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«È la mia preferita» disse Malcolm Laurie, ammirando la statua che brandiva la spada.
Il sergente Riker era stupefatto. Non si aspettava che spuntasse qualcuno, non a quell'ora antelucana.
«Buon giorno» fece Malcolm, come se trovare un detective di New York accovacciato dietro una tomba fosse la cosa più normale del mondo.
«L'altra sera è andato via dal bar troppo presto. Non ha potuto assaggiare la roba migliore.» Aveva fra le mani una fiaschetta di metallo.
Riker si alzò e accettò la fiaschetta, infrangendo la regola in base alla quale non beveva superalcolici prima di colazione. Al termine di un lungo sorso dichiarò che quel whisky era davvero ottimo. Poi si guardò intorno, osservando le altre sculture. «Non ho mai visto tanti angeli in un posto solo. Sembra un vero e proprio raduno.»
«Ce ne sono sedici. Diciassette, a voler contare anche Nancy Trebec.» Malcolm si avvicinò alla donna di marmo al margine del cimitero, quasi nascosta fra gli alberi. Estrasse un accendino d'oro e le avvicinò la fiamma al volto.
Un bel viso, colmo di dolore.
«Niente ali» commentò Riker, restituendo a Malcolm la fiaschetta.
«Un angelo caduto non ha bisogno di ali. Non deve andare da nessuna parte.» Malcolm appoggiò un braccio sull'esile spalla della statua mentre beveva una bella sorsata di whisky. «Non c'è posto per i suicidi nel paradiso cattolico.»
«Perché si suicidò?»
«Non ha partecipato alla visita guidata condotta da Betty?»
Riker si voltò a guardare l'angelo con il volto di Mallory e la spada. «Il tour si è interrotto quando la statua ha cominciato a piangere.»
«Be', Betty la racconta meglio, ma io posso darle una versione abbreviata.» Malcolm allontanò il braccio dalla statua. «Jason Trebec voleva un discendente maschio. Ma dopo la nascita di Augusta, risultò che Nancy non avrebbe più potuto avere figli. Era sterile. E cattolica, quindi niente divorzio. Jason era un vecchio bastardo egoista e crudele e da allora non smise più di punire sua moglie a causa di quell'erede mancato.»
«Quel Trebec doveva essere fuori di testa. Ho conosciuto Augusta. È più uomo lei di me.»
«A chi lo dice» Solo un attimo prima Malcolm era parso del tutto sobrio, ma ora sul viso aveva l'ampio sorriso dello sbronzo incapace di controllarsi. «È vero, Augusta ha un bel paio di palle.» Si afferrò il cavallo dei calzoni. «Le mie.»
Ridendo, si lasciò cadere sul piedistallo. «Augusta me le ha tagliate in tribunale. A causa sua ho subito un processo per aver danneggiato l'habitat degli uccelli. Poi si è dedicata alla fabbrica di prodotti chimici, continuando a tagliare testicoli a destra e a manca. Ha accumulato abbastanza palle da organizzare una bella partita a biliardo.»
Riker si sedette accanto a lui. «No, il biliardo non mi sembra nello stile di Augusta. Scommetto che con quelle palle ci gioca a tennis.»
Malcolm sorrise. «O magari a baseball.» Diede una gomitata a Riker. «Splat, splat… le spiaccica con una mazza.»
Riker deglutì e appoggiò la schiena alla statua. Studiò l'uomo seduto al suo fianco. Dapprima, davanti a un whisky annacquato a Owltown, non avrebbe saputo definirlo. Ma ben presto la sua personalità aveva preso forma: era uno che amava le sigarette senza filtro di Riker e che sopportava benissimo l'alcol. L'apprezzamento di Riker per Malcolm era cresciuto di pari passo con il numero dei bicchieri che quello gli aveva offerto. E ora gli offriva di nuovo da bere: il whisky era piacevole e lo scaldava. La vita era bella.
Rovesciò la fiaschetta e solo una goccia dorata cadde a terra. «Oh, te lo sei scolato tutto» esclamò Riker, forse un po' villanamente.
«Non c'è problema.» Malcolm gliela tolse dalle mani. «Sono nel ramo resurrezioni.» Gli voltò le spalle e recitò una breve preghiera in onore di Bacco. Quando gli offrì di nuovo la fiaschetta, era piena.
«Gloria a Dio» esclamò Riker con gratitudine, augurandosi di aver memorizzato correttamente le parole della preghiera in modo da poter ripetere quella magia. «Ho visto la luce.»
«Prima o poi, succede a tutti.»
«Dicono che i tuoi "spettacoli" siano davvero notevoli.»
«Sfido, ci lavoro da trent'anni.»
«Non dimostri un anno di più.» Secondo la gente che lo accompagnava nei suoi tour, Malcolm era di poco più giovane di lui. Sotto le luci del bar di Owltown Riker aveva cercato i segni di un lifting, ma non ne aveva trovati. «Qual è il tuo segreto?»
«Una vita sana» rispose Malcolm, indicando la fiaschetta. «Hai un'altra sigaretta?»
Riker pescò in una tasca laterale, ma il pacchetto era scivolato attraverso uno strappo della fodera. Impaziente, Malcolm colse una sigaretta dall'aria. Schioccò le dita e una fiammella parve guizzare dal suo pollice.
Riker stava per dire che aveva visto Charles Butler fare lo stesso trucco mille volte.
Be', aveva bevuto decisamente abbastanza per quella notte.
Non volendo perdere la faccia con il compagno di bevute, si portò alle labbra la fiaschetta, fingendo di prenderne un sorso prima di ripassargliela. Dopo qualche altro giro, la fiaschetta non si era alleggerita affatto. Solo allora Riker realizzò di aver bevuto da solo tutta notte.
Merda.
«I tuoi amici del tendone mi hanno detto che puoi mutare l'acqua in vino.» E i poliziotti in idioti completamente ubriachi.
«Sissignore. Il pubblico va in visibilio tutte le volte.»
«Ma quella gente che ti segue in tour, prepara la scena per il tuo numero, no? Come è possibile che credano in un miracolo?»
«Quasi tutte le religioni esigono la fede nelle cose impossibili.» Indicò il crocifisso sulla tomba accanto. «La gente è convinta che l'uomo sulla croce sia stato generato da Dio. Che guarisse gli ammalati e resuscitasse i morti. Magia pura.»
Puntò il dito su un'altra casetta in pietra. «Quella è la tomba di una donna di qui che faceva il mio stesso mestiere.» Le pareti della tomba erano segnate da graffiti e alla base c'erano schegge di vetri colorati, nastri e spilli. «I disegni sono simboli vudù. Le cose là in terra sono offerte religiose. È morta da cent'anni, ma alcuni credono che eserciti ancora il suo potere.»
Malcolm si alzò e aprì le braccia. Soffiava un'aria fredda che spinse all'indietro i suoi lunghi capelli rivelando la forma del cranio. Sorrise. «Questa parte di mondo è pronta ad abbracciare il pensiero magico.»
Charles Butler, dottore in filosofia, intellettuale pragmatico e illuminato, era fermo al limitare del cimitero con in mano un vasetto di sangue ancora caldo, ricavato dal recente sacrificio della vita di un pollo.
Aspettava in silenzio. Finalmente Malcolm si avviò lungo il vialetto di ghiaia e sparì oltre il cerchio d'alberi insieme a Riker. A quanto pareva, la seduzione era stata un successo, perché Riker rideva di gusto mentre il venditore di miracoli gli posava un braccio attorno alle spalle.
Charles si voltò verso Henry e insieme si diressero verso l'angelo vendicatore le cui ali cominciarono a legare con della corda. Lavorarono in silenzio per un'ora buona, sostituendo la scultura. Verso la fine accelerarono il ritmo, perché si stava facendo chiaro e i credenti sarebbero arrivati presto.
Come sarebbero rimasti delusi.
Henry si asciugò il sudore dalla fronte mentre tornava a dirigersi verso la cappella di Jason Trebec. Girò una chiave nella serratura della porta e sistemò i propri attrezzi, vicino al sangue di pollo e a un blocco di ghiaccio secco.
Charles stava fissando la faccia triste di Nancy Trebec.
«Henry, ritieni possibile che Babe Laurie fosse sterile?»
«Non è escluso. I Laurie sono prolifici come conigli, ma l'unico figlio di Babe è un bastardo.»
«Supponi che Babe si sia vendicato accanendosi sul ragazzo, che in realtà è figlio di Fred. Fred avrebbe potuto uccidere Babe per vendicarsi a sua volta. Cosa ne pensi?»
Henry si strinse nelle spalle. «Un figlio bastardo è un movente plausibile per un omicidio.» Alzò lo sguardo su un bassorilievo mezzo sgretolato raffigurante Jason Trebec. «Un giorno Jason trascinò la moglie in tribunale e cercò di far dichiarare illegittima Augusta.»
«È la verità?»
«No, il giudice non ebbe dubbi. La somiglianza tra lei e Jason era assolutamente evidente. Se questo ritratto di pietra fosse in condizioni migliori, potresti constatarlo anche tu. Credo che Jason puntasse a ottenere l'annullamento del matrimonio, in modo da poter avere un figlio maschio da un'altra donna.»
Detto questo, Henry si allontanò per tornare a casa.
Ma Charles, dopo aver a lungo studiato il volto di Jason Trebec confrontandolo con quello di Augusta, imboccò il viottolo che si dirigeva a est. Il sole era un disco biancastro dietro una cortina di nuvole. Gli uccelli avevano ricominciato a cantare, ma nonostante il cinguettante baccano Charles percepì un rumore di passi sulla ghiaia. Gettò un'occhiata alle proprie spalle.
Riker stava tornando, trascinandosi lungo il vialetto come se le gambe gli pesassero un quintale ciascuna.
«Ehi, Charles, hai ripensato alla proposta che ti ho fatto?» Scandiva le parole con chiarezza, lentamente. Ci teneva molto a non farfugliare, per quanto potesse aver bevuto.
Charles osservò l'espressione spenta, il colorito pallido dell'amico e si chiese come facesse a reggersi in piedi. «Hai bisogno di un po' di riposo» disse.
«Deduco che non vuoi aiutarmi.» A un tratto Riker notò l'angelo appena installato sul piedistallo: vacillò. «Cristo, Charles, devi smetterla con questi giochetti. O farai impazzire anche me.»
A ovest echeggiò un tuono. Il cielo grigio si illuminò per una frazione di secondo.
«È finita» spiegò Charles. «Questo è l'angelo originale.»
Riker si avvicinò per osservare la bambina fra le braccia della statua. Si girò verso Charles, che annuì: «È Mallory. All'età di quasi sette anni».
«È ossessionata dal suo piano di vendetta, vero? Quei bastardi staranno perdendo la testa a furia di chiedersi quando farà la prossima mossa.» Riker alzò il bavero della giacca per ripararsi il collo dal freddo.
«Immagino siano un po' turbati» disse Charles.
«Turbati? Una donna ha cercato di uccidersi.» Riker rabbrividiva nel suo abito leggero.
«Non provare a schiacciarmi con il senso di colpa. E non chiedermi di tradire Mallory.» Charles si sedette sull'erba: a un tratto era molto stanco. «Perché mi fai questo?»
«Devo portarla via da qui prima che quelli del giro di Babe Laurie la trovino. Travis ha raccontato che Babe era presente al linciaggio, quindi Mallory ha un movente perfetto. Lo sceriffo probabilmente…»
«Riker, sei stanco e confuso. A quest'ora dovresti aver capito che di quel che è successo a Babe non frega niente a nessuno.»
«Errore. I membri di quella folla inferocita si staranno chiedendo come faccia Kathy a sapere che Babe era uno di loro. Dal loro punto di vista, Mallory è una minaccia.» La prima goccia di pioggia mattutina colpì Riker macchiandogli la giacca.
La pioggia era fine, ma il canto degli uccelli si interruppe mentre tutte le creature del bosco cercavano un riparo.
«Charles, lo sceriffo vuole che Mallory se ne vada. Quel che sto per dire rappresenta un grave affronto all'ego della ragazza, ma dubito che l'evasione dal carcere sia stata un'idea sua.»
«Credi che gliel'abbia organizzata lo sceriffo?» Poco verosimile. Il giorno dell'evasione, lo sceriffo gli era sembrato molto determinato a riacciuffarla. A meno che non stesse mentendo.
Riker si strinse nelle spalle. «Non c'è nessun mandato d'arresto nei suoi confronti. Interessante, vero? Nessun poliziotto al di fuori di questa circoscrizione sa che è evasa o ricercata. Se la portiamo via da qui adesso, non ci inseguiranno.»
«Ha tutto il diritto di indagare sulla morte della madre» disse Charles.
«E quando avrà la lista completa delle persone presenti quel giorno, che farà allora?» Gocce di pioggia rigavano il volto di Kiker.
Cadeva più forte ora, martellando le foglie degli alberi circostanti. «Ci saranno altri omicidi, Charles.» Riker infilò la mano nella tasca dei calzoni ed estrasse l'orologio d'oro di Mallory. «Ecco, prendilo. Lo sceriffo mi ha chiesto di farglielo riavere. Credimi, vuole che Mallory se ne vada.»
Charles afferrò l'orologio e chiuse la mano a pugno per proteggerlo dalla pioggia. «Perché non sei disposto a stare dalla sua parte? Tutto quel che cerca è un po' di giustizia.»
Charles si avviò lungo il sentiero, mezzo accecato dalla pioggia che gli batteva di traverso sul viso.
Riker parlò rivolto alle sue spalle: «Penso che sia tornata per far fuori venti, forse trenta persone». Alzò la voce per coprire la distanza crescente fra loro. «Cerca di non restarci troppo male, quando lo farà.»
Charles continuò a camminare.
«Dov'era lo sceriffo quando Babe Laurie è stato ucciso?»
«Charles, non penserai davvero che possa essere stato lui!» sbottò Augusta riempiendogli il piatto di cibo profumato e fumante. «Tom Jessop si rifiutava persino di parlare con Babe. Non si sarebbe mai sporcato le mani con il suo sangue.»
«Ma in passato è capitato che lo sceriffo si lasciasse andare a un accesso di violenza. Ho saputo che una volta picchiò Fred Laurie perché aveva sparato al cane di Kathy.»
«Oh, fu tanti anni fa. Tom era presente, ma per la verità fui io a picchiare Fred.»
«Tu, Augusta?»
«Con una pala. Il primo colpo glielo sferrai nello stomaco e il secondo sulle mani. Tom stava controllando le ferite del cane. Alzò la testa e mi disse: "Augusta, non ti sembra di esagerare?". Ma non aggiunse altro quando colpii Fred di striscio alla testa. A Tom non piace ripetersi.»
Charles guardò Henry, ma era concentrato sul cibo. Tornò a rivolgersi ad Augusta. «Mi spiace. Sono stato mal informato.»
Di proposito?
Forse Henry aveva voluto proteggere Augusta. O forse Augusta si era inventata quella versione dei fatti per coprire lo sceriffo. Uno dei due gli aveva mentito. Fra i suoi nuovi amici circolavano molte menzogne, alcune a fin di bene, altre dettate dall'interesse personale.
«Dunque Fred ha detto in giro che fu Tom a suonargliele?» Augusta era seccata. «Be', non è giusto attribuire a Tom tutto il merito.»
Henry alzò il viso e le mani per dire a Charles: «Pensavo che ti interessasse in primo luogo il vecchio omicidio. Una folla irrazionale in preda alla furia omicida è ben più intrigante di una sassata in testa».
«La violenza di gruppo non è necessariamente irrazionale» disse Augusta passando il burro a Henry. «Ricordi l'episodio del linciaggio in Arkansas?»
Si rivolse a Charles. «Tre ragazzi furono arrestati per omicidio. Uno di loro aveva cambiato idea ed era scappato prima che la vittima fosse uccisa e sua moglie derubata dei gioielli, ma fu arrestato anche lui. Il giorno dopo si sparse la voce che la donna fosse stata stuprata, sebbene non fosse vero. Quella notte, una folla inferocita fece irruzione nel carcere. Stavano mettendo un cappio al collo del terzo ragazzo, quello che era scappato, quando qualcuno gridò: "Lui non c'entra con l'omicidio". Il cappio gli fu tolto e la folla lo riportò in cella.»
«Ha ragione, Henry» concordò Charles. «La violenza perpetrata da un gruppo non si esprime in modo indiscriminato, ma è guidata da una volontà ben precisa. Ha un obiettivo. Tuttavia, qualcosa non mi convince nella ricostruzione della lapidazione di Cass. Qualcosa non torna.»
«L'assenza di rumore? La mancanza di passione?» domandò Henry.
«Sì. L'omicidio fu perpetrato a sangue freddo. E questo è strano. Stento a credere che Travis o Alma sapessero in anticipo quel che sarebbe accaduto.»
«Un delitto di gruppo premeditato è possibile solo se tutti i partecipanti sono consapevoli e corresponsabili» disse Augusta.
Mallory apparve sulla soglia della cucina, con in mano una gabbia piena di colombe bianche. «Ti sbagli, Augusta.» Posò la gabbia sul ripiano della credenza. «Tutti i membri del gruppo, anche quelli che, poniamo, non avessero tirato le pietre, avrebbero interesse a tenere la bocca chiusa.»
Augusta le porse un piatto, chiedendo: «Come hai fatto a convincere quelle colombe a entrare in gabbia?».
«Ho minacciato di spezzar loro quelle tenere zampette se non avessero cooperato.» Prese posto a tavola. Volgeva le spalle alla gatta seduta sul frigorifero. «Come va?»
Augusta scorse con un dito l'elenco dei nomi sul blocco di Henry. «Ci sono diverse donne. Tutte personalità forti, a parte Alma. Si può dire lo stesso degli uomini, con un'eccezione.»
«Quale?»
Indicò un nome a Henry. «Sei sicuro di questo?»
«Più che sicuro.»
«Non avrei mai immaginato che potesse essere un violento» disse Mallory.
La gatta stava fissando le colombe. «Non possiamo essere certi che sia colpevole» fece notare Augusta. «Prendi il caso di Alma e Travis: ora sappiamo che lei non gettò la sua pietra e che lui colpì solo il cane.»
«Sempre che non abbiano mentito.»
Quando Charles tornò a guardare la gatta, questa si era piazzata sopra la gabbia, a contemplare rapita le colombe, che a quanto sembrava non avevano mai visto un gatto prima d'allora. Predatore e prede si osservavano, la violenza tardava a esplodere.
Mallory, ignara dell'incombente massacro, stava dicendo: «Non m'importa sapere se gettò sassi o fiori. C'era, e io lo costringerò a confessare».
Augusta replicò: «Tu non sai nulla della gente sulla lista. Questo tipo, per esempio: potresti prenderlo a pugni per tutto il giorno senza ottenere la benché minima reazione».
Charles alzò la mano per segnalare che la gatta aveva infilato una zampa tra le sbarre, ma in quel momento la gabbia cadde e si aprì. Le colombe volarono in alto, spinte dal comune desiderio di vivere.
«Maledetta gatta!» imprecò Mallory, balzando in piedi. «Mi ci sono volute ore a…»
«Me ne occupo io» disse Augusta.
La gatta dava la caccia al suo pasto, e Mallory era sul punto di metter mano alla pistola.
Augusta le afferrò il polso, costringendola a incontrare il suo sguardo duro e fermo. «Kathy, non pensarci nemmeno.»
La gatta balzava freneticamente per la cucina, ma gli uccelli erano più rapidi. Piume bianche volteggiavano nell'aria mentre il folle inseguimento continuava.
Augusta stringeva ancora il polso di Mallory, e la sua espressione diceva che la giovane avrebbe fatto una brutta fine se avesse osato sparare alla sua gatta.
La quale ora si stava avvicinando quatta quatta a una colomba. Per l'eccitazione le scappò un miagolio che allertò il volatile, facendolo volar via.
Mallory era incredula. Quella vecchia non…
Augusta le rispose con gli occhi: se Mallory intendeva sfidarla, lei era pronta.
Per un attimo parve prendere in considerazione la prospettiva di uno scontro fisico. Poi si sedette.
Charles sorseggiava il caffè, mentre guardava un falco pescatore tuffarsi nel fiume in cerca di cibo.
Mallory era appoggiata alla balaustra della veranda e fissava l'orologio da tasca da poco tornato in suo possesso.
Le aveva posto una domanda dieci minuti prima e attendeva ancora una risposta. «Non mi dirai nulla, vero?»
Lei non lo degnò di uno sguardo.
Charles decise che il loro rapporto doveva aver raggiunto un nuovo punto di crescita, perché in quei giorni riusciva a farlo arrabbiare con estrema facilità. «Non hai fiducia in me. Credi che spiffererei tutto ai quattro venti.»
Mallory si infilò l'orologio nella tasca dei jeans. «Tu hai fiducia in me, Charles?»
«Pretendi una fede cieca? Come le pecorelle del gregge di Malcolm?» Era l'eco delle parole di Riker. «Quando pensavi di dirmi della ferita alla spalla?»
«Mai.»
Fiducia? Quale fiducia?
«Voglio che trovi Riker. Cercalo nei bar, è lì che passa tre quarti del suo tempo. Raccontagli una balla qualsiasi, depistalo, fai in modo che si tolga dai piedi.»
«Riker pensa che tu sia tornata per vendicare tua madre. È così?»
«Sono venuta a raccogliere prove per un caso di omicidio.»
«Non un omicidio qualsiasi.»
«È un caso come gli altri, lo stesso…»
«Mallory, non prendermi in giro.»
«Hai intenzione di aiutarmi oppure no?»
«I tuoi metodi d'indagine sconfinano nella tortura.»
«Metto in pratica gli insegnamenti di mio padre.»
«Lou Markowitz era un uomo buono e onesto.»
«E un poliziotto abilissimo. Quando Lou non aveva prove da usare in tribunale, si accaniva sui sospetti. Mentiva come un demonio, li terrorizzava finché non se la facevano nei calzoni. Se Markowitz fosse qui, agirebbe come me.»
«Riker dice che è…»
«Lascia perdere quel che dice Riker. È disposto a tutto pur di riportarmi a New York, neanche fossi una ragazzina scappata di casa.»
«È preoccupato per te.»
«Sono venuta a Dayborn con un obiettivo e intendo raggiungerlo. Facciamo così: non mi aiutare, d'accordo? Ti chiedo solo di non essermi d'intralcio.»
«Mallory, aspetta. Io non penso…»
«È questo il guaio, tu non pensi. Preferisci farti condizionare da Riker.».
Charles si sentiva svuotato, come se avesse fatto una lunga corsa. Un coleottero nero planò sulla balaustra mentre Mallory si sedeva sulla seggiola accanto a lui.
«Dimentica che la vittima era mia madre.» Parlava in tono così calmo, così distaccato. «Si tratta di un delitto vecchio di diciassette anni. Le piste fredde sono terribilmente difficili da seguire. Non ci sono prove, nessun testimone, a meno di non contare Ira, e io voglio lasciarlo fuori da questa storia. Alma, poi, è pazza, completamente inutile.»
Ora la sua voce era più alta, ma sempre priva di emozione. «Devo stanare un testimone attendibile e costringerlo a deporre contro il resto del branco. Riuscirò a farlo parlare, costi quel che costi.»
Il volto di Mallory era a pochi centimetri dal suo. Una mano gli stringeva il braccio, affondandovi le unghie. A un tratto tutte le emozioni di lei vennero allo scoperto. Un dolore concreto le deformava il viso, la voce. «Dirò a quel verme che mia madre se l'era andata a cercare! Che quella puttana meritava di morire!»
La testa di Charles scattò all'indietro come se avesse ricevuto uno schiaffo. Mallory continuò: «Gli dirò tutte le sporche bugie che ha bisogno di sentire, pur di farlo parlare». Poi mormorò: «È il mio mestiere. È quel che fanno gli sbirri».
Si alzò, allontanandosi da lui. Tornò alla balaustra.
«Alma Furgueson si è tagliata i polsi. Però lei respira ancora, mentre mia madre è morta. È ora di scegliere da che parte stare, Charles.»
Indugiava vicino alla scalinata, indecisa se andare o restare. «Con chi ti schieri? Con me o con Riker?»
«Io non potrei mai…»
«Charles, sei con me oppure no?»
«Sono con te.» Dopo tutto, Alma respirava ancora.