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McNulty bestemmiò. In pochi passi fu accanto al letto mentre Birdie ed io ci spostavamo ai piedi di esso. La mano di Birdie mi stringeva il braccio così forte da farmi male. Non era tutto grasso la mole massiccia di Birdie: c’erano anche muscoli.
McNulty si chinò e scostò indietro il lenzuolo, lo scostò molto più di quello che era necessario, fin quasi alle ginocchia di Amy. Il corpo era nudo, e recava solo quell’unica ferita sotto il centro della macchia di sangue, ed appariva quasi irreale la ferita a quel modo, perchè c’era pochissimo sangue sul corpo, molto meno di quanto ce ne fosse stato sul lenzuolo, che lo aveva assorbito quasi tutto. La ferita era un piccolo taglio orizzontale, più o meno delle dimensioni di quello che si può fare con una lama non più larga di un pollice e mezzo.
Il corpo di Amy era sorprendentemente bello. Prima di allora l’avevo vista soltanto completamente vestita. Ella non portava, o non l’avevo mai vista portare, calzoni corti o due pezzi, come la maggior parte delle touristas e alcune delle nostre concittadine. Non avevo mai badato particolarmente alla sua età; avevo pensato che doveva aver passato da poco la trentina. Ma ora ero incline a cambiare parere. I seni erano sodi e tondeggianti, come tutto il resto del corpo. Sarebbe potuto essere di una ragazza, quel corpo, di una bella ragazza sulla ventina.
Amy era apparsa più vecchia per i segni che recava in faccia. Ed ora, stranamente, nel rilassamento della morte, il suo viso appariva più giovane di quello che ricordavo. Non che fosse un brutto viso, ma c’era sempre in esso una traccia di tensione, la tensione che spinge un alcoolizzato o un bevitore abituale a cercare sollievo in fondo al bicchiere. Ora la tensione era scomparsa dal viso di Amy; non era riuscita a trovare pace in vita, e l’aveva trovata nella morte.
McNulty si schiarì la gola. «Un coltello a serramanico,» disse. «O un coltello di quella misura. Morte istantanea.» Pensai che lo dicesse basandosi sull’atteggiamento del cadavere, perfettamente rilassato, con le braccia lungo i fianchi. Ma continuò: «In caso contrario, ci sarebbe più sangue. A giudicare dalle apparenze, direi che è stata colpita mentre dormiva o che è morta senza rendersi conto di quello che le stava succedendo.»
Birdie allentò un poco la stretta sul mio braccio, ma io avevo la precisa impressione che la sua mano mi avesse lasciato dei grossi lividi. Ritrovò anche la voce, ed era una voce indignata. «Mac McNulty, ricoprite subito quella donna. Non è decente.»
«Via, Birdie, è morta. E io devo…»
Prese il polso di Amy e cercò di sollevarle il braccio. Tutto il corpo si mosse un poco, ma né il gomito né la spalla si piegarono di un solo centimetro. Disse: «Duro come un tronco. Rigidezza in stato avanzato, superiore alle dodici ore. È stata uccisa a un’ora imprecisata di questa notte, non oggi. Bene…»
Tornò a sollevare il lenzuolo, anche se appariva un poco riluttante. Si voltò verso di noi. «Fuori, tutti e due,» disse. «E fuori anch’io. Devo telefonare allo sceriffo e passare l’incarico a lui. Non dobbiamo toccare niente fino a quando non è arrivato.»
Ci spinse fuori e chiuse. Il legno del battente non si era spezzato e si adattava ancora abbastanza bene alla intelaiatura, e in questo modo la porta restò accostata. Disse: «Mi servirò del vostro telefono, Birdie. E non tornate ad aprire, né l’uno né l’altro.» Si diresse verso l’ufficio, e i suoi piedi prima fecero scricchiolare la ghiaia, poi passarono silenziosi sull’erba.
Birdie non accennò nemmeno a seguirlo, ed io giudicai opportuno imitarla. Sentirlo chiamare lo sceriffo a Douglas non mi sarebbe servito, mentre potevo cercare di sfruttare la possibilità di parlare un poco con Birdie.
«Birdie,» chiesi, «conoscevate bene Amy Waggoner?»
«I nostri rapporti erano abbastanza amichevoli, ma non certo intimi.»
«Non lavorava. O almeno, non ha lavorato nel mese che ha passato a Mayville. Sapete da dove ricavava il suo denaro?»
Birdie incrociò le braccia. «So quello che mi aveva detto: alimenti. Ma non posso dimostrarlo perchè non ho mai visto gli assegni. Mi pagava in contanti.»
«Avevate fissato con lei un forfait settimanale?»
«Sì. Me lo aveva chiesto quando era arrivata, e mi aveva detto che forse si sarebbe fermata per un poco. La stagione era già finita, e così ci siamo messe d’accordo su venticinque dollari. Verso la fine della prima settimana ha incominciato a dire che avrebbe potuto risparmiare prendendosi una stanza in città, ed io allora le ho risposto che, se restava, sarei scesa a venti la settimana. È poco, ma è meglio che avere la stanza vuota, ed era da marzo che non avevo più tutte le stanze occupate.»
«Se ha chiesto subito un forfait settimanale è segno che aveva già intenzione di trattenersi per un poco quando è arrivata. Vi ha mai detto perchè? Che cosa l’attraeva tanto a Mayville? Non che non sia una bella cittadina, ma… capite che cosa voglio dire.»
Birdie scosse la testa. «Anch’io ero curiosa, ma non ha mai aperto bocca su questo argomento. Non potevo certo chiederglielo, così.»
«Conosceva qualcuno qui, quando è arrivata?»
«Non che ne abbia parlato. Ma doveva conoscere piuttosto bene qualcuno, questo è certo.»
«Che cosa volete dire, Birdie?»
«Chi l’ha assassinata stanotte, voglio dire. Sia che sia rientrata con lui, sia che lo abbia lasciato entrare, tutto deve essere cominciato come una visita piuttosto amichevole… a giudicare dal modo in cui è vestita.»
Rimasi per un momento pensieroso. «A meno che non si sia dimenticata di chiudere a chiave la porta e qualcuno ne abbia approfittato per scivolare dentro e pugnalarla nel sonno. Sapete per caso se dormiva nuda? D’abitudine, voglio dire.»
«Qualche volta almeno lo faceva. Mi capitò di saperlo perchè una mattina, un paio di settimane fa… Conoscete Herbie Pembrook?»
Certo che conoscevo Herbie Pembrook. Non era precisamente lo stupido del villaggio, ma quanto di più simile Mayville poteva vantare in proposito. Aveva trenta o trentacinque anni, ma la sua età mentale non superava probabilmente gli undici o i dodici. Un deficiente, che però riusciva a mantenersi facendo i lavori più svariati, specie quelli di fatica. Lo conoscevo, certo, perchè non mi poteva sopportare, ed io non ero mai riuscito a capire per quale motivo: non gli avevo mai fatto niente, non gli avevo mai rivolto espressioni meno che gentili. Eppure più di una volta aveva cercato di attaccar lite con me, e certo dal punto di vista fisico non aveva d’odici o tredici anni. Era un poco più alto di me e io un poco più pesante di lui, ma, dato che si guadagnava da vivere con lavori manuali, la sua forza doveva superare di gran lunga la mia. E poi, non avevo nessuna voglia di litigare con lui, darle o prenderle, perchè non avevo niente nei suoi confronti, e non riuscivo a immaginare che cosa avesse lui nei miei. Un paio di volte avevo pensato di chiedere a McNulty di interrogarlo, ma poi ero giunto alla conclusione che un passo del genere avrebbe fatto più male che bene. Se McNulty avesse parlato con Herbie e lo avesse messo in guardia, Herbie avrebbe saputo che avevo parlato con McNulty, e questo non solo gli avrebbe dato una ragione fondata per odiarmi, ma lo avrebbe anche convinto che avevo paura di lui.
E inoltre avevo pensato che, se mi fossi rivolto per chiedere aiuto a McNulty solo per qualche occhiata di traverso, per qualche osservazione poco diplomatica e per qualche vaga minaccia, McNulty mi avrebbe giudicato un vigliacco e un piagnucolone, pronto a strillare prima che mi capitasse qualcosa. E avevo già l’impressione che, così come stavano le cose, McNulty non mi avesse in eccessiva simpatia. All’apparenza, era sempre disposto a darmi una mano e a trattarmi amichevolmente, ma lo faceva, mi sembrava, per il posto che occupava lui e per quello che occupavo io, non certo per amicizia.
Sì, conoscevo Herbie Pembrook.
«Sì,» dissi a Birdie, «conosco Herbie Pembrook.»
«Bene,» disse Birdie, «è stato qui un paio di settimane fa per falciarmi l’erba. È una cosa che di solito sbrigo personalmente, ma mi ero slogata una caviglia, ed allora ho pensato che avrei fatto meglio a stare a riposo per qualche giorno. Comunque, mi è capitato di guardare fuori dalla finestra… O meglio, non è stato un caso: l’ho fatto perchè non sentivo più la falciatrice da qualche minuto, e allora ho guardato fuori per vedere se Herbie se la stava prendendo comoda. Era fermo, infatti, e teneva gli occhi fissi sulla finestra di Amy Waggoner. Sono uscita e gli ho detto di rimettersi a lavorare, poi ho guardato anch’io quella finestra per vedere che cosa l’aveva affascinato tanto… e non posso negare che aveva ragione. Amy si era dimenticata di abbassare le tendine e se ne stava distesa sopra le coperte, nuda come un verme. Ho dovuto svegliarla ed avvertirla di abbassare le tendine. Bella reputazione si procurerebbe la mia azienda se permettessi ai miei clienti di esibirsi in numeri di spogliarello.»
McNulty stava tornando verso di noi. Disse: «Sono riuscito ad agganciare lo sceriffo; parte subito e sarà qui fra un’ora.»
Dissi: «Farò meglio a telefonare a Hetherton per avvertirlo di quanto sta succedendo. Andiamo in macchina questa sera e sono ormai quasi le sei.»
«Va bene, telefonategli. Ma restate qui, voi.»
Mi stavo già dirigendo verso l’ufficio del motel, quando il tono della voce di McNulty mi convìnse a voltarmi. «Certo, Mac. Voglio restare, io. Ma perchè me lo dite come se sì trattasse di un ordine?»
«Perchè non vi ho ancora interrogato, e voglio farlo dopo l’arrivo dello sceriffo. Fino a questo momento, voi e Birdie siete i due unici testimoni.»
Ero perplesso. «Non capisco, Mac. Siamo testimoni perchè siamo entrati con voi. Non abbiamo visto niente che voi non abbiate visto.»
«Non intendo testimoni per ciò che riguarda il ritrovamento del cadavere. Parlo dei vostri rapporti con lei, delle cose che può avervi detto e che la riguardavano, roba del genere, insomma.»
Replicai, paziente: «Non avevo rapporti con lei, salvo quelli di cui vi ho già parlato. E non mi ha detto niente che la riguardasse o riguardasse il suo passato… salvo che veniva da Kansas City. Molti a Mayville la conoscono meglio di quanto la conoscessi io.»
«E li interrogheremo tutti. Ma anche voi venite da Kansas City, vero? E avete un alibi per la notte scorsa?»
Sospirai. «Kansas City è più grande di Mayville. No. Non conoscevo Amy laggiù. E non ho alibi per la notte scorsa. Sono andato a letto piuttosto presto, fra le dieci e le undici.»
«Comunque, restate qui.»
Risposi che andava bene; dopo tutto era quello che desideravo, e allora perchè lui insisteva tanto? Se Mac mi giudicava sospetto, che la pensasse pure così. L’idea dei sospetti mi richiamò alla memoria quello che Birdie mi aveva appena detto a proposito di Herbie Pembrook: che cioè aveva visto Amy «nuda come un verme». Ed Herbie era un idiota, il che, se non bastava a farlo apparire un assassino, era pur sempre sufficiente a renderlo più sospetto di me.
Dissi: «Birdie, ripetete a Mac quello che mi avete raccontato a proposito dello spogliarello di Amy… e dello sbalordimento di Herbie.»
Birdie stava incominciando a raccontare la storia quando mi diressi verso l’ufficio.
Chiamai il Sun e mi rispose la voce aspra di Hetherton. Dissi: «Parla Spitzer dall’ufficio di Birdie. È una grossa faccenda, certo. Amy Waggoner è stata assassinata, stanotte o nelle prime ore di stamane. Volete prendere qualche appunto?»
«No, venite qui e buttate giù quello che sapete. Se si tratta di un assassinio, me ne interesso io. Rientrate subito.»
«Mac non vuole che mi allontani, dice che devo aspettare l’arrivo dello sceriffo, per l’interrogatorio. A quanto sembra, mi considera un elemento sospetto.»
Hetherton sbuffò, o fece quanto di più simile a un rumore sbuffante può permettersi un uomo del suo temperamento. «Dite a McNulty che vi ho ordinato di rientrare. Se non gli va l’idea, ditegli di telefonarmi. È un ordine, Spitzer.»
E un secco suono metallico mi echeggiò all’orecchio.
Tornai da Birdie e da McNulty e ripetei a McNulty quello che Hetherton mi aveva detto. Anche lui sbuffò, ma sbuffò davvero, non in maniera educata, come il mio padrone. Poi disse: «Va bene, potremo interrogarvi più tardi. Battetevela.» Ritrovò la sua calma, infilò le mani in tasca, pescò fuori le chiavi della macchina e me le tese. «Prendete la mia auto. Io tornerò con quella dello sceriffo.»
Lo ringraziai e mi misi al volante. Rientrai in fretta, parcheggiai la macchina ed entrai negli uffici del Sun.
Hetherton era alla sua scrivania, perfettamente vestito con camicia bianca dal collo inamidato e cravatta. Era il suo solito abbigliamento di tutto l’anno, in ufficio e fuori, anche quando, d’estate, c’erano quaranta gradi. Avevo cominciato anch’io ad imitarlo, fino a quando non avevo imparato che a Mayville tutti si vestivano il più comodamente possibile non solo con il caldo ma anche con una temperatura normale.
«Come è stata uccisa?» mi chiese.
Glielo dissi, assieme alle altre poche cose che sapevo.
Annuì. «Scrivete tutto. Ma lasciate fuori Herbie Pembrook. È un tipo innocuo, e non significa nulla che l’abbia guardata dalla finestra una volta. La colpa era della signora Waggoner, non sua.»
Non avevo voglia di discutere con lui, e così mi limitai a rispondere: «Va bene. E Bisbee? Devo telefonare a Tom Acres?»
«Sì, ma scrivete quella roba prima.»
Uscì, ed io andai a sedere alla scrivania e infilai un foglio nel rullo della macchina. Misi anche un foglio di carta carbone per poter portare l’originale in tipografia non appena avessi finito ed avere anche una copia da leggere quando avessi telefonato a Bisbee.
Il Sun aveva un accordo con il quotidiano di Bisbee, la Gazette, e con Tom Acres, il suo redattore capo. Il Sun non aveva telescrivente, e, dato che il novanta per cento dei suoi interessi sono locali, ne poteva fare a meno grazie a questo accordo. Quando a Mayville succede qualcosa di abbastanza importante da interessare il giornale di Bisbee, telefoniamo a Tom e gli trasmettiamo l’articolo. Egli se ne serve e, se è abbastanza importante da interessare anche altrove, lo passa alla telescrivente. E quando, in qualche altro posto, capita qualcosa che può interessarci, ci telefona lui, bene inteso se l’avvenimento capita di giovedì, il nostro giorno di chiusura; in caso contrario, lo preleviamo tale e quale dal suo giornale. Non so se questi scambi comportano un passaggio di denaro, ma ne dubito. Il nostro bilancio di dare e avere con Tom Acres è press’a poco pari.
Battei in fretta l’articolo, lo rilessi e mi parve buono. Portai l’originale a Waldo — uno dei due tipografi della linotype; l’altro si interessa più alla composizione a mano ed al lavoro di stampa vero e proprio -; tornai alla mia scrivania e sollevai il ricevitore.
Riconobbi la voce che disse: «Numero, prego?» ed allora feci: «Salve, cara.»
«Salve, Bob. Vuoi un numero, o…»
«Tom Acres, pagamento in arrivo. Ma un momento, Doris, prima di passarmi la comunicazione. Esci a mezzanotte stasera?»
«Sì, ma è piuttosto tardi, Bob, e sarò stanca, e…»
«Un momento, prima di rispondere di no. Sarai stanca come me: c’è stato un omicidio, dubito che si vada in macchina prima di mezzanotte, e così sarò sveglio in ogni caso. E farà bene a tutti e due una scarrozzata nel deserto prima di andarci a distendere nei nostri rispettivi letti, sciaguratamente ancora divisi. Sarà una cosa di mezz’ora al massimo, te lo prometto.»
«Un omicidio, Bob? Chi?»
«Amy Waggoner. La conoscevi?»
«No. Un momento, però, credo di aver sentito parlare di lei. Era quella che beveva molto?»
«Già, precisamente quella che beveva molto. Ma non allontaniamoci dall’argomento che ci interessa. Una passeggiatina a mezzanotte allora?»
«Va bene. Ma… chi l’ha assassinata? Dove e quando?»
«Passami Tom Acres, rimani in ascolto e saprai tutto… tutto quello che si sa finora, bene inteso… risparmiandomi la fatica di ripeterlo.»
«D’accordo. Ma può darsi che sia costretta a interrompermi se… Dimmi qualcosa.»
«Ti dirò qualcosa allora. Ti amo alla follia. E, se devi interrompere mentre telefono, ti racconterò il resto a mezzanotte. E adesso torna a fare la centralinista e passami la comunicazione.»
Mi accontentò, e due minuti dopo ero in linea con Tom. Gli lessi l’articolo lentamente, in modo che potesse prendere appunti. Forse troppo lentamente, perchè a un certo punto mi disse: «Avanti, continuate.» Naturalmente, il giornale di Bisbee non avrebbe dedicato all’avvenimento lo spazio che gli avremmo dedicato noi.
Quando ebbi terminato mi disse: «Benissimo, Bob. Siete stato voi a scriverlo?»
«Sì, ma adesso la faccenda non mi riguarda più. Se ne interessa il capo.»
«E come sta il capo?»
«Sempre bene, maledizione.»
«Però! Bene, sapete quando andiamo in macchina. Se il caso ha qualche sviluppo importante, richiamatemi. Intanto, lo trasmetterò alla telescrivente. È un articolo perfetto; come potete aspettarvi di essere licenziato, se scrivete così bene?»
«Già,» risposi, cupo. «Arrivederci, Tom.»
Riagganciai e tornai al lavoro. Avevo molto da fare. Raccolsi i miei appunti sulla riunione del consiglio scolastico della sera precedente e infilai un altro foglio nella macchina. (Non avevo partecipato a quella riunione, ma avevo visto la segretaria quella mattina ed avevo preso i miei appunti da quelli che lei aveva preso dalle minute.)
Battei l’articolo, mettendoci dentro tutti i nomi che potevo senza dare un elenco vero e proprio dei presenti. Era una cosa che Hetherton mi aveva insegnato fin dalla prima settimana che lavoravo per lui. «Nomi, Spitzer, nomi! Sul giornale la gente vuole vedere il proprio nome o quello della prima moglie. È questa la raison d’être del settimanale di una cittadina.»
E tutte le settimane, con un pretesto o con l’altro, noi davamo, come minimo, qualche centinaio di nomi.
Terminai l’articolo appena in tempo per correggere le bozze del caso Waggoner che Waldo mi aveva portato. Dopo aver apportato qualche variante di secondaria importanza, le misi sulla scrivania di Hetherton. Battei un altro paio di articoli, più corti, e li passai in tipografia.
Ora mi restava un poco di tempo libero, e la cosa non mi spiaceva affatto. Non perchè fossi stanco, ma perchè avevo voglia di riflettere. Dovevo prendere una decisione per me importantissima, e se avessi sbagliato mi sarei cacciato in un mare di guai. Dovevo o meno parlare a McNulty di una cosa accaduta poco meno di un mese prima? Una cosa che, anche se l’avesse creduta, mi avrebbe ricollegato ai suoi occhi ad Amy Waggoner. Se l’avesse creduta solo in parte, sarei automaticamente diventato ai suoi occhi un tipo sospetto. Ma, se non parlavo e lui la veniva a sapere, ammesso che non la sapesse già, mi sarei venuto a trovare in un brutto pasticcio.
Era accaduto una domenica, e doveva essere stata, quella, la prima domenica di Amy a Mayville. Di solito, la domenica, ho un appuntamento con Doris, ma quella settimana ella era stata assegnata al turno di giorno del centralino telefonico, e così il nostro appuntamento era stato spostato alla sera. Non sapendo che fare quel pomeriggio, ero andato al Filone per ingannare un poco il tempo. E avevo trovato Amy; fino a quel momento non sapevo nulla di lei; era in città solo da pochi giorni.
Non eravamo stati né io né lei ad attaccare: era stato semplicemente il barista a presentarci. Avevamo chiacchierato un poco davanti ai nostri bicchieri, poi me n’ero andato, e questo era stato tutto. Una cosa perfettamente innocente, ed ero pronto a discuterne con McNulty.
Ma se gli avessi detto che cosa era accaduto più tardi, quello stesso giorno?
Ero andato all’appuntamento con Doris quella sera, ma avevamo litigato. Era stato il nostro primo, vero litigio, e non ce n’erano stati altri da allora, ma le cose avevano preso una brutta piega. Era stato un litigio da innamorati; solo gli innamorati possono arrivare al punto di insofferenza reciproca che noi raggiungemmo quella sera. Era cominciato per una sciocchezza tale che non intendo certo riferirla per non fare la figura dello stupido. Ma, come può succedere, avevamo finito per perdere di vista il punto di partenza, e ci eravamo trovati di fronte non semplicemente estranei, ma addirittura nemici. Alle dieci la lite aveva raggiunto questo punto, e quando Doris mi aveva chiesto di accompagnarla a casa, l’avevo accontentata. E più che volentieri. E quando, scendendo dalla macchina, mi aveva detto che non voleva più rivedermi, non solo avevo creduto che parlasse sul serio, come certo parlava sul serio in quel momento, ma mi ero anche sentito sicuro che la nostra rottura era definitiva.
Così, che cosa altro mi restava da fare se non ubriacarmi? Non ubriaco fradicio, questo no, ma quel tanto che bastava per non soffrire più. E soffrivo molto in quel momento. Mi piace bere, ma, in circostanze normali, non esagero mai. Due o tre bicchieri, quattro al massimo, rappresentano la mia razione serale. E non ho neppure bisogno di contarli o di costringermi a smetterla; di norma mi bastano. Ma quella non era una delle solite sere.
Ero andato da Cass, il mio bar favorito, vicino al giornale. Avevo incominciato a bere whisky ed acqua. Non li buttavo giù, ma nemmeno li facevo durare troppo. In un’ora e mezzo ero giunto a quota sei o sette. Forse mi sentivo un poco meglio, ma non molto.
Poi mi era venuta l’idea che sarebbe stato più intelligente comperare una bottiglia, portarla in camera mia e scolarla là. Non bevo da solo, di solito, ma quella sera avevo tutte le intenzioni di farlo. Non avevo voglia di parlare, nemmeno con Cass, ed avevo evitato di attaccare discorso con gli altri. Così, stavo già bevendo da solo, e tanto valeva allora che mi trasferissi in camera mia. E poi pochi bicchieri ancora, specie se puri, mi avrebbero fatto certo piombare nel sonno, e non chiedevo di meglio. E, dopo una notte di sonno, avrei certo visto la situazione sotto una luce migliore. Anche se avessi avuto il mal di testa.
Avevo allora comperato una bottiglia da Cass ed ero uscito. L’avevo messa in macchina e mi ero diretto verso casa, ma poi avevo cambiato idea. Mi sarei prima fermato al Filone a bere qualcosa. Anche se non avevo voglia di chiacchierare, non ero ancora d’umore da restarmene completamente solo.
Avevo portato la macchina nel parcheggio del Filone, ma non ero entrato. Mentre stavo scendendo, avevo visto Amy Waggoner uscire da sola. L’avevo salutata con un cenno della mano ed ero passato oltre, chiedendomi se era il caso o meno che la invitassi a bere con me. Poi avevo avuto un’idea migliore, o meglio un’idea che, al momento, mi era sembrata migliore. Quel pomeriggio mi aveva detto dove abitava. Le avevo chiesto se potevo darle un passaggio fino a casa.
«D’accordo, se volete.» E mi aveva spiegato che la sua macchina era in riparazione in garage. Aveva aggiunto che non c’era molta strada da lì al motel, che le piaceva di camminare, ma che, se proprio lo volevo…
Le avevo detto che lo volevo; eravamo saliti in macchina e l’avevo accompagnata al motel. Doveva aver già bevuto, moltissimo. Camminava dritta, ma la sua voce era confusa, assolutaménte diversa da quella del pomeriggio. Quella sera aveva certo tracannato più che mai, ma non sapevo ancora che era una alcoolizzata e che, per ridursi in quello stato, doveva bere molto ma molto di più di una persona normale.
Quando eravamo arrivati al motel, avevo accennato alla bottiglia e le avevo detto che sarei stato lieto di bere con lei il bicchiere della staffa, se solo mi avesse invitato un momento. Senza esitare mi aveva risposto di sì.
Le mie intenzioni non erano certo oneste, e non posso neppure attribuirle al troppo alcool; nello stato d’animo in cui mi trovavo, mi sarei probabilmente comportato nello stesso modo se non avessi bevuto neppure una goccia. Volevo prendermi un passaggio con Amy e, se non trovavo resistenza, rimanere con lei la notte o almeno parte della notte.
Ma non avevo fretta di entrare in azione, perchè non è certo gentile, quando si è in casa di una donna che si è conosciuta proprio quel giorno, attaccare subito, non appena si chiude la porta. Un poco di tatto non guasta mai. Avevo aperto la bottiglia ed avevo riempito i due bicchieri che avevo trovato in bagno.
Intanto Amy non si era «messa a suo agio», come fanno le donne quando intendono incoraggiare le galanterie, ma aveva fatto qualcosa di molto simile. Si era accomodata sul letto, appoggiandosi ai cuscini rialzati. Ed io mi ero messo a sedere sul bordo del letto stesso, vicino a lei, molto vicino. Avevamo chiacchierato un poco, quel tanto che bastava a vuotare i bicchieri, ed io stavo pensando: ecco il momento, quando Amy aveva buttato all’aria i miei piani, chiedendomi un bis. Di malavoglia mi ero alzato per accontentarla, e quando ero tornato avevo trovato Amy crollata. Dormiva come un sasso; ero stato così poco cavaliere da scuoterla adagio per una spalla per vedere se non si era per caso semplicemente appisolata, ma non c’era stato nulla da fare.
Ecco, i miei rapporti intimi con Amy si erano limitati a quella mano sulla spalla nel tentativo di svegliarla, e in quell’unica occasione mi era capitato di toccarla.
E l’indomani ero stato contento che le cose fossero andate così, perchè Doris ed io avevamo fatto la pace ed avevamo ripreso ad andare d’amore e d’accordo. Ero stato io a telefonarle, ma lei aveva ammesso che stava proprio cercando di raccogliere tutte le sue forze per telefonare a me, e tutti e due avevamo ammesso di essere stati sciocchi, di essere più innamorati che mai, come capita spesso dopo le liti del genere.
Dopo di allora avevo incontrato qualche volta Amy, avevamo persino bevuto un paio di bicchierini assieme da Cass o al Filone, ma non avevamo mai parlato dell’episodio o accennato ad esso, sia pure alla lontana. Era possibile che Amy non lo ricordasse nemmeno.
Anch’io lo avevo quasi dimenticato. Ma ora, dopo quanto era successo ad Amy, dovevo decidere se era il caso o meno di parlarne con McNulty. McNulty avrebbe cercato certo qualcuno che aveva avuto od aveva rapporti con Amy. E, se avessi ammesso di essere stato in camera sua e se lui non avesse trovato altri, ecco che sarei venuto a trovarmi in una situazione difficile. Se avessi ammesso di esserci stato una volta, non gli sarebbe riuscito difficile pensare che ci ero stato anche altre volte. Compresa in particolar modo la sera precedente, dal momento che non avevo alibi.
Non che mi preoccupasse l’idea di venire accusato. Non avevo ucciso Amy, e McNulty non avrebbe mai trovato prove in contrario. Ma non sarebbe stato simpatico essere sospettato, anche se tutto si fosse limitato a questo. La storia sarebbe arrivata all’orecchio di Doris, che avrebbe creduto alla mia versione, ma non se ne sarebbe certo rallegrata.
D’altra parte, se mentivo con McNulty ed egli mi sorprendeva in flagrante menzogna, sarei venuto a trovarmi in un pasticcio ancora peggiore.
Ma come era possibile che venisse a sapere? Certo Amy, ammesso che ricordasse l’episodio, non ne aveva parlato con altri; non ne avrebbe avuto motivo. E sarei stato pronto a giurare che nessuno mi aveva visto farla salire in macchina nel parcheggio del Filone. Forse qualcuno aveva visto la mia auto ferma davanti alla stanza di Amy al motel. Ma era rimasta là meno di mezz’ora, e intorno alla mezzanotte. Le probabilità che qualcuno l’avesse notata erano trascurabili.
Giunsi allora a una conclusione. Avrei detto la verità a McNulty se questa fosse riuscita di qualche utilità alle indagini, ma, così come stavano le cose, non sarebbe stata di utilità alcuna, anzi avrebbe solo confuso ulteriormente la situazione.
Comparve Hetherton.