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Charles Butler non indossava la cravatta e si era vestito come uno del luogo: camicia sportiva, un paio di blue jeans e stivali. Il proprietario dell'emporio di Dayborn era stato molto contento della vendita, perché nel distretto non c'era molta gente di quella stazza.
Charles era seduto su una panca di legno e fissava il lucernario della cappella-studio, guardando le stelle che ancora indugiavano nel cielo del mattino, sorseggiando il caffè appena fatto.
«È un'ora indecente» disse Henry Roth. «Ma questo lavoro è meglio farlo al buio. Apprezzo l'aiuto.»
«Ma ti pare.»
Charles seguì lo scultore e il suo carrello fino alla rampa sul retro. Un'unica lampadina pendeva dall'alto su un gruppo di figure coperte da teli bianchi, poste in cerchio su una piattaforma dove una volta c'era l'altare. Charles contò undici statue di altezze variabili. «C'è un motivo per cui sono coperte?»
«È la mia collezione privata.»
Henry cominciò a togliere i teli.
Angeli. Charles entrò nel cerchio di sculture per osservarne i volti. Erano tante versioni di Mallory, rappresentata a diverse età: da cherubino, a perfetto angelo vendicatore con la spada in mano.
Lo sceriffo era inginocchiato nell'erba bagnata e guardava il sangue. La pista si interrompeva a pochi metri da Casa Trebec.
Con la coda dell'occhio, scorse Augusta dietro le finestre della cucina. Poi sentì sbattere la porta al pianterreno e immaginò che entro pochi secondi gli si sarebbe avventata contro per protestare del danno che aveva provocato arrivando con l'automobile sull'erba: aveva inquinato l'aria con i gas di scarico e aveva spaventato gli uccelli. Era una vecchia diatriba fra loro. Ma oggi la partita avrebbe avuto uno svolgimento un po' diverso.
Augusta stava arrivando, ma lui rimase in ginocchio.
«Perché vieni a strisciare di soppiatto nel mio giardino, Tom? Non puoi bussare alla porta come una persona normale?»
Il tono di Augusta era diverso dal solito, più teso; evidentemente aveva cose più importanti di cui preoccuparsi.
«La moglie di Fred Laurie è venuta da me stamattina. Mi ha detto che ieri sera lui non è tornato a casa.»
«Buon per lei» replicò la donna con una risata forzata. «Deve essere stata la sua prima notte tranquilla da vent'anni a questa parte.»
Lo sceriffo si drizzò e si spazzolò i fili d'erba dai calzoni. «Immagino che ieri sera tardi tu abbia sentito i colpi d'arma da fuoco.» Certo che li aveva sentiti. Augusta soffriva di insonnia cronica, lo sapevano tutti. «Ho mandato Lilith nel bosco ad arrestarlo per essersi introdotto abusivamente nella proprietà altrui, perché non volevo che tu lo trovassi per prima. Ma Fred è scomparso tutto d'un tratto. Sebbene abbia cercato a lungo, Lilith non è più riuscita a trovarlo. Comincio a chiedermi se Fred non abbia lasciato il bosco morto stecchito, magari con un bel buco nella pancia.»
«Probabilmente è da qualche parte a smaltire la sbornia in dolce compagnia.»
«E cosa avrebbe usato al posto dei quattrini? Sai che Malcolm non dà mai un soldo a quegli idioti e i tagliandi della Chiesa non valgono al di fuori di Owltown.»
«Allora pensi davvero a un delitto?» Augusta sogghignava.
Lo sceriffo classificava i suoi sogghigni in diverse categorie. Alcuni erano apertamente cattivi, altri solo pericolosi. Questo era malizioso.
«Se davvero gli ha sparato la moglie,» disse Augusta «allora devo delle scuse a quella donna. L'ho sottovalutata. Non è il coniglio che pensavo.» Scosse il capo. «Quel bastardo la picchiava. Ma sei sicuro che fosse qui ieri sera?»
«Oh sì. L'hanno visto in due entrare nel bosco col fucile. Ho trovato fori di pallottole in qualche albero.»
«Capisco dove vuoi andare a parare. Se si fosse sparato, questo è l'ultimo posto dove verrebbe a cercare aiuto.»
«Giusto.» Le indicò la scia rossa che fino a quel momento lei aveva abilmente ignorato, come se fosse abituata a vedere l'erba di casa sua sporca di sangue. «Forse non è il sangue di Fred, quello. Forse stavolta quell'idiota ha sparato a qualcuno e quel qualcuno, è venuto qui. È il sangue di Kathy, Augusta?»
Lei non abbassò lo sguardo. «Mi spiace deluderti. Non è che il sangue di uno dei polli di Henry Roth. E la colpa è di quella ladra della mia gatta. Rimborserò Henry per il pollo, quindi, sceriffo, la tua presenza qui è del tutto superflua.»
Jessop girò intorno alla casa. La porta fra le due scalinate era accostata.
«Stai pensando di arrestare la gatta?» Augusta gli stava alle spalle.
Lui si avviò verso l'ingresso.
«Tom Jessop, non metterai piede in casa mia senza esser stato invitato. Tuo padre era avvocato e so che ti ha insegnato a non fare una cosa del genere senza un mandato.»
Lui la ignorò ed entrò. Augusta lo seguì. «Mi hai fatto entrare in casa sei milioni di zanzare.» La sua voce era piena d'ira.
Lo sceriffo percorse il lungo atrio ed entrò in cucina. Ingaggiò una guerra di sguardi con la gatta appostata sul frigorifero. Quando si voltò, Augusta sgranò gli occhi nel vedere che impugnava la pistola.
Tornò a fissare la gatta. «Tu vuoi bene a questo animale, vero Augusta?» Prese la mira. «È il sangue di Kathy, quello sul prato? Voglio una risposta sincera.»
L'anziana donna alzò le braccia e gridò. Gli occhi della gatta si restrinsero e le orecchie si appiattirono all'indietro: dal frigorifero balzò sullo sceriffo affondandogli gli artigli nel petto e i denti nella mano. Jessop lasciò cadere la pistola. «Augusta, richiamala o le spezzo il collo!»
Augusta raccolse la pistola, aprì la zanzariera della finestra e scagliò l'arma lontano nell'erba. Allora la gatta lo lasciò andare. Balzò sul piano di ardesia e poi di nuovo sul frigorifero. Si accucciò, drizzando il pelo, pronta per un nuovo attacco.
Augusta gli indicò piccole gocce del suo sangue sul pavimento. «Ora non dimenticare la provenienza di quel sangue, Tom. Non vorrei che tu ti confondessi di nuovo.»
Era già fuori della cucina, quando la donna gli disse: «Dove stai andando così in fretta, Tom?».
«Torno subito» disse, con ironica gentilezza. «Non posso sparare a quella bestia senza il mio revolver, ti pare?» La porta gli sbatté alle spalle.
Trovò la pistola in mezzo all'erba alta, dove aveva parcheggiato l'automobile. Si stava chiedendo se le macchie sull'erba non potessero veramente essere sangue di pollo; oppure si trattava del sangue di Fred Laurie?
Dannazione!
Quando lo sceriffo si girò, si trovò di fronte una dirringer monocolpo a canna corta, con Augusta subito dietro, un dito sul grilletto. Lentamente rimise la sua pistola nella fondina. «Non lo faresti, Augusta.»
«Oh, Tom. Lo sai meglio di me» disse lei con dolcezza. «Certo che lo farei.» Ebbe un largo e diabolico sogghigno. «Vuoi davvero passare tutta la giornata in ospedale a farti tirar fuori la pallottola?»
Si convinse che lei avrebbe sparato a chiunque avesse costituito una minaccia per i suoi animali, o per la sua terra. Poteva aver sorpreso Fred a caccia nel bosco? Se era questo ciò che cercava di nascondere, non era sicuro di voler insistere con le domande prima che lei avesse il tempo di cancellare le prove. «Non sento il bisogno di far fuori un gatto oggi. Ma ho bisogno di trovare Kathy, e al più presto. Se mi ostacoli, vecchia mia, mi scorderò che ti conosco da una vita.»
«È per l'omicidio di Cass, vero?» Abbassò la pistola: il gioco era finito e lei non sorrideva più. «La vendetta è una malattia per te, Tom. Non è questo che sperava tuo padre. L'incarico di sceriffo nel distretto di St. Jude doveva essere il primo passo di una brillante carriera.»
«Senti chi parla: Augusta, la regina della vendetta, che ha fatto dell'odio la sua sola ragione di vita.»
«Oh, ma lo faccio così bene, con entusiasmo e stile. Per me la vendetta è un'arte. Per te, è solo un orribile lavoro. Ora vattene dalla mia proprietà.» Gli puntò la dirringer alle ginocchia. «Credi che riuscirai ad acciuffare Kathy anche con una gamba spappolata?»
Jessop salì in macchina. Mentre le ruote giravano a vuoto in un tratto melmoso, Augusta fece fuoco contro il bagagliaio.
Per Dio!
Nello specchietto retrovisore vide che stava ricaricando la pistola proprio mentre le ruote guadagnavano il terreno più solido. Invece di andare avanti, come avrebbe fatto chiunque avesse veramente a cuore la vita, lo sceriffo fece retromarcia fino ad affiancare Augusta, poi si sporse dal finestrino.
«Augusta,» disse, toccandosi la falda del cappello «non cambiare mai.»
La risata di lei lo seguì mentre la macchina si allontanava.
Prima ancora di avvicinarsi tanto da poter leggere l'incisione, Charles riconobbe il viso sulla nuova lapide del cimitero. La foto di Babe era in una cornice di legno da poco prezzo, fissata alla pietra. Sarebbe stata la fossa più piccola di tutto il cimitero: solo un buco nel terreno per l'urna. Nessun monumento per Babe Laurie, niente di grandioso.
«Allora, quando seppelliranno le ceneri?»
«Sarà cremato a fine settimana solo dopo la grande festa» disse Henry, guardando la rozza lapide opera di un artigiano da quattro soldi. «Pessimo lavoro, vero? Malcolm ha speso una fortuna per noleggiare una strabiliante bara di vetro per la veglia funebre, e quasi nulla per la lapide commemorativa. A Babe non sarebbe piaciuto affatto. Quando era vivo si credeva il re dell'universo.»
Charles annuì. Aveva incontrato un tipo così quando, ragazzino prodigio di appena undici anni, frequentava il secondo anno all'Università di Harvard. Durante una ricerca per il corso di scienze del comportamento, aveva studiato un paziente ricoverato in un ospedale locale. Il vecchio era distrutto dalla sifilide e urlava spesso: «Il re del mondo sono io!».
Il paziente pretendeva che il giovane Charles, tutte le volte che gli rivolgeva la parola, si inchinasse e usasse il titolo appropriato. Ma il regolamento dell'ospedale vietava al personale di assecondare i capricci dei malati. Verso la fine del suo studio, aveva spiegato al vecchio che, se rifiutava di chiamarlo "sire", era per il suo bene.
Per tutta risposta, quello aveva avuto una crisi di collera, seguita da convulsioni.
Il giorno dopo il ragazzo era tornato all'ospedale, portando un mazzo di fiori come segno di pace; fiori di tanti colori allegri, un'intera tavolozza di scuse per il vecchio. Ma la sua camera era vuota, il letto senza lenzuola. Il re del mondo era morto la sera prima. Il medico e l'inferii miera di turno avevano faticato parecchio nel tentativo di liberare Charles dal senso di colpa.
Poi, trattandolo come uno di loro, gli avevano spiegato il dramma infernale della malattia. La crisi di collera e le convulsioni, avevano detto, erano comportamenti tipici della dementia paralytica.
L'undicenne Charles aveva risposto con un comportamento tipico dell'infanzia: aveva pianto, gettato in terra i fiori, ed era corso via.
Ora Charles si accovacciò accanto alla lapide per guardare il ritratto di Babe, e un giovane re del mondo rispose al suo sguardo.
«Henry, secondo te, chi ha ucciso Babe Laurie?»
«Non lo so. Che cosa importa?»
Charles stava per replicare quando Henry gli fece segno di tacere. Giungevano delle voci dal ponte sull'Upland Bayou, e quella di Betty Hale era la più forte.
«Rimanete in gruppo» raccomandò Betty, guidando il suo gregge di dieci ospiti oltre il fiume. Un maledetto stupido si stava allontanando verso una stradina laterale. «Non vada in quella direzione, signor Porter. Un metro più in là, e finisce nel Finger Bayou.»
Il signor Porter pareva ipnotizzato dalla freccia malridotta che indicava la strada verso Casa Shelley.
«È molto profondo il bayou, signora Hale?»
«No. Ma potrebbe rompersi la schiena cercando di uscirne. Raccoglietevi qua intorno, per favore.» Betty indicò in alto, fra gli alberi. «Quella è la casa da dove vengono i pipistrelli.» Le macchine fotografiche cominciarono a scattare, riprendendo il tetto e la finestra rotonda.
«Ha più di centocinquant'anni» continuò Betty, «Fu costruita dalla famiglia Trebec. La signorina Augusta è l'ultima della famiglia. Alla sua morte, la casa passerà allo Stato della Louisiana.»
«La lascia allo Stato come luogo di interesse storico?»
«No, fu suo padre a predisporlo nel testamento» disse Betty. «Mise tutto il suo denaro in un fondo fiduciario. Augusta riceve solo una rendita come sorvegliante.»
«Come guardiana lascia parecchio a desiderare» disse una signora anziana che ispezionava attenta con un binocolo. «Ci sono buchi enormi in quel tetto.»
«Oh, tutto l'edificio è in rovina» precisò Betty. «È un vero peccato. Augusta Trebec è lo spauracchio della Società Storica di St. Jude. Citano il suo nome ogni volta che hanno voglia di imprecare.»
La battuta provocò qualche risata, e Betty decise di usarla in tutte le visite guidate.
«Quanto alla storia della casa…»
«Crede che Cass Shelley potrebbe essere ancora viva?» chiese il signor Porter.
«Non sembra probabile. Dunque, Augusta diventò la padrona di Casa Trebec in circostanze molto sinistre…»
«Ci sono alligatori nel bayou?» domandò l'irriducibile signor Porter. «Secondo lei, un alligatore potrebbe aver divorato il corpo?»
Dominando la voglia di tappargli la bocca con un calzino, Betty sorrise con benevolenza.
«Un alligatore potrebbe mangiarla in un solo boccone, signor Porter. Afferrarla fra le mandibole, e trascinarla sott'acqua.» Quell'immagine la allettava. «Ma se non ha fame in quel momento, infilerà il suo corpo in qualche buco o in una crepa dell'argine.» Quale che fosse la scelta, la morte di Porter era certa. «Poi aspetterà finché il corpo non sarà diventato tenero.»
Ora aveva l'attenzione di tutti. Bastardi assetati di sangue: fossero benedetti i loro cuori e le loro carter di credito. «Ma Cass Shelley non fu mangiata da un alligatore. Fred e Ray Laurie uccisero tutti quelli del bayou prima della sua morte. Il Finger Bayou scorre vicino a Casa Trebec. Prima che Cass morisse, di solito portavo lì i miei gruppi. Adesso Augusta non permette più che ci vadano dei forestieri. Penso che la lapidazione l'abbia impaurita. Da allora ha smesso di spargere erbicida nel fiume, che ora è soffocato dai giacinti d'acqua tanto che le barche non possono più passarci. Vedete quelle piante laggiù? La maggior parte del terreno che circonda la casa è acquitrinoso, infestato da serpenti velenosi. Quindi, vi ripeto, che non vi venga in mente di allontanarvi da soli. Ora, cosa stavo dicendo prima che ci dedicassimo agli alligatori?»
«La casa» disse l'uomo che veniva dal Maine.
«Esatto. Ora la casa e qualche acro di terra è tutto quel che resta della piantagione originaria. La città ha inglobato un lotto dopo l'altro, a mano a mano che i Trebec li vendevano.»
«Lei ha detto che la casa è in rovina» interloquì l'uomo del Maine. «La signorina Trebec è forse troppo povera per mantenerla?»
«Povera? Augusta? Oh, no» Betty rise. «È un'abilissima donna d'affari. Possiede tutti i campi ai margini della statale. Comprò i primi quaranta acri con il capitale ereditato dalla madre. Poi fece causa a una fabbrica di prodotti chimici perché inquinava l'acqua nella sua proprietà. Ciò le fornì i fondi per acquistare altri terreni vicino a un'altra fabbrica: negli anni, ha intentato azioni legali contro quasi tutte le aziende di prodotti chimici lungo la River Road. Riesce sempre a raggiungere un accordo extra giudiziale. Oggi, Augusta possiede quasi tutto il distretto, con l'eccezione di Dayborn e Owltown.»
«Si potrebbe far sparire un cadavere in quel bayou?» chiese il signor Porter, impaziente di tornare sull'argomento omicidio. «Magari farlo affondare zavorrandolo?»
«No, credo proprio di no» rispose Betty. «Lo sceriffo dragò tutto il Finger Bayou alla ricerca di quel corpo. Sarebbe saltato fuori.»
«Capisco che non voglia spendere per preservare una casa che non le appartiene,» ricominciò l'uomo del Maine «ma se questa Augusta è ricca e non c'è nulla che la trattenga qui, perché non se ne va?»
«Oh, Augusta non se ne andrà finché la casa non sarà crollata.»
«Vuol dire che lei di proposito…»
«Ci sono sabbie mobili?»
«No, signor Porter» fece Betty, esasperata. «E se anche il corpo di Cass fosse stato gettato nel punto più insidioso dell'acquitrino, a quest'ora sarebbe riaffiorato. Anche se, naturalmente, solo un Cajun o Augusta oserebbero avventurarsi a piedi in quella palude.»
Il resto del gruppo aveva i binocoli puntati sulla finestra più alta di Casa Trebec. Una californiana pelle e ossa scuoteva il capo tristemente. «Certo la Società Storica restaurerà la casa quando questa pazza passerà a miglior vita.»
«No» chiarì Betty. «Ci vorrebbero troppi soldi. Hanno già rinunciato ai propri diritti a favore della proposta di Augusta di fare della proprietà una riserva per gli uccelli. Ma gli ornitologi non sprecheranno nemmeno un centesimo per Casa Trebec: la lasceranno marcire.»
«Allora, cosa pensa sia successo al corpo?»
«È un mistero, signor Porter.» E se mai fosse risolto, i suoi clienti, oggi equamente suddivisi fra bird-watcher, investigatori dilettanti e babbei che frequentavano i seminari della New Church sarebbero diminuiti di un terzo.
«Ma è possibile far perdere le tracce di un corpo in quell'acquitrino, per esempio gettan…»
«Quel che affonda in questa zona è destinato a riaffiorare, signor Porter. Le farò vedere cosa intendo.»
Li guidò attraverso il cerchio d'alberi fino al cimitero. «In genere, noi non seppelliamo i corpi nel terreno. Se lo facessimo, tornerebbero immancabilmente in superficie. Alcuni corpi sepolti qui furono tumulati nella maniera tradizionale, ma, vedete quella enorme lastra di cemento? Serve a tener giù la bara.»
«Non avrebbe potuto esserci un alligatore nascosto nel bayou?» insistette il signor Porter.
«NO! Mi spiace. Qui attorno, la cosa più simile a un alligatore è Augusta. Quando sorride, si nota un'impressionante somiglianza, se invece è arrabbiata, guarda tutti con occhi gelidi da rettile. Oh, e ricordate che solo perché un alligatore è morto, non significa che avvicinarlo non sia pericoloso. Vi può mordere anche due ore dopo che è stato ucciso. Io ho in mente di presentarmi al funerale di Augusta con parecchie ore di ritardo.»
«Poniamo che ci fosse anche soltanto un alligatore…»
Il sorriso forzato di Betty tradiva tutta la sua irritazione. «Cass Shelley morì proprio in questa stagione. Anche se ci fosse stato un alligatore, sarebbe stato in letargo. Cass non è finita in pasto a uno di loro. Ora, signor Porter, abbiamo finito con gli alligatori?»
Proseguendo, indicò il monumento che dominava tutti gli altri. «L'angelo. Rappresenta Cass Shelley, Dio conceda riposo alla sua anima. E la bimba fra le sue braccia? È Kathy. Che, dopo diciassette anni di assenza, è tornata e ha ucciso Babe Laurie.»
I primi del gruppo erano fermi davanti all'angelo, mentre Betty incalzava la retrovia. «Da questa parte! Come stavo dicendo, la bambina fra le braccia dell'angelo…»
«Quale bambina?» chiese la californiana.
«La bambina fra le sue braccia.» Quella donna aveva bisogno di un bel paio di occhiali. «Più tardi vi mostrerò la sua cella.» Non c'era ragione di dire loro che la detenuta era fuggita. La notizia avrebbe potuto provocare la disdetta improvvisa di qualche stanza.
«Quale bambina?» chiese a sua volta il turista originario del Maine.
Betty si piazzò proprio davanti alla statua per indicare a quel branco di idioti la bambina che non si poteva fare a meno di notare, a meno di non essere ciechi come talpe.
Ma la bambina di pietra non c'era più.
L'angelo era solo sul suo piedistallo, con gli occhi bassi e le braccia vuote.
«Oh, mio Dio! È un miracolo!» Betty si avvicinò ancora all'angelo e strabuzzò gli occhi. «Oh, mio Dio.»
«Sta piangendo!» dichiarò l'uomo del Maine. «La statua sta piangendo.»
Dieci macchine fotografiche fecero click in simultanea.
Augusta si chiese se il sonno fosse stato indotto dall'intruglio d'erbe applicato per evitare l'infezione. Oppure la ragazza era svenuta per il dolore provocato dal lavaggio delle ferite? In ogni caso, dormire le avrebbe giovato.
In ogni angolo della stanza c'erano asciugamani zuppi e matasse di garza. Augusta raccolse quelli insanguinati e li mise in un sacco di plastica per l'immondizia. Dopo essersi lavata le mani, si sedette su una sedia accanto al letto e rimosse le bende. Staccò il tampone dalla ferita sulla spalla e sostituì l'impacco. La ragazza non parve svegliarsi mentre Augusta applicava il nuovo impiastro e poi girava il corpo supino per pulire l'altra ferita.
Senza preavviso, una mano bianca e affusolata scattò a bloccare quella di Augusta in una stretta sorprendentemente salda.
La gatta balzò ai piedi del letto con un brontolio. Augusta la zittì e fissò gli occhi rabbiosi della sua giovane paziente.
«Cosa mi hai dato per farmi dormire?»
«Nulla che non sia cresciuto nel mio orto» disse Augusta. «Ora ti spiace se continuo?» Si chinò sulla ferita, ignorando la stretta al braccio, e dopo un po' Mallory mollò la presa. «Doveva essere una pallottola a punta tonda. Questo foro d'uscita è stato perfetto per il drenaggio.»
La paziente di Augusta guardò il nuovo tampone sulla sua pelle. «È quel che credo che sia?»
L'anziana donna annuì. «La tela di ragno resiste ai batteri. Vi avvolgo le erbe in modo che il medicamento sia rilasciato nel modo più graduale possibile. Sono necessarie un bel po' di ragnatele per fare un tampone efficace, ma non preoccuparti: la mia casa è il paradiso dei ragni.»
Augusta srotolò una lunga striscia di garza e la tagliò con un paio di forbici. «Sei stata fortunata. La ferita ha interessato solo i tessuti molli, non l'articolazione né l'osso. Non c'è alcun danno permanente.» Avvolse la garza sulla spalla nuda a coprire tutte e due le ferite. «Questa fasciatura ti farà un po' male perché preme sulla ferita, ma serve a impedire l'ulteriore fuoriuscita di sangue.»
«Quanto ci vorrà prima che possa alzarmi?»
«Non molto, adesso che il sanguinamento è sotto controllo. In effetti, prima cominci a muovere la spalla, meglio è. Ma vacci piano se non vuoi che riprenda a sanguinare.»
«Perché mi stai aiutando?»
Augusta guardò gli occhi più verdi che avesse mai visto: la stavano studiando a fondo. Strana ragazza.
«Per via di Casa Shelley» disse Augusta, curvandosi a stendere un altro strato di garza sulle ferite.
«Non perdo mai l'occasione di fare un buon affare sul mercato immobiliare. Se muori senza aver fatto testamento, ci potrebbero volere più anni di quelli che mi rimangono per strappare la casa di tua madre allo Stato.» Arrischiò un'altra occhiata alla sua paziente.
Non se l'era bevuta.
«A suo tempo, cercai di comprare la casa da tuo nonno a un prezzo onesto, ma lui non volle vendere. Dopo la sua morte, quando tua madre tornò a stare a Dayborn, non ne volle sapere neppure lei. Ma adesso ho te, no? E credo che la mia offerta ti piacerà, Kathy.»
«Chiamami Mallory.» Non era un suggerimento, ma un ordine.
«Tua madre non rivelò mai l'identità di tuo padre. Il nome che hai preso, Mallory, è forse il suo?»
La giovane la fissò, impassibile.
Forse sapeva chi fosse suo padre; sicuramente sapeva tenere un segreto.
Augusta ruppe il silenzio. «Le tue borse sono qui.» Le aveva recuperate dal bosco ed era rientrata in casa dieci minuti prima dell'arrivo di Tom Jessop.
«Che ne è del mio cane?»
«L'ho sistemato nella palude proprio all'inizio del Finger Bayou, insieme a Fred Laurie. Non rimarranno laggiù per sempre, ma di loro ci occuperemo più avanti. Spero che non ti dispiaccia se il cane fa compagnia a Fred. Certo, meritava una sorte migliore, ma era l'unica sepoltura che potessi organizzare con un preavviso così breve. Povero cane pazzo, la morte per lui è stata un sollievo» disse, glissando sulla morte dell'uomo.
Augusta continuava ad avvolgere stretta la benda. E per tutto il tempo Mallory e la gatta continuarono a scambiarsi sguardi sospettosi, due esseri diffidenti che si misuravano a vicenda.
«Come si chiamava il mio cane?»
«Lo battezzasti con le tue prime parole» disse Augusta, annodando la fasciatura e bloccandola con del cerotto. «Avevi già tre anni, e il fatto che ancora non parlassi preoccupava tua madre.»
Augusta buttò le fasciature usate nel sacco dell'immondizia. «Un giorno ero venuta a parlare della casa con Cass, quando arrivò Tom Jessop con un regalo di compleanno per te. Ti mise fra le braccia quel piccolo cucciolo nero e ti chiese che nome gli avresti dato. Tu e il cane vi guardaste e vi innamoraste all'istante.
Ma tua madre se la prese con Tom, che ti aveva regalato un animale senza prima discuterne con lei. Cass era furiosa e Tom confuso. Gli uomini sanno sempre quando fanno qualcosa di sbagliato, ma di solito non sanno cos'è. Tutto quello che riuscì a dire fu: "Ma, Cass, è davvero un bel cane; è buono, sano, vaccinato e tutto il resto". Tua madre lo mise con le spalle al muro, spiegandogli perché avesse sbagliato a farti quel regalo. E allora tu, con voce squillante come una campana, dicesti "Cane Buono" e Cass rimase a bocca aperta. Era la prima volta che sentiva il suono della tua voce. Tom rise e disse: "E Cane Buono sarà". Da quel momento non la smettesti più di parlare.»
Augusta si alzò e voltò la schiena a Mallory mentre sistemava boccette e vasetti sul tavolo accanto al letto. «So perché sei tornata. Vuoi farli fuori tutti, vero? Tutti i componenti di quella folla.» Tornò a voltarsi verso Mallory. «Hai mai ucciso un uomo prima? Non contare Fred. Voglio dire una persona vera.»
Mallory tacque e girò la faccia verso il muro.
Augusta interpretò quella reazione come una risposta negativa. Evidentemente, ammettere apertamente di non aver ucciso nessuno, a parte Fred Laurie, era troppo umiliante per Kathy.
«Ti parlerò come farebbe tua madre se fosse qui. Lei ti direbbe che fare una strage non sarebbe giusto. Tuttavia, per come la vedo io, una certa dose di vendetta è raccomandabile.»
Si piegò su Mallory e con tenerezza le scostò dal viso le punte dei riccioli biondi. «Puoi sempre far loro delle cattiverie, ragazza. Se è quello che vuoi, ti farò vedere come divertirti davvero. Ti dirò chi ha paura del buio e chi della luce. Quando saprai quali sono i punti deboli di ognuno, potrai tormentarli a tuo piacimento. Non ti sembra un bel programma?»
Mallory annuì. In quei gelidi occhi verdi c'era una terribile determinazione, ma non v'era traccia di anima.
«Tua madre ti disse mai che fui io a farti venire al mondo?»
Silenzio.
«No? Be', Cass si diede troppo da fare il giorno del trasloco a Casa Shelley. Sollevare pesi troppo pesanti le fece anticipare le doglie. Il telefono non era collegato e non c'era tempo per andare a chiedere aiuto. Tu avevi fretta di nascere.»
Solo silenzio.
«Be', sei una di poche parole, vero, Kathy?»
«Mallory» la corresse.
«Ho capito subito che eri dotata di un carattere particolare. Quando sei nata, avevi i pugnetti serrati, eri arrabbiata per l'aria fredda e la luce accecante che avevi trovato nel mondo. Ma eri testarda e non volevi piangere. E questo terrorizzò tua madre. Cass era distesa sul letto, in un bagno di sudore e sangue, e urlava: "Perché non piange?" Ma respiravi normalmente, così non sculacciai il tuo sederino appena nato. Sebbene, tra me e me, pensassi che te lo saresti meritato.»
Alla fine Augusta era riuscita a strapparle un sorriso che presto si dileguò come un'ombra. Era la dimostrazione che la figlia di Cassandra era ancora umana. La ferita non era stata troppo profonda.
E ora si poteva pensare all'anima: forse volteggiava nelle vicinanze, in cerca di una via per ricongiungersi a Kathy.