173646.fb2 Il Volo Dellangelo Di Pietra - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 19

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16

Jimmy Simms attraversò un tratto di terreno fradicio, ma una delle scarpe del padre – decisamente troppo larghe per i suoi piedi – non si mosse insieme a lui, rimanendo bloccata nel fango. Jimmy lasciò cadere il grande sacco della biancheria nell'erba a lato della strada ed eseguì una curiosa danza su un piede solo mentre estraeva la scarpa dalla fanghiglia e se la reinfilava. Si sedette e strinse bene i lacci, come se quell'accorgimento potesse risolvere il problema.

Guardò il sacco, regalo di Darlene Wooley. Se c'era un Dio lassù, ci avrebbe trovato dentro un paio di vecchie scarpe di Ira.

Aveva dato una mano a Darlene a cambiare l'olio della macchina. Dopo, lei lo aveva fatto entrare in casa e gli aveva lavato le mani, come se non lo ritenesse capace di farlo da solo. O forse credeva che fosse un ritardato come Ira.

Non era escluso.

Ma non aveva importanza. Lui aveva chiuso gli occhi a quel contatto, immaginando che fosse sua madre a sfregargli con cura le mani insaponate. Darlene aveva esaminato le chiazze d'olio sui suoi abiti, dispiaciuta perché quelle macchie non sarebbero più venute via. Lo aveva fatto sedere al tavolo della cucina e gli aveva offerto un panino e un bicchiere di latte. Gli aveva raccomandato di berlo tutto, mentre riempiva il sacco di abiti sbiaditi dai troppi lavaggi, dicendo che tanto Ira quei vestiti non li avrebbe più indossati: le sue camicie e le sue calze, infatti, dovevano essere tutte di un rosso brillante mentre i blue-jeans molto scuri.

Darlene gli aveva anche dato un biglietto da cinque dollari nuovo di zecca. Lui aveva usato una parte del denaro per comprare una golosità per Cane Buono: una bella fetta di polpettone di carne, ancora calda nella sua tasca.

Jimmy infilò le mani nel sacco, palpando T-shirt, jeans e calze. Afferrò una scarpa da corsa di pelle bianca e la tirò fuori, esaminandola stupito. Non c'era segno di usura. Non era nemmeno graffiata. Cercò rapidamente la compagna, ma anche quella era in ottimo stato. Quelle scarpe erano praticamente nuove.

Perché mai Darlene Wooley aveva deciso di disfarsene? Si tolse una delle scarpe di suo padre e calzò quella di Ira.

Gli andava a pennello.

Non voleva infangare le scarpe bianche, quindi si rimise la scarpa del padre e, con grande cura, ripose l'altra nel sacco, con il resto del suo tesoro.

Jimmy era inspiegabilmente felice, e piangeva. Non volendo che il cane lo vedesse in quello stato, si asciugò gli occhi mentre procedeva lungo la strada sterrata, zoppicando per la vescica al piede.

Quando arrivò nel cortile di Casa Shelley, trovò vuote sia la ciotola del cibo sia quella dell'acqua. Del cane non c'era traccia.

«Cane Buono!» lo chiamò, tante e tante volte.

Invano.

Il cane non si allontanava mai dalla casa, mai. Kathy era fuggita dalla prigione. Forse Cane Buono era andato via con lei per un po'.

Lasciò il suo regalo nella ciotola del cibo, dispiacendosi all'idea che il vecchio labrador nero lo avrebbe mangiato freddo. Forse non avrebbe mai saputo chi gli avesse portato quel polpettone.

A un tratto Jimmy si chiese che cosa stesse accadendo al cimitero. Voci agitate, preghiere e alleluia giungevano fino a lui attraverso gli alberi.

Alcuni dei partecipanti al tour guidato stavano ancora fotografando la statua. Betty aveva abbandonato la scena, superando di corsa Charles ed Henry senza neanche notarli.

Henry spiegò: «Dev'essere lei la prima a raccontare la storia del miracolo. Ne va della sua reputazione di pettegola.»

Charles si guardò in giro. Altra gente stava arrivando, alcuni con il rosario tra le mani. «Malcolm andrà su tutte le furie: un miracolo per il quale non bisogna pagare il biglietto!»

Henry gli allungò della carne fredda estraendola da un cestino da picnic. Charles la addentò e si sentì rinascere. Squisita. «È uno dei tuoi polli?»

Henry annuì.

«Lo sa Augusta che uccidi pennuti?»

Henry posò il panino che stava mangiando e a gesti rispose che Augusta, pur amando i volatili, se ne fregava dei polli. «Non li considera veri e propri uccelli, bensì "ingredienti per la zuppa". Su una cosa Augusta e io concordiamo: l'unico pollo buono è quello cotto.»

Charles guardò il tetto di Casa Trebec, pensando a quel che aveva detto Betty durante il giro turistico. «Non sapevo che il padre di Augusta l'avesse diseredata. Ma non riesco a credere che lei lasci andare in rovina quella magnifica casa solo per fargli dispetto. Le cose stanno davvero come sostiene Betty oppure c'è dell'altro?»

Henry si strinse nelle spalle. «La casa appartiene ad Augusta. Quel che ci fa sono affari suoi.»

«E la sua ostilità nei confronti dello sceriffo?»

«Augusta lo ritiene responsabile della morte di un vecchio amico.»

«Di chi si tratta?»

«Dell'uomo che Tom Jessop avrebbe potuto essere, se solo Cass fosse vissuta.»

«C'era qualcosa fra loro?»

Henry annuì. «Ira non è il solo a parlare con l'angelo. Ho visto Tom quaggiù a tarda notte. E l'ho sentito disperarsi, completamente sbronzo, pieno di rimpianto per tutto quello che non le ha mai detto. In un certo senso, c'è molto di più fra Tom e Cass adesso di quando lei era in vita. Ma l'amore per un volto di pietra è un fatto innaturale, pericoloso.»

Charles ritrasse le lunghe gambe al passaggio di un altro gruppo di pellegrini diretti al sito del miracolo. Notò una donna, sola, ai margini del cimitero.

Per un momento gli occhi lo ingannarono e la credette vera. La statua sorgeva in disparte rispetto agli altri monumenti, al riparo di uno spesso tetto di foglie. La luce filtrata le conferiva un'ingannevole parvenza di vita. Era la statua di una donna mortale, priva di ali, minuta e sottile nell'abito lungo, e poggiava su un ampio piedistallo. Non aveva la drammaticità dell'angelo, la qualità barocca del movimento delle vesti fluenti. Sembrava essersi fermata per un istante fra gli alberi. Il talento dello scultore era tale che si aveva l'impressione che da un momento all'altro dovesse riprendere il cammino.

Charles la indicò. «Henry?»

«La madre di Augusta. Morì suicida. La chiesa non permise che fosse sepolta in terra consacrata. Ecco perché è laggiù, e non in mezzo alle altre tombe. In origine, c'era solo una lastra di cemento. Jason Trebec non volle pagare per una cappella o una lapide.»

«Dall'aspetto si direbbe che fosse più fragile di Augusta.»

«Nancy era una donna molto mite. Augusta somiglia al padre, duro e terribilmente ostinato.» Guardò la statua con affetto. «Presentai la statua a un concorso e vinsi una borsa di studio della durata di quattro anni a Roma. Fu una splendida occasione per sentirmi giovane e vivo. Ripenso a Roma quasi ogni giorno.»

«Perché tornasti a Dayborn?»

«Io sono nato nella camera da letto sul retro del cottage. I legami con la casa di famiglia possono essere molto forti. Prendi il caso di Casa Trebec. Quel posto è la ragione di vita di Augusta.»

«Ma se vive per la sua distruzione!»

«Personalmente, ho tratto grande vantaggio da questo fatto. Ti ha mostrato il pavimento rovinato nella sala da ballo? Augusta ordinò del marmo per ripararlo. Come previsto l'amministratore del fondo fiduciario non si accorse che la ricevuta riguardava l'acquisto non di piastrelle, bensì di un intero blocco di marmo. Così Augusta mi consegnò il blocco e mi commissionò il mio primo lavoro: il monumento funebre di Nancy Trebec. Avevo solo quindici anni. Augusta mi cambiò la vita.»

«Sacrificando la propria al desiderio di vendetta.»

«Sacrificio? Perché ti sei fatto questa idea? Augusta ha avuto dalla vita la giusta razione di ottimi vini, buoni amanti e bei cavalli. Ha sempre avuto un appetito meravigliosamente insaziabile.»

«Ma la casa e tutte quelle splendide, insostituibili cose…»

«Tu guardi la casa e vedi il pavimento rotto della sala da ballo. Non vedi una fanciulla in groppa al suo cavallo che attraversa le stanze al galoppo. Io l'ho vista.»

A gesti, Henry evocò l'immagine di Augusta ragazza, il volto accaldato, gli occhi azzurri splendenti. Faceva muovere il cavallo su due zampe, poi su tutte e quattro, in modo che gli zoccoli danneggiassero le lastre di marmo. Il cavallo pareva muoversi a passo di danza. «Giuro, mi sembrava di sentire la musica. Ma era solo la risata di Augusta. Non mi separerei da quel ricordo per tutto l'oro del mondo. Credimi, Augusta non ha nulla da rimpiangere.»

Alle loro spalle si udì un colpo di fucile e poi un altro e un altro ancora. Pareva che fossero state colpite le fronde degli alberi, ma erano gli uccelli che, spaventati, spiccavano il volo dai rami. Un uomo – uno sguardo era sufficiente per capire che si trattava di un Laurie – stava sparando alla statua.

I turisti si precipitarono fuori dal cimitero. La vicesceriffo Beaudare irruppe correndo dagli alberi. Piantò la pistola contro la bocca dell'uomo, afferrò una manciata dei suoi capelli biondi e tirò finché quello non ebbe gettato il fucile.

Da dove era saltata fuori? Era forse appostata a sorvegliare…

«E fanno otto» segnalò Henry, nient'affatto sconcertato da quell'esplosione di violenza. Scrisse un nome nel suo blocco.

Dopo che Lilith ebbe ammanettato e portato via l'uomo, Charles fece per alzarsi. Ma Henry lo fermò con un gesto, indicando la figura che avanzava lungo la strada che dal ponte portava al cimitero. Era Alma Furgueson, la donna con le ciocche viola fra i capelli, la stessa che aveva visto scappare in lacrime dalla piazza. Ora si dirigeva a passi lenti fino all'angelo: il suo volto esprimeva orrore. La donna cadde in ginocchio, esclamando: «Oh, mi dispiace, quanto mi dispiace…».

Poi comparve un giovane, che teneva stretto fra le mani un sacco di tela. Fissava l'angelo a bocca aperta, facendosi più vicino, incespicando nelle scarpe troppo grandi, come quelle di un clown.

«Oh, Jimmy, lei sta piangendo!» Alma tese una mano verso il ragazzo. «Vieni a pregare con me, Jimmy. Chiederemo il suo perdono.»

«Ho già visto quel tipo» disse Charles. «Alla commemorazione nel tendone. Lo conosci?» Diede un'occhiata al blocco di Henry mentre l'artista aggiungeva il nome di Jimmy Simms agli altri del suo elenco. Henry si infilò il notes nella tasca della camicia, in modo da avere le mani libere per parlare.

«È uno che fa lavoretti in giro. Lava vetri, lucida mobili. Ma per lo più gironzola di qua e di là, aspettando che passi la giornata.»

«È un vagabondo?»

«No, lo sceriffo gli ha trovato una stanza sul retro della biblioteca. Credo che si paghi l'alloggio spazzando i pavimenti.»

Charles pensò che Jimmy Simms gli ricordava Ira: entrambi erano giovani uomini ai margini della vita.

Ancora una volta, Alma esortò Jimmy a unirsi a lei nella richiesta di perdono. Il ragazzo sembrava piuttosto un bambino nei suoi abiti troppo larghi e con quell'espressione sconvolta sul viso, un bambino che avesse appena ricevuto uno schiaffo. Fece quel che fanno tutti i bambini quando sono molto spaventati: corse via.

Alma lo seguì in ginocchio per un tratto, poi si rialzò e tornò al cospetto dell'angelo. Ma era instabile sulle gambe, e cadde.

Charles stava per soccorrerla, ma Henry gli sbarrò la strada, scuotendo il capo.

«Si può sapere che diavolo sta succedendo?» disse una voce familiare alle loro spalle.

Riker?

Charles si voltò e si ritrovò di fronte il suo vecchio amico. Il detective fissava preoccupato la donna prostrata a terra. «Charles, si direbbe che tu sia stato contagiato dalle cattive abitudini di Mallory.»

I tre uomini continuarono a osservare la donna, che si rialzò goffamente e prese a girare senza meta nella città dei morti, sbandando verso il limite esterno, a braccia tese, cercando di ritrovare l'equilibrio, piangendo.

Riker allungò la mano a picchiettare sulla spalla di Charles; il suo volto esprimeva una domanda: Perché?

Riker si girò in modo che Henry Roth non potesse vederlo e parlò: «Ho detto allo sceriffo di non conoscere né te né Mallory. Il piccoletto qui accetterà di coprirci?».

Charles comprese che Riker doveva averli spiati abbastanza a lungo da scoprire che Henry si esprimeva nel linguaggio dei segni: aveva concluso che fosse sordo oltre che muto. Charles non lo avvertì del suo errore.

«Henry è un vecchio amico di Mallory» disse Charles. «Non farebbe nulla che possa…»

«Bene.» Riker mise una mano sul braccio di Charles e lo guidò fino all'angelo. Il marmo era scheggiato in più punti: un orecchio era stato staccato e la punta di un'ala polverizzata.

«Che peccato!» Charles guardò Henry. «Era un'opera così bella.»

«Oh, a me sono piaciute specialmente le lacrime» commentò Riker, guardando gli occhi umidi dell'angelo. «A SoHo c'è un tizio specializzato in icone che piangono. Solo due dollari a miracolo. Allora, cosa avete usato, il cloruro di calcio?»

«No, niente di tanto sofisticato. Il mio ingrediente segreto è il grasso di bue. Mescolato ad altri composti, si liquefà nella prima ora di sole.»

«Avete calcolato i tempi in modo da far lacrimare la statua all'arrivo del gruppo di Betty?» Riker si girò a guardare Alma. Era caduta ancora e stavolta non s'era più rialzata, avanzava carponi su per il sentiero. «Di grande effetto, ma una pallottola sarebbe stata più rapida e più pulita.»

Charles affondò le mani nelle tasche e abbassò il volto per nascondere a Riker i suoi pensieri. Fissava il terreno, come se potesse trovarvi la salvezza.

«Capisco» disse Riker. Il suo tono consolatorio sembrava quasi sincero. «Non è stata colpa tua. Ti ci ha spinto il demonio, non è così? E ora dimmi, dov'è la nostra piccola Principessa delle Tenebre?»

«Non lo so. Non credo che si fidi a farmelo sapere.» Questa volta mostrò il viso a Riker, era la nuda verità.

«Ma puoi farle arrivare un messaggio, giusto?» Riker sorrise, deducendo una risposta affermativa dal comportamento di Charles che, in silenzio, guardava altrove. «Devo parlarle, e anche presto. La ragazza deve aver avuto una fretta del diavolo di rubare informazioni da certi file governativi. Non ha preso le precauzioni adeguate, e l'FBI ha trovato tracce della sua incursione in un computer pieno di documenti riservati. Ma i federali sono disposti a venire a patti.»

«Riker, sai bene che è patologicamente precisa: se il governo sostiene che è stata frettolosa e distratta tu ci credi?»

«Bravo Charles, ci hai provato. Di' a Mallory di contattarmi finché posso ancora fare qualcosa per lei, okay?»

«Non credo che al momento apprezzerebbe un tentativo di interferire… Forse, se tu…»

«Dimmi, Charles, secondo te quanta gente figura sulla lista nera di quella ragazza? Venti, forse trenta persone? È un fatto grave, molto grave, perché Mallory non perde tempo a odiare quelli che non può distruggere.»

Charles si chiese se Riker fosse consapevole di aver appena massacrato una citazione di Goethe. Aveva sempre sospettato che l'amico nascondesse un animo più nobile, più sensibile di quanto non lasciasse intendere. Sotto quell'abito allucinante, la cravatta piena di macchie, l'apparenza sciatta e rozza c'era un…

«La conosco da molto più tempo di te» disse Riker. «L'ho vista crescere. Tu sai quanto bene le voglia, vero?»

«Certo che lo so.»

«Allora credimi quando ti dico, per l'ultima volta, che Mallory è sociopatica. So che hai almeno una laurea in psicologia: perché ti riesce tanto difficile capirlo? E non pensare di cavartela con una di quelle patetiche espressioni del tipo "piccola anima persa". Lei l'anima non ce l'ha.»

«E invece sì.»

«Ma figurati! L'ha persa ben prima che Lou Markowitz l'adottasse. La moglie di Lou ha cercato di imbastirgliene una, ma la nostra Kathy si è sempre rifiutata di indossarla.»

Charles annaspava alla ricerca di argomenti in difesa di Mallory: «Sapevi che a sei anni suonava già il piano?».

Riker alzò gli occhi al cielo. Poi si arrese e abbassò il capo, inchinandosi all'assurdo. Senza aggiungere una sola parola, girò i tacchi e si allontanò.

Henry si era avvicinato a Charles, e con un rapido volo di dita stava chiedendogli perché quel tipo avesse detto quelle cose sul conto di Kathy. «In vita mia le ho sentito dire una sola bugia. Disse di avere sette anni mentre ne aveva solo sei.»

«Ne raccontò una simile a un mio amico,» aggiunse Charles «nel riempire i moduli per il suo affido. Gli disse di avere dodici anni quando ne aveva solo dieci. Raggiunsero un compromesso: undici.»

Ma la piccola Mallory aveva fatto di meglio. Una sera, Louis Markowitz se l'era portata a casa dopo averla pizzicata a rubare. Doveva essere una soluzione temporanea, dettata dalla praticità, o almeno così sosteneva Louis.

Quando, il giorno successivo, Kathy era apparsa al tavolo della prima colazione, gli occhi le scintillavano d'uno sguardo freddo e le labbra erano atteggiate in un sorrisetto ambiguo. La signora Markowitz si era schiarita la voce e aveva spiegato al marito che non avrebbe portato la piccola al carcere minorile, né da nessun'altra parte. Kathy sarebbe rimasta con loro, per sempre. La discussione era chiusa. Allora il povero Louis aveva compreso che la piccola ladra, con gran disinvoltura, si era appena infilata in tasca sua moglie e la sua casa di Brooklyn con vent'anni di mutuo ancora da pagare.

Fino al giorno della sua morte, Louis non aveva mai più sottovalutato Mallory.

Quando Tom Jessop tornò a casa per rivedere il letto per la prima volta in trentasei ore, entrò dalla porta sul retro e trovò un pacchetto sul tavolo della cucina.

Come c'era arrivato? La donna delle pulizie non veniva da diversi giorni, come dimostrava la pila dei piatti sporchi nell'acquaio, il cestone della biancheria da lavare traboccante e i calzini sporchi ammucchiati di fronte alla porta del bagno.

Con diffidenza Tom sciolse lo spago e aprì l'involto di carta da pacchi. Si ritrovò davanti la pistola rubata dalla ex detenuta. Dalla canna sporgeva un foglio arrotolato. Lo distese sul piano del tavolo.

«Volevi sapere quel che mi disse la mamma mentre moriva. Mi scarabocchiò una serie di cifre sulla mano e mi disse di correre al telefono pubblico sulla statale e di comporre quel numero. Mi disse che una donna sarebbe venuta a prendermi. Ma quasi tutte le cifre erano sbavate, illeggibili, così non riuscii a contattare nessuno. Ricominciai a correre. Avrei voluto correre da te, ma lei mi aveva avvertito: "Non andare all'ufficio dello sceriffo, ti farebbero del male". Così ho sempre pensato che c'entrassi anche tu. Fino a stasera, non sapevo che il vicesceriffo fosse parte del branco che la lapidò. Doveva essere quello il motivo del suo avvertimento: temeva che Travis potesse trovarmi prima di te. Se potessi venire da te adesso, lo farei, perché rivoglio indietro il mio orologio.»

Estrasse l'orologio d'oro dalla tasca della camicia, aprì il coperchio e rifletté sul nome inciso sopra quello di lei. Era l'uomo che l'aveva allevata? Kathy doveva avergli voluto bene, visto che attribuiva tanto valore all'orologio. Così era stato quel Louis Markowitz a soccorrerla nel momento di maggiore bisogno. Avrebbe potuto aiutarla lui stesso, se soltanto quel giorno fosse rimasto in paese. Ma Cassandra sapeva che non sarebbe rientrato prima del buio, troppo tardi per salvare la sua bambina.

Una cascata di immagini lo sommerse: il sangue sul pavimento della camera di Kathy, le minuscole impronte rosse all'interno dello sgabuzzino, la carne di Cass sui sassi nel cortile. E adesso vedeva Kathy come una bambina impaurita, tutta sola là fuori e piena di dolore per la sorte della madre.

Trascinando i piedi come una persona molto più vecchia, fece il giro della casa per accostare le tende. Non era il caso che i passanti, sbirciando attraverso i vetri, vedessero lo sceriffo che piangeva.