso qualche impronta dalle scarpe e dalle cinture. Probabilmente le impronte appartengono alla vittima.» Guardò i segni in alto sul muro. «Nessun uomo tanto alto potrebbe avere polpastrelli così piccoli.»

Heller esitò.

«C'è altro?»

Non mi stai nascondendo qualcosa, vero, Heller?

«È strano» disse finalmente Heller.

Si chinò, aprì un cassetto del comodino accanto al letto. Era vuoto; il contenuto era stato catalogato e messo nelle buste. Girò il cassetto e glielo mostrò. L'odore del detergente era ancora molto intenso.

«Ha pulito tutte le superfici esterne dei cassetti» disse Heller. «È questo lo strano. Come se qui dentro ci fosse stato un bagno di sangue. E invece non c'è stato. Qualche traccia l'avrei trovata sicuramente, con la luce e lo spray. Invece niente.»

«Vuoi dire che devo cercare un pazzo ossessionato dall'igiene?»

«Potrebbe essere. Ho visto qualcosa del genere dieci anni fa. Forse il tuo vecchio te l'ha raccontato. Il luogo del delitto era pulito come questo. Presero il bastardo quando tornò per pulirlo di nuovo. C'era un investigatore nell'appartamento quando l'assassino spuntò con guanti di gomma, un secchio e uno spazzolone. Ah, se tutti i casi fossero così facili. Per ora non ho altro da aggiungere.»

"Grazie, Heller", suggerì il fantasma di Markowitz, dalla poltrona imbottita che occupava nel cervello di Mallory.

«Grazie, Heller.»

Mallory gli sorrise e si mise al lavoro con un paio di pinzette estraendo scheda per scheda dal raccoglitore e cercando il suo corrispettivo elettronico.

Heller e i suoi uomini se n'erano già andati quando arrivò alla "H". Mancava la scheda di Betty Hyde. Secondo il file recuperato, la Hyde teneva rubriche di gossip su periodici a larga diffusione. Mallory non aveva bisogno di consultare il file per sapere che la donna faceva anche brevi apparizioni televisive in un notiziario serale. Abitava al Coventry Arms, un palazzo di lusso nella Upper West Side.

L'indirizzo era a sei minuti a piedi dal punto del parco dove era stato lasciato il corpo.

Una rapida scorsa al calendario elettronico informò Mallory del fatto che Betty Hyde usava il servizio di ricerca e controllo informazioni fornito da Amanda Bosch solo saltuariamente. Gli appunti sulle occasioni mondane alle quali le donne si erano recate insieme indicavano l'esistenza di un rapporto non solo professionale tra le due.

Mallory evocò l'immagine di Betty Hyde così come appariva nella sua rubrica alla televisione. Spesso era assai perfida nel dissezionare pubblicamente la vita privata delle persone. Negli anni doveva essersi fatta più di un nemico. Era più plausibile nel ruolo di vittima che di assassina. Quando Mallory ebbe finito di esaminare la lista, l'unica scheda mancante era quella della giornalista.

Poi Mallory individuò una serie di file protetti. Accedervi sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma Mallory si chiese perché la Bosch avesse sentito il bisogno di quella misura di sicurezza in un computer che usava a casa. Evidentemente qualcun altro frequentava l'appartamento. Difficilmente poteva trattarsi di Betty Hyde, i cui gusti erano radicalmente diversi, a giudicare dall'indirizzo del palazzo multimiliardario in cui viveva.

Il computer esigeva una password. Mallory passò rapidamente in rassegna il suo armamentario di software con l'occhio di uno scassinatore che esamini la scelta di grimaldelli e diamanti tagliavetro. Scelse un dischetto e avviò un programma infallibile. Fu la parola LIBRO ad aprirle la porta dei file riservati, rivelando la presenza di un romanzo. Ecco spiegati i manuali di stile allineati sulle mensole, manuali che con il lavoro di ricercatrice non avevano nulla a che fare.

«No, lei ha assolutamente ragione, signora Farrow» disse Riker. «Non avrebbe dovuto parlarle in quel modo. Ma vede, ha perso suo padre di recente, e da allora non è più la stessa.»

Falso. In realtà Mallory non era affatto cambiata dopo la morte di Markowitz.

«Oh, povera bambina» disse la signora Farrow.

Mallory non era mai stata una bambina.

Riker sedeva in una comoda poltrona imbottita rivestita di un tessuto a rose, gli stessi fiori che decoravano la carta da parati, il tappeto e la tazza di caffè che teneva in mano. Sorrise alla vecchia signora che viveva nell'appartamento sopra quello di Amanda Bosch.

«Mi pare di capire che ha avuto problemi con gli assegni dell'assistenza sociale.»

«Sì. Jimmy li ruba e li incassa. Pensavo che l'aveste arrestato per questo. Sua madre di solito mi dà una mano, ma questo mese era un po' a corto anche lei. Non mi piace pesare sugli altri. Non lo faccio mai. Amanda veniva su con la spesa e mi aiutava per le medicine. Ho detto a Jimmy che se non avesse rimborsato Amanda l'avrei spedito dritto in galera. Non che l'avrei fatto davvero, si capisce. E lui che cosa le dà? Una giacca di seconda mano con una bruciatura di sigaretta sulla manica.»

«Sa dove fosse Jimmy quella mattina?»

«Mio nipote era qui, a casa mia. Suo padre l'aveva trascinato qui alle sei del mattino perché mi facesse le sue scuse. Vede, mio figlio lavora di notte. Smonta alle cinque. Be', quando finalmente sua moglie gli ha detto dell'assegno, mio figlio ha dato fuori di matto. C'era anche la signora Cramer, la mia vicina che abita in fondo al corridoio. Una donna così dolce. Tutte le mattine, da quando ho avuto l'ultimo attacco di cuore, viene a vedere come sto prima di andare al lavoro, in ospedale. Be', era qui quando Jimmy e suo padre sono arrivati. Può chiederglielo, glielo confermerà. Poi siamo andati a messa tutti insieme e a fare colazione a casa di mio figlio. Mio figlio mi ha riaccompagnata a casa a mezzogiorno.»

Riker consultò il taccuino. Coincideva con quello che gli aveva riferito il ragazzo. Non credeva possibile che la donna sapesse mentire. I suoi occhi riflettevano ogni pensiero, ogni paura.

«E per tutta la mattina non ha mai perso di vista suo nipote?»

«No. Padre Ryan può dirglielo. Deve ricordarselo. Era stupefatto di vedere Jimmy in chiesa.» Si guardò le mani che teneva raccolte in grembo, un grappolo di nocche artritiche serrate attorno a una scatola di latta quadrata. «Cosa farete a mio nipote?»

«Lo farò riaccompagnare al deposito da uno dei miei uomini.»

«Nessuna accusa?»

«No.»

Aprì la scatola e lo ricompensò con dei biscotti. «Ho ancora qualche domanda da farle su Amanda» disse Riker, con una mano nella scatola.

«Non riesco ancora a credere che sia morta. Era tanto giovane. Amanda era una persona buona e gentile. Non riesco…» Il resto della frase le morì in gola. Improvvisamente era molto stanca, la schiena e le spalle incurvate.

«Vorrei parlare con qualcuno dei vicini» disse Riker. «Forse ricorderanno di aver visto Amanda con un uomo. Una giovane donna così carina, doveva senz'altro esserci qualcuno di speciale nella sua vita.»

Amanda non avrebbe potuto concepire un figlio senza un uomo. Per quanto fossero sotto Natale, Riker era poco incline a credere ai miracoli.

«Be', i vicini non avranno nulla da dirle» disse la signora Farrow. «In questo quartiere sono tutti operai. Stanno fuori casa tutto il giorno, e vanno a dormire a un'ora ragionevole. Per questo non possono sapere niente.»

«E lei? Non ha mai notato la presenza di un uomo, in settimana o durante il week-end?»

«Be', no.»

Le spalle si ingobbirono ulteriormente e il mento le ricadde sul petto. Piantò gli occhi spaventati sul tappeto ai suoi piedi.

Riker intuì che la vecchia signora gli stava nascondendo qualcosa. Sorrise. «Sa» disse, «neanche a me piace parlare male dei morti, ma non credo che ad Amanda importerebbe. E io so che lei vuole aiutarci a trovare l'assassino, giusto? Mi dica, sospetta forse che l'uomo di Amanda sia sposato?»

«Amanda non ne ha mai parlato, e lui veniva solo nel pomeriggio, quando nel palazzo non c'era nessuno.»

«Ma lei li ha sentiti. Li ha sentiti insieme.»

E che cosa aveva sentito! Dissero le sue dita irrequiete sulla scatola dei biscotti. Le mancava il coraggio di incrociare gli occhi di Riker.

Mallory fece scorrere le righe del romanzo, cercando qualcosa che fosse fuori posto, qualche segno di un file danneggiato. La finestra della scala antincendio era alla sua sinistra. Oltre il vetro udì il pianto di un bambino, poi un tonfo morbido. Si girò verso la finestra.

Non era un bambino. Stava fissando un paio di occhi a mandorla, verdi come i suoi. Il pelo del gatto era stato bianco, ma adesso era grigio per la polvere e lo sporco, un orecchio era lacero e sanguinante. Amanda Bosch doveva avere l'abitudine di nutrire i gatti randagi.

«Niente da fare, micio, d'ora in poi dovrai cavartela da solo.»

Si girò nuovamente verso il computer e continuò il suo esame, scorrendo le righe per individuare vuoti e caratteri anomali, cogliendo qua e là brani di trama. Uno dei personaggi principali viveva in un lussuoso palazzo nella Upper West Side, proprio come Betty Hyde. Era un uomo sposato che tradiva la moglie. Molto interessante!

Il gatto non voleva saperne di stare zitto.

Mallory guardò di nuovo verso la finestra e provò a comunicargli, stringendo gli occhi, che doveva tacere, e subito, o lo avrebbe spedito dritto al paradiso dei gatti. L'animale equivocò, stringendo a sua volta gli occhi in due fessure che dicevano: "Ti voglio bene anch'io". Poi si sollevò sulle zampe posteriori, toccando il vetro con la zampa, miagolando con insistenza: "Fammi entrare adesso, adesso, adesso".

Mallory aprì la finestra a ghigliottina. Ma, prima che potesse scacciarlo, il piccolo animale balzò sul pavimento della stanza, depositando al suo passaggio peli di gatto sulla manica del suo blazer. Attraversò di corsa il cucinino ed entrò nel salotto. Mallory si strinse nelle spalle. All'inferno. Amanda Bosch era morta, l'appartamento era stato setacciato da una banda di estranei, che il gatto andasse a cacciarsi dove voleva. Non faceva alcuna differenza.

Il gatto riprese a miagolare. Mallory pensò a un metodo infallibile per zittirlo una volta per tutte, ma poi un raro afflato di umanità la indusse a lasciar perdere. Il gatto avrebbe avuto abbastanza problemi in strada anche senza un'altra ferita.

Lo osservò aggrapparsi alla porta dello sgabuzzino e aprirla. Dopo una breve ricerca, ne uscì e si mise ad annusare il pavimento. Poi andò a strofinarsi contro il polpaccio di Mallory. Il miagolio lamentoso cessò per fare posto al morbido ronfare delle fusa. Con la gamba Mallory spinse via la bestia. Allora il gatto si infilò in una scatola posata sul ripiano più basso della libreria. Riemerse con in bocca un topino di gomma.

Non è un randagio.

Mallory si alzò per ispezionare la cucina. Nella credenza trovò una ciotola di ceramica con su scritta la parola "Nose", naso. Il gatto la stava fissando, allora Mallory notò il segno grigio sul muso, un'ombra che aveva scambiato per sporcizia. Creava l'illusione di un gran nasone bulboso. Nose era un nome appropriato.

Stava miagolando di nuovo. Mallory si mise una mano sul fianco, tirando indietro la giacca per mostrare la pistola nella fondina, ma su un gatto quel gesto era destinato a non avere alcun effetto.

Il gatto si sollevò sulle zampe posteriori e compì un giro su se stesso, danzando con passi delicati e abili. Poi tornò a sedersi fissando quietamente la ciotola nella mano di Mallory. Ai suoi occhi adesso il piccolo animale appariva ancora più sciocco. Normalmente i gatti, noti per l'innato senso di indipendenza, avevano il pregio di non abbassarsi a certi trucchetti. Quello invece era un gatto ammaestrato.

Mallory aprì una scatoletta di tonno, pensando che il cibo lo avrebbe placato. Il gatto mangiò come se stesse morendo di fame. Mallory tornò in camera da letto e avviò la stampa del romanzo di Amanda. Poi aprì la porta dello sgabuzzino e guardò la culla sul pavimento. Passò nella stanza da bagno. Nell'armadietto sotto il lavandino c'era una vaschetta di plastica di quelle usate per la sabbia dei gatti. Era coperta della polvere nera della scientifica, la quale rivelava l'assenza di qualsiasi impronta. L'assassino aveva pulito anche la lettiera.

L'appartamento non era la scena del delitto; Mallory ne ebbe la certezza al termine di un'attenta ispezione degli altri armadietti. Se l'assassino aveva pulito l'appartamento con tanta cura, non era per cancellare tracce di sangue, ma perché quello era un luogo che lui aveva frequentato abitualmente. Probabilmente era a causa sua se Amanda aveva nascosto i file del romanzo. Era possibile che l'assassino vi figurasse in modo riconoscibile…

Restava da chiarire perché l'uomo non avesse fatto sparire lo schedario. Ma certo. Se non avesse lasciato la lista dei clienti di Amanda al suo posto, la polizia si sarebbe attivata per rintracciarli, magari chiedendo aiuto attraverso i telegiornali della sera. Il ragionamento stava in piedi. Il punto del parco dov'era stato trovato il corpo era a pochi minuti a piedi dal domicilio della Hyde. Era l'indirizzo di quel palazzo che l'assassino aveva inteso nascondere.

Riprese a esaminare le stanze dell'appartamento con maggiore attenzione.

"Dettagli", disse Markowitz dalla stanza all'interno del cervello di Mallory che lei aveva arredato con la sua poltrona, una rastrelliera per le pipe e una confezione della sua miscela di tabacco preferita, aromatizzata allo sherry. "Dettagli!".

Esaminò lo scatolame nella dispensa della cucina. Due scatole di pesce, ma niente cibo per animali. Trovò l'aspirapolvere in un armadietto in soggiorno e lo aprì. Il sacchetto non c'era. Lo aveva preso Heller. All'interno dell'aspirapolvere trovò peli di gatto. Il gatto le si stava strofinando nuovamente contro la gamba, depositando altri peli. Stava ritto sulle zampe posteriori, appoggiato con quelle anteriori sui jeans. Mallory si piegò e lo prese per le zampe. Le osservò. Quelli non erano gli artìgli di un gatto randagio.

Il che spiegava l'orecchio lacero e la gran fame. L'animale doveva essere scappato quando l'assassino era tornato. O lo aveva buttato fuori lui per qualche ragione?

Il gatto aveva ingurgitato il cibo voracemente, lucidando la ciotola. Doveva essere rimasto a lungo senza mangiare. Era possibile che l'assassino fosse tornato nell'appartamento il giorno del delitto, l'ultima data registrata sul computer.

Riker non si sarebbe mai aspettato di vedere Mallory con un gatto in braccio. I gatti erano i nemici naturali dei maniaci della pulizia. L'animale aveva già depositato un intrico di peli bianchi sul suo blazer grigio. Ma la cosa più sorprendente era che il gatto fosse ancora vivo. Mallory lo depose sul tappeto accanto a sé. Il gatto le si strofinò contro la gamba, spargendo altro pelo e, nonostante questo, lei non lo uccise.

«Chi è il tuo amico?»

«Si chiama Nose. Abita qui.»

«Ah sì?» Si accucciò per coccolare il gatto che si rifugiò dietro il polpaccio di Mallory. «Allora, cos'altro hai scoperto?»

«Questo non è il luogo del delitto» disse Mallory, allontanando il gatto con sorprendente delicatezza. «Il delitto è stato commesso nel parco. L'assassino abita nelle vicinanze. Non è verosimile che prima l'abbia uccisa e poi abbia trascinato il cadavere fin quasi alla soglia di casa. È accaduto nel parco. È là che i due avevano un appuntamento.»

«Un appuntamento? Era nel computer?»

«Quella mattina pioveva, e in casa non ci sono ombrelli. Amanda aveva scoperto qualcosa su di lui, gli ha dato appuntamento nel parco e l'ha minacciato.»

«Come fai a saperlo?»

«Di professione Amanda cercava e controllava informazioni. Quadra. L'ha minacciato, e lui l'ha uccisa. Si è fatto prendere dal panico ed è scappato. Più tardi è tornato, l'ha trascinata laddove la vegetazione era più fitta e le ha fracassato le mani con una pietra, per cancellare le impronte digitali. Quella sera stessa è venuto qui per eliminare tutte le prove della relazione che aveva con la vittima. Vive al Coventry Arms. Scommetto che è sposato e che è alto almeno un metro e ottantacinque. E tu, cos'hai trovato?»

Riker sorrise e ripose lentamente il taccuino nella tasca del cappotto. «Il ragazzo ha detto la verità.»

La seguì in camera da letto. Sul pavimento erano sparsi rotoli di carta che ancora uscivano dalla bocca della stampante sulla mensola sotto il computer. Mallory scorse i fogli finché trovò quello che cercava e lo strappò dal rotolo. Riker lesse l'elenco di nomi.

«Prima ha cancellato il file con gli indirizzi dei clienti di Amanda. Poi l'idiota ha eliminato dallo schedario un unico indirizzo. La Bosch lavorava occasionalmente per una giornalista rosa, Betty Hyde. Si vedevano anche fuori del lavoro.»

«Quindi pensi che la Hyde sia coinvolta?»

«No. Negli ultimi due mesi la Hyde non ha dato lavoro alla Bosch.»

Strappò un altro foglio. «Questo è il piano di lavoro della vittima. Non c'è niente che riguardi Betty Hyde. E quest'appunto ci dice che la Hyde è all'estero. Ho chiamato il giornale e la compagnia aerea. Dovrebbe rientrare oggi pomeriggio. Guarda qui. La Bosch registrava tutte le ore di lavoro. Non lavorava mai nei weekend. E non ritirava mai personalmente il lavoro. Nei due mesi scorsi tutto il materiale è stato consegnato e ritirato in questo appartamento.»

«Ma l'assassino vive nello stesso edificio della Hyde?»

«È stato così sciocco da eliminare una sola scheda. Sì. Vive là. Voleva evitare che la polizia si presentasse a fare domande. È come se mi avesse lasciato una mappa.»

«Quando Coffey lo saprà, si metterà a urlare come una partoriente. È un po' fuori dalla tua zona, piccola, ma conosci il genere di persone che vive in quell'edificio.»

«Helen è cresciuta in quell'isolato. Sua sorella Alice vive ancora là.»

«Non è male che tu abbia questo genere di contatti. Ne avrai bisogno se andrai a ficcare il naso al Coventry Arms. Non sapevo che la famiglia di Helen fosse ricca.»

«I genitori di Helen erano benestanti, non ricchi. C'è un curioso miscuglio in quel quartiere. Ci trovi la donna che tira avanti con l'assegno dell'assistenza sociale in un appartamento ad affitto controllato, come la signora bene.»

«Qual è la posizione del palazzo di tua zia Alice? Credi che possa metterci a disposizione un po' di spazio per la sorveglianza?»

«Direi di no. L'ho vista una volta sola, e non le sono piaciuta.»

«Come hai potuto non piacerle? Cosa c'è di te che possa non piacere?»

Adesso si era chiusa in se stessa, persa nell'operazione di riavvolgimento della carta che continuava a uscire dalla stampante.

«Com'è che non sei mai riuscita ad andare d'accordo con i parenti di Helen? So che non amavano Markowitz, ma tu?»

«Dal primo istante in cui posò gli occhi su di me zia Alice provò una avversione istintiva nei miei confronti. Da allora non mi parla.»

Che cosa aveva fatto Mallory alla zia Alice?

Riker teneva in mano il taccuino aperto guardandosi intorno nello studio del dottore. La stanza traboccava del profumo e del verde di piante da vaso, alcune ornate da delicati boccioli. Anche il dottore era un tipo delicato, e Riker lo inquadrò come una di quelle anime gentili che acchiappano le mosche entrate in casa per rimetterle in libertà. Provò pena per quel poveretto in camice bianco, intento a spiegare a Mallory che non poteva violare la privacy di Amanda Bosch, viva o morta che fosse. Il dottore non voleva dirle se Amanda avesse contratto malattie a trasmissione sessuale. Si trattava di un principio di riservatezza che non avrebbe mai potuto violare.

La tensione di Mallory stava montando, e Riker immaginò che il dottore non riuscisse a leggerne le avvisaglie. La carriera del pover'uomo, contraddistinta dalla sensibilità nei confronti delle donne e dei loro problemi ginecologici, non lo aveva preparato a situazioni come questa.

Mallory si alzò in piedi.

Sbatté la fotografia dell'autopsia sul registro che aveva sotto gli occhi, facendolo sussultare.

Evitando di alzare la voce, ma scandendo le sillabe secondo il ritmo regolare di una bomba a orologeria, Mallory disse: «Guardi cosa le ha fatto quel bastardo».

Non erano le graziose fotografie che gli agenti avevano mostrato ai portinai, quelle dove si vedevano la ferita alla testa e il danno prodotto dagli insetti. Questa mostrava la fase successiva all'autopsia, l'oscenità pornografica di una donna scavata al suo interno come una canoa sanguinolenta.

Mallory non fece alcun cenno al fatto che era l'opera di un anatomopatologo. Lasciò che il buon dottore desse corso alla propria immaginazione, inducendolo ad alzarsi in piedi e a raggiungere la porta dello studio.

Mallory si risedette e restò in attesa.

Quando il dottore fu tornato alla scrivania, sedette lentamente, come una persona che fosse appena invecchiata di trent'anni.

Adesso era completamente nelle mani di Mallory.

«Conosceva il padre del bambino?»

«No. Non voleva parlarne. Mi sono fatto l'idea che sia un uomo sposato.»

«Voglio sapere se il movente potrebbe avere qualcosa a che fare con una malattia trasmettibile sessualmente. Non ho tutto il giorno per aspettare i risultati dal laboratorio del medico legale.»

«No, niente del genere. Le ho fatto tutti i controlli, dietro richiesta della diretta interessata. Era sana, a parte il difetto congenito all'utero.»

«È per questo che ha avuto un aborto? È stato un aborto terapeutico?»

«Non ho idea del perché abbia abortito. Voleva quel bambino più di qualunque altra cosa al mondo. Aveva avuto enormi difficoltà nel concepirlo a causa della sua anomalia fisica. C'erano scarsissime probabilità che restasse incinta.»

«L'ha fatta abortire lei?»

«No, ha abortito in ospedale. È andata al pronto soccorso lamentando perdite di sangue e crampi. L'ho raggiunta prima che ho potuto, ma quando sono arrivato era già tutto finito. L'aborto è stato praticato da un dottore mal preparato, un vero macellaio. Dopo un aborto del genere un'altra gravidanza era fuori discussione. Nessun intervento di chirurgia plastica avrebbe potuto riparare il danno che le era stato inflitto.»

«Quando ha subito l'aborto?»

«Oggi è una settimana. Ha disdetto due appuntamenti con me, e non l'ho più vista. Ho chiamato e lasciato messaggi. Non mi ha richiamato.»

«Allora è stato un aborto spontaneo? È così che è cominciato?»

«No. Non c'è stato aborto spontaneo.»

«Ritiene che abbia tentato di abortire da sola?»

«No, naturalmente no. Niente del genere, ma il feto era in pericolo. Non dormiva né mangiava da giorni. Era sottoposta a un'enorme pressione.»

«Che tipo di pressione?»

«Non lo so. Quando quella notte l'ho vista all'ospedale, non ha voluto raccontarmi nulla. Il medico di servizio le aveva prospettato la possibilità di salvare il bambino. Lei aveva urlato, "No! Tagliatemelo via!" Quello non ha tenuto conto dello stato emotivo di Amanda, e ha fatto quello che lei gli chiedeva.»

«Che tipo di trauma avrebbe potuto causare le perdite di sangue e i crampi?»

«Qualunque cosa in grado di toglierle la pace e il sonno. Il riposo a letto era importante. Non è inconsueto che alcune donne con profili clinici particolari passino l'intera gravidanza a letto.»

«Mi dia delle ragioni per cui potesse desiderare di liberarsi del bambino. So che non era per motivi economici. Ho controllato il suo conto bancario.»

«Forse era emerso qualcosa di molto spiacevole sul conto del padre del bambino, qualcosa che le aveva reso intollerabile l'idea di portare dentro di sé suo figlio. Stava entrando nel secondo trimestre della gravidanza. Non ho idea di quando abbia detto all'uomo del bambino. Lui potrebbe averle rivelato un problema di natura genetica.»

«Ma lei avrebbe fatto delle analisi per accertarlo, giusto?»

«Non era un buon soggetto per un'amniocentesi. Era una gravidanza molto delicata. Avrei dovuto avere un ottimo motivo per infilarle un ago nella pancia ed estrarne il liquido necessario. Ma Amanda non mi aveva mai parlato di problemi genetici, o di qualunque altro tipo di problema. Era una donna molto felice, prima di perdere il bambino.»

«Riesce a pensare a qualche altra possibilità?»

«Le donne abortiscono in caso di stupro. Non è questo il caso, ma deve comunque essersi trattato di qualcosa di orrendo…»

Il volto del dottore esprimeva un dolore autentico.

«Ero molto affezionato ad Amanda.» I suoi occhi si posarono nuovamente sulle foto dell'autopsia. Si protese per allontanarle da sé, spingendole fin quasi al bordo della scrivania. «Il conto bancario di cui ha parlato… era la caparra per l'acquisto di una casa. Ne voleva una con cortile perché il bambino potesse giocarci.»

A fine giornata, nell'ufficio di Coffey, quello che continuava a essere chiamato l'ufficio di Markowitz, Riker stava dicendo: «E l'assassino si è guadagnato l'ammirazione di Mallory per la precisione con cui fa le pulizie».

Coffey si rivolse a lei. «Quelli della Scientifica hanno scoperto qualcosa?»

«La squadra di Heller ha trovato una pistola giocattolo nella spazzatura dell'edificio. Lui ritiene che abbia qualche legame con l'appartamento della Bosch.»

«Ha rilevato delle impronte?»

«No» disse Mallory. «È per questo che pensa che c'entri qualcosa. La pistola è stata ripulita. È la copia di una vecchia sei colpi.»

«Non sapevo che pistole del genere fossero ancora in produzione.»

«Le fanno solo poche ditte» disse Riker abbassando lo sguardo sul taccuino. «In ogni caso questa è stata fatta trent'anni fa. Potrebbe essere appartenuta all'assassino da bambino.»

«Pensi che abbia tentato di spaventarla con quella?»

«Possibile» rispose Riker. «Un adulto che conserva i suoi giocattoli dà sempre da pensare.»

Sulla scrivania che li divideva c'era una palla da baseball con l'autografo di Mickey Mantle. Coffey sorrise senza traccia di irritazione. Non aveva voglia di litigare. Riker si strinse nelle spalle.

«Come movente cosa abbiamo… c'è qualcosa?»

«La Bosch ha scoperto qualcosa sul conto dell'assassino e l'ha minacciato» disse Mallory. «Lui si è fatto prendere dal panico e l'ha uccisa.»

«Come sei giunta a queste conclusioni, Mallory?» fece Coffey, sorpreso.

«Trovare e controllare informazioni era il mestiere della vittima. Lui era il padre del bambino…»

«Questo non lo sai.» O lo sapeva?

«Se lui è il padre del bambino, è ragionevole ipotizzare che lei abbia fatto qualche ricerca sul suo conto» si corresse Mallory. «Deve aver scoperto qualcosa di grave.»

«Ma le tue sono solo supposizioni. A meno che non mi stiate nascondendo qualcosa. Non è così, vero?»

«Certo che no» disse Mallory dopo qualche istante.

Coffey decise che aveva impiegato troppo a rispondere.

«Hai identificato il cadavere. Ottimo lavoro, Mallory. Ma per il Coventry Arms non abbiamo niente di solido. Non posso interrogare gli inquilini sulla base di mere ipotesi. Non senza ricevere pesanti lamentele da parte di gente molto altolocata. Non abbiamo uno straccio di prova. Se il parco è il luogo del delitto, la mancanza di un alibi per i sei minuti necessari a compiere l'assassinio non reggerà in tribunale. Abbiamo un periodo di ventiquattr'ore durante il quale l'assassino può essere entrato nell'appartamento della Bosch. Non è neppure detto che l'abbia tirato a lucido in un'unica sessione. Poniamo di interrogare tutti i maschi adulti nell'edificio, che cosa otterremmo, in termini concreti? Non posso autorizzare un'iniziativa del genere a causa di una scheda mancante. Non possiamo escludere che sia stata la stessa Bosch a toglierla dallo schedario. Forse si era stufata di lavorare per Betty Hyde.»

«Non ha tolto lei la scheda. La copia cartacea dell'indirizzario comprende i nomi di clienti per i quali non lavora da tempo. La Bosch non ha eliminato proprio niente.»

Ad eccezione di un bambino mai nato.

«Non è abbastanza per interrogare qualcuno.»

«Non ti sto chiedendo di interrogare qualcuno. Potrei trasferirmi nell'edificio» disse Mallory. «Uno di quegli appartamenti dev'essere sfitto. Qualcuno fuori città, qualcuno che si è trasferito.»

«E tu pensi di poterti trasferire in un appartamento in subaffitto, o anche in uno libero senza destare sospetti? Continuiamo a ricevere telefonate da gente convinta che tu sia morta perché ha visto la tua faccia in televisione.»

«Io sono certa che il colpevole abbia qualche legame con quell'edificio. Bisogna costringerlo a uscire allo scoperto, o non lo prenderemo mai.»

«Non puoi prenderli tutti, Mallory.»

«L'assassino appartiene a un ambiente frequentato dalla Bosch e dalla Hyde. Nel computer ho trovato appunti che attestano l'esistenza di un rapporto personale tra le due donne. La Hyde potrebbe avere presentato l'assassino ad Amanda, magari si sono incontrati mentre lei era a casa della sua cliente… Tutto quello che so è che tra il Coventry Arms e il bastardo che cerchiamo deve esserci un nesso.»

«Qual è la posizione di Betty Hyde? Poteva avere qualche motivo di desiderare Amanda Bosch morta?»

«La Hyde era in Australia il giorno del delitto. Ha più di sessant'anni e non è abbastanza alta per essere l'assassino.»

«Potrebbe essersi servita di un sicario, anche se questo omicidio non sembra il lavoro di un professionista.»

«Non regge. Amanda aveva un rapporto personale con il suo assassino. Quella mattina è andata al parco per incontrarlo. L'omicidio non era premeditato. Il nostro uomo non ha portato armi con sé, ha usato una pietra e le mani.»

«Perché non invitiamo la signorina Hyde per qualche domanda? Potremmo far passare il colloquio come una richiesta di aiuto.»

«No. Qui ci vuole molta discrezione. Il resto della clientela della vittima abita a Midtown o nel Village. L'unico legame con la Upper West Side rimane quell'edificio. L'indirizzo che l'uomo voleva coprire.»

«Mallory, non hai niente di concreto. Non sei certa che lui viva al Coventry Arms.»

«Ti sbagli. Ha passato molto tempo con il cadavere, spappolandole le mani, riducendole in poltiglia. Se l'è presa comoda. Superato il panico iniziale, si sentiva a suo agio in quell'angolo del parco. Era vicino a casa.»

Coffey fece scivolare una cartellina attraverso la scrivania. Sulla copertina c'erano le iniziali di Heller.

«Heller conferma la tua versione circa la scena del delitto. È morta nel parco. Hanno trovato schizzi di sangue sotto alcune pietre rotolate accanto all'acqua. Era qui mezz'ora fa. Dice che hai autorizzato tu lo straordinario.»

«Ragione di più per dare credito alla mia ipotesi che l'assassino abiti al Coventry Arms. Ha preso la scheda per impedirci di rintracciarlo a quell'indirizzo. Lascia che mi ci trasferisca.»

«Tu dammi qualcosa di concreto, e ne riparleremo. Fino ad allora la risposta è no.»

«Se non altro promettimi almeno di non rivelare l'identità della vittima.»

«Hai la mia parola. Nessuno avrà quel nome.»

«D'accordo. Grazie» disse Mallory, e le parole "per esserti rifiutato di darmi una mano" rimasero inespresse, sospese nell'aria per alcuni minuti dopo che lei ebbe lasciato la stanza.

Mallory fermò l'automobile di fronte al Coventry Arms, a motore acceso.

L'edificio, vecchio di un secolo, aveva l'aspetto di una fortezza minacciosa. Sulla facciata in stucco si alternavano finestre sfavillanti e luci più fioche. Timpani e balconi zeppi di piante movimentavano la facciata dell'edificio, e l'edera si avvinghiava ai muri molto oltre le foglie scure di alberi vetusti. La forma delle finestre variava dal quadrato al rettangolare al circolare fino al grande arco in vetro colorato dell'appartamento centrale. Una finestra degna di una cattedrale.

L'ingresso all'edificio consisteva in una grande bocca di pietra sul cui fondo si apriva una serie di porte ornate da fregi di rame. Oltre al portiere, quella sera era di turno un addetto alla sicurezza.

Nella tasca posteriore dei jeans Mallory aveva un distintivo. Sarebbe potuta entrare nell'edificio in qualunque momento, avrebbe potuto parlare con chiunque avesse voluto. Ma per il momento non lo avrebbe fatto. E non sarebbe entrata di nascosto. L'unico modo per non destare sospetti era agire alla luce del sole.

Superò il Coventry Arms, diretta verso l'edificio meno famoso alla fine dell'isolato. Céra stata una sola volta nella sua vita, e tuttavia le era rimasto impresso in ogni particolare. Parcheggiò in doppia fila, come sempre.

Quando il portiere le chiese chi fosse e a quale appartamento fosse diretta, gli porse un biglietto da visita.

«Lei è Mallory o Butler, signorina?»

«Dica alla signorina che è Kathy, sua nipote.»

Non era esattamente così. La sua adozione non era mai stata formalizzata. Aveva rifiutato di rispondere alle domande sul suo passato e sui suoi genitori naturali. In assenza di notizie circa la sua famiglia, la pratica era rimasta in sospeso.

Ma sebbene esistessero molti Mallory al mondo, l'unica sorella di Alice aveva una sola figlia di nome Kathy.

L'uomo riagganciò il citofono. La pregò di accomodarsi nell'atrio sfoderando un largo sorriso. La zia Alice doveva essere generosa con le mance.

Mentre Mallory attraversava l'ingresso, il guardiano di notte seduto al bancone riappese a sua volta il citofono, mostrando con un discreto cenno del capo di aver compreso la sua importanza.

In quel luogo si respirava un'atmosfera non già di estrema ricchezza, ma di agiatezza discreta. Gli arredi erano di buona qualità senza essere pezzi da museo. L'ascensore saliva col morbido ronzio tipico di una buona manutenzione.

Quando era stata da sua zia la prima volta c'era un addetto all'ascensore. Ricordò di aver alzato lo sguardo verso l'uomo dalla sua altezza di bambina di dieci anni.

Le porte dell'ascensore si aprirono su un pianerottolo coperto di spessa moquette beige. Le pareti erano rivestite di carta da parati a righe. La memoria condusse Mallory verso la porta in fondo al corridoio.

La prima volta che era venuta qui, insieme ad Helen, non era alta abbastanza da raggiungere il battente di ottone a testa di leone.

La cameriera, la stessa di allora, aprì la porta. Mallory la seguì lungo il corridoio che da bambina le era sembrato lungo chilometri.

Attraversarono la stanza del pianoforte ed entrarono in un vano più ampio.

Non era l'immensa sala da ballo del suo ricordo, ma la vista di quella stanza la impressionò quasi quanto allora.

I tavoli di legno nero erano ingombri di cianfrusaglie e per tutta la lunghezza delle pareti erano ammassate fotografie di famiglia. Avrebbe scommesso una consistente quantità di denaro che negli ultimi quattordici anni non era stata spostata neanche una puntina.

Dalle finestre pendevano drappi color cremisi. Le ombre riempivano gli angoli, mentre la luce si rifletteva balenando nei piatti da dolci in argento, in alcuni ornamenti d'oro.

Le fotografie e i ritratti risalivano a diverse generazioni prima, le aveva detto Helen quattordici anni prima. Ricordava molto poco della conversazione di quel pomeriggio. Alice somigliava molto alla sorella, ed entrambe avevano preso dalla madre, una vecchia signora la cui pelle andava ingrigendosi a causa del male che la divorava, lo stesso che anni dopo avrebbe ucciso Helen.

Gli adulti l'avevano annoiata finché non avevano cominciato a parlare di Markowitz. Allora si era messa ad ascoltare, le piccole mani chiuse a pugno. Markowitz poteva anche essere un poliziotto, ma era il suo vecchio. Si era alzata dalla sedia in un'esplosione di rabbiosa energia. Gli occhi di Helen l'avevano ricacciata a sedere. Le piccole braccia erano ricadute lungo gli esili fianchi della bambina che fino a poco tempo prima si era cibata di avanzi trovati nei bidoni della spazzatura, le gambe compostamente incrociate alle caviglie come le aveva insegnato Helen.

«E così questo è il massimo che Louis ha saputo darti?» aveva detto Alice, la sorella di Helen, a voce troppo alta. «Non una figlia tua, ma una piccola bastarda cresciuta in chissà quali bassifondi.»

La madre di Helen, rimasta in silenzio fino a quel punto, si era alzata a fatica, appoggiandosi al bastone e congedando con un cenno della mano la cameriera che si era precipitata al suo fianco per aiutarla.

«Basta così, Alice» aveva detto con tono imperioso e uno sguardo minaccioso alla figlia. «Ciò che è fatto è fatto.»

Alice aveva fatto per ribattere, ma con un nuovo cenno della mano la vecchia madre l'aveva zittita.

Era troppo tardi: sul viso di Helen le lacrime scorrevano copiose.

Kathy aveva affrontato la sorella di Helen con la forza propulsiva di una pallottola, piantando la faccia a meno di un centimetro di distanza da quella di Alice. Con un impeto minaccioso e un tono di voce basso che le saliva dalle viscere, disse: «Se fai piangere Helen un'altra volta, ti spezzo le gambe, puttana!».

«Non si dice puttana, cara» l'aveva rimproverata allora Helen, comparendo alle spalle della bambina per infilarle le piccole braccia nelle maniche di un cappotto nuovo di zecca. Mentre seguivano la cameriera per il lungo corridoio, Kathy aveva udito la madre di Helen prorompere in un fragoroso scoppio di risa. Aveva tentato di girarsi e di tornare indietro con l'intenzione di picchiare la vecchia sino a ridurla in poltiglia, ma Helen glielo aveva impedito.

A quattordici anni di distanza, Mallory era tornata. Helen era morta da quattro anni, ma i suoi occhi parevano fissare Mallory dal viso devastato di Alice.

«Credevo che fossi morta» disse Alice.

«Be', non lo sono» disse Mallory.

Delusa, zietta?

«Eppure l'ho sentito al notiziario della sera» disse, come se avesse colto Mallory in fallo. «Be', non fa niente. È un po' tardi per una visita, non trovi?»

«Sì, è passato un po' di tempo» ammise Mallory. «L'ultima volta ti ho vista al funerale di Markowitz.»

«Ho pensato che Helen avrebbe desiderato un membro della famiglia al suo funerale» disse Alice.

Mallory annuì.

«Non sei cambiata granché da quando eri una bambina, ma del resto non sei mai sembrata una bambina. Avevi gli occhi di un'adulta. Che bambina fastidiosa eri. Violenta, rozza e incivile.»

Mallory non se la prese: era tutto vero.

«So dove vivi adesso, Kathy. A qualche isolato da qui, vero? Quel palazzo è piuttosto elegante, immagino che le spese condominiali siano alte. Perché sei qui? Hai bisogno di soldi?»

«Non ho bisogno di soldi.»

«Allora cosa vuoi?» Alice si sporse in avanti, un improvviso scoppio di luce nelle acquose iridi blu. «Cosa puoi volere da me?» La sua voce era acuta e tremula, come prossima a spezzarsi. «Mi hai portato via mia sorella. Sai che da quella volta non volle più rivolgermi la parola? Non immagini neppure quanto ho sofferto per causa tua.»

Alice si alzò dalla sedia con fatica. Sembrava sottile e stanca. Stava forse morendo dello stesso cancro che aveva ucciso sua madre e sua sorella?

La riserva di veleno di Alice si esaurì in fretta. Si lasciò nuovamente cadere fra i cuscini della poltrona. Piangeva. Mallory aspettò che passasse.

«Perché sei venuta? Cosa vuoi da me?»

«Ho bisogno del tuo aiuto.»

«Oggi al Coventry Arms vive ogni sorta di gentaglia. I divi del rock danno feste rumorose, e i politici non sono da meno» disse la vecchia, che doveva avere superato gli ottant'anni da un pezzo.

«Nell'edificio abitano una celebrità della televisione e un attore» disse il marito della vecchia, che era stato presentato a Mallory come Ronald Rosen.

La signora Rosen assentì. «È vero. Ai miei tempi, non avrebbero mai permesso che gente di teatro abitasse in un palazzo perbene.»

«Ai tuoi tempi, Hattie» disse il marito, «erano i gangster l'aristocrazia della West Side.» Il vecchio si rivolse a Mallory. «Quando ero bambino, traslocammo quassù da Hell's Kitchen, come i parenti di sua madre. Che tempi. Da ragazzo facevo commissioni per Owney Madden, il Duca della West Side. Ho visto due dei suoi uomini morti ammazzati nella guerra per il whisky di contrabbando.»

Mallory stava bevendo il tè da una delicata tazza di porcellana, seduta di fronte ai Rosen, storici inquilini del Coventry Arms. Alice si sporse per riempire nuovamente le tazze da un'antica teiera in argento.

«Così sei la figlia di Helen» disse il signor Rosen. «Devi avere preso da tuo padre.» La signora Rosen gli diede un calcio e lui seppe di aver detto qualcosa di inopportuno, ma non cosa. Apparentemente non aveva troppa importanza, poiché sua moglie riacquistò prontamente il suo sorriso bonario.

«Abbiamo visto Helen crescere in questo appartamento, vero, Alice?» disse la signora Rosen. «Anche se dopo il matrimonio con Louis Markowitz sparì quasi completamente. Sono stata al suo funerale. Quant'è che Helen è morta, Alice, tre o quattro anni?» La signora Rosen si rivolse a Mallory. «Ti vidi in quell'occasione. Parlai brevemente con tuo padre. Sembrava così…» Mallory scoccò un'occhiata ad Alice. «Oh, ma sto parlando troppo.»

«Mallory è il tuo nome da sposata?» chiese il signor Rosen, nuovamente redarguito con un calcio dalla moglie, che conosceva i fatti per averli sentiti raccontare da Alice.

«È così eccitante» disse Hattie Rosen. «Proprio come alla televisione. Vuoi che usiamo dei nomi falsi?»

«Buona idea» disse Mallory. «E avrò bisogno di una lettera per il custode, qualcosa che spieghi perché verrò ad abitare nel vostro condominio.»

«Naturale» disse il signor Rosen. «Daremo la stessa spiegazione ad Arthur. È il nostro portiere. Non mi piace mentire ad Arthur.»

«Attenetevi alla verità» disse Mallory. «Ma senza diffondervi in particolari. Ditegli che dovete partire per urgenti questioni personali, e che io sono un'amica di famiglia. Non vi smentirò.»

«Ti ho detto che Ronald russa?» chiese la signora Rosen. «Dormiamo in stanze separate.»

«Nessun problema. Il mio appartamento ha due stanze con vista sul fiume e un portiere ventiquattr'ore su ventiquattro» disse Mallory. «Che voi sappiate, molta gente al Coventry possiede un personal computer?»

«Tutti hanno un computer al giorno d'oggi, persino noi» disse la signora Rosen. «Hanno installato i cavi per collegare telematicamente gli appartamenti, in modo da facilitare la circolazione di informazioni e notizie di interesse comune. È la versione moderna, elettronica, della bacheca, per così dire.»

«Il computer lo usa mia moglie» puntualizzò il signor Rosen. «Cosa vuoi che ne sappia io di computer?»

«Non vedo che cosa ci sia da sapere. Premi un bottone e voilà, eccoti collegato con la rete condominiale. Lasci appunti per l'amministrazione e il custode, prendi accordi con il ragazzo che porta a passeggio i cani, puoi accedere a informazioni sugli appartamenti sfitti. Non c'è da aver paura, caro. È solo una macchina. E le istruzioni sono scritte sullo sportello della consolle. Impareresti facilmente, se solo volessi. Ah, Mallory, dimenticavo: la donna delle pulizie viene una volta alla settimana. Ha la chiave, ci si può fidare ciecamente di lei. Sarah, mi pare che si chiami. Ronald, si chiama così? Sarah?»

«Posso trasferirmi domani?»

«Sì, ma tra dieci giorni dobbiamo tornare per festeggiare le nozze d'oro di mio cugino Bitsy. Abbiamo invitato un centinaio di persone. Tu capisci. Il tuo palazzo è attrezzato per la televisione via cavo?»

Quando i preparativi per lo scambio degli appartamenti furono terminati, quando i Rosen se ne furono andati e lei e Alice si furono scambiate la buonanotte non senza una certa freddezza, avviandosi alla porta, Mallory attraversò lentamente le stanze dell'appartamento dove Helen era cresciuta, registrando ogni particolare.

Passò vicino al grande pianoforte, protetto da un panno e coperto di fotografie, una cinquantina, sistemate in piccole cornici barocche. Tutti volti di bambini. Mallory trovò la foto che ritraeva Helen da piccola, circondata dai sorrisi di altri bambini invecchiati o scomparsi. La prese e la fissò per qualche istante.

Stava rimettendo la fotografia al suo posto quando i suoi occhi si inchiodarono su una cornice poco distante. Si era riconosciuta in una bambina dallo sguardo fisso, persa in un mare di facce per la gran parte sconosciute. Era una fotografia scolastica, scattata un anno dopo il suo primo, drammatico incontro con Alice.

Il ritratto non era sistemato in prima fila e non era nascosto. Occupava un posto preciso tra le generazioni della famiglia.