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Augusta spostò una pila di fogli e piazzò un boccale di caffè bollente sul tavolo della cucina.
Riker era seduto, con i gomiti sul tavolo.
Si copriva le orecchie con le mani nel tentativo di difendersi dall'incessante cinguettio mattutino degli uccelli. Provava nostalgia per la colonna sonora tipica della sua città: antifurto ossessivi, sirene dei pompieri, urla e spari.
«Ma non la smettono mai?»
«No. Cantano tutto il giorno.» Augusta piegò la testa verso il corridoio, in ascolto. «È Charles alla porta. Ha un suo modo di bussare, molto delicato.»
Augusta andò ad aprire e Jimmy Simms si mosse sulla sedia accanto a quella di Riker. Il giovane russava piano, con la testa appoggiata sulle braccia. Il suo volto assopito era innocente, senza una ruga.
Riker si strofinò gli occhi arrossati e trangugiò il caffè senza neppure darsi il tempo di gustarne il sapore. Era troppo vecchio per quelle notti in bianco. Si chiese se si sarebbe mai più sentito pulito, dopo essere entrato nella mente marcia di Jimmy.
«Buongiorno, Riker.» Charles si sedette di fronte a lui. «Mallory non si è ancora alzata?»
Riker invidiò l'aspetto riposato dell'amico. Guardò l'orologio. Erano appena passate le otto. «Ieri ha avuto una giornata piuttosto piena.»
«E io, di nascosto, le ho corretto la cena con una bella dose di passiflora e valeriana» disse Augusta, preparando dell'altro caffè. «La ragazza ha bisogno di riposo: dormirà per il resto della giornata.»
«Ben fatto» commentò Riker, sogghignando.
Charles esaminò le carte sul tavolo. «C'è tutto?»
Riker raccolse un mazzetto di fogli azzurri, ognuno con l'intestazione del laboratorio di analisi ospedaliero. «Uno di questi dev'essere la copia della lettera azzurra di Alma.» Erano tutti indirizzati alla dottoressa Cassandra Shelley, nel suo ruolo di ufficiale sanitario del distretto di St. Jude. «Con la confessione di Jimmy e tutto quello che Mallory ha ricavato dai computer ce n'è più che abbastanza per processare l'intero branco.»
Riker guardò Jimmy addormentato e poi Charles. «Hai presente quelle giornate in cui ti sembra di scoppiare d'odio?» Poi si rese conto che stava parlando alla persona sbagliata. Si girò verso i fornelli, dove Augusta stava rimestando le sue pentole. Lei disse: «Amen».
Riker si passò una mano fra i capelli grigi. Era così stanco. «Charles, perché non torni da Henry a recuperare la macchina? Tra qualche minuto arriverò insieme a Jimmy. Non voglio che qualcuno veda il teste chiave dell'accusa finché non sarà in carcere.»
«Non lascerò che Charles se ne vada senza aver mangiato.» Augusta gli porse una tazza di caffè e un piatto colmo di cibo.
Riker, che a colazione era abituato a mangiare solo caffè e pane tostato, inorridì. Alla fine, però, si lasciò tentare dalla cucina di Augusta, che lo sedusse con frittelle di patate e morbidi pancake imbevuti di sciroppo di canna. Quando fu sazio, lei, per divertirsi, gli spalmò del burro su un panino caldo. Lui slacciò la cintura e ne prese un altro.
Infine Augusta uscì a dar da mangiare agli uccelli. Allora Charles rivolse a Riker la domanda che covava da quando era arrivato.
«Devi consegnare Jimmy allo sceriffo?» La sua voce era bassa, il tono cospiratorio.
Riker si accese una sigaretta e fece una pausa, aspettando l'effetto della nicotina. «Ti crea problemi? C'è qualcosa che dovrei sapere?»
«Diciamo che Mallory ha risolto il caso molto in fretta, mentre allo sceriffo non sono bastati diciassette anni.»
Fantastico! Adesso giochi a fare l'investigatore.
«Credi che lo sceriffo abbia qualcosa da nascondere?»
«È una ragionevole conclusione, dato che…»
«Questa è bella. A furia di frequentare Mallory, sei diventato sospettoso.» Riker si stiracchiò, sbadigliando.
Così Mallory aveva contagiato Charles. Era un vero peccato. Riker non aveva dubbi, preferiva il vecchio Charles Butler, una brava persona che per natura si fidava della gente. Non certo un buon candidato per una carriera da detective, ma in compenso un essere umano di prim'ordine.
Maledetta Mallory.
«Sto semplicemente usando la logica» disse Charles, sulla difensiva. «Mallory non c'entra.»
Riker posò una mano sulla pila di documenti. «La ragazza non ha fatto tutto questo in un giorno. Per mesi si è introdotta illegalmente in database riservati, ha inseguito indizi senza un mandato, ha violato la Costituzione degli Stati Uniti e seminato bugie a destra e a manca.»
Indicò i fogli azzurri. «Questi li ha rubati dopo essersi introdotta illegalmente nell'archivio dell'ospedale e aver danneggiato la proprietà dello Stato. Oh, e non dimenticare che era presente il giorno in cui uccisero sua madre. Partiva avvantaggiata, rispetto allo sceriffo.»
«Ma Jessop conosceva l'identità di alcuni colpevoli.»
«Aveva dei sospetti. C'è una bella differenza. E comunque non avrebbe ottenuto una confessione da quei bastardi. Non è il tipo da leccare il culo alla feccia. Devi avere un bello stomaco per riuscire a convincere i peggiori vermi a fidarsi di te.»
«Avrebbe potuto stargli dietro e…»
«Senza prove, non poteva arrestare nessuno. Se avesse portato dentro un sospetto, tutti gli altri sarebbero fuggiti. Dayborn è molto piccola, Charles. Jessop non ha le risorse per inseguire chi scappa fuori dello Stato.»
Dio, salvami dai dilettanti.
«Ha rintracciato la vedova di Babe Laurie» disse Charles. «L'ha fatta estradare da un altro Stato.»
«Già, ma si è scontrato con l'ostruzionismo di quei politicanti della Georgia. Ho visto la documentazione. Se Sally Laurie non avesse rinunciato ai suoi diritti, la faccenda avrebbe potuto protrarsi per mesi.»
«Altri poliziotti lo fanno. Cooperano con…»
«I federali? Secondo le mie fonti, Tom Jessop non è disposto a fare comunella con loro: si è sempre apertamente rifiutato di spiare i propri concittadini. Scommetto venti dollari che i federali hanno fatto pressioni sui ragazzi della Georgia perché ostacolassero il suo lavoro.»
Charles sembrava un po' disorientato. «E che mi dici di Babe Laurie? Tutti presumono che fosse appostato ad aspettare l'arrivo di Mallory. Non trovi che sia…»
«Credi che ci sia dietro lo zampino dello sceriffo? Se ti schieri dalla parte di Mallory, tutti diventano tuoi nemici. Il risultato, Charles, è che non sai più riconoscere un brav'uomo quando lo incontri.» Riker schiacciò la sigaretta nel posacenere. «Sei diventato cieco. L'unica colpa di Jessop è quella di non esser riuscito a superare la morte di Cass Shelley.» Riker guardò il fumo che dal mozzicone saliva verso il soffitto. «Povero diavolo. E tu lo sospetti di essere coinvolto in un omicidio? O in un tentativo di insabbiamento? Perfino Augusta non ti convince… Chi altro c'è sulla lista dei sospetti? Henry?»
Le labbra di Charles si aprirono ma non ne uscì alcun suono. Mallory lo aveva privato della vista e ora Riker lo faceva ammutolire.
Ma non aveva ancora finito.
«Sai dove sta l'ironia in tutto questo? Perfino Mallory, che non si fida di nessuno, ti direbbe che i tuoi sospetti sullo sceriffo sono solo stronzate.»
Si piegò verso di lui per assestargli il colpo finale. «Può darsi che ci impieghi più tempo della media, ma perfino lei sa riconoscere un uomo onesto.»
Charles si lasciò sprofondare nella seggiola, avvilito e sconfitto.
Gloria al Signore. Il cieco aveva riacquistato la vista. Anzi, a un tratto il gigante triste sembrava vedere le cose fin troppo chiaramente.
«È andato tutto per il meglio, Charles» provò a confortarlo. «Tu hai appoggiato Mallory, e ora finalmente lei otterrà un po' di giustizia per sua madre.»
L'omone continuava ad apparire sconsolato.
«Cosa vuoi, Charles? L'assoluzione? Be', eccola.» Con la sigaretta Riker tracciò il segno della croce nell'aria.
In piedi dietro la vetrina del caffè, Jane vide la Mercedes fermarsi davanti all'ufficio dello sceriffo. I due tipi di New York stavano aiutando qualcuno a scendere dalla macchina. Era un uomo o un ragazzo? Aveva una giacca tirata fin sopra la testa, come gli assassini che si vedevano al telegiornale.
Charmaine, la cassiera, la raggiunse. «Chi diavolo è?»
Jane la ignorò. Scrutò il portico del bed & breakfast. A quell'ora Betty doveva essere al cimitero con il solito gruppetto di turisti. Bene, quell'evento era tutto suo.
L'uomo con la giacca in testa era piccolo e magro e questo restringeva un po' il campo. E ora che si era allontanato dalla macchina Jane poté scorgere la camicia rossa che spuntava dalla giacca. Oh, e le calze rosse come quelle di…
Questa è proprio grossa. Chi se lo sarebbe mai immaginato…
«È l'idiota!» esclamò Charmaine, allungando il collo. «È stato arrestato?»
«Tu che ne dici?» rispose Jane. «Il tipo con l'abito stropicciato è un detective di New York.»
«Che cosa avrà fatto? Colpa della madre, che lascia che se ne vada in giro da solo come se fosse normale. Te l'avevo detto che era pericoloso!»
«Eccome se me l'hai detto, Charmaine.» All'incirca venti volte, stupida sciacquetta platinata.
«Scommetto che ha aggredito qualcuno.»
«Non è da buoni cristiani far congetture. Povero Ira. E povera Darlene.» Il sorriso di Jane era tutt'altro che caritatevole mentre si avvicinava al banco del buffet e cominciava a preparare un vassoio. «Il nuovo prigioniero avrà bisogno del pranzo.»
«Ma non sono ancora le undici.» Charmaine stava guardando il suo orologio, che lei spergiurava essere d'oro. «Un po' prestino per pranzare, non ti pare?»
Charmaine era sempre stata un po' lenta.
Lo sceriffo seguì la sua vice nella sala d'attesa per accogliere Charles Butler e il detective Riker. C'era un altro uomo seduto sulla panca dietro di loro: una giacca gli copriva la testa.
Dai, non fare il timido.
Tom Jessop decise di lasciarlo lì seduto per un po', a maturare la paura. Non gli spiaceva tirarla un po' in lungo. Negli ultimi diciassette anni non aveva fatto che pregustare quel momento.
«Io e Lilith ci stavamo chiedendo quando ci avreste portato il testimone.»
«Doveva essere una sorpresa» disse Riker. «Ci stai togliendo tutto il divertimento.»
«È tutta colpa di Lilith. Era al cimitero ieri sera, ha visto tutto lo spettacolo. Quando arriva Kathy?»
«Di fatto,» fece notare Riker, «è ancora un'evasa.»
«Già. Tutto sommato è meglio che resti da Augusta.»
Charles Butler sorrise. «Sceriffo, c'è qualcosa che lei non sa?»
«Non so come ha fatto a far volare quella statua.» Mitigò il sarcasmo a beneficio della sua vice.
Lilith Beaudare lo guardò. «Lo so che non mi credi, ma ti ripeto che l'ho vista.»
La statua di un angelo che spiegava le ali di pietra e, sollevandosi da terra, si scaglia contro un uomo: neppure Guy Beaudare avrebbe potuto inventare una storia così fantasiosa.
Lilith lanciò a Charles uno sguardo supplice. «Lo sceriffo sostiene che è impossibile ottenere un'illusione simile, anche usando dei cavi. La prego, gli dica come ha fatto. Crede che io sia pazza.»
«Uso degli specchi» butto là Charles, come se dare vita alle pietre fosse per lui un'esperienza quotidiana.
«Bene» esclamò lo sceriffo, rivolgendosi all'uomo sulla panca. «Vediamo un po' chi abbiamo qui.» Con lo stato d'animo di chi apre un regalo atteso da tempo, scostò la giacca dalla sua testa e indietreggiò. Gli ci volle un secondo per riconoscerlo. Gli abiti puliti, i capelli tagliati da poco, il volto glabro. Jimmy Simms.
Tom Jessop si sentì di colpo molto stanco. Era l'ultima persona che si sarebbe aspettato. «Avevi ragione, Lilith. Ha i tratti distintivi dei Laurie. È il nipote di Babe.»
Jimmy chinò il capo per nascondere il viso.
Lo sceriffo mise una mano sulla spalla del giovane e gli diede una scrollata. «Hai visto Cass Shelley morire e non mi hai mai detto una parola?»
«Ha contribuito a ucciderla» precisò Riker, porgendo allo sceriffo una grossa busta rigonfia. «È tutto qui dentro. La confessione firmata e tutti i nomi.»
Lo sceriffo respinse la busta con la mano e si allontanò dal prigioniero. «Voglio sentirlo dalle sue labbra. Lilith, accompagna il ragazzo nella sala riunioni.» Jimmy aveva trent'anni, ma Tom Jessop continuava a considerarlo un ragazzino scappato di casa. Non si fidava a toccarlo, non ancora.
Percorsero il corridoio e varcarono la porta sul fondo. Lo sceriffo restò in piedi mentre gli altri prendevano posto sulle sedie di metallo disposte intorno al tavolo. Quella stanza non aveva il calore antiquato della sala d'attesa. Sulle pareti color ghiaccio erano appesi bollettini e moderne carte stradali. Riker era seduto a capotavola, fiancheggiato da Lilith e Charles. Jimmy Simms sedeva da solo sull'altro lato.
Lo sceriffo si portò alle spalle di Jimmy. «Parla, ragazzo.» Il giovane fissava l'estremità opposta del tavolo, su cui Riker stava sistemando tutte le carte. Lo sceriffo posò una mano sulla sua spalla: «L'hai raccontato a Riker, ora farai lo stesso con me».
Il sergente Riker estrasse un foglio azzurro dalla busta e lo mostrò al prigioniero.
Jimmy parlò come se stesse leggendo.
«Cass mi portò alla riunione della New Church. Mi trascinò fin dentro la stanza. Era così arrabbiata, sventolava quella lettera e urlava come un'ossessa.»
Lo sceriffo si chinò fin quasi a sfiorare la testa di Jimmy. «Perché Cass era arrabbiata?»
«Non ricordo quel che diceva. Volevo solo strisciar via e morire.» Jimmy guardò Riker, che sorrise comprensivo e gli fece cenno di proseguire. Jimmy obbedì. «Lei l'avrebbe detto a tutto il paese. Gridava: "Lo sceriffo tornerà domattina, bastardo".»
«A chi si rivolgeva?»
«A mio zio.» Si accasciò sulla seggiola, coprendosi il volto con le mani.
Riker intervenne. «Tom, non interromperlo ora, o comincerà a piangere e ci vorrà un'ora per calmarlo.» E al testimone disse: «Continua, ragazzo».
«Mio padre doveva aver capito tutto, perché mi guardava come si guarda un verme appena sbucato da sotto un sasso. Quando Cass se ne fu andata, papà mi ordinò di aspettare fuori mentre i grandi parlavano.»
«Parlavano di che cosa?»
Riker gli porse due fogli azzurri: i risultati degli esami del sangue di un ragazzo di dodici anni. «Il numero di identificazione corrisponde a quello nell'archivio della dottoressa Shelley. Si riferisce a Jimmy.»
Lo sceriffo lesse la prima riga. «Epatite?» Guardò Riker. «Sapevo che l'aveva avuta. Cass lo curò quando lo riportai a Dayborn da New York.» Ma a quel che sembrava lo aveva curato anche per un male molto più serio. L'altro foglio azzurro riportava il risultato positivo di un test per le malattie veneree. «Cristo…» Questo spiegava perché la vita del ragazzo fosse andata in malora dopo che Tom l'aveva riconsegnato alla famiglia.
«C'è dell'altro» disse Riker.
Jimmy stava fissando la lettera azzurra e piagnucolava.
«Avanti, ragazzo, non ti fermare.»
Di nuovo Jimmy guardò Riker per ricevere istruzioni, e il detective annuì.
«Andammo tutti a Casa Shelley. Al momento non mi chiesi perché. Ricordo di aver scalciato inavvertitamente una pietra dell'aiuola davanti all'ingresso. Mi piegai e la rimisi a posto. La dottoressa Cass teneva molto ai suoi fiori.»
Adorava le piante. Fiorivano tutt'intorno alla casa, in ogni stagione.
«Poi vidi di nuovo la lettera azzurra. La gente intorno a me bisbigliava. Avremmo sistemato tutto, così nessun altro avrebbe saputo.»
Uccidendo Cass, che non ti aveva mai fatto del male né te ne avrebbe mai fatto.
«Qualcuno tirò un sasso e la colpì alla testa. Lei non pianse, non disse una parola. Era come guardare la televisione senza audio. Un'altra pietra la colpì alla spalla. Poi qualcuno mi mise in mano un sasso. Era lì, nella mia mano, e una voce mi sussurrava all'orecchio: "Tiralo, tiralo". E io lo tirai, mirando al ginocchio. Quel colpo la fece cadere. Si accasciò in silenzio.»
«E poi cosa accadde?»
Jimmy guardò lo sceriffo con una certa sorpresa. «Tornai all'aiuola a prendere un'altra pietra.»
Lo disse come se fosse la risposta più ovvia, la cosa più naturale da fare, perché aveva scagliato la sua pietra e gliene serviva un'altra. Jimmy si rivolse a Riker. «E quella seconda pietra le spezzò i denti.»
Riker sorrise e approvò con un cenno del capo.
Dietro la testa di Jimmy, la mano dello sceriffo si era levata minacciosa come una mazza. L'odio di Jessop era palpabile, saturava l'aria. Charles Butler fece per alzarsi. Riker lo afferrò per la manica della camicia. «Restane fuori, Charles.»
Jimmy guardò in su e vide il grosso pugno dello sceriffo sospeso su di lui. Poi si fissò le mani raccolte in grembo. Irrigidì le spalle, in attesa delle botte. La sua voce era calma quando disse: «Mi dispiace, ma non volevo che loro sapessero quel che lui mi aveva fatto».
La mano dello sceriffo non si mosse.
Con la stessa voce ragionevole Jimmy disse: «Il cane mi ha perdonato».
Riker raccolse un altro mazzetto di fogli azzurri. «Jimmy era stato ripetutamente stuprato. Dallo zio, secondo la sua testimonianza.» Fece scivolare i documenti lungo il tavolo. «Babe abusò di lui fino ai tredici anni. Ma la stessa sorte toccò anche ad altri bambini.»
Ecco perché il ragazzo era scappato. E lui, Tom, lo aveva riacciuffato e ricacciato all'inferno. Lo sceriffo lesse il referto degli esami del sangue di un bambino di sei anni, identificato solo da un numero.
«Un altro caso di epatite.» Poi guardò un altro foglio che riguardava lo stesso bambino. La data era posteriore, e il piccolo era risultato positivo alla sifilide. «Perché Cass fece testare per la sifilide un bambino di sei anni? Avevamo già avuto casi di epatite nelle scuole. Era un fatto relativamente comune.»
Charles disse: «Non la varietà che si trasmette col sangue. I bambini piccoli possono contrarre una forma di epatite molto contagiosa usando il gabinetto senza le necessarie precauzioni igieniche. Ma anche questa forma si incontra raramente tra i ragazzini dell'età che Jimmy aveva allora. Per rientrare in un gruppo ad alto rischio per l'epatite B, bisogna essere sessualmente attivi, oppure bucarsi. L'epatite B riscontrata in un bimbo di sei anni è un chiaro indicatore di abuso sessuale.»
Lo sceriffo prese l'ultimo foglio, il test positivo alla sifilide di un diciannovenne. Guardò Charles. «Non c'è il nome. È sicuro che si tratti di Babe?»
Charles annuì. «Il codice numerico coincide con quello attribuitogli da Cass in occasione di un precedente esame.»
Jessop scorse di nuovo i referti, confrontandoli. Il bambino di sei anni era stato l'ultimo a contrarre la sifilide. I valori del test di Jimmy portavano a escludere l'ipotesi che potesse averla contratta durante la sua breve fuga da casa.
«Babe era in uno stadio molto più avanzato della malattia,» disse Riker «già all'epoca della festa per la prima malattia venerea al Dayborn bar & grill.»
«Dobbiamo dedurre che non si sia curato» concluse Charles. «Ciò spiega le sue condizioni di salute al momento della morte.»
Riker riprese a parlare, illustrando ulteriori prove a supporto del movente dell'omicidio di Cass: dalle attività illegali di Babe alla sua natura di pedofilo con un debole per i bimbi molto piccoli.
Lo sceriffo non lo ascoltava. Stranamente, non provava rancore mentre leggeva la confessione di Jimmy Simms. In fondo all'ultima pagina c'era l'elenco degli assassini di Cass Shelley. Gli occhi di Jessop andarono da un nome all'altro, distrattamente, poi i fogli gli caddero di mano finendo sul tavolo.
Non era il finale nel quale aveva sperato. Che bidone.
Si era aspettato qualcosa di più grande, di più spettacolare, come l'angelo vendicatore descritto da Lilith. Il momento da lui tanto atteso era arrivato… e non era abbastanza.
Lilith restò di guardia al prigioniero piangente. Tom Jessop uscì dalla stanza con addosso una sensazione di vuoto, come se avesse saltato un pasto. Non uno, ma tutti i pasti, per diciassette, lunghissimi anni.
Accompagnò Riker e Charles lungo il corridoio, parlando meccanicamente. «Io e Lilith porteremo via Jimmy passando dal retro. Sarà più al sicuro in una cella di New Orleans. Devo procurarmi ventitré mandati d'arresto e non mi viene in mente nessun giudice che mi debba un favore. Mi ci vorrà un po' di tempo. Riker, puoi badare all'ufficio e restare a portata di telefono? Potrei aver bisogno del tuo aiuto per convincere un giudice a collaborare.»
«Non c'è problema» rispose Riker.
In sala di attesa si imbatterono nel volto sorridente di Jane. Era seduta sulla panca vicino alla porta e aveva in grembo un vassoio coperto da un pezzo di stagnola. «Salve, Tom. Ho visto arrivare il nuovo detenuto. Ho pensato di portargli il pranzo.»
«Non è più necessario, Jane. L'ho liberato dieci minuti fa. Mandami il conto per il vassoio, d'accordo?»
Jane continuava a sorridere. Di certo non si sarebbe accontentata dei pochi dollari del conto.
Quando la porta si chiuse alle spalle della donna, lo sceriffo si rivolse a Riker: «Qualsiasi cosa abbia sentito, prima di pranzo lo saprà tutto il paese».
«Quanto ti ci vorrà per avere i mandati?»
«Troppo. Stasera a Owltown si terrà il funerale di Babe. Ci saranno solo la famiglia e pochi intimi, il che significa un centinaio di ubriaconi a fare casino per le strade. La cosa migliore è muoversi domattina all'alba con la polizia di Stato e arrestare i sospetti prima che possano smaltire i postumi della sbornia.»
All'una Charles tornò all'ufficio dello sceriffo con panini e caffè acquistati al Jane's Café. «Non mi è parso che circolasse alcun pettegolezzo. Forse Jane non ha sentito niente.»
«Ne dubito.» Gli occhi di Riker non si staccarono dalla finestra che dava sulla piazza mentre infilava una mano nel sacchetto e ne estraeva un panino. Stava fissando uno dei clienti di Jane. Appena uscito dal locale, girò la testa verso l'ufficio dello sceriffo.
Charles sembrava di buon umore mentre sorseggiava il caffè. «Alla fine, Mallory ha agito secondo le regole.»
«Ha commesso tre reati gravi nella raccolta delle prove. Di quali regole parli?»
«Be', non ha fatto del male a nessuno.»
Sicuro?
Riker non ribatté. Il panino era sul piano della scrivania, intatto. Stava guardando l'uomo sulla piazza, che era stato raggiunto da un amico. I due tenevano d'occhio la porta dello sceriffo, come sentinelle.
«Riker, non vorrai ricominciare con i tuoi sospetti! Credi ancora che lei…»
«Mallory è tornata a Dayborn per regolare i conti con gli assassini di sua madre, e ora finalmente ne ha l'elenco completo.» Si abbandonò contro lo schienale della poltrona e allungò i piedi sulla scrivania. «Vorrei che tornassi da Augusta e la tenessi occupata per un po'.»
Un altro uomo si era aggiunto ai due sulla piazza. Si spostarono verso la fontana e si sedettero sul bordo della vasca.
«Perché non riesci a fidarti di lei?» Charles passeggiava avanti e indietro, ignaro delle sentinelle. Riker aveva fretta di sbarazzarsene. «Mallory non farebbe nulla che rischiasse di compromettere questo caso» insistette Charles.
«Dio, a volte hai la testa più dura di un muro. Mallory sta dando segnali chiarissimi di quali siano le sue reali intenzioni.» Riker si costrinse a distogliere gli occhi dalla piazza per fissarli sull'amico. «Hai visto il suo travestimento da pistolero. Pensi che stia giocando? Nossignore.»
«Ma è ridicolo.»
Riker gettò un'occhiata alla finestra, come per vedere che tempo facesse. Malcolm Laurie stava uscendo dal Jane's Café: si fermò un attimo a scambiare sorrisi con gli uomini della fontana e passò oltre. Charles torreggiava sulla scrivania, in attesa della battuta successiva.
«Non voglio litigare con te, Charles.» Riker sfogliò la rubrica del telefono dello sceriffo, poi impugnò la cornetta e compose il numero del bed & breakfast. «Salve, voglio prenotare una camera per Charles Butler… sì, proprio lui, il gigante dal grosso naso. Sarà lì fra qualche minuto… Bene, grazie.»
Dopo aver chiuso la comunicazione sospirò: «Senza offesa, Charles, mi piace la tua compagnia, ma ho bisogno di dormire. Non voglio che qualcuno veda la tua macchina attraversare il ponte sul bayou: lasciala davanti al bed & breakfast di Betty. Firma il registro degli ospiti ed esci dalla porta sul retro. Poi ritorna da Augusta e fai la guardia alla ragazza fino a domattina». Fece una pausa. «Ma che non ti venga in mente di portarle via la pistola. Potrebbe farti male solo per averci provato.»
Era arrabbiato, era evidente, ma almeno se ne stava andando. La porta sbatté.
Riker tornò a guardare il drappello di uomini fuori della finestra. Le loro teste si girarono insieme a guardare Charles che scendeva dalla Mercedes sul lato opposto della piazza. Quando fu entrato nel bed & breakfast, gli uomini tornarono a rivolgere la loro attenzione all'ufficio dello sceriffo. Ne arrivarono altri due.
Riker controllò le munizioni nella pistola e si chiese se fosse il caso di chiedere rinforzi alla polizia di Stato. Cosa avrebbe potuto dire? "C'è un gruppo di ragazzoni sorridenti nella piazza del paese e io mi sto cagando addosso dalla paura"? Quelli gli avrebbero chiesto che cosa avesse bevuto.
«Salve, amico.» Un uomo della sua età era sulla porta dell'ufficio. Aveva un ampio sorriso, occhi spenti e stupidi e un pancione debordante. «Sono Ray Laurie» e gli si avvicinò a mano tesa.
Sotto il ripiano della scrivania, Riker spostò la pistola nella sinistra e offrì la destra a Ray Laurie. Ray avvicinò una sedia e gli si sedette di fronte. Un nuovo visitatore era fermo sulla soglia e un altro dietro di lui. Quando Riker tornò a guardare la piazza, le sentinelle si stavano spostando verso l'edificio. Sotto la scrivania, Riker puntava una 38 automatica allo stomaco di Ray Laurie.
Altri uomini entrarono in fila indiana. Riker ne contò otto: la pistola fra le sue mani non aveva più senso. Si sparpagliarono per la stanza, accerchiandolo.
Sentì passi pesanti che salivano verso le celle, per ridiscendere poco dopo.
Un altro uomo comparve sulla porta. Trattenendo il fiato, guardò Ray Laurie. «La cella è vuota. Forse la donna ha capito bene, lo hanno liberato.»
Riker non sentì la risposta di Ray. Ricevette un colpo alla nuca, e quando aprì gli occhi si ritrovò a terra. Fluttuava fra coscienza e incoscienza e immaginò di scivolare via attraverso la porta posteriore dell'ufficio dello sceriffo.
«Non mi convince. Gli idioti non sanno nemmeno scrivere» disse l'uomo che gli teneva ferme le gambe. Riker non udì il seguito.
Aveva deciso di concedersi un sonnellino.
I pipistrelli si erano alzati in volo da Casa Trebec nella luce del tramonto. Ira ne seguì il percorso nel tondo di cielo disegnato dagli alberi attorno al cimitero. Poi si girò a guardare la statua della dottoressa Cass.
Sua madre si era sbagliata. Quella era la solita vecchia statua della dottoressa Cass ritta nel punto dove era sempre stata, con Kathy fra le braccia. Ma c'erano altri cambiamenti di cui tener conto. Solchi di ruote e spruzzi di ghiaia sull'erba, e rametti spezzati.
Gli uccelli abbandonarono gli alberi in un improvviso frullare d'ali.
«Così tu sei il testimone» disse una voce alle sue spalle, un suono privo di un significato reale. Allarmato, Ira si voltò e vide un uomo che avanzava a grandi passi sul sentiero di ghiaia.
«Così tu sei il testimone» ripeté Ira, senza comprendere, mentre si appoggiava all'angelo in cerca di rifugio, le spalle premute contro le pieghe della sua veste di pietra.
L'uomo era sempre più vicino, più grosso. Levò le mani con i pugni serrati. Ira cadde sull'erba. Si raccolse su se stesso come una tartaruga e infilò la testa tra le braccia. Il primo colpo non fu doloroso, solo un eccesso d'intimità. Poi i pugni piovvero più pesanti, e il dolore divenne una lama che affondava nel suo cervello.
Adesso lo stava prendendo a calci. La paura di Ira era una palla di fuoco che pian piano si faceva più opaca, passando dal rosso al grigio, fino a spegnersi. Aveva il volto bagnato, e del sangue negli occhi.
Capì quel che stava accadendo. Babe gli aveva urlato contro e l'aveva colpito quando lui aveva suonato quella manciata di note al piano. Poi gli aveva spezzato le mani. Ma quando la musica era finita, era finito anche il dolore. Allora, a labbra serrate, cominciò a cantare il motivo che aveva accompagnato la morte di Cass.
Questo fece infuriare il suo assalitore e i colpi si fecero più veloci, più cattivi.
Ma Ira continuò a cantare con voce di corno e di flauto, accompagnando il dolore con la colonna sonora della violenza.
E quando lui giacque in silenzio, immobile, i colpi cessarono, proprio come era accaduto con Babe.
Ira aveva imparato la lezione.