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24 dicembre
Seduta al computer, Angel Kipling scorreva la sezione dei messaggi, a caccia di un indizio che rivelasse nuove bugie, chiedendosi quanto le sarebbe costato questa volta. Forse, oltre al denaro necessario per tenere il suo nome fuori dai giornali, le sarebbe costato un marito.
Quando Harry le baciava la guancia si ritraeva disgustata, chiedendosi dove fosse stato, chiedendosi cosa avesse fatto… doveva chiederselo, non riusciva a farne a meno. Le bugie che le raccontava erano snervanti, e la logica con cui Angel le portava allo scoperto implacabile.
Il sole del primo mattino, riflettendosi sul monitor, oscurava solo alcune righe che si ripetevano incessanti.
«Non farti prendere dal panico, Angel» sussurrò a se stessa. «Ti fai sempre prendere dal panico.»
Probabilmente si trattava di un tentativo di estorsione.
Altrimenti il caso sarebbe già esploso su tutti i media.
Osservò la sua immagine riflessa nello schermo.
A volte desiderava che Harry morisse. Niente più scuse, pretesti, bugie. Finché fosse stato vivo, lei non avrebbe avuto pace. Si era scusato assai amabilmente per aver ipotecato illegalmente l'appartamento. Ma suo marito era il tipo che si scusava per essersi schiarito la voce. Si scusava con il cane. Poi, con lo stesso tono di voce, si scusava anche con lei.
Il custode controllò il suo universo, l'ingresso del Coventry Arms, senza trovare nulla fuori posto. Persone impeccabili andavano e venivano dentro i completi di marca e le scarpe fatte a mano. Concentrava la sua attenzione più sui vestiti che sui volti, evitando del tutto di registrare i rari visi infantili.
Con la punta del piede batteva il tempo di un vivace concerto per mandolino di Vivaldi che si diffondeva per tutto l'ingresso al discreto volume della musica di sottofondo.
Una musica meno armoniosa, frammentata e acuta, composta da alti latrati e ringhi gutturali proveniva dall'ascensore diretto al piano terra. Le porte si aprirono e la zuffa canina si riversò dall'ascensore nell'ingresso.
Il custode richiamò l'inserviente, ma questi si tenne a distanza di sicurezza dalla mischia. Evidentemente il suo mansionario non contemplava l'eventualità che gli toccasse di morire sbranato da un pitbull e da un mastino. Neppure i padroni degli animali sembravano intenzionati a rischiare la propria incolumità. Fu il portiere a intervenire per cercare di calmare il mastino. L'inserviente mostrò un biglietto da cinque dollari, facendo silenziosamente capire al portiere che scommetteva sul pitbull.
Il custode, mai invitato prima di allora a una battaglia fra cani, non ne comprendeva le regole e si avvicinò troppo ai contendenti. Il mastino lo morsicò, e quello unì le sue grida ai latrati degli animali.
L'andirivieni di inquilini e visitatori si interruppe; una dozzina di persone si raccolse in un capannello a guardare. Tra il sangue che scorreva e le scommesse che fioccavano, nessuno si accorse che dalla rastrelliera dietro al bancone veniva sottratta una chiave, sostituita con una simile a quella di Mallory.
«Ti è piaciuto il lettore CD?»
«Sì, grazie. E anche il Concerto di Louise.»
«È ora che tu ti abitui ad ascoltare la musica su CD, Charles. Potresti riversare tutti i tuoi dischi. Sembrano in buono stato.»
«I dischi mi piacciono. Mi piace il giradischi.» Non intendeva subire ulteriori offensive tecnologiche, almeno per un po'.
«Se insisti con tecnologie obsolete, la tua raccolta non potrà crescere. Né potrai sostituire i dischi rovinati. Ho notato che la tua collezione non comprende una copia del Concerto di Louise.»
«Sono anni che è fuori uso. Ce n'era un'altra di sotto, nella raccolta di Max, ma temo di aver rovinato anche quella. Il tuo regalo è arrivato al momento giusto.»
«A proposito di Max, ci sono notizie di Malakhai il pazzo?»
«Niente di nuovo. Adesso vive un'esistenza molto più tranquilla.»
«Immagino che debba essere piuttosto anziano.»
«Sì, si sta facendo vecchio» disse Charles, meravigliato dell'insolita voglia di chiacchierare di Mallory.
«E Louise? È ancora con lui?»
«Certo. Ma Louise è giovane: avrà per sempre diciannove anni.»
Charles la osservò attaccare altri fogli stampati al pannello di sughero che copriva la parete del suo ufficio. «Sempre sicura che quella della bugia sia la strada giusta?»
Mallory attaccò la stampata proveniente dal database di un'agenzia immobiliare.
«Quattro giorni prima di abortire fece un'offerta per l'acquisto di un appartamentino. Secondo la pratica dell'agenzia tra i requisiti da lei segnalati figuravano la presenza nelle vicinanze di un asilo e di aree di gioco per bambini. Il dottore sostiene che, durante i quattro giorni successivi, Amanda praticamente non mangiò né dormì. Probabilmente è in questo lasso di tempo che lei ha avuto sentore della bugia. Si è torturata per un po', poi lo ha affrontato.»
«Abbiamo ipotizzato che il suo sfogo alla tastiera abbia avuto luogo poco prima della morte. E se ci fossimo sbagliati? Se lei avesse scritto la parola "bugiardo" il giorno in cui ha scoperto che lui le aveva mentito?»
«Non credo. La scoperta della bugia l'ha convinta ad abortire. Ma prima ci ha rimuginato su. È esplosa a scoppio ritardato.»
«Come fai a dirlo?»
«Istinto. Non si può sempre procedere secondo logica. Devi entrare nei panni della vittima. E in quelli dell'assassino. Prima arrivi a conoscerlo, prima scoprirai come e perché ha ucciso.» Si voltò verso di lui. «E tu? A che punto sei con Amanda?»
Un'ombra attraversò la mente di Charles. Mallory non poteva essere al corrente dei suoi sforzi di imitare il folle trucco di Malakhai. Eppure il fatto che lei gli avesse regalato quel CD lo insospettiva… Era possibile che fosse scesa nel seminterrato e avesse visto il disco rovinato? No, naturalmente no. Stava diventando davvero paranoico.
«Basandomi sulle caratteristiche della protagonista del romanzo, posso dire di conoscere Amanda abbastanza da riuscire a immaginare le sue probabili reazioni a determinati eventi. Ma non posso sapere ciò che effettivamente le è accaduto, né la natura della bugia che l'assassino le ha raccontato. L'unica cosa che sono in grado di dirti è che deve trattarsi di qualcosa di mostruoso. Aveva una personalità dolce, era ironica e aveva senso dell'umorismo.»
«Se lo ha trovato Amanda, posso trovarlo anch'io.»
«Quello di Amanda potrebbe non essere stato il suo primo omicidio. Potrebbe aver già ucciso in passato e averla fatta franca, e lei potrebbe averlo scoperto…»
«Come avrebbe fatto a scoprirlo?»
«Quei due si conoscevano intimamente. D'accordo, la loro non era una grande storia d'amore, ma andavano a letto insieme, parlavano. Se le ha mentito, lei potrebbe averlo scoperto in un modo che non ha niente a che fare con i tuoi metodi ipertecnologici. Quando dici la verità, è sempre la stessa verità. Quando menti, se non hai una memoria di ferro, dici ogni volta una bugia diversa.»
A un tratto Charles desiderò di chiamarsi fuori dal gioco. E per Mallory quello era davvero un gioco. L'omicidio era il gioco più bello.
Prima che potesse aprire bocca per parlargliene, Mallory produsse una serie di videocassette, risultato delle ricerche di quella mattina. «A suggerire ad Amanda la verità potrebbe essere stata una notizia, un volto, una frase trasmessa in televisione. Il giudice è andato in onda parecchio nelle ultime due settimane.»
Charles era scettico. Esaminò i documenti e le foto appese al pannello di sughero. Quello non era lo stile di Louis Markowitz. Mancava del tutto la sua caratteristica attenzione ai dettagli. Il cervello di Mallory non sapeva fermarsi di fronte ai particolari che erano stati l'ossessione di Louis. L'attenzione di Charles fu attratta dal resoconto del colloquio di Mallory con il portiere.
«Di che si tratta?»
«L'ultima volta in cui il portiere del Coventry l'ha vista, Amanda sembrava agitata. Immagino che fosse il giorno in cui è esplosa. È andata a casa, ossessionata dalla sua scoperta, e ha deciso di lavorare al computer per distrarsi. Ma poi ha finito per dedicarsi al romanzo, che parlava di lui. A quel punto si è scatenata la crisi emotiva che l'ha spinta a scrivere "bugiardo".»
Inserì un nastro nel videoregistratore. «Sono spezzoni delle trasmissioni delle ultime due settimane.»
Il primo era la registrazione di una conferenza stampa. La presenza del giudice Heart sulla scena era autorevole, e lui sembrava esserne conscio. Preferiva le domande delle giornaliste, e nel rispondere fissava ciascuna negli occhi come se fosse il centro del suo universo.
Ancora più spassosi erano i video sulle udienze al Senato per la nomina del giudice Heart alla Corte Suprema. L'uomo che, secondo Mallory, picchiava regolarmente la moglie, insisteva su quanto il fenomeno delle molestie sessuali sul luogo di lavoro lo preoccupasse. Una senatrice del Maine assentiva, approvando solennemente quel mucchio di palle.
Charles si domandò cosa avrebbe potuto spingere Amanda verso quell'uomo. Il potere aveva le sue attrattive, pensò, e anche la fama. E l'intelligenza di Heart era fuori discussione.
«Il giudice è sempre sui giornali. Roba piuttosto noiosa… resoconti delle udienze, fotografìe del candidato e della sua famiglia. Ti ho detto che penso abbia ucciso la vecchia madre?»
«Me l'ha accennato Slope, al poker. Ma lui non ne è convinto. Non ci sono prove. Pure supposizioni.»
«A volte le supposizioni sono l'unica cosa a cui puoi aggrapparti, Charles. D'altronde sei stato tu a sottolineare la possibilità che abbia già ucciso. L'assassino di sua madre. Secondo te l'eventualità che una tendenza matricida sia ereditaria può dissuadere una donna dall'avere un bambino?»
«Forse. Dalla tua descrizione, Harry Kipling sembrerebbe piuttosto innocuo.»
«Esattamente il tipo che si fa prendere dal panico. Il testosterone in quel matrimonio ce l'ha tutto Angel.»
Rimasero seduti in silenzio per un'ora, mentre Mallory faceva scorrere i nastri e di tanto in tanto fermava l'immagine per controllare i dettagli più da vicino. Nell'arco delle apparizioni televisive delle ultime due settimane, Charles notò in Heart una tensione crescente.
«Adesso guarda il giudice che mente a questa giornalista.»
Una giovane donna si avvicinava al giudice con un sorriso radioso, che il giudice ricambiava con il suo, paterno.
«Chiuderò il caso il ventisei» disse Mallory. «E che rimanga tra noi, non tra noi Coffey e Riker.»
«Come fai a prevedere il giorno? Se non sai neanche qual è dei tre.»
«Non solo il giorno. Sono in grado di prevedere grosso modo anche il momento.»
«Come?»
«L'ho sempre tenuto sotto controllo, Charles. Azionerò la telecamera e poi cercherò di fargli saltare i nervi. Per Franz e Kipling farò leva sulle solite cose. Al giudice, invece, annuncerò la mia intenzione di far riesumare la salma della madre.»
«Slope non appoggerà…»
«Non ho bisogno del permesso di Slope per far riesumare una salma.»
In effetti sembrava che Mallory non avesse bisogno di nessuno. «Sospetti di qualcuno in particolare, giusto?»
Mallory lo ignorò.
«Chiuderò il caso il giorno dopo Natale.»
«È il mio caso che vuole chiudere?» chiese una vocina alle loro spalle.
Justin Riccalo era sulla porta. Guardava ora uno ora l'altra. «Parlava di me?»
«Sei preoccupato?» chiese Mallory. Non aspettò la risposta, e gli voltò la schiena. «Charles, se anche i bambini possono entrare nell'edificio, direi che abbiamo un problema di sicurezza.»
Charles guardò il ragazzo. «Come hai fatto a entrare, Justin? Perché non hai usato il citofono?»
«Sono entrato con un vecchio che camminava sulle stampelle. Ha fatto cadere un pacco, così gliel'ho raccolto. Mi sembrava stupido uscire di nuovo e usare il citofono. Fuori si gela.»
«Mugridge ti ha fatto entrare?» Mallory sembrava scettica, e a ragione. Il vecchio Mugridge era il più preoccupato di tutti per la sicurezza nell'edificio.
«Sissignora. Io ho bussato alla porta dell'ufficio. Probabilmente non mi avete sentito.»
«C'è un campanello sulla porta» disse Mallory.
Con l'intento di evitargli ulteriori domande da parte di Mallory, Charles scortò il ragazzo nel suo ufficio e chiuse la porta.
«Mallory mi odia, vero, signor Butler?»
«Sospetta di tutti, anche di me. Non prenderla come una cosa personale. Cosa posso fare per te, Justin?»
«Mi stavo chiedendo se possiamo tornare nello scantinato.»
«Non credevo che avresti voluto. Non dopo…»
«Invece sì. Dopotutto la magia mi piace.»
«Ai tuoi genitori non importa se perdi un giorno di scuola?»
«Non c'è scuola oggi. Ci sono le vacanze di Natale.»
Naturalmente. Era la vigilia di Natale. Dove aveva la testa?
«Gli darò un colpo di telefono giusto perché sappiano dove sei.»
«Preferirei che non lo facesse. Dovrei essere alla Tanner School in questo momento.»
«Ma hai appena detto…»
«Io sono in vacanza. Ma dovrebbero tenermi a scuola. Servizio festivo per i genitori che lavorano. Oggi pomeriggio i miei saranno occupati in un giro di cocktail. Tutte le aziende in città hanno organizzato una festa natalizia. Così preferiscono che io me ne stia a scuola.»
Il ragazzo sedeva eretto sul bordo della sedia, agitando i piedi che sfioravano il tappeto. Le mani erano aggrappate ai braccioli laterali, come per assicurarsi che la sedia stesse ferma.
«Capisco.» Anche se Robert Riccalo non avrebbe apprezzato. «In effetti mi fa piacere avere un'altra possibilità di parlare con te da solo. Ho l'impressione che i tuoi ti rendano un po' nervoso.»
«Mi fanno impazzire, tutti e due. Anche la sua socia mi rende nervoso. Crede che sia io a fare i trucchi. Lei non crede a questa fesseria della levitazione, vero?»
«Già. L'umanità ha problemi a sufficienza anche senza tirare in ballo l'occulto. Però credo che uno di voi sia piuttosto bravo come illusionista.» O forse no. Se anche fosse stato un lavoro da dilettanti, nessuno si mette a cercare il filo invisibile attaccato a un oggetto appuntito che vola nella sua direzione.
«Io scommetto che è la mia matrigna.»
«Lei sembrerebbe piuttosto il bersaglio.»
«Credo che stia usando questo sistema per mettermi contro mio padre. Non mi vuole più bene. Evita di guardarmi. Lo stesso è successo con la sua socia. Un giorno ho visto Sally parlarle per la strada. È a causa sua se Mallory non mi può vedere.»
«Dove si sono incontrate?»
«Di fronte a casa di Mallory, il Coventry Arms.»
«La tua matrigna l'ha seguita fin là?»
«Sì. Mi ha detto di aspettare in macchina in fondo all'isolato, ma io l'ho seguita. So quello che sta cercando di farmi, e nessuno mi crede.»
«Justin, io sono davvero dalla tua parte.» Il ragazzo non sembrava convinto. «Ho in mente qualcosa che ti tirerà su.» Prese le chiavi dal cassetto della scrivania. «Andiamo nel seminterrato. Ma questa volta niente musica, solo magia.»
Mentre si avviavano lungo il corridoio, videro Mallory che si infilava nell'ascensore senza un saluto né un "Ci vediamo stasera". Di solito non era incline a sprechi di parole. Ma non mancava mai a un appuntamento. Il sole avrebbe potuto non sorgere, ma Mallory sarebbe rientrata alle otto per cena.
Charles e il ragazzo percorsero il corridoio ciascuno immerso nei propri pensieri. Charles guardava Justin, che appariva chiaramente infelice. Ma non spaventato. Questa volta il ragazzo fece strada per la scala a chiocciola fino alla stanza di sotto, attratto da quel che restava dello Spettacolo di Magia Itinerante di Maximillian Candle. Justin entrò per primo, senza aspettare la luce della sfera per cominciare le sue esplorazioni. La luce fioca catturò il ragazzo che vagava per la stanza e proiettò un'ombra sfuocata che si muoveva sui bauli colmi di oggetti di scena e costumi.
«Fantastico!» disse Justin dall'altra parte del paravento cinese. E Charles seppe che il ragazzo aveva scoperto la ghigliottina. Tuttavia quando girò attorno ai pannelli di carta di riso, si rese conto che ad attirare l'attenzione di Justin erano stati i coltelli. Charles toccò un'altra sfera e si accese un'altra luce, mentre il ragazzo fissava incantato la rastrelliera con i coltelli.
Guardò Charles e poi il vecchio bersaglio rosso e bianco pieno di buchi, appoggiato su un vecchio cavalietto. Una mano si mosse verso la rastrelliera con i coltelli, poi esitò prima di afferrarne uno. Gli occhi di Justin cercarono quelli di Charles per chiedergli il permesso.
Assentì. «Starai attento, vero?»
Justin afferrò il primo coltello e mancò il bersaglio, nonostante fosse grande e vicino.
«Non preoccuparti. Ci vuole un po' di pratica. Max aveva molti anni di esperienza.»
«Si vede» disse il ragazzo, avvicinandosi al bersaglio, costellato di sfregi. Il suo dito tracciò il contorno di un corpo umano che racchiudeva la zona priva di buchi. «È qui che si metteva la sua assistente, vero?»
«Sì.»
«Li lanciava molto vicini al suo corpo. Si vedono i buchi dei coltelli tra le dita. Lei saprebbe farlo?»
«Una volta, quando avevo la tua età, mi misi al centro del bersaglio. Fu un regalo di compleanno di Max.»
«Sta scherzando. Non aveva paura?»
«No. Poi Max mi passò i coltelli e lui si mise al centro del bersaglio.»
«Allora lo sa fare? Davvero?»
«Davvero.»
Il ragazzo si spostò al centro del bersaglio e si appiattì contro di esso. «Lo faccia. Mi fido. Avanti.»
«Aspetta, ti spiego come funziona: le lame spuntano dal bersaglio stesso, non lo colpiscono dall'esterno. Si finge di lanciarlo, ma in realtà il coltello cade in questa tasca.»
Girò un tavolino perché Justin potesse vedere la borsa di velluto nera che pendeva dal piano del tavolo. Indicò la leva nera accanto a una gamba del tavolo e il tracciato dei fili che andava dal tavolino verso il bersaglio.
«La levetta per i coltelli è nel pedale. Vedi? Una molla caricata in precedenza fa scattare le lame. Ma il pubblico vede ciò che è stato condizionato a vedere. Viene lanciato un coltello, e un coltello appare sul bersaglio. Mi ci vorrebbero pochi minuti per preparare le molle. Non c'è il minimo rischio, una volta che si sa come funziona il trucco.»
Justin si allontanò dal bersaglio, verso il quale aveva perso ogni interesse. Guardò la ghigliottina. «E anche quella è solo un trucco, giusto?»
«Sì, spiacente. L'aspetto è orribile, ma è innocua.»
Charles ricordò che da bambino erano i trucchi a incantarlo, non il pericolo. Justin era l'opposto. Sembrava che a deluderlo fosse la mancanza di pericolo. Forse l'illusionismo non gli interessava. Dunque quale membro della famiglia vi si cimentava? La matrigna? Il padre?
«Justin, so che ti hanno detto qual è il tuo quoziente intellettivo. Hai mai pensato al futuro, a cosa potresti fare del tuo potenziale, a come potresti svilupparlo?»
«Cosa c'è da sviluppare? Un cervello è un cervello. E se lei mi crede quando le dico che non faccio volare gli oggetti per casa, allora non ho alcuno speciale talento.»
«Be', potresti avere talento per l'osservazione e per il ragionamento deduttivo. Ecco qualcosa che possiamo controllare. E potrebbe persino essere divertente. Immagina che io ti aiuti a capire come volano gli oggetti. A quel punto saprai cosa cercare. Lavorerai con me per un po', e ci aiuteremo a vicenda. Affare fatto?»
«Affare fatto» disse il ragazzo, infilando la piccola mano in quella di Charles.
«Bene.» Stava sollevando una palla nera costellata di buchi da una scatola ai suoi piedi. «Questa era una delle illusioni volanti nel numero di Max. Ci vuole solo qualche minuto per prepararla.» Dov'era il contenitore del liquido?
Trovò la bottiglia che cercava in una scatola vicina coperta di polvere. Mentre Charles considerava la data di scadenza dei prodotti chimici, Justin esaminava un'altra scatola. Inavvertitamente fece scattare una molla, e dalla scatola uscì una pioggia di fazzoletti colorati, che si levarono e si gonfiarono in aria per poi ricadere sul pavimento in un ammasso di seta.
Justin tentò di ricacciare le sciarpe nella scatola più in fretta che poteva. Guardò Charles al di sopra della spalla. Sul volto erano dipinti senso di colpa e anche paura. «Mi scusi.»
«Non c'è problema, Justin. Lasciale dove sono. Non hai fatto danni, davvero.»
«Non è arrabbiato con me?»
«Ma no, naturalmente no.»
«In compenso la sua socia mi detesta.»
«Ne dubito.» Servendosi della pila, esaminò un'altra zona del seminterrato, cercando un tracciato. Ah, eccolo, e i fili erano ancora funzionanti. «Perché Mallory dovrebbe odiarti?»
«Mio padre dice che la gente odia gli altri per quello che odia di se stessa.»
«Immagino che a volte sia vero. Ma cosa potrebbe essere nel caso di Mallory?» Fiammiferi? Sì. Estrasse una vecchia scatola dalla cassettiera del baule aperto.
«Non lo so. Non so molto di lei.»
«È un tipo solitario, come te» disse Charles, scomparendo nel buio oltre il pallido tondo di luce della sfera, e poi ricomparendo a mani vuote. «Non è a suo agio con gli altri.»
Altre qualità in comune? Effettivamente c'era qualcosa tra lei e il ragazzo, una reciproca comprensione che lui non poteva afferrare.
«Bene, Justin. Sei pronto?»
Il ragazzo assentì.
Ci fu un lampo di luce, e una palla di fuoco luminescente fu scagliata nella loro direzione. Si arrestò a circa un metro dai suoi bersagli, l'uomo e il ragazzo, poi si alzò sopra le loro teste e si estinse nell'oscurità dietro di loro.
Justin fischiò e batté le mani.
«Questo è un oggetto volante» disse Charles. «Molto più divertente delle matite, non ti pare? Corre su un binario di filo elettrico. È l'unica illusione volante che conosco, ma ci sono casse piene di libri di magia, se vuoi dargli un'occhiata.»
«Non so. Forse meno ne so meglio è. Perché tutti pensano che sia io a far volare le matite?»
«Quando le forze dell'ordine vengono chiamate a intervenire in assurde faccende di fantasmi o qualche altro caso di attività paranormale, generalmente si scopre che la spiegazione ha le sembianze di tre ragazzini che se la fanno sotto dal ridere.»
«Ma nel mio caso non c'è nulla da ridere. Sally è andata fuori di testa. Non posso sedermi nella stessa stanza con lei senza che si agiti tutta. E mi fissa di continuo. Non smette mai. Ogni volta che è volato un oggetto eravamo presenti tutti e tre, ma la colpa è sempre toccata a me.» Justin diede un calcio a una scatola. «Ho bisogno di qualcuno che stia dalla mia parte. Qualcuno deve ascoltarmi.»
Erano uno di fronte all'altro quando udirono un sibilo alla loro sinistra. Charles si voltò e vide il coltello conficcato nel bersaglio, la lama che ancora vibrava. Questa volta Justin spalancò gli occhi. «Adesso non mi crederà mai» disse. Si girò e cominciò a correre. In un attimo fu fuori dal cerchio luminoso e nel buio, lanciato in una spasmodica ricerca di una via di fuga, di una luce che indicasse l'uscita. Le sue braccia sottili si agitavano nel tentativo di evitare scatole e bauli.
La memoria guidò Charles nell'oscurità, consentendogli di guadagnare in fretta la porta. La aprì e davanti a lui si materializzò un rettangolo di vivida luce. In un attimo il ragazzo lo attraversò e si lanciò su per le scale, ma, raggiunto il pianerottolo più alto, inciampò e cadde. Charles lo fece alzare e lo prese per le spalle.
«Stai bene?» No, era chiaro che il ragazzo non stava affatto bene. I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Justin si abbandonò contro il suo petto, e insieme attessero che la crisi passasse.
Il capitano Judd Thomas del distretto della West Side sedeva esattamente al centro nella gerarchia delle sedie sistemate nell'ufficio di Jack Coffey. Sfoggiava un sorriso diplomatico, inteso a comunicare il suo desiderio di un incontro amichevole. Niente spargimenti di sangue per quel giorno.
«Palanski vuole essere coinvolto nelle indagini su questo caso.»
«Non credo che sia opportuno, Judd» disse Jack Coffey, che stava lavorando troppo, non aveva personale a sufficienza, e voleva solo che l'incontro finisse al più presto. Gli si leggeva tutto in faccia. Le ombre del sonno insufficiente, i segni di uno stress eccessivo.
«Palanski ci sa fare con il genere di gente ricca e potente che abita al Coventry.»
«Altro che!» disse Mallory.
Gli occhietti del capitano Thomas divennero ancora più piccoli mentre si girava verso di lei. «E questo che cosa vorrebbe significare?»
Mallory si alzò e uscì dalla stanza tanto in fretta che Coffey non ebbe il tempo di lanciarle lo sguardo di minaccia che certamente non avrebbe sortito alcun effetto.
Riker sorrise.
«Chi ha detto a Palanski che Mallory stava lavorando su quel palazzo?» chiese Coffey al capitano.
«Il ragazzo ha le sue fonti.»
Riker si sporse in avanti. «Scommetto che non stiamo parlando solo del portiere. Palanski si lavora quei ricconi come se fossero dei volgari informatori. Sono l'unico in questa stanza a trovare questo fatto interessante?»
Coffey lanciò a Riker uno sguardo che diceva "Taci".
Il capitano Thomas lo ignorò, rivolgendosi a Coffey. «Palanski è uno dei miei migliori detective. Saprebbe offrire un contributo prezioso a qualsiasi indagine.»
«Questo caso è di Mallory, Judd. È così e basta.»
«Il questore Beale e io ci conosciamo da tempo, Jack.»
«Quanto a Beale, questa settimana si porta Kathy Mallory in palmo di mano. Mallory è l'unico poliziotto che sia mai stato elogiato da una commissione di comuni cittadini per aver sparato a un uomo. È la corona della testa del questore.»
«E tu, Jack? Sei sulla via della promozione. Questo è un caso di pezzi grossi… ci sono molti soldi, nomi importanti in quell'edificio. Palanski ha sedici anni di esperienza. Mallory è una ragazzina. Non vorrai fotterti la promozione tanto stupidamente?»
«Judd, se pensassi che mi stai minacciando, direi a Mallory di buttare te dalla finestra, perché subire minacce non mi piace per niente.»
Riker cambiò posizione sulla sedia. Se Coffey avesse continuato a comportarsi tanto irrispettosamente con i superiori, prima o poi Riker sarebbe stato costretto a smetterla di sbeffeggiarlo e a cominciare a tenerlo in maggior considerazione. E allora come si sarebbe divertito?
«Di' a Palanski di non interferire, Judd.»
Il capitano sospirò. «Sai, Jack, con tutti i lavoretti extra, i privilegi, e gli sconti di cui godono i poliziotti, con tutte le piccole porcherie che accadono ogni secondo in questa città, se mai dovessimo decidere di far rispettare i regolamenti, non…»
«Dove vuoi arrivare, Judd?» disse Coffey. «Se hai qualcosa da dire su uno dei miei, sputa. Ora!»
Thomas alzò le mani per dire "Va bene, basta", sollevò la sua mole dalla sedia e uscì dalla stanza.
Riker si disse che era stato tutto troppo facile. Si stava domandando di quale genere di porcherie si macchiasse il capitano quando Coffey lo apostrofò, in collera.
«Si può sapere che cos'ha Mallory su Palanski?»
«Non ne ho idea. Non farebbe mai la spia sul conto di un altro poliziotto. Magari potrebbe sparargli se le intralcia la strada, ma non lo tradirebbe mai.»
«Hai esagerato con Judd Thomas.»
«C'è in gioco la vita di Mallory. Tu sai che Palanski è corrotto e lo so anch'io. È il responsabile di ogni maledetta fuga di notizie. E una di quelle fughe di notizie potrebbe ucciderla.»
«Hai esagerato, Riker. Per Thomas, Palanski è utile come Mallory lo è per me. Se tutto quello che ha su di lui sono i suoi vestiti sgargianti e i tagli di capelli da cinquanta dollari…, be' anche Mallory porta vestiti su misura, Cristo santo, e non si lava certo i capelli nel lavandino di casa, no? Dobbiamo essere grati del fatto che il capitano abbia fatto carriera grazie agli intrighi piuttosto che alla sua intelligenza. Ma non sfidiamo la sorte, d'accordo?»
Riker detestava che Coffey avesse ragione. «Vuoi che veda cosa riesco scoprire su Palanski?»
«No. Ho già provveduto: qualcun altro si sta occupando di lui. Perciò lascia perdere, d'accordo? Non pensarci più.»
«Hai coinvolto gli Affari Interni?»
«No, niente uomini degli Interni. Voglio che rimanga tra noi. Quando vedi Mallory, dille che desidero tanto vederla. Non mi dispiacerebbe se adempisse alla formalità di consegnarmi i rapporti, così, solo per educazione.»
«Forse è proprio per gentilezza che preferisce tenerti all'oscuro delle sue mosse. Potrebbe non avere tutti i torti. Pensa alla tua pensione.»
«Il modo in cui sta conducendo il caso è inaccettabile. Sta tentando di coprire tre sospetti da sola. Se non lo prende subito, se lo lascerà scappare.»
«Secondo me lei sa chi è. Se ti dice che i sospetti sono tre, può darsi che due servano solo a confondere le acque. È convinta del fatto che tu non ti fidi del suo modo di condurre le indagini. Per parte mia, non mi fido di lei da quando aveva dieci anni.»
«Non è niente di soprannaturale, te lo garantisco» disse Charles.
Justin era calmo, la piccola faccia girata verso il finestrino del taxi, verso i fiocchi di neve che scivolavano silenziosi contro il vetro.
«Al mio rientro, andrò nello scantinato ed esaminerò con attenzione il bersaglio. Sono sicuro che il vecchio meccanismo è stato azionato accidentalmente. Forse l'hai urtato quando ti sei chinato. Anzi, non c'è neanche bisogno di controllare. Non c'è altra spiegazione, Justin. Il coltello è spuntato dal bersaglio stesso. Nessuno l'ha lanciato, né l'ha fatto volare. Va bene?»
Il bambino si girò verso di lui. Su quella faccetta era dipinta la volontà di sorridere.
Quando scesero dal taxi di fronte alla scuola, nella Upper East Side, Charles rimase per un po' a osservare Justin mentre raggiungeva gli altri bambini che si aggiravano nel cortile a gruppi di tre o quattro. Justin non si unì a loro. Con le mani in tasca e la testa china, sembrava stare lì solo perché costretto.
Charles trasalì alla vista di quel ricordo vivente dei suoi giorni a scuola. Una campanella richiamò i bambini all'interno, a due a due, a tre a tre. Justin rientrò da solo.
Charles aprì l'ombrello per proteggersi dalla neve che infittiva e guardò Central Park, oltre la avenue trafficata. Sarebbe stato sufficiente attraversare il parco per andare a trovare Mallory a casa dei Rosen. Lungo la strada avrebbe potuto fermarsi a dare un'occhiata alla scena del delitto.
I taxi gli passavano accanto, taluni vuoti, pronti a frenare a un suo richiamo, ma camminare nella neve gli piaceva. Con gli anni, aveva sviluppato un gusto per tutte le occasioni di solitudine. Lo stesso sarebbe accaduto al giovane Justin.
Attraversò la strada e imboccò un sentiero che si snodava lungo una valletta di neve intatta. Poi prese la strada che tagliava attraverso il parco.
A un tratto si ricordò che non indossava scarpe da neve. Pazienza. Si disse che ne avrebbe comprate di nuove e continuò a godersi la passeggiata solitaria.
Cos'avrebbe detto Markowitz della scelta di Mallory di non recarsi sulla scena del delitto? Poteva esserle sfuggito qualcosa di cruciale? Probabilmente no.
E se invece lui, esaminando la scena, avesse notato qualcosa di utile? Lei come avrebbe reagito? In fondo erano soci, no?
Charles giunse sul luogo del delitto. I nastri gialli della polizia erano ancora al loro posto, legati ai paletti per i capi laceri e fluttuanti nel vento bianco e nevoso.
Si avvicinò all'acqua e si guardò intorno in tutte le direzioni. Il punto in cui l'aveva uccisa era troppo esposto: confermava la teoria di Mallory di un atto non premeditato.
Amanda era morta in un mattino di pioggia. Il parco doveva essere praticamente deserto. Erano pochi coloro che, come lui, amavano sfidare gli elementi. Guardò i torreggianti edifici di Central Park West. I piani alti superavano la linea formata dai rami nudi degli alberi. Chissà, forse in quel momento Mallory era affacciata alla finestra.
Proseguì attorno al braccio d'acqua fino al vialetto lungo il quale si allineavano le panchine, poi si sedette.
Non era seduto da molto quando la persona che sperava di incontrare spuntò sul sentiero. Un'altra persona a cui piaceva camminare sola nella neve.
La luce riflessa dalla neve gli aveva affaticato gli occhi, e Charles dovette sforzarsi per cogliere i particolari, il volto pallido, i capelli bianchi sotto il cappuccio di lana chiara.
Cora si sistemò il cappuccio della mantella intorno al viso.
Troppo tardi.
Lui l'aveva vista nonostante la sua tenuta mimetica. L'uomo era molto alto, ma non sembrava minaccioso. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco il suo volto, che avvicinandosi diventava sempre più nitido.
Con quel largo sorriso un po' sciocco, poteva essere il matto più docile tra quelli che vagavano abitualmente nel parco. No, non sembrava pericoloso.
Lei si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni bianchi, in cerca di qualche moneta.
«Scusi» disse l'uomo, che, avvicinatosi, chinava la testa verso di lei per evitare che il vento si portasse via le sue parole.
Estrasse le monete dalla tasca e gliele porse. «Mi prometta che non li spenderà al bar.»
«Oh, no, grazie. Non ho bisogno di soldi.»
Non voleva soldi? Allora doveva essere davvero pazzo, e forse anche pericoloso. Cora si girò per andarsene.
«Ho bisogno del suo aiuto» disse lo sconosciuto. «A proposito di un fatto avvenuto qui la mattina del diciannove.» Indicò un punto in prossimità dell'acqua scura.
«Signora, per caso è venuta a passeggiare da queste parti quella mattina?»
Tutto sommato sembrava abbastanza sano di mente.
«Sì, giovanotto.»
«Le è capitato di notare due persone, un uomo e una donna, fermi laggiù?»
Doveva riferirsi ai fidanzatini, la donna in blu jeans e l'uomo con l'ombrello.
Si sentiva stranamente protettiva nei confronti della giovane coppia. Che ragione poteva avere quest'uomo di ficcare il naso nel loro incontro segreto?
«Perché me lo chiede?»
Quando Charles ebbe finito di spiegare come stessero realmente le cose, Cora sentì il bisogno di sedersi.
Lui la guidò fino alla panchina più vicina. Tolse il nevischio con cavalleria e poi si sedette accanto a lei.
Ora l'uomo appariva seriamente preoccupato. Vedeva l'orrore dilagare negli occhi di Cora? Aveva scambiato la ferita di Gambe Blu per un fiore. Che stupida. Una rosa in inverno? Come aveva fatto a non capire che quella giovane donna stava per morire? Forse avrebbe potuto…
Oh, sì, avrebbe potuto. Se solo non avesse avuto la sciocca idea di uscire senza occhiali e senza apparecchio acustico. E adesso chinava la testa sotto il peso di quell'agghiacciante consapevolezza.
Gambe Blu, mi dispiace tanto.
L'uomo le sfiorò la mano per ottenere da lei un altro istante di attenzione. Aveva notato qualche altra cosa nel parco quella mattina?
In quel momento una macchia confusa, berretto rosso, giacca e blu jeans comparve sul vialetto e superò di corsa la loro panchina. Un cane correva dietro di lui.
Il cane e il bambino lasciarono il vialetto per imprimere le proprie orme sulla neve vergine della pendenza dietro le panchine. Poi sparirono alla vista.
«Il cane. Sì, c'era un cane che correva su quella collinetta; il guinzaglio si era impigliato nei cespugli.»
«C'è qualcuno che mi piacerebbe farle incontrare» disse l'uomo. E lei trovò il suo sorriso attraente, sebbene un po' ingenuo.
Giunti al Coventry Arms, il portiere disse loro che l'amica dell'uomo, Mallory, non era in casa. Fece un largo sorriso e li invitò ad aspettare la signorina Mallory nella hall.
«Mallory, siediti e chiudi quella bocca.»
Con sorpresa di Coffey, Mallory si sedette.
«Non osare mai più andartene a quel modo da una riunione. Non voglio avere grane a causa tua.»
«Io con Palanski non ci lavoro.»
«No, non ci lavori. Ma l'ho deciso io, non tu. E adesso parliamo del compitino che ti ho affidato. Sei riuscita a ottenere quei registri?» Li hai rubati per me?
Mallory tacque.
«Spero che tu stia lavorando con discrezione.» Non farti beccare.
Silenzio.
«Ho la sensazione che Palanski faccia un sacco di straordinario.» Accetta bustarelle.
Lei si limitò ad assentire, ma era già qualcosa.
«Sembra che abbia una specie di radar che lo guida nel posto giusto al momento giusto. Quando ha scoperto il corpo nel parco non era di turno. Scusa, Mallory. Ti sto dicendo cose che sai già. Allora, mi hai portato i registri?»
«Non hai bisogno di vedere i registri» disse lei.
«Mallory…»
«Markowitz non avrebbe mai attaccato un poliziotto.»
«Per favore, Mallory. Non sono Markowitz, questo è poco ma sicuro, ma lo stesso vale per te. Il tuo vecchio era un fanatico dei dettagli. Raccattava tutte le informazioni possibili, ovunque, da chiunque. Avresti dovuto imparare di più da lui, quando ne avevi la possibilità. Qualcuno al Coventry Arms ha fatto una soffiata a Palanski, mettendolo al corrente circa la direzione delle indagini. Potrebbe essere l'assassino, o magari sei andata a ficcare il naso in qualcosa d'altro. Se devo fermare la fuga di notizie, ho bisogno di sapere che tipo di porcherie combina Palanski.»
Mallory incrociò le braccia sul petto. "No", gli stava dicendo, non avrebbe messo nei guai un collega.
«Mi occupo io di Palanski» disse Mallory. Dopo un istante gli regalò un «Se vuoi» in segno di buona volontà. Coffey seppe di aver perso un altro round.
«Va bene, occupatene tu.» Era forse impazzito? Scatenarla contro Palanski, lasciandole carta bianca? «Non fare niente che Markowitz non ti chiederebbe di fare.»
«Ricevuto.»
Con Mallory infrangere la legge per farla rispettare era diventata la norma.
Doveva ucciderla. Era l'unico modo. Ma prima si sarebbe divertito un po'. Gliel'avrebbe fatta pagare per averlo torturato, e avrebbe pagato lentamente.
Quando l'aveva nella mente, avvertiva una sensazione di bruciore, che gli provocava una vampa bollente nel corpo e nel cervello. Vedeva i suoi occhi davanti a sé, fanali luminosi che correvano incuranti verso un incidente catastrofico, implacabili.
Serrò i pugni così forte che le unghie impressero dei segni rossi sulle palme. Uno di quei segni si stava riempiendo di sangue.
Guardò la carne che sanguinava. Era arrivata e gli aveva fatto questo. Era lei ad aver ferito per prima, e se ne sarebbe pentita.
Un uccello grigio e grassoccio avanzava impettito sul davanzale della finestra aperta. Quando lui tornò dalla cucina con il pane l'uccello era ancora là. Sbriciolò una fetta nella mano e si avvicinò con cautela alla finestra per deporre una fila di briciole.
Il volatile procedeva a scatti, sussultava e drizzava la testa guardandolo con un occhio solo. Era un volgare piccione di città, per niente intimidito dalla sua presenza, dopo che gli esseri umani avevano fallito nel loro patetico tentativo di annientare la sua intera specie in quanto defecante molestia pubblica. Ostentando indifferenza per la mano posata solo pochi centimetri più in là, l'uccello si concentrò sul pasto che gli sarebbe costato la vita.
Una giovane donna era ferma al bancone nell'ingresso. Teneva qualcosa dietro la schiena, qualcosa che venne sottratto rapidamente alla vista appena ebbe individuato la coppia che le stava indicando l'uomo dietro al bancone.
Il nuovo amico di Cora, l'uomo dall'ampio sorriso, fece le presentazioni e i tre salirono in ascensore fino allo spazioso appartamento che non si adattava alla personalità della giovane donna di nome Mallory.
«Avevi ragione, Mallory» disse l'uomo che adesso Cora chiamava Charles.
«Amanda l'ha incontrato nel parco quel giorno. Come hai detto tu, non è stata una cosa premeditata. Il delitto ha avuto luogo alle sette e quarantacinque. Abbiamo una testimone. Cora Daily ama fare lunghe passeggiate nel parco, anche con il brutto tempo.»
Cora studiò la ragazza che le stava davanti. Era bella, ma aveva qualcosa di inumano. Aveva gli occhi di un gatto.
«Cosa ha visto?» chiese la giovane donna. «Ha assistito all'omicidio?» «No, temo di no.»
«L'ha visto mentre la colpiva? Il primo colpo?» «No. Ma ho assistito al loro incontro.» «Allora può identificare l'assassino?» «No, vede, non portavo gli occhiali. Ma so che era un uomo alto.»
Cora si rese conto che per la ragazza non era una novità. Temette di aver deluso l'affascinante signor Butler. «Ho visto la ferita rossa sul lato della testa quando lui l'ha colpita. Quando è stato inferto il colpo doveva esserci un ombrello tra di loro. Lui la teneva, prima e dopo la ferita. Può esserle utile?»
«Mi dica qualcos'altro sull'assassino.»
«Cioè?»
«Ha detto che era alto. Alto quanto?»
«Più alto della donna.»
«Quanto più alto?»
«Difficile dirlo. L'ombrello spesso mi impediva divedere. E…»
«Secondo lei io sono molto alta?»
«Be', sì.»
«Ed è sicura che si trattasse di un uomo. O l'ha immaginato perché pensava che fossero fidanzati?»
«Ho pensato che fosse un uomo. Non sono di grande aiuto, vero?»
«Al contrario» disse Charles Butler, aprendosi con galanteria un varco in un'imbarazzante pausa di silenzio. Il suo sguardo in direzione di Mallory diceva "Comportati bene". E quella di lei "Perché diavolo non dovrei?". Poi la giovane donna sorrise.
«È stata più utile di molti altri. Il fatto che un caso dipenda da un testimone oculare mi fa venire gli incubi. I testimoni oculari non sono mai molto affidabili. La loro testimonianza è la prova più fragile che si possa portare in un'aula di tribunale. Ma lei ha confermato che il delitto è stato commesso nel parco. Il che è utile. Ha stabilito l'ora del delitto, e questo ci aiuta. Ha visto la prima ferita. Utile. Tutto sommato, un ottimo risultato.»
Il sorriso si dissolse e Cora non poté leggere altro sul viso della donna.
Charles chiese: «Mallory, qualcuno dei sospettati ha un cane?».
«Quasi tutti nel palazzo hanno un cane. Perché?»
«Cora dice che c'era un cane che correva per il parco quel giorno. Tirandosi dietro il guinzaglio. Forse uno dei tuoi sospettati quella mattina ha portato fuori il cane e poi ne ha perso le tracce mentre si dedicava a colpire a morte la vittima.»
Mallory si rivolse a Cora. «Ha visto il cane?»
Cora fece cenno di sì con la testa.
«Di che razza era?»
«Temo di non poterlo dire. I miei occhiali…»
«Grande quanto?»
«Vediamo, taglia media, né troppo grande né troppo piccolo. Mi spiace, non riesco…»
«Di che colore era?»
«Non ricordo, ma credo che fosse scuro… non nero, non così scuro… forse marrone.»
«Forse?»
Cora non sapeva rispondere. Anzi, cominciava a domandarsi se ci fosse mai stato un cane, o una coppia di fidanzati. E se fossero state due donne? Forse il cane era…
«Bene» disse Charles, insinuandosi di nuovo nel silenzio. «Inserisci nello scenario un cane, escludendo barboncini e alani.»
La donna assentì. Un altro elemento che giudicava utile, cosa che sembrava fare molto piacere a Charles. Anche un cieco si sarebbe accorto che era innamorato della ragazza. Quando Cora si alzò, dicendo che doveva andarsene, la accompagnò fino in strada e le chiamò un taxi. Insistette per pagare in anticipo la corsa. Mentre si stringevano la mano, Cora disse: «Lei è nato nel secolo sbagliato, mio caro».
Quando rientrò nell'appartamento dei Rosen, notò il coltello affilato posato sul tavolino da tè, accanto alla sacca di tela. Come se Mallory non possedesse abbastanza armi. Prima fra tutte quella specie di cannone che portava sotto la giacca. Adesso se l'era tolta e l'aveva portata in una stanza nel retro. Poi c'era la pistola che avrebbe dovuto portare, quella d'ordinanza del Dipartimento di Polizia. E la vecchia Long Colt di Markowitz, che teneva sulla scrivania dell'ufficio alla Mallory & Butler, Ltd. Un semplice coltello non era da lei.
Lo prese e se lo rigirò in mano. Sull'altro lato era inciso il nome di Maximillian Candle.
«Probabilmente non sono affari miei» disse Mallory, tornando nella stanza e accennando al coltello, «ma mi domando cosa sia successo nel seminterrato. Vengo da là. La porta era aperta, e l'attrezzatura di Max in disordine.»
«Colpa mia, sono uscito di fretta. Hai estratto il coltello dal bersaglio?»
Mallory annuì.
Charles fissò il coltello e per la sorpresa dimenticò di chiederle che cosa l'avesse portata nel seminterrato. Era il coltello sbagliato. Le lame che provenivano dall'interno del bersaglio erano più corte, prive di punta e fissate al meccanismo. Potevano essere spinte all'interno degli scomparti, ma non estratte, tanto meno con la lama più lunga e appuntita.
Quando lo spiegò a Mallory, lei chiese: «Potrebbe esserci stato qualcun altro nel seminterrato insieme a te e Justin?».
«È possibile, ma ne dubito.»
«Hai raccontato l'accaduto ai genitori?»
«Certo. Li ho chiamati dall'ufficio. Mi ci sono voluti quaranta minuti per rintracciarli a un cocktail party. Il bambino era sconvolto. Avevano il diritto di sapere che era sconvolto.»
«Hai lasciato aperta la porta, dunque il ragazzo potrebbe aver avuto il tempo di tornare e scambiare i coltelli. Lui o uno dei genitori.»
«Ma la porta d'ingresso del palazzo non era aperta. È…»
«Abbiamo verificato che un bambino è in grado di eludere la sicurezza. Credi che per un adulto sarebbe molto più difficile?»
«Non riesco a immaginarmi uno di loro…»
«È più facile immaginare uno scenario simile piuttosto che un coltello che vola da solo. Qualcuno si sta dando un gran daffare, e dalle matite a questo… si direbbe che è in atto una escalation. La faccenda deve essere risolta. Ma tocca a te. Io sono già abbastanza impegnata con il mio assassino.»
«Pensi davvero che a qualcuno della famiglia Riccalo accadrà qualcosa di male?»
«Sì. E presto. Contaci.»
«Cosa ti rende tanto sicura?»
Mallory tacque. Le aveva rivolto una domanda sciocca. Di norma Mallory non permetteva alla logica di interferire con il corso dei suoi pensieri. Stabiliva un'ipotesi, e quell'ipotesi diventava automaticamente un obiettivo verso il quale lavorava con efficienza e rapidità straordinarie.
Fino a un istante prima lo spazio ai piedi di Mallory era vuoto. Adesso era occupato dal gatto. Nose aveva imparato ad avvicinarsi agli altri non visto, proprio come Mallory.
«Sei sempre convinta di riuscire a chiudere il caso di Amanda per il ventisei?»
Mallory annuì. «Se non faccio in fretta lo perdo. Se non lo marco stretto, potrebbe procurarsi un avvocato prima che possa inchiodarlo.»
«Fortunatamente per te, tutti e tre i sospetti passeranno le vacanze in città.»
«Se uno di loro avesse lasciato la città, l'avrei cancellato dalla lista.»
«Ma da un punto di vista logico…»
«La logica funziona solo sulla carta.»
«Jack Coffey sembra convinto del fatto che…»
«Hai parlato con Coffey? Non gli avrai detto del romanzo, spero.»
«No. Perché non gliel'hai detto tu? Perché tutti questi segreti?» La risposta era ovvia: Mallory lavorava da sola.
«C'è un poliziotto che vende le informazioni. Non voglio più correre rischi.»
«E invece stai correndo un rischio tremendo. Probabilmente hai sottovalutato l'assassino. Coffey dice che sottovaluti ogni…»
Mallory si irrigidì.
«Io conosco quell'uomo. Ha pulito e ripulito quell'appartamento. Ha pulito oggetti che non poteva aver toccato. Evidentemente temeva di poter dimenticare qualcosa. E io intendo sfruttare questa sua preoccupazione. È l'unico che possa collegarmi ad Amanda Bosch, perché è l'unico a sapere che lei è morta e che io sono stata scambiata per lei. Vuole scappare, ma non può. Immagina che io sappia qualcosa, non sa quanto. Il fatto che io sia qui lo sta facendo impazzire. Ogni messaggio che scrivo nel computer lo spinge più vicino al limite. Non può partire. È mio prigioniero dal giorno in cui ho messo piede in questo palazzo. Sta aspettando che io vada a prenderlo. Ogni volta che bussano alla porta, si chiede se sia arrivata la fine. Quando non potrà più sopportarlo, quando esploderà, sarà lui a venire da me. E io coglierò quel momento.»
«Jack Coffey ha ragione, lo sai.»
«E io ho torto?»
La domanda sottintesa era: "Da che parte stai?". Perché con lei era sempre così, era sempre necessario scegliere.
«Mallory, se ti attieni ai fatti nudi e crudi, devi ammettere di non avere in mano un gran che. Il profilo dell'assassino su cui basi la tua strategia è frutto della tua speculazione.»
Fu Nose ad accorgersi per primo dei segnali. Il suo radar animale percepì la tempesta in avvicinamento. Rizzò il pelo e strisciò sotto il divano.
Le lunghe unghie smaltate di rosso scomparvero nella sacca di tela sul tavolino e riemersero reggendo un fascio di stampate e altri documenti. Scelse un gruppo di fogli tenuto insieme da una graffetta e glielo porse.
«D'accordo, Charles. Adesso occupiamoci del piccolo caso riguardante gli oggetti volanti.» Il viso di Mallory era di marmo.
«Questi sono i fatti. Due donne sono morte. Due compagnie assicurative hanno pagato. Una terza donna è terrorizzata, oppure si finge tale. Il denaro del bambino (amministrato dal padre) è ridotto a un terzo della cifra originaria. Verrebbe da supporre che abbia fatto degli investimenti sbagliati, dato che anche il suo denaro personale è stato male amministrato. Ma voglio attenermi ai fatti. La matrigna è una programmatrice informatica con competenze finanziarie. Ha accesso alla firma del marito e ai suoi documenti. Quando l'ha sposato conosceva Robert Riccalo da dieci anni. Da quello che mi dici, nessun oggetto vola a meno che la famigliola al completo non si trovi nella stessa stanza. Una matita è volata contro la matrigna. Sappiamo che è più facile far volare la matita nella direzione della persona che tira il filo, ma io l'ho fatta volare verso di te, no?»
Il suo tono di voce era fin troppo civile, tanto da indurre il gatto a sporgere la testa fuori dal rifugio sotto il divano.
Da dove provenivano tutte queste informazioni riservate? Nel momento stesso in cui formulava la domanda, la archiviò insieme a tutte le altre, mai poste, che rimanevano sospese ai trespoli della sua mente come pipistrelli nel buio.
Un'altra serie di fogli venne sbattuta con energia sul tavolino. Il gatto era sparito di nuovo.
«Un tempo il ragazzo andava a scuola in orari normali. Nei giorni in cui i genitori lavoravano seguiva un programma di doposcuola» disse Mallory. «Adesso, alla Tanner School, fa orari più lunghi. A volte va a scuola sei giorni alla settimana. È stata un'idea della nuova matrigna. E Justin ha ragione quando dice che ogni moglie di suo padre è la copia della precedente. Tutte a favore del tempo prolungato a scuola. Nessuna di loro voleva il bambino tra i piedi. Il fondo del bambino è in via di prosciugamento e nei conti di paparino c'è un buco. Il lavoro della nuova matrigna le garantisce una bella assicurazione. La madre naturale soffriva di problemi cardiaci. La matrigna suicida aveva avuto qualche problemuccio psichiatrico. Questi sono i fatti.»
«Forse anche la prima matrigna vedeva gli oggetti volare.»
«Non c'è modo di saperlo. È un fatto che uno psichiatra l'abbia tenuta sotto osservazione per verificare segni di paranoia in occasione di un breve ricovero in ospedale. Al momento di uccidersi non lasciò nulla di scritto. L'investigatore dell'ufficio del medico legale tentò una diagnosi psicologica postmortem. Con lui la famiglia Riccalo non aveva mai parlato di oggetti volanti. Ecco una copia della sua relazione sulla morte della donna. Contiene anche qualche annotazione su Justin. La parola "sinistro" ricorre due volte. Sto solo ripetendo i fatti.»
La sua voce vibrava di una violenza controllata, un'energia tenuta sotto controllo.
«Il suicidio esclude il movente dell'assicurazione.»
«No, Charles, i fatti dicono che non è così. Riccalo è ricorso in tribunale per farsi pagare. E ci è riuscito. Nessuna clausola nel contratto di assicurazione specificava l'invalidità dello stesso in caso di suicidio. E la donna non aveva problemi psichiatrici nel periodo in cui sottoscrisse la polizza.»
«Robert Riccalo era il beneficiario.»
«I soldi dell'assicurazione furono depositati su un fondo intestato al ragazzo.»
«Piuttosto sinistro.»
«Atteniamoci ai fatti, Charles. La cifra ottenuta bastava appena a compensare le somme perse nei cattivi investimenti del trimestre precedente. Riccalo navigava in cattive acque, rischiava di avere grane con la banca. Ma ecco che, al momento giusto, una donna coperta da una notevole assicurazione sulla vita, muore. La definirei una coincidenza interessante.»
«Non hai in mano nulla che dimostri la responsabilità di Riccalo. Da quello che ho capito, quando la matrigna si è uccisa era sola in casa.»
«Il Dipartimento non controlla un alibi a meno che il caso non sia registrato come omicidio.»
«Chi fa volare gli oggetti?»
«Purtroppo non sono in grado di dirtelo. Con la logica non ci sono arrivata.»
«Chi è dei tre? Secondo te.»
«Oh, no, Charles. Sono un semplice poliziotto, un detective. Tu sei il genio, e adesso che hai a disposizione tutti i fatti concreti, la logica ti condurrà dritto alla soluzione.»
«Ma tutti e tre potrebbero avere una ragione per farlo. La logica…»
«La logica è il tuo handicap, non il mio. Divertiti, Charles. E mandami una cartolina ogni tanto.»
Cominciò a estrarre scatole di dischetti dalla sacca.
«Vuoi dire che per un po' non ci vedremo?»
«Ho da fare.»
Le voltò la schiena per un secondo, cercando qualcosa da dirle. Quando si voltò di nuovo a guardarla se n'era andata. La porta che dava sulla stanza del retro si stava chiudendo alle spalle sue e del gatto. Charles era rimasto solo.
«Allora rimaniamo d'accordo per stasera, va bene?» le urlò attraverso la porta.
Silenzio.
Mentre si recava alla porta d'ingresso, fu costretto ad ammettere un'altra serie di fatti. Sull'origine autobiografica del dattiloscritto aveva ragione lei, almeno fino alla gravidanza e al gatto che ballava. E aveva ragione sull'incontro, sulla mancanza di premeditazione da parte dell'omicida. Charles già aveva richiuso la porta dietro di sé ed era vicino all'ascensore quando pensò di tornare indietro, bussare alla sua porta e chiederle ancora di dirgli chi dei tre faceva volare le matite.
Lei lo sapeva.
Solo allora si ricordò anche del coltello sul tavolo. Perché l'aveva riportato nell'appartamento dei Rosen? Che cosa era andata a fare nel seminterrato?
Robert Riccalo si era ritirato dietro le pagine finanziarie del suo giornale, che lasciava visibili solo le gambe dei pantaloni e il cuoio verde della poltrona.
La sua poltrona era una specie di trono, più alta rispetto ai cuscini del divano sui quali era appollaiata sua moglie. Justin sedeva in una poltroncina adatta a un bambino piccolo.
Il fruscio del giornale di Robert Riccalo si mescolava al chiacchiericcio della televisione, che trasmetteva lo spot di un ammorbidente. Ogni grugnito o sospiro proveniente dal trono richiamava gli occhi di Justin al di sopra del libro che stava leggendo. Tutte le volte che alzava lo sguardo, incrociava lo sguardo della matrigna fisso su di lui: trovava Justin mille volte più interessante della televisione.
Quando udirono il rumore di vetro in frantumi nella stanza vicina le tre teste si girarono nella stessa direzione. Robert Riccalo guardò il figlio, seduto sulla poltrona scricchiolante. Sally Riccalo era rigida come una tavola, eretta sul bordo del cuscino del divano, gli occhi fissi in direzione del rumore.
Robert Riccalo giunse per primo in sala da pranzo. Sul pavimento di marmo frammenti di vetro blu. Quattro dei cocci più lunghi erano allineati in una sorta di freccia che puntava in direzione della stanza da cui era appena uscito. Dietro di lui, sua moglie emise un penoso squittio.
Justin fu l'ultimo a entrare, mentre il primo frammento di vetro si spostava lentamente lungo il pavimento, verso Sally Riccalo. Lei era immobile, come paralizzata. Poi si riscosse e puntando il dito verso Justin, urlò: «È lui, è lui che mi sta facendo questo. Vuole uccidermi! È lui». Robert Riccalo si girò verso il figlio, mentre la tempesta gli si andava addensando negli occhi.
Justin si allontanò di corsa dalla sala da pranzo precipitandosi lungo il corridoio verso la sua stanza. Chiuse la porta a chiave e prese a spingervi contro i mobili, con fatica.
«Justin!» tuonò suo padre. «Justin!» Le urla si stavano avvicinando. «Justin!» La maniglia si mosse. Poi Justin sentì l'omone girare sui tacchi e i suoi passi svanire alla ricerca della copia della chiave. Robert Riccalo tornò e infilò la chiave nella serratura.
Justin arretrò verso la parete alle sue spalle mentre la porta scricchiolava contro il cassettone e il pesante mobile cominciava a muoversi lento e implacabile verso di lui.
Fu il bambino di cinque anni ad attrarre la sua attenzione quando gridò, pieno di rabbia: «Voglio vedere il corpo!» e ora anche Mallory voleva vedere. Si diresse verso il gruppo di pedoni raccolti sul marciapiede antistante l'edificio vicino. Il bambino sferrò un calcio alla gamba di una donna che lo teneva per un braccio. La donna era di colore. A giudicare dall'uniforme, apparteneva a una classe sociale diversa da quella del ragazzino.
«Non ci vado, dentro» diceva il bambino, con il minuscolo pugno serrato.
In quel momento notò il lungo cappotto nero di ottima fattura. A indossarlo era un uomo che toccava il corpo con la punta di un ombrello.
«È morto?» chiese la donna che gli stava vicino, arretrando. «È per questo che puzza?»
«No» disse un'altra donna. «Puzzano tutti così anche da vivi.»
Mallory si fece largo nel gruppetto. Gli occhi dell'uomo erano chiusi come se dormisse, e non c'era traccia di shock sul volto sudicio, né di risentimento per l'ombrello che lo punzecchiava. Perché era morto. La bottiglia al suo fianco, il fiotto di vomito e i vestiti laceri raccontavano la sua storia. Si era infilato tra i cespugli in piena notte ed era morto di freddo, troppo ubriaco per cercarsi un rifugio migliore. O forse era morto soffocato dal suo stesso vomito. Il portiere del terzo turno, il cui lavoro nella vita era cacciare i poveri, con ogni probabilità stava dormendo o leggendo il giornale quando l'uomo si era spinto fin lì in cerca di un riparo dalla neve della notte precedente.
Il bambino adesso stava guardando Mallory. «Il portiere chiamerà il camion della spazzatura, come ha fatto per il cane?»
«Quale cane?»
Felice e con l'aria del cospiratore, il bambino disse: «Ho visto uccidere un cane. È successo proprio qui». Puntava il dito verso il bordo della strada. «Ero di sopra…»
«Di sopra dove?»
La tata si avvicinò. «Abita al decimo piano. Continua a parlare di quel cane, ma non credo che possa aver visto…»
«Io l'ho visto! E non ero al decimo piano. Dice così solo perché i miei genitori non vengano a scoprire che in quel momento non ero sorvegliato» disse il bambino. Chiaramente teneva la tata in pugno.
«Ero nel corridoio, al terzo piano» disse. «Ho guardato giù, e l'uomo stava ammazzando il cane.»
«Come?»
«Lo ha strangolato. Il cane tirava il guinzaglio, e penso che all'uomo non piacesse. Ha sollevato il cane per il collare. Lo ha sollevato in aria, e il cane continuava a scalciare. Poi ha smesso di muoversi. Era morto. Lui ha sbattuto il corpo per strada con un calcio. Volevo andare a vedere il corpo, ma il portiere non mi ha lasciato. Ha detto che presto il camion l'avrebbe portato via».
«Quando è successo?»
«Non lo so.»
Mallory si voltò verso la tata. «Quando è successo?»
La tata si strinse nelle spalle. «Non è mai successo. Si inventa tante di quelle storie.»
«Non è vero, non è vero!» strillò il bambino con un altro calcio ben assestato alla gamba della donna.
«Forse dovrei parlare con il portiere o con i suoi genitori» disse Mallory.
«È stato il diciannove» disse la tata precipitosamente. «Il giorno in cui è piovuto.»
Ma né il portiere né il ragazzo furono in grado di descrivere il cane. Mallory era sempre più convinta del fatto che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza la confusione creata dai testimoni oculari.
La porta dei Rosen era aperta. Mallory passò il sacchetto della spesa sull'altro fianco ed estrasse la pistola. Con la pistola nascosta dal sacchetto, spinse la porta ed entrò nell'appartamento.
Il custode era nel soggiorno. Altri due passi silenziosi e Mallory scorse Angel Kipling intenta ad aprire la porta dello studiolo.
«Cerca qualcosa?»
Il custode si voltò.
«Oh, signorina Mallory, scusi l'intrusione, ma la signora Kipling era sicura di aver sentito un grido provenire da questo appartamento.»
«Dev'essere stato il gatto» disse Angel. «Sicuro. Dev'essere stato lui. Lo tiene sempre chiuso lì dentro?»
«Il bagno è grande. Non voglio che sparga peli sui mobili dei Rosen.»
Quando il custode ebbe richiuso la porta dietro di sé continuando a scusarsi, la donna si rivolse a Mallory.
«Abbiamo ricevuto il suo messaggio.»
«Quale messaggio?»
«Non faccia la furba. Ho visto l'attrezzatura là dentro.» La signora Kipling accennò alla porta spalancata dello studio.
«Allora, cosa vuole? Quanto?»
«In cambio del mio silenzio?» Sfortunatamente le telecamere non erano in funzione, e comunque qualunque cosa Angel avesse detto, non avrebbe potuto essere usata contro il marito. «Preferirei trattare direttamente con suo marito.»
«Si dà il caso che nel mio matrimonio io sia il marito.»
Avanzando in direzione di Mallory, Angel Kipling aprì la bocca per continuare a parlare, ma poi perse le parole, o cercò di trovarne di più adeguate. La donna arretrò come il gatto quando lo sguardo di Mallory diceva "Ora basta". Camminò come un'automa fino alla porta e se la sbatté dietro.
Mallory andò in cucina e posò il sacchetto. Appoggiò la pistola sul bancone e ripose gli alimenti. Squillò il telefono. Mise via il burro e richiuse la porta del frigorifero sul secondo squillo. Raggiunse l'ingresso senza affrettarsi. Il gatto stava raspando sul vetro dell'acquario, sovreccitato alla vista dei pesci che nuotavano, incapace di impadronirsene.
«Ti capisco» disse Mallory.
Al quarto squillo sollevò il ricevitore.
«Mallory.»
«Sono io, Justin. Non sono stato io a far volare la matita.»
«Cosa?»
«Non sono stato io. Vuole aiutarmi?»
«Conosci le condizioni. Quando sarai pronto a dirmi la verità, ti aiuterò.»
Sentì l'improvviso inspirare del bambino, poi la comunicazione si interruppe bruscamente.
Un minuto dopo non pensava già più a Justin. Attraverso la porta aperta sulla stanza posteriore, vide il vaso cadere dal tavolino, rimbalzare sullo spesso tappeto e rovesciarvi il suo contenuto di rose gialle e acqua.
Dannato gatto.
Ma in quel momento udì Nose che miagolava nella stanza alle sue spalle. Fissò le rose finché l'avviso luminoso del suo sistema informatico richiamò la sua attenzione. Stava arrivando un fax.
Controllò il monitor. Era indirizzato al giudice Heart. Il logo indicava il nome di una rivista di legge, e il testo era una richiesta di permesso per ristampare uno degli scritti del giudice in una nuova edizione.
Copiò e incollò il logo e la firma su una pagina vuota. Poi scrisse il suo testo: «La rivista sta valutando un dattiloscritto, e desideriamo tutelarci contro possibili accuse di diffamazione. Vi sono alcuni dettagli di cui desideriamo chiederle conferma. È vero che picchia regolarmente sua moglie? È vero che sua madre è morta in seguito alle botte da lei inflittegli?»
Dedicò più di un'ora al terrorismo informatico, componendo nuovi messaggi destinati agli inquilini dell'edificio.
«Cristo santo» disse Riker mentre si avvicinava alla porta di Mallory. Era quello che pensava che fosse?
Esattamente. Suonò il campanello e bussò alla porta. «Mallory! Ci sei?»
Quando aprì la porta, lui emise un profondo sospiro di sollievo. Se lei ci avesse impiegato un secondo di più, Riker avrebbe fracassato la porta a pugni.
Le mostrò la X sulla porta d'ingresso. Il segno poteva essere stato tracciato solo col sangue. Erano capaci entrambi di distinguere il ketchup da un segnale di morte.
«Un vero tocco di classe, Mallory, complimenti» disse Riker, superandola e dirigendosi verso il telefono, posato sul tavolo accanto alla porta. «L'assassino sa come ti chiami e dove vivi. Non era abbastanza? Pensavi che rischiasse di perdere la strada?»
Mallory non rispose.
«Parliamo ancora un momento della tua teoria preferita. Il tizio ti sta braccando. Non quadra con un assassino spaventato che uccide in preda al panico e scappa. Il gioco qui è un altro.»
«Forse ha un complice.»
«Okay. Due dei sospetti sono sposati. Ammettiamo pure che una delle mogli abbia una personalità particolare, simile alla tua. Dovrebbe essere un mostro di coraggio per…»
«Oppure fare quello che le viene detto.»
«Io dico che stai giocando con il fuoco. Dovevi proprio gettarli nel terrore tutti e tre? Non pensi al rischio che qualcuno che non è l'assassino possa decidere di renderti pan per focaccia, magari con l'aiuto di un super-avvocato da milioni di dollari?» Oppure di un'arma. Indicò la porta. «Da quanto tempo pensi che sia lì quella roba?»
«Quando sono arrivata, un'ora fa, non c'era.»
Riker adesso per telefono stava dicendo: «Chiedi a Heller se può fare un salto qui. Chissà che non siamo fortunati. Se è sangue umano, potrebbe essere il suo». Chiuse il telefono e si rivolse a Mallory. «È tempo di chiedere rinforzi, piccola.»
«Non chiamarmi piccola. E poi il mio è un caso a budget ridotto, ricordi?»
«Non puoi più stare qui da sola.»
«Non ho una grande opinione dell'assassino. Guarda qui.» Indicò il centro della X di sangue sulla porta. «Piume. Il nostro intrepido criminale ha assassinato un uccello. Perciò niente rinforzi. Non permetterò a nessuno di incasinare le cose.»
Stavano ancora discutendo, quando Heller arrivò con i suoi attrezzi e cominciò a grattare via campioni di sangue dalla porta. Quando Heller se ne andò, Riker, esausto, stava dicendo: «Okay, niente rinforzi. Quando pensi di prenderlo?».
«Forse domenica.»
Dunque voleva mettergli le mani addosso quando Dio era a riposo, distratto… a meno che non gli stesse mentendo un'altra volta.
Mentre Mallory infilava la pistola nella fondina il gatto le faceva le fusa intorno alle gambe. Mallory lo prese in braccio.
Nose le si strofinò contro il viso, leccandole la pelle con la lingua di carta vetrata rosa, gli occhi che si chiudevano lentamente nella versione gattesca di un sorriso.
Mallory si avvicinò alla porta del bagno, lo tenne sollevato all'altezza delle braccia e lo lasciò cadere sulle mattonelle. Il gatto si sollevò sulle zampe e cominciò a ballare.
Riker fischiò piano. «L'ha fatto mai prima?»
«No.»
Si inginocchiò, prese le zampe del gatto nelle mani e gliele posò sul pavimento. Il gatto fece le fusa, gli occhi di nuovo semichiusi. Mallory si rialzò, e gli occhi del gatto si riaprirono, feriti, mentre lei chiudeva la porta sulle zampette che tornavano a sollevarsi.
Se solo fosse stata una donna di media intelligenza e media ambizione. Se solo il suo volto non fosse stato la magnifica antitesi della sua faccia da clown; se solo fosse stata normale, lui le avrebbe dato tutto quello che possedeva. Ma lei era anormale e deviata, e se lei lo avesse voluto, lui le avrebbe dato tutto ciò che possedeva. Seppe che non sarebbe venuta quando l'ora stabilita fu trascorsa da cinque minuti. Adesso misurava lo scorrere del tempo in base al ghiaccio che andava sciogliendosi nel secchiello. A un tratto la carta rossa che avvolgeva il suo regalo gli sembrò patetica. Una stupida scatola, destinata a una donna a cui non importava nulla di aprirla. Per un'altra ora se ne stette a fissare la porta a cui lei non avrebbe bussato. Poi prese il cappotto e aprì la porta, che non si ricordò di chiudere a chiave. Percorse i corridoi e scese le scale, poi si addentrò nella notte, a passeggiare e pensare.
La notte era gelida e frizzante. Da nord si sentivano le campane del convento di Bleecker Street, e da ovest le campane di St Anthony. Era così sciocco da trovare la notte romantica, sebbene non ci fosse nessuno con cui condividerla, né forse ci sarebbe mai stato.
Mallory era tutto quello che ne diceva Riker: niente cuore, niente punti morbidi dove far breccia. Probabilmente lei lo riteneva uno sciocco. Naturalmente lo era. Diceva sempre le cose sbagliate. Se solo ci fosse stato in lei qualche aspetto convenzionale, una porzione di terreno sicuro che lui fosse stato in grado di comprendere.
Il lettore CD gli sbatté sulla coscia dalle profondità della tasca del cappotto. L'aveva ringraziata per il regalo, ma non l'aveva usato. Be', forse quello strumento poteva costituire un ponte verso Mallory. Lo tirò fuori dalla tasca, si mise le cuffie e premette il pulsante d'avvio. La musica gli si rovesciò nel centro del cranio da tutte le direzioni. Era meraviglioso. Quella musica che abitava nella sua testa sin dall'infanzia gli sembrò nuova, sorprendente.
E un elemento nuovo andò ad aggiungersi alla sua follia autoindotta.
Anche prima che lei comparisse al suo fianco seppe che si trattava dei passi di Amanda. Il suo passo era troppo leggero e il ritmo un po' incerto, l'imitazione ancora imperfetta del passo di una donna viva.
Si scostò da lei e spense la musica.
I passi svanirono.
Fermò lo sguardo in un'altra direzione e concentrò la sua attenzione su Mallory.
Lei sapeva chi era a far volare le matite. Conosceva profondamente, istintivamente le dinamiche interne della piccola famiglia telecinetica. Erano i segni dei maltrattamenti subiti quelli che aveva riconosciuto in Justin? Oppure, come aveva detto il bambino, qualcosa di se stessa che vedeva riflesso in lui e che non le piaceva? O era qualcosa di più semplice a permetterle di vedere ciò che a lui sfuggiva? Qualcosa di semplice… l'assenza di un cuore?
«A volte non sono capaci di amare» disse Amanda, di nuovo al passo con Charles. Amanda era tornata a tenergli compagnia per un po'. Guardò il suo volto triste, e la paura si trasformò in curiosità.
«Anche tu hai amato chi non ti amava, vero?»
«Già.»
«E quando hai conosciuto veramente quell'uomo, il disprezzo ha ucciso i sentimenti che provavi per lui. Dico bene?»
«Sì. Ma tu non disprezzerai mai Mallory, non è la stessa cosa. Io lo disprezzavo per la sua debolezza. Lei ha una forza eccezionale, che non rientra nello schema normale delle cose e che a volte spaventa, no? Sei perduto, Charles. La mia situazione era nettamente migliore. L'unico modo per limitare i danni è dare un taglio netto all'amore.»
«Alla fine, ti importava solo del bambino.»
«Sì.»
«Allora perché hai chiesto che te lo strappassero via?»
«Lui mi aveva mentito.»
Adesso i suoi passi facevano meno rumore.
«Sai perché ti ha dato il mio dattiloscritto?»
«Perché potessi leggerlo con attenzione e magari trovare qualcosa di utile per l'indagine.»
«Sai che ha letto ogni pagina prima di consegnartelo.»
«È ovvio che l'ha fatto.»
«Era l'amore per il bambino la cosa che non riusciva a comprendere fino in fondo. Non riusciva a capire come tutta la mia vita potesse ruotare attorno a un bambino mai nato.»
«Eppure Mallory è stata una bambina molto amata. Helen e Louis le erano molto affezionati.»
«Già, ma a quell'epoca il danno era già stato fatto. Quando viveva per strada. Pensi mai alla vera madre di Mallory? Come è possibile che una bambina così intelligente e bella sia stata abbandonata a vagare per le strade? La bambina che tutte le donne desidererebbero avere. Come mai l'ha lasciata andare? Se stai ancora cercando un legame tra lei e il bambino, forse puoi trovarlo nella storia di Mallory. Cosa sai davvero della sua infanzia?»
Charles sospirò. «Mallory ha un senso della privacy molto spiccato. Del suo passato non ha mai parlato.»
«Se osassi uscire dalla gabbia dei fatti e della logica, giungeresti alla conclusione che la madre di Mallory è morta, forse assassinata.»
«Non credi di esagerare, Amanda?»
«Tu credi? Mallory pronostica violenza nella famiglia Riccalo. Tu vedi un legame tra lei e il ragazzo. Entrambi hanno perso la madre. Questo dovrebbe farti riflettere. Che cosa ha obbligato Mallory alla fuga, a vivere per strada? Da cosa scappava?»
«Forse è stata maltrattata da bambina?»
«Da sua madre? No. Ha amato Helen da subito. Qualcuno le ha insegnato a fidarsi di donne come Helen Markowitz, che nutrono, che curano, che consolano e amano i più piccoli. E se Mallory avesse assistito all'assassinio di sua madre?»
«Quante sciocchezze. Non vedi la totale illogicità dei tuoi ragionamenti? Adesso mi dirai che Justin ha visto sua madre morire, e che questo è il legame fra loro, come se Mallory potesse leggere questa esperienza nella mente del bambino.»
«Forse si leggono negli occhi a vicenda. Tutti e due hanno l'aspetto di chi… è stato danneggiato. Justin non si comporta come un bambino, vero? Non parla come gli altri bambini. Un altro punto in comune. Mallory era uguale…»
«Il mio scopo nel ricrearti era scoprire chi ti ha uccisa.»
«Sì, ma non è stata un'idea tua. Lei ti ha dato il dattiloscritto apposta perché tu giungessi a conoscermi abbastanza da tentare l'esperimento del succubo.»
Mallory? Era senz'altro così. Ecco svelata la ragione della sua insolita curiosità sul conto di Malakhai: stava cercando di spingerlo nella direzione da lei prevista e auspicata. Lo aveva giocato di nuovo.
A un tratto Amanda accelerò il passo e lo superò.
«E tu, Amanda?» la richiamò. «Chi è il tuo assassino? Come ha potuto ucciderti così e perché?»
«Mi ha mentito.»
Era troppo stanco per cercare di trattenerla. La guardò svanire nell'ombra.
Abbandonato da due donne nello stesso giorno.
Continuando a camminare, si perse nel pensiero di Mallory, vagò verso sud e poi verso est per tanti, troppi isolati. Quando, alla fine, il suo sguardo tornò a rivolgersi all'esterno, vide che la notte della vigilia trascolorava nella mattina di Natale.
Trascinò i piedi attraverso i vecchi giornali accatastati accanto al muro in costruzione, e cadde goffamente per terra. Il selciato incontrò la sua faccia con un duro benvenuto. Qualcosa di piccolo e vivo si stava contorcendo sotto le sue gambe divaricate.
Adesso gli stava di fronte, chiusa in un cappottino rosso.
Dio onnipotente, era inciampato nel corpo di una bambina! Probabilmente la piccola stava dormendo sotto i giornali. Charles studiò la faccetta sudicia, i capelli arruffati e gli occhi più grandi che avesse mai visto. Poteva avere sei o sette anni. La bambina gli porse una ciotola. Era sbrecciata e produceva un tintinnio di monete. Gli ci volle un po' per afferrare l'idea che la bambina gli stava chiedendo l'elemosina, che era magra e rabbrividiva dal freddo.
«Dov'è tua madre? Perché sei…»
La bambina arretrò. Gli occhi luminosi, pieni di intelligenza, lo avevano classificato come il tipo che non faceva l'elemosina, magari addirittura come un poliziotto o, peggio, un assistente sociale. La piccola si voltò e si lanciò di corsa nel buio.
Charles si riprese e si mise a rincorrerla a passi pesanti sul marciapiede, dentro e fuori le zone illuminate dai lampioni. Si fermò per ascoltare i suoi passi leggeri.
Silenzio.
Poi un tintinnio.
Alzò lo sguardo e la vide a cavalcioni sulla cima di una cancellata.
Trattenne il fiato mentre la bambina, agile come una scimmia, scendeva lungo le inferriate a velocità sorprendente. Arrivò al cancello in tempo per vedere il cappottino sparire svolazzando dietro un angolo in lontananza.
Adesso la bambina era scomparsa e, con lei, il fantasma di un Natale sepolto nella memoria di Mallory.
Che sciocco.
Appoggiò la fronte al freddo metallo della cancellata.
Sciocco.
I suoi occhi erano di un verde freddo e, in quel momento, misterioso. Le luci che si riflettevano dal cruscotto li facevano brillare nell'ombra. Sembravano accesi dall'interno, come se madre natura avesse pensato di fare qualcosa di diverso con Mallory.
«Mallory, se ti credessi capace di provare sentimenti penserei che eri preoccupata che le festività potessero farmi venire voglia di farla finita» scherzò Riker.
Come no, disse la sua bocca piegata da un lato.
Smontò e richiuse la portiera della piccola macchina marrone dalla parte del passeggero. «Ci metto un secondo, prendo qualcosa per la colazione.» Riker si girò e si avviò verso la luce tenue dietro la vetrina di cristallo del bar.
La prima birra della giornata aveva già provveduto a stordirlo. Percepì vagamente la presenza dell'adolescente alla sua destra, a una trentina di metri da lui. Lo guardò distrattamente: il ragazzo scrutava in tutte le direzioni. Forse stava aspettando qualcuno. Peggy aprì la porta e lui entrò. «Chi è il tuo amico, Riker?» chiese la barista, guardandogli sopra la sua spalla. Riker girò piano la testa e vide l'adolescente dietro di sé. Peggy fu più rapida, e prese ad arretrare verso il bancone dove teneva la pistola.
Riker vide il ragazzo che si apriva la giacca per estrarre una pistola dalla cintura. Si chiese se a ucciderlo sarebbero stati i riflessi veloci della gioventù, o quelli, ormai inaffidabili, del vecchio ubriacone che era. In ogni caso, il ladruncolo gliel'avrebbe fatta.
D'improvviso, un'ondata di energia e riccioli lucenti sospinse il ragazzo attraverso la porta aperta, mandandolo a sbattere con violenza contro un tavolo vicino. Dalla giacca di Mallory spuntò una calibro 22. Poi lei lo ammanettò e lo spinse senza complimenti fuori dalla porta. La rapidità dell'azione, lo shock e il dolore avevano addomesticato il ragazzo.
Riker non rivolse a Peggy una parola. Alzò la mano per prendere al volo il sacchetto marrone con la confezione da sei lattine e uscì in strada.
Mallory stava spingendo la testa del ragazzo per farlo sedere in macchina accanto a sé. Qualsiasi bambino che guardasse la televisione sapeva che i delinquenti viaggiano sui sedili posteriori. Cosa voleva fare?
Mallory aprì la portiera posteriore per Riker e disse: «Spiacente per l'inconveniente. Me ne libererò al più presto».
Riker annuì e si sistemò sul sedile posteriore.
Quando Mallory fu al posto di guida si chinò verso il ragazzo e gli disse a bassa voce: «È un vero peccato che tu abbia dovuto assistere allo spettacolo di un vicecommissario di polizia ubriaco in un bar dopo l'ora di chiusura. Adesso sarò costretta a ucciderti. Non ho scelta, non è niente di personale».
Mentre Mallory guidava, Riker osservava il viso del ragazzo. Stava sudando, e la sua espressione diceva che non riusciva a credere a quello che gli stava succedendo.
«Che sfortuna. Ti metti in testa di fare cazzate proprio la notte in cui sono in giro con un pezzo grosso della polizia ubriaco. Già, credo proprio che dovrò ammazzarti.»
Era un bluff ridicolo, ma Riker si rese conto che il ragazzo era così giovane che doveva aver smesso da poco di credere ancora a Babbo Natale. E poi bastava guardare Mallory negli occhi, gli occhi di un'assassina, per avere paura.
Sì, il ragazzo la stava bevendo.
Riker sentì un morso alla bocca dello stomaco, esattamente dove abitava la sua ulcera. Mallory non aveva atteso che il ragazzino impugnasse la pistola, che commettesse il reato. Non gli aveva letto i suoi diritti. Aveva infranto qualsiasi regola, e adesso stava inventando nuove regole da infrangere.
Be', tanto valeva rilassarsi. Non avrebbe ucciso il ragazzo, perché a Markowitz non sarebbe piaciuto.
Erano nella zona di Wall Street, deserta la notte di Natale. Si infilò in una strada sbarrata da cartelli che indicavano un edificio in costruzione. Gli occhi di Mallory vagarono lungo i bidoni di detriti.
«No, non qui» disse. Poi, rivolta a Riker: «Mi spiace farle perdere tempo, capo. Me ne libero al prossimo isolato. D'accordo?».
«Non dirò niente!» strillò il ragazzo.
Mallory taceva, mentre i minuti scorrevano lenti, al ritmo dell'andatura della macchina. Si fermava in luoghi bui, scuoteva la testa e riprendeva a guidare.
«Mi chiedo da dove venga quella pistola» disse alla fine, «e se tu l'abbia mai usata.»
Riker poteva solo immaginare che cosa stesse accadendo nella mente del ragazzo. Lui e Mallory erano così giovani. Con i loro volti lisci e i capelli biondi, avrebbero potuto essere fratello e sorella.
«Poco fa ti ho fatto molto male?» chiese Mallory, con improvvisa dolcezza.
«Sì, lo stomaco mi fa un male cane» disse il ragazzo.
«Bene. Ho notato che la pistola era scarica. Non la definirei un'idea geniale, giusto?»
Il ragazzo guardava alternativamente Mallory e la pistola, meravigliato.
«Allora, hai rubato la pistola ma non le pallottole? Quando controllerò al computer il numero di matricola, scoprirò che qualche contribuente è stato derubato da un imbecille che crede che una pistola si carichi da sola? Cos'altro hai rubato?»
«Niente, non…»
Mallory inchiodò, e il ragazzo, le mani ammanettate dietro la schiena, sbatté la testa contro il cruscotto. Ebbe un gemito e Riker voltò la testa. Preferiva non vedere Mallory che faceva zampillare del sangue all'alba del giorno di Natale.
Mallory afferrò il ragazzo per il collo della camicia.
«Tu sei stupido. Credi che quando riporterò la pistola al legittimo proprietario, non mi dirà il resto?»
«Non c'era niente. C'erano un anello e un braccialetto, ma era roba da poco. Li ho portati a un gioielliere. Mi ha detto che facevo meglio a portarli al mercato delle pulci, è la verità. Lo conosco da una vita. Non mi direbbe bugie.»
Riker scosse la testa e sorrise. Un delinquente alle prime armi che portava oggetti rubati alla botteguccia sotto casa. E niente proiettili. Non avevano imparato niente a scuola questi ragazzini?
Mallory chiamò la centrale e comunicò la data del furto e le caratteristiche dei gioielli. Evitò di dire della pistola e del sospetto in custodia. Restò in ascolto qualche secondo e concluse: «Spiacente, non coincide». Riattaccò.
«Hai detto la verità» disse al ragazzo. «Ti lascerò andare. Ma non dire a nessuno che hai visto un ufficiale ubriaco in un bar dopo l'ora di chiusura. D'accordo?»
Il ragazzo annuì come un pupazzo disarticolato. Sì, sì, qualunque cosa, purché non gli facesse più male.
Riker smise di sorridere. Sedeva immobile, pregando perché l'effetto della birra non lo abbandonasse tanto presto. Niente da fare. Suo malgrado, stava tornando sobrio e cominciava a capire cosa avesse in mente Mallory.
Il suo unico scopo era impadronirsi della pistola del ladruncolo. Alzò lo sguardo al cielo.
Ah, Markowitz, bastardo. Come hai potuto morire e mollarmi qui con tua figlia? Mi senti, figlio di puttana? Guarda che cosa sta facendo la tua Mallory. Sta derubando un ragazzino.
«Conto fino a dieci, e se non sei sparito sei morto, okay?»
Si sporse per aprirgli la portiera. Ma la paura incollava il ragazzo al sedile, e lei fu costretta a urlare: «FUORI DI QUI, idiota!».
Il ragazzo quasi ruzzolò fuori dalla macchina. Vacillò zigzagando per i secondi necessari a fargli capire che era libero. Poi si mise a correre.
Riker uscì dalla macchina e scivolò sul sedile davanti.
«La pistola la prendo io, Mallory.»
«No, è mia.»
«Non hai mai pensato seriamente di portarlo dentro, e non è stato per evitarmi l'imbarazzo di mostrarmi ubriaco alla centrale. Lo sanno tutti che bevo. No, volevi una pistola in più, per usarla con l'assassino nel palazzo. Dimmi se ho torto.» La fissò in silenzio per un momento e riprese.
«Sei convinta che l'assassino preferisca servirsi delle proprie mani per uccidere. Se facessi fuori un uomo disarmato, finiresti nei guai. Se lo colpissi senza l'intento di ucciderlo, diciamo all'altezza delle ginocchia, Coffey non approverebbe. Ti chiuderebbe nella sala dei computer, e potresti dire addio al lavoro sul campo. Ma se, dopo lo scontro, accanto all'assassino si trovasse un'arma, la sua arma, allora potresti stare tranquilla in ogni caso, o sbaglio?»
Mallory non lo guardava.
«Markowitz non avrebbe mai fatto una cosa simile. Stava nell'occhio del ciclone, con tutti noi. Ma giocava pulito, e per questo ci vogliono le palle. Forse non hai la stoffa. Non hai imparato nulla dal vecchio, Kathy?»
«Mallory, per te» lo corresse.
«Adesso mi dai quella pistola, o te la tolgo a forza. Ho voluto bene a Markowitz più a lungo di te. Non permetterò che sua figlia si rovini. Dammela. Non scherzo.»
Niente.
Era rigida, sorda e cieca.
«Adesso, Mallory, o mi incazzo davvero.»
Gli porse la pistola. «Buon Natale anche a te, Riker.»
Il cercapersone che portava alla cintura emise il suo suono fastidioso, la richiesta insistente, molesta di chiamare la centrale, e al più presto. Riker prese il telefono della macchina e compose il numero della Sezione Crimini Speciali.
«Sì» disse nel ricevitore, «lo conosco… No, non c'è problema, sto arrivando.»
A Mallory disse: «Charles è in centrale. Ha bisogno di qualcosa e vuole che io garantisca per lui. Vieni anche tu?».
«No, ti lascio lì e vado.»
«Problemi tra te e Charles?»
«Ha chiesto di te, non di me. Non ha bisogno del mio aiuto.»
Nello scendere dalla macchina, dieci minuti più tardi, Riker le disse: «Hai pensato alla pistola giocattolo trovata a casa della Bosch?».
Gli occhi di Mallory si illuminarono. Aveva capito al volo. Sorrise lentamente, diabolicamente. Quando faceva così la detestava.
Charles sedeva su una sedia di plastica gialla troppo piccola per accogliere il suo lungo corpo. Muoveva nervosamente le gambe, le piegava e le distendeva, cercando un modo per non sembrare troppo goffo.
Alle tre del mattino, sotto le luci fluorescenti, la centrale era nel pieno dell'attività. Una donna urlante, avvolta in una coperta, passò davanti a lui, scortata da due agenti in uniforme. Un detective in borghese che Charles conosceva di vista accompagnava un adolescente docile e intontito. Due turisti entrarono gridando. Da frammenti della loro conversazione, Charles dedusse che mancavano loro i bagagli, i portafogli e i gioielli. Poi comparvero due giovani in manette, accompagnati da quattro agenti.
Buon Natale, dicevano le lucide lettere argentate appese sopra la scrivania dell'impiegato che aveva raccolto il suo verbale.
Charles tenne lo sguardo fisso sul pavimento finché non scorse il familiare paio di scarpe marroni scalcagnate, sovrastate da un abito male in arnese e dalla nuvola di birra che era l'alito di Riker.
Riker gli fece un cenno e continuò a camminare accanto a due agenti che fino a pochi minuti prima avevano tentato di far ragionare Charles, senza riuscire a convincerlo che in quella città non c'era modo di trovare una bambina che non voleva essere trovata. Disperato, Charles aveva fatto il nome di Riker. Una telefonata del sergente di turno, e Riker era arrivato, improbabile cavaliere senza il cavallo bianco.
Ora Riker sedeva a una scrivania e annuiva amabilmente mentre i due agenti gli riferivano dei problemi che avevano avuto con il suo amico un po' tocco. Riker sollevò il telefono e Charles lo vide fare tre chiamate in rapida successione. Alla quarta chiamata, Riker sorrise alla cornetta, si mise comodo sulla sedia e appoggiò i piedi alla scrivania. La sua mano si mosse per dire agli agenti che potevano tornare ai loro affari.
Dopo un altro minuto, Riker posò il telefono e fece avvicinare Charles alla scrivania. Prese un foglio che Charles riconobbe come il suo verbale, e cominciò a leggere ad alta voce.
«Allora, la tua piccola amica aveva un cappotto troppo grande per lei, giusto? Scarpe e calze scompagnate, capelli castani arruffati e occhi chiari?» Riker lesse due volte la riga successiva, incredulo. «Era sporca, malnutrita ma aveva eccellenti capacità motorie, buoni riflessi, era alta circa un metro e dieci, sui sette anni, e andava di fretta?»
«Sì, è lei.»
«E aveva i pidocchi, Charles. Questo non l'hai detto. L'ho trovata. Hai fatto un buon lavoro. L'hai terrorizzata e lei si è ficcata dritta in una comunità per ragazzi scappati di casa. Laggiù la conoscono da un pezzo. Va e viene come le pare. Si è presentata alla direttrice con gli occhi sgranati e ha raccontato di essere stata inseguita da un gigante. Immagino che fossi tu.»
«Non intendevo spaventarla.»
«Hai fatto bene a farlo. Avrà un pasto caldo e un letto.»
«Cos'altro posso fare?»
«Niente, Charles. Non vedrai mai più quella bambina. Non scoprirai mai che cosa le è accaduto. Non ti dirò neppure il nome della comunità, perché ho promesso alla direttrice di non farlo. Normalmente non ci avrebbero detto niente. I responsabili di molte comunità sono dell'opinione che i bambini abbiano maggiori chance di farcela quando la polizia non si impiccia dei loro affari. Ma questa direttrice mi doveva un favore. Le ho parlato del mio amico matto che voleva mettere a ferro e fuoco il Dipartimento di Polizia di New York per togliere una bambina dalla strada la mattina di Natale… e lei mi ha chiesto quanto era alto quel mio amico.»
«Sono un cretino.»
«Non cambiare mai, Charles.»
«Ti ho rovinato la festa.»
«Mia moglie mi ha lasciato a Natale. Da allora ha cessato di essere una festa per me. Fatti offrire qualcosa da bere.»
«Insisto per pagare io.»
«No, pago io. Ti offrirò lo scotch migliore che tu abbia mai bevuto. Vieni con me.»
Passarono attraverso le porte girevoli che portavano al familiare corridoio della Sezione Crimini Speciali.
Quando Markowitz era vivo, Charles aveva percorso tante volte la scala stretta, per arrivare in quella specie di antro male illuminato il cui silenzio adesso era rotto dal lamentoso squillare di un unico telefono. Due detective sedevano al capo opposto dello stanzone. Uno dei due alzò la testa e salutò Riker.
Riker aprì la porta dell'ufficio di Jack Coffey, che un tempo era stato l'ufficio di Markowitz. Si sedette dietro alla scrivania e con disinvoltura prese a trafficare con la serratura dell'ultimo cassetto. Poco dopo ne estrasse una bottiglia e dei bicchieri di plastica.
Charles piegò la sua lunga sagoma nella sedia di fronte, sorridente al pensiero della propria complicità in quel furto. Accettò uno dei bicchieri di plastica e lo sollevò in un brindisi. «Buon Natale, Riker.»
«Buon Natale, Charles.» Riker abbassò il bicchiere e sorrise. «Allora, qual è il problema tra te e Mallory? Posso aiutarti in qualche modo?»
«Abbiamo avuto una mezza discussione. Sai com'è Mallory, non tollera che non si sia al cento per cento d'accordo con lei. Ti ha detto del ragazzo, Justin Riccalo?»
«Matite che volano e via discorrendo? Sì.»
«C'è qualcosa, qualcosa che lei vede nel ragazzo e che io non riesco a vedere. Qualcosa come un ricordo, un'affinità o una somiglianza. Ho bisogno di sapere qual è il legame. Ma non mi parla più. Cosa devo fare? Scusarmi?»
«No. È l'idea peggiore. Mai perdere la faccia con lei. Mai mostrare debolezze.»
«Allora cosa faccio?»
«Perché pensi che ci sia un legame tra i due?»
«Be', non si tratta di una deduzione logica quanto di una sensazione. Credo che nel ragazzo lei veda qualcosa di se stessa.»
«Intendi dire che il bambino è un mostro?»
«Stavo pensando ai maltrattamenti. Conosci qualcosa del suo passato, prima che andasse a vivere con Louis? Un indizio qualunque?»
«Markowitz trascorse un sacco di tempo a indagare sul passato della bambina. Helen era ansiosa di adottarla. Ma Mallory non volle saperne di collaborare, nemmeno per amore di Helen. Avrebbe dato la vita per sua madre, ma non accettò mai di parlare di sé. Dopo un po', i Markowitz se ne fecero una ragione. La storia di Mallory apparteneva a lei sola.»
«Avranno fatto delle ipotesi…»
«Louis rispettava profondamente la piccola. Qualunque cosa immaginasse, se la tenne per sé.»
«Credi che possa aver subito maltrattamenti?»
«Chissà. Ma chiunque abbia provato a maltrattarla, come minimo ci ha rimesso un braccio. Charles, tu credi che io stia scherzando, ma non è così. L'ho vista crescere.»
«Ma di sicuro…»
«Quando Markowitz l'ha tolta dalla strada, sapeva quale fosse la posizione di Mallory nella catena alimentare. Era una piccola predatrice. Mallory potrà collezionare sospensioni, ma non sarà mai espulsa dalla polizia. Nessuno di noi la vuole come nemico. Chiunque abbia a che fare con lei dovrebbe tenere presenti tre semplici regole: mai deluderla, mai tradirla, e mai fidarsi di lei.»
«Ho bisogno di scoprire la natura del suo legame con il ragazzo. È molto importante.»
Riker produsse un portafoglio che cadeva a pezzi e ne estrasse una fotografia protetta da una logora custodia di plastica. «Forse l'hai già vista. È quella che Markowitz portava sempre con sé. Mallory a dieci anni.»
Charles guardò la fotografia. L'espressione era di sfida. Sì, c'era qualcosa in lei che gli ricordava il ragazzo. Entrambi erano stati feriti, danneggiati irreversibilmente.
«Riker, pensi che sia possibile che Mallory abbia assistito a un omicidio da bambina?»
Riker rovesciò un po' del suo scotch, e non per mancanza di coordinazione. Sprecare liquori era un peccato nella sua religione.
Riker riaprì il cassetto e tirò fuori dei tovaglioli con i quali asciugò la scrivania. Teneva lo sguardo basso, prendendo tempo per ricomporsi. Infine si strinse nelle spalle e fissò Charles. «Ha vissuto in strada per anni. Potrebbe aver assistito a un omicidio, immagino. Non l'ha mai detto.»
«Forse dovrei chiedere a Edward Slope. La conosce da quando la conosci tu.»
Qualcosa nella faccia di Riker gli disse che avrebbe desiderato che Charles non lo facesse. Che cosa poteva nascondergli?
Charles notò un rotolo di carta a pochi centimetri dalla dilagante macchia umida del liquore. Lo raccolse. Era una stampa da computer, sulla quale le parole si rincorrevano senza fine: GIURO DI SPARARE PER UCCIDERE. GIURO DI SPARARE PER UCCIDERE, riga dopo riga. Charles mostrò il rotolo a Riker.
«Chi è il pazzo che l'ha scritto?»
«Mallory» disse Riker. «Dimostra che la bambina ha senso dell'umorismo, dopotutto. Coffey l'ha spremuta ben bene, e il giorno dopo lei gli ha lasciato questo sulla scrivania.»
«Coffey si è arrabbiato con lei perché non ha ucciso il ladro? Stava puntando la pistola su un uomo anziano e…»
«Coffey ha creduto che lei volesse giocare con il delinquente, e aveva ragione. Sono cose che non si fanno. Quando tiri fuori la pistola per sparare a un criminale armato, ti insegnano a mirare alla parte più ampia del corpo, in modo da avere le migliori probabilità di fermarlo secco al primo colpo.»
«Piuttosto brutale.»
«Lo è. Ma potrebbe essere l'unica possibilità di salvarti la vita. E l'incolumità di ogni civile nei dintorni dipende da te. Se Mallory avesse mancato il bersaglio perché mirava nel punto sbagliato, il vecchio si sarebbe beccato una pallottola dopo la sua.»
«Sarebbe scesa in campo la commissione di cittadini…»
«Sì, l'ultima grande, dilettantesca trovata del comune. Questa settimana Mallory è un eroe per la comissione. Ma se il delinquente non sarà contento della curvatura del suo ditino dopo l'operazione chirurgica, farà causa al comune per un milione di dollari. Succede. I nobili membri della commissione cittadina si ricorderanno di essere anche dei contribuenti. Se la prenderanno con lei. Ciascuno di loro la maledirà per non aver ucciso il bastardo, dato che i morti non intentano cause. Amo questa città.»
«Che cosa devo fare con lei? Sa qualcosa di fondamentale su Justin, ma non vuole parlarmi.»
«Impara a pensare come Mallory.»
«Come faccio? Non ho un'infanzia drammatica a cui ispirarmi, e non so quasi nulla della sua.»
«Charles, tu sei un uomo eccezionalmente intelligente. Credo che sia per questo che Lou ti ha chiesto di occuparti di lei. È troppo grande per avere bisogno di una tata, giusto? Il vecchio pensava che tu fossi l'unico potenzialmente capace di fargliela in barba. Lui l'ha affidata a te, non a uno dei suoi vecchi amiconi tipo il dottor Slope.»
«Già, io avrei scelto Slope. Lui sì che è un uomo molto intelligente.»
«Vero. Un vecchio bastardo intelligente. Perché non lui, ti chiedi.»
«Giusto.»
«Se per caso non l'avessi notato, lei ne fa quello che vuole. Romperebbe il giuramento di Ippocrate per Mallory. E il rabbino prenderebbe le sue parti contro quelle dell'Onnipotente.»
Riker scolò il bicchiere e se ne versò un altro. Gli occhi rossi rotearono verso Charles con una domanda che poteva essere soltanto "E tu, cosa faresti per Mallory?".