173636.fb2 Il bicchiere della staffa - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 8

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Dissi: «Vorrei poterlo fare. Credo che nessun indiziato mi riuscirebbe più gradito di Herbie. Ma non vedo Amy in relazione con lui; deve aver avuto una dozzina almeno di offerte migliori, o avrebbe potuto averle, se solo avesse voluto. E non riesco a vedere Herbie sotto l’aspetto del mio intelligentissimo “sconosciuto” che lascia indizi per far credere di essere stato amico di Amy quando non lo è stato affatto. No, Herbie non rientra nel quadro.» Ci stavamo fermando davanti alla casa dove abitava Doris. «Ma lasciamo perdere Herbie per stasera. Vuoi il bicchierino della staffa?»

«No, grazie, non ne ho bisogno. Ma sono pronta ad augurarti la buona notte con un bel bacio.»

Accettai senza discussioni, poi la seguii con gli occhi fino a quando non ebbe varcato la porta di casa.

Feci girare la macchina per attraversare la città, e intanto mi chiedevo se non valeva la pena che mi fermassi alla stazione di polizia — per curiosità pura e semplice, dal momento che il giornale era già stato stampato — per vedere se c’erano stati nuovi sviluppi sul caso di Amy Waggoner.

Passando, notai che le luci erano ancora accese, il che significava che si stava ancora lavorando. Di solito, Charlie Sanger chiude bottega all’una e mezzo, mezz’ora dopo la chiusura dei bar; dopo di che tutte le chiamate alla polizia vengono passate a McNulty e lo svegliano nel cuore della notte. (Ma non è una cosa che capiti molto spesso; di norma, alla una e mezzo, Mayville è morta al mondo.)

Stavo passando davanti all’ufficio, adagio, sempre chiedendomi se dovevo fermarmi o meno, quando qualcuno uscì e svoltò in direzione opposta alla mia, e subito lo riconobbi. Era Willie Zenkovich, il barista serale del Filone. Dovevano averlo convocato per un interrogatorio dopo la chiusura del bar. Bene, pensai, sarebbe stato in grado di dirmi se c’era qualcosa di nuovo, senza costringermi a disturbare McNulty.

Feci girare la macchina e andai a fermarmi accanto al marciapiede, alla sua altezza. «Salve, Willie,» dissi. «Posso darvi un passaggio?»

«Bob!» esclamò, avvicinandosi. Rise, con una risata acuta, priva di allegria. «Gesù, un essere umano, dopo i poliziotti. Dove siete stato a quest’ora?»

«Un poco in giro.» Il lampione gli illuminava il viso, e notai che aveva una espressione strana, insolita come era stata insolita la sua risata. Sembrava un uomo che fosse appena tornato dall’inferno. «Volete un passaggio?» ripetei. Abitava in un albergo, solo due isolati più oltre, ma ora ero ancora più curioso di prima di parlargli. Era successo qualcosa a lui se non nelle indagini per l’assassinio di Amy.

Sospirò, appoggiandosi con un gomito alla portiera. Vidi che le mani gli tremavano un poco. Disse: «Grazie, Bob, no. Forse ho bisogno, più che altro, di una boccata d’aria fresca… Un momento, più ancora dell’aria fresca ho bisogno di qualcosa da bere. Che fine ha fatto quella bottiglia che vi ho venduto un paio d’ore fa? È già stata scolata?»

«È ancora quasi piena. Salite e venite a bere un bicchierino in camera mia.» Per offrirgli da bere, mi sarebbe bastato allungare il braccio sul sedile posteriore. Ma volevo sapere che cosa stava succedendo.

«Grazie, non risponderò certo di no.» Salì, e ci avviammo.

Dissi: «Avete l’aria di… Non importa che aria avete. Che cosa è successo? Vi hanno sottoposto al terzo grado?»

«Non mi hanno picchiato, se è questo che volete dire. Ma sono stati momenti brutti. Che ora è?»

Diedi un’occhiata all’orologio. «Le due appena passate.»

«Per essere più precisi, è stata una brutta ora.» Sospirò. «Sanger è venuto a prelevarmi proprio mentre stavo chiudendo.» Infilò una sigaretta fra le labbra e l’accese. Gli ci vollero due fiammiferi, anche se non guidavo abbastanza in fretta perchè il vento potesse entrarci per qualcosa.

Mi fermai accanto al marciapiede davanti alla casa dove abitavo. Presi la bottiglia dal sedile posteriore — ora non si sarebbe più rifiutato di entrare con me — e dissi: «Facciamo adagio mentre saliamo.»

«Potremmo andare nella mia stanza all’albergo, Bob. Voglio dire, se dobbiamo fare adagio qui…»

«Solo per entrare, fino a quando abbiamo raggiunto la mia stanza. Avanti.»

Salimmo le scale in punta di piedi. Quando chiusi la porta, dissi: «Accomodatevi, Willie. Lo preferite puro o con un poco d’acqua?»

«Puro, purissimo.» Mentre cercavo i bicchieri, si mise a sedere sul letto.

Gli passai la sua razione, mi accomodai su una sedia, sollevai il mio bicchiere e dissi: «Al delitto», e bevvi un sorso, mentre lui tracannava abbondantemente. Poi sembrò un poco più calmo, ma non molto.

Di solito Willie non ha quell’aria. Se non è l’uomo più raffinato di questo mondo, è cortese, paziente, sorridente. Quella sera invece appariva in stato di shock, anche se era lievemente migliorato dal momento in cui lo avevo incontrato.

Non sapevo molto di Willie, ma qualcosa sì, oltre al fatto che mi era simpatico non più di tanto. Sapevo che era — per strano che potesse sembrare, con il nome di Willie Zenkovich — per tre quarti messicano. Per nascita, bene inteso, non per nazionalità. Era stato allevato a El Paso, e, se si esclude qualche viaggio oltre confine, non era più stato nel Messico dalla prima infanzia. Un nonno polacco a Mexico City aveva contribuito al suo nome di Zenkovich. Come fosse diventato barista e perchè fosse capitato a Mayville, lo ignoravo. Ma conosceva il suo mestiere; il Filone avrebbe perduto molti clienti se Willie se ne fosse andato.

Era piuttosto piccolo — non più di un metro e sessanta — ma aveva quella forza nervosa e quella fiducia in se stesso che sono utilissime in un bar, dove qualche volta possono sorgere situazioni difficili. Era in grado di azzuffarsi con individui che pesavano il doppio di lui e di avere la meglio. Non lo avevo mai visto aver paura di qualcuno o di qualcosa fino a quella sera.

Con un secondo sorso vuotò il suo whisky, ed io allora mi chinai a prendere la bottiglia da terra e gliela passai. Tornò a riempire il bicchiere e lo appoggiò accanto alla bottiglia. A quanto pareva, quel primo puro era stato sufficiente per il momento. Sospirò e disse: «Mio Dio, che ora è stata quella, con Mac e con lo sceriffo.»

«Me lo avete già detto,» osservai. «Che cosa vi hanno fatto, se non vi hanno picchiato?»

Mi guardò senza rispondere, poi fu lui a rivolgermi una domanda. «Che c’entrano gli stupefacenti con l’assassinio di Amy?»

«Gli stupefacenti?» La mia voce doveva riflettere la perplessità che provavo. «Non ne sapevo nulla. Amy non prendeva stupefacenti, vero?» Ricordavo che Cass mi aveva detto di essere in grado di individuare un intossicato a un miglio di distanza, e Cass aveva visto chissà quante volte Amy. Se avesse notato qualche segno di intossicazione, non ne avrebbe magari parlato mentre lei era viva. Ma il suo silenzio non avrebbe più avuto ragione d’essere quella sera, quando sapeva che era morta.

«No, accidenti!» esclamò Willie. «Amy non prendeva stupefacenti. Gli intossicati non bevono come beve Amy… come beveva, voglio dire. E so benissimo che non era una morfinomane; portava quasi sempre le maniche corte. Avrei notato i segni degli aghi della siringa.»

«E non è possibile che fiutasse? Ho sentito dire che qualche volta le donne fiutano, proprio per questa ragione.»

«Non sono un esperto. Non ho mai toccato quella roba e non la toccherò mai. Ma, da quello che so, nessuno adopera gli stupefacenti e ingurgita alcool, come faceva Amy. Qualche sigaretta alla marijuana, ammesso che si tratti di uno stupefacente, magari, una volta ogni tanto, per imbenzinarsi ancora di più, ma, per il resto, niente. Mac però non alludeva alla marijuana; lo ha detto. Parlava della polvere bianca, non delle sigarette. Dove ha pescato una voce del genere a proposito di Amy?»

«Non ne ho la minima idea. Nessuno aveva mai parlato di stupefacenti, quando sono stato là l’ultima volta.»

«E invece dovevano averne parlato, quando mi hanno interrogato poco fa. Volevano sapere se ero al corrente di un traffico di stupefacenti nella zona, se Amy li adoperava o li spacciava… Hanno trovato stupefacenti nella sua stanza, o che cosa?»

«No, che io sappia, Willie.»

Naturalmente, pensai, qualcuno poteva aver trovato qualcosa, e Mac e lo sceriffo non me ne avevano mai parlato per evitare che la notizia comparisse sui giornali, cosa che avrebbero certo fatto se erano convinti che il particolare poteva portare alla soluzione del delitto. Ma avevo la precisa impressione che Mac fosse stato sincero con me; Mac non è troppo abile come bugiardo, e di solito capisco quando vuota il sacco o quando mi nasconde qualcosa. E avrei giurato che quella sera era stato sincero con me.

«Ma perchè dovreste preoccuparvi?» chiesi. «A meno che non spacciate stupefacenti per conto vostro, bene inteso. Non vi sospetta di aver assassinato Amy, vero?»

«Di spaccio di stupefacenti, no. Ma, per quello che riguarda Amy. che sia dannato se lo so. Certo aveva tutta l’aria di sospettarmi. E il guaio è che non ho alibi.»

«Nemmeno io l’avevo. E chi ce l’ha? Mio Dio, Willie, non sappiamo nemmeno in che ora della notte è stata uccisa, e così chi può avere un alibi? Tutti erano a casa, a letto. O almeno, ci ero io.»

«È proprio questo il guaio, Bob. Io non c’ero. Ho chiuso alla una e sono arrivato alla mia stanza all’albergo solo dopo le tre. Due ore vuote, e non ho potuto nemmeno mentire con Mac e dirgli che sono rientrato subito. C’è l’impiegato del turno di notte: mi ha visto entrare, e prima di salire in camera mi sono fermato a chiacchierare un poco con lui.»

«Che cosa avete fatto in quelle due ore? Non eravate con qualcuno?»

«No, ho fatto un giro con la macchina, da solo. Sono andato e tornato, senza una meta precisa. Bell’alibi, vero? Avrei avuto il tempo di uccidere Amy e sei altre persone. Non posso fare una colpa a Mac se non ci crede. Voi ci credete, Bob?»

«Certo, Willie. Soprattutto perchè non riesco ad immaginarvi nell’atto di uccidere Amy. Fate spesso giri del genere, quando avete terminato di lavorare?»

«Spesso no, ma non è la prima volta. Nelle notti serene. Dopo aver passato tutta la sera a lavorare dietro al banco, ad ascoltare gli strilli del grammofono, a cercare di impedire liti, a tenere tutti a posto, felici e contenti, sentite poi qualche volta il desiderio di andarvene a fare un giro da solo.»

«Capisco.»

«E, in ogni modo, non vado quasi mai a dormire subito dopo aver smesso di lavorare. Qualche volta partecipo a un poker, se c’è una partita in corso. Qualche volta mi spingo oltre Bisbee fino a Naco, al di là del confine. Là non devono chiudere alla una, e c’è un locale che rimane aperto tutta notte. Non che ci sia molto da fare laggiù, ma almeno ho una meta. Peccato che non l’abbia fatto anche ieri notte, invece di girare a caso; avrei almeno un alibi abbastanza fondato.»

«Il vostro mi sembra più che fondato. Non capisco invece questa storia degli stupefacenti. Vedrò se mi riesce di sapere che cosa c’è in ballo, e vi terrò informato.»

«Molto gentile, Bob.» Prese il bicchiere, bevve un sorso e lo guardò. «Stupefacenti e Amy… idiozie! Questa roba era la sua debolezza.»

«E gli uomini?»

«Non credo. Non mi sono mai preso passaggi, anche se ci ho pensato. Ma, da quanto ho sentito dire, qualcuno dei ragazzi ci ha pensato, senza combinare niente. Mi risulta che si mostrava gentile, che non faceva l’offesa o simili. Si limitava semplicemente ad avvertirli che non c’era niente da fare.»

«Se qualcuno avesse combinato qualcosa, non andrebbe in giro a vantarsene adesso. Diventerebbe automaticamente l’indiziato numero uno.»

«Già, più ancora di me con il mio traballante alibi. Questa sera l’indiziato numero uno ero io.»

Bevve un altro sorso. Appariva ancora un po’ nervoso, ma sembrava che il peggio fosse superato.

Dissi: «Willie, non capisco ancora come mai vi siete lasciato sconvolgere fino a questo punto da Mac solo perchè non potevate dimostrare dove eravate stato per un paio d’ore. Non ha niente altro contro di voi, vero?»

Esitò. «Accidenti, Bob, vi dirò la verità, mi farà bene sfogarmi con qualcuno, se mi promettete di non aprir bocca con anima viva. D’accordo?»

«D’accordo. Se non si tratta di una faccenda che riguarda l’assassinio di Amy.»

«Non c’entra per niente. Non sono andato in giro senza meta stanotte. Sono andato e tornato da Bisbee, e mi sono incontrato con un amico mio. Ho comprato da lui qualche sigaretta alla marijuana. Certo, ne fumo qualche volta. Non spesso, solo quando ho i nervi troppo tesi dopo il lavoro al bar. Ma come potevo spiegarlo a Mac? Specie con lo sceriffo lì presente ad ascoltare. Diavolo, se anche uno di loro fosse stato disposto a chiudere un occhio, non si poteva sapere che cosa ne avrebbe pensato l’altro. Dovevano elevare imputazione nei miei confronti.

«E statemi bene a sentire adesso perchè viene il peggio. Avevo quelle sigarette in tasca, mentre ero nell’ufficio della polizia. E Mac ha incominciato a battere sugli stupefacenti. Non che la marijuana sia uno stupefacente, ma, in ogni modo, è vietata dalla legge. In che posizione sarei venuto a trovarmi se Mac o lo sceriffo mi avessero chiesto di vuotare le tasche?»

«Non c’è da meravigliarsi se vi sentivate nervoso. Ma non capisco come mai, vedendovi in quelle condizioni, non vi abbiano torchiato a fondo.»

Sorrise. «Ho resistito benissimo all’urto. Solo quando mi sono trovato fuori, al sicuro, sono crollato. Sono fatto cosi, io… è già successo in altri momenti difficili che ho dovuto affrontare. Prendo paura solo quando il peggio è passato.»

Annuii. «Willie, se avevate quelle sigarette in ufficio, dovete averle ancora, a meno che non le abbiate buttate via durante il tragitto in macchina. Al vostro posto, me ne libererei prima di rientrare all’albergo. Se Mac vi sospetta davvero, di qualsiasi cosa, può farsi rilasciare un mandato e perquisire la vostra stanza. E pure le tasche, se nella stanza ci siete anche voi.»

«Certo. Queste finiranno nella fogna prima che torni a casa. E ho anche deciso di smettere di fumarle. Non perchè ne fumi molte o perchè pensi che mi possano far male, ma solo questa sera ho capito che rischio rappresenti per me il semplice fatto di esserne in possesso. Accidenti, se anche non finissi in prigione la prima volta, perderei la licenza di barista e il posto.»

Prese dalla tasca della camicia un portasigarette di metallo e guardò. «Sono nove,» disse. «Ne ho comprate dieci e ne ho fumata una nella mia stanza, ieri notte. Nove dollari buttati via; le ho pagate un dollaro al pezzo.»

Dissi: «Perchè correre il rischio di uscire di qui con quelle sigarette? E se per caso Mac vi ferma mentre tornate a casa? Ammetto che è molto difficile, ma, se volete, posso buttarvele io nel gabinetto, qui e subito.»

«Bene, pensavo di buttarle via tutte meno una tornando a casa, e di fumare l’ultima quando fossi arrivato nella mia stanza. Ma credo che abbiate ragione: è possibile che Mac o Charlie mi aspettino davanti alla porta. Vi spiace se fumo qui la mia ultima?»

«Fate pure. Ma a una condizione. Dovete lasciare che butti via prima le altre e così non avrete la tentazione di fumarne una seconda e non cambierete opinione dopo essere uscito di qui con le altre.»

«Certo,» disse. «Ehi, Bob, ne avete mai fumate?»

Scossi la testa, e stavo per dire che non intendevo neppure provarle, poi esitai e mi chiesi: perchè no? Avevo sempre avuto l’intenzione di provare una sigaretta alla marijuana, per pura curiosità. Per indole, ero portato a provare tutto una volta almeno, se non si trattava di un delitto grave o di qualcosa di realmente pericoloso. E non poteva certo definirsi pericolosa una sigaretta alla marijuana. E, se proprio dovevo assaggiarne una, non era quello il momento ideale? Nella mia stanza, già stanco morto, e pronto a coricarmi non appena l’avessi finita?

Dissi: «Va bene, Willie. Ne proverò una. Ma, perchè non abbiamo, o io o voi, la tentazione di insistere, butteremo via prima tutte le altre, salvo due.»

Non fece discussioni. Mi tese il portasigarette. Lo aprii e feci scivolare fuori sette tubetti bianchi arrotolati a mano. Li portai in bagno, li appallottolai, li buttai nel gabinetto e feci scorrere l’acqua. Quando tornai, Willie disse: «Non subito, Bob. Non abbiamo ancora finito i nostri bicchieri. Vuotiamoli prima.»

«Certo.» Presi il mio. E in quel momento mi venne una idea. «Willie, Herbie Pembrook capita mai al Filone?»

«Che cosa? Oh, no! Herbie non beve mai. Ed è un bene: non credo che Mac permetterebbe di servirlo, se bevesse. E poi, lo conosco soltanto di vista.»

«Sapete qualcosa di lui?»

«Che è, più o meno, lo scemo del villaggio. Ma non è poi un tipo impossibile, tutto considerato. Sbriga i lavori più disparati, ma soprattutto quelli di carico e scarico. È innocuo. Perchè?»

«Oh, non c’è un motivo particolare,» risposi, e lasciai cadere l’argomento. Terminammo i nostri bicchieri e Willie mi diede una delle due sigarette. Le accendemmo. Avevo letto sulla marijuana quanto bastava per sapere come si fa a fumarla: non come una normale sigaretta, ma a boccate profonde, in modo da far scendere il fumo direttamente nei polmoni.

La sigaretta bruciava allegramente ed aveva un sapore di erba. Mi irritava un poco la gola, o così almeno sembrava. Ma poi nel petto si avvertiva qualcosa come di dolce, ed era una sensazione niente affatto spiacevole.

E, improvvisamente, mi parve di essere all’inizio della sera, non alle tre del mattino. Non ero più stanco. Mi sentivo pieno di energia, perfettamente sveglio, pronto e disposto ad andare dappertutto, a fare qualunque cosa per qualsiasi periodo di tempo.

Mi irritava l’idea — ma c’era qualcosa di simile a un divertimento cosmico dietro alla mia noia — che tutti i locali di Mayville fossero chiusi. Maledette le leggi della puritana Arizona che impongono di abbassare le saracinesche alla una, pensavo.

Ma Willie non aveva detto che appena oltre il confine, a Naco, c’era un bar aperto tutta notte? Certo. E se fossi andato a chiamare Doris e le avessi proposto di venire con me? E magari, se anche Willie avesse avuto voglia di accompagnarci…

Ma no, la marijuana non era poi tanto forte. Doris a quell’ora doveva ormai dormire profondamente. Sapevo che cosa avrebbe detto e pensato se avessi svegliato prima la sua padrona di casa e poi lei per proporle un secondo giro alle tre del mattino, dopo che il primo era durato da mezzanotte alle due. Forse non si sarebbe arrabbiata, ma certo avrebbe pensato che ero ubriaco o pazzo. In ogni modo, l’idea non le sarebbe certo apparsa meravigliosa come appariva meravigliosa a me.

«Vi piace amico?» chiese Willie. Vidi che aveva terminato la sua sigaretta e che aveva schiacciato il mozzicone minuscolo nel portacenere. Anche il mio mozzicone era cortissimo, ma pensavo di riuscire a tirare un’altra boccata senza bruciarmi le dita, e ci riuscii. Poi lo schiacciai anch’io nel portacenere, accanto al suo.

«Una cosa meravigliosa, mirabolante addirittura.» E mi chiesi se erano le sigarette a farmi parlare a quel modo per me insolito. O forse si trattava di suggestione, perchè nei libri chi fuma marijuana parla sempre così? In ogni modo, si trattava di un gergo che avevo usato solo all’università, ed anche allora solo raramente. Ma mi appariva divertente in quel momento, e così aggiunsi: «Mi piace da morire.»

Willie rise. E risi anch’io, non perchè sapessi di che cosa rideva, ma perchè tutto mi sembrava divertente.

Poi Willie si calmò e ritrovò quasi tutto il suo equilibrio. «Una scossa, ecco che cosa è, una scossa molto energica. Ma mantengo quello che ho detto: è stata la mia ultima sigaretta. Non vale la pena di correre rischi del genere. E devo ringraziare Dio di essere stato fortunato stasera.» Si alzò e si stiracchiò. «Una giornata piuttosto movimentata, la mia. Me ne torno a casa. Grazie di tutto, amico. Avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi.»

«Statemi a sentire, Willie, può sembrare assurdo, ma non ho sonno. Ho voglia di andare in qualche posto, di fare qualcosa. Che ne direste di una corsa fino a Naco per un bicchierino?»

Rise. «Non è che sembri assurdo: è assurdo. È la marijuana a parlare, non voi. Ancora mezz’ora, e quando gli effetti della marijuana saranno scomparsi crollerete. E allora saremmo soltanto a mezza strada da Naco.»

Ma tornò a sedersi sul bordo del letto. «Ma quella di un ultimo bicchierino non mi sembra una cattiva idea, purché lo beviamo qui e non nel Messico.» Prese la bottiglia e versò per tutti e due. «E nemmeno mi accompagnerete in macchina all’albergo. Sono quattro isolati soltanto, e un poco di moto mi farà bene. Arrivederci allora.»

Lo accompagnai fino in fondo alle scale per aprirgli la porta, poi feci attenzione a girare di nuovo la chiave nella serratura. È questa, l’unica mania della signora Burdock. Una volta soltanto aveva strillato con me: quando una sera ero rientrato tardi e il mattino seguente ella si era accorta che mi ero dimenticato di chiudere a chiave.

Di ritorno nella mia stanza, mi spogliai e mi misi in pigiama. Non perchè avessi già sonno, ma perchè quel poco di buon senso che mi era rimasto mi avvertiva che Willie aveva ragione; sarebbe stata una pazzia per me uscire, e se fossi stato pronto per andare a letto e non completamente vestito, la tentazione sarebbe stata per me minore. O almeno avrei avuto il tempo di cambiare idea mentre mi rivestivo.