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Anche a occhi chiusi, Riker riconobbe il locale di Owltown dove aveva passato qualche ora a bere insieme ai fedeli della New Church. Sentiva il legno ruvido sotto il viso e le mani. Dal juke-box usciva la stessa brutta musica, ma il suono era un po' attutito. Doveva esserci una porta fra il suo corpo riverso a faccia in giù e la sala del bar. Il puzzo stantio di birra, misto a sudore, non era cambiato.
Continuò a tenere gli occhi chiusi mentre contava le voci intorno: erano in tre.
«Svegliati, raggio di sole.» Il saluto fu accompagnato da un calcio al torace.
Riker aprì gli occhi e li mise a fuoco sull'unica finestra, da cui si intravedeva il cielo ormai scuro. Era rimasto privo di conoscenza per almeno cinque ore.
Due uomini erano seduti a un tavolino quadrato. Ray Laurie era in piedi sopra di lui e stava aprendo una bottiglia. Molte altre erano allineate su un tavolo lì accanto. «Il signor Riker ha bisogno di bere un po'.» Ray riempì un bicchierino da whisky mentre parlava rivolto al tizio col fucile. Riker notò che il terzo uomo aveva in mano la sua 38 automatica. «Fate in modo di sbrigarvi, non abbiamo tutta la notte.»
Ray si piegò e porse il bicchiere a Riker. «Avanti, bevi.»
Riker si trasse a sedere e mandò giù il whisky. «Niente male.» Diede uno sguardo ai suoi nuovi amici e sorrise. «Non dico mai di no a un goccio di quello buono.»
«Continuate a versare finché non avrete finito il lavoro. Buona notte, Riker» disse Ray, e uscì.
Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, uno degli uomini rimasti sollevò un po' la canna del fucile. «Finisci di bere, amico.»
«È un sacco di roba, e tutta di prima qualità.» Ray sapeva che i liquori serviti nella sala adiacente erano sempre annacquati. Probabilmente quei due non avevano mai assaggiato un whisky come Dio comanda. La sfilza di bottiglie sul tavolo doveva far parte della riserva privata di Malcolm. «Non penso che qualcuno se ne accorgerebbe se vi faceste un bicchierino anche voi.»
I due si scambiarono un'occhiata e poi guardarono le bottiglie ancora da aprire.
«Forza, servitevi» disse Riker, fingendo di non vedere la canna del fucile. «Non avrete paura che faccia la spia!» Scolò il bicchiere e lo scagliò per terra. Di colpo si ritrovò fucile e pistola puntati addosso. Ignorando la minaccia, Riker afferrò la bottiglia aperta. «Diamoci dentro sul serio, ragazzi.» Accostò la bottiglia alle labbra e la inclinò, poi la passò all'uomo alla sua destra, che impugnava la sua 38.
Quello accettò la bottiglia per forza d'abitudine, ma poi guardò il suo amico seduto al di là del tavolo, in cerca di approvazione.
Il tizio col fucile si strinse nelle spalle e disse: «E che cazzo!» e incominciarono a bere.
Mentre si passavano la bottiglia, Riker si chiese se quei due sapessero di avere a che fare con un alcolizzato, un bevitore di professione.
Dopo che si furono scolati due bottiglie, Riker cominciò a parlare in modo confuso e strascicato. Prese in considerazione la possibilità di crollare svenuto, ma lasciò perdere perché gli sembrò eccessivo.
Quando Mallory si alzò per scostare la tenda dalla finestra, sentì la spalla rigida e indolenzita. Aveva la testa stranamente annebbiata e le gambe molli. Il sole era tramontato e tutto era immerso nella silenziosa luce del crepuscolo.
Aveva perso un giorno, un giorno intero. Come era potuto accadere?
La gatta, seduta sull'orlo del letto, le soffiò contro. Mallory afferrò il cuscino, facendole capire le sue intenzioni. La gatta rispose con un sordo brontolio. Le lanciò il cuscino, che finì ad almeno mezzo metro dall'animale. Si stupì di aver mancato un bersaglio tanto facile.
A un tratto comprese che era stata drogata. Si infilò i jeans e scese di sotto.
Trovò Augusta in cucina che sistemava piatti e ciotole nella lavastoviglie. Charles era seduto a tavola e stava guardando un album di disegni.
«Buon giorno!» le disse.
Ma Mallory aveva occhi solo per Augusta: occhi rabbiosi, vendicativi. La vecchia signora, regina delle erbe, era la sua nemica del momento. Della gatta si era già dimenticata.
«Ma guarda che bell'aspetto riposato» esclamò Augusta, ignorando la sua espressione.
Il messaggio negli occhi di Mallory era chiarissimo: Te la farò pagare.
Per nulla impressionata, Augusta tornò a rigirare il contenuto di un grosso tegame sul fuoco. «Ora siediti, che ti scaldo la cena.»
Mallory aveva voglia di rompere qualcosa o far male a qualcuno. Guardò Charles, che però non aveva fatto nulla per irritarla. Accostò una sedia al tavolo. «Dov'è Riker?»
«Giù alla stazione di polizia» rispose Charles. «Lo sceriffo e la sua vice hanno portato Jimmy Simms a New Orleans.»
«Una mossa intelligente» commentò lei. «Ma tu cosa ci fai qui? Perché Riker è solo?»
Charles scrollò le spalle. «Mi ha detto lui di andarmene. Credo che volesse rifarsi del sonno perduto. Pensava che potessi essere più utile qua.»
«A fare cosa?»
Charles non aveva una risposta precisa, ma lei indovinò. Doveva farle la guardia. Comprese anche che Riker non stava dormendo. Se avesse deciso di chiudere gli occhi, anche solo per un'ora, avrebbe chiesto a Charles di restare nei pressi perché lo svegliasse in caso di bisogno.
Augusta le mise davanti una ciotola di carne e riso aromatizzato. Mallory la guardò con profondo sospetto.
«Vuoi che lo assaggi io per prima?» Augusta scoppiò in una risata, sedendosi e versandosi una tazza di caffè.
Mallory la ignorò e guardò fuori della finestra. Era buio, ma non abbastanza per offrirle protezione. «Voglio le chiavi dell'auto.»
«Non è qui» rispose Charles. «Riker mi ha detto di parcheggiarla davanti al bed & breakfast e di uscire dalla porta posteriore, in modo che nessuno mi seguisse.»
«Perché tante precauzioni? L'arresto di Jimmy non è più un segreto?»
«Forse Jane ha sentito qualcosa» ammise Charles.
«È la cosa peggiore» commentò Augusta. «Inventerà quel che non sa. Ma la notizia sta già circolando, ci puoi scommettere.»
Allora perché Riker si era sbarazzato di Charles?
«Cosa stava facendo Riker quando te ne sei andato?»
«Niente. Era tutto molto tranquillo. Perfino il telefono non è mai squillato finché sono rimasto là. Così è finita.»
Non era affatto finita. Ma Charles era in buona fede, non le stava nascondendo nulla. Mallory si rivolse ad Augusta: «Riker sa che mi hai drogata?».
Dal sorriso di Augusta dedusse di sì. Così Riker non aveva mandato Charles a fare il babysitter. Allora perché?
«Il solo mistero rimasto è cosa accadde al corpo di tua madre» disse Charles. Stava parlando a Mallory, ma guardava Augusta. «Non sapere che fine avesse fatto il corpo deve aver causato non poche preoccupazioni agli assassini.»
Mallory annuì, sebbene avesse la mente altrove e stesse lottando contro l'intorpidimento del sonno.
«Credevo che la folla inferocita se lo fosse portato via.» Augusta avvicinò la ciotola a Mallory. «È innocuo. Fidati di me.»
Già, come no.
Augusta le lesse nel pensiero, e rise di nuovo. Ma Charles non sorrideva. C'era decisamente qualcosa che non andava. Cosa stava succedendo?
Charles le toccò il braccio per attirare la sua attenzione. «Tu cosa ne pensi, Mallory? Credi che la folla abbia portato via il cadavere?»
«No.» Mallory scosse il capo e decise di bere il caffè; ma dalla tazza di Augusta.
«Avrebbe avuto senso se avessero tentato di coprire il delitto, ma non fu così. Lasciarono le prove in bella vista.»
Al momento la incuriosiva di più il comportamento di Riker che non il corpo introvabile della madre. Quando rialzò il capo, Augusta era scomparsa e Charles stava uscendo dalla cucina.
Mallory guardò nella pentola sul fornello. C'era cibo sufficiente per diversi giorni. Augusta non poteva averlo drogato tutto. Mallory vuotò nella spazzatura il piatto che le aveva servito. Poi impugnò il mestolo.
Ma qualcosa non andava.
Stava lentamente ritrovando la lucidità. Lasciò cadere il mestolo nella pentola e andò nell'altra stanza, quella del telefono. Fece in tempo a vedere la porta delle scale che si chiudeva alle spalle di Charles.
Alzò la cornetta e compose il numero dell'ufficio dello sceriffo. La gatta le girava intorno osservandola con ostilità. Quattro squilli.
Riker, tira su la cornetta.
La gatta balzò sul tavolo e fece cadere il telefono sul pavimento. Mallory e l'animale si fissarono per qualche istante. Il ricevitore non dava più segni di vita, e il cavo spezzato penzolava sul pavimento.
La gatta, saggiamente, si dileguò.
Charles seguì Augusta su per le scale, fino all'ultimo piano. Turandosi il naso, attraversò la soffitta e raggiunse la postazione con il cannocchiale. Una fresca brezza filtrava dai buchi nel tetto. In una scatola di cartone ripiena di pezzetti di giornale c'era un pipistrello con un'ala distesa e una vistosa fasciatura. Inginocchiata sul pavimento, Augusta sollevò l'animale, tenendolo delicatamente fra le mani. Srotolò la benda che copriva quasi tutta l'ala. Il pipistrello emise un acuto strillo, e lei gli somministrò un liquido col contagocce. L'animale si calmò e Augusta si mise al lavoro sulla ferita.
Dopo alcuni minuti, Charles ruppe il silenzio.
«Non sapere dove fosse il corpo deve averli fatti impazzire.»
«L'hai già detto, Charles.» Augusta continuava a tenere gli occhi sulla delicata membrana dell'ala del pipistrello.
Charles si sedette accanto a lei. «Tutti questi anni senza la certezza che lei fosse morta, senza la sicurezza di averla fatta franca. Un cadavere scomparso alimenta la suspense.»
Augusta annuì. «Un po' di suspense piace a tutti. Il mistero del cadavere ha incentivato il turismo. Così, secondo te, a farlo sparire sarebbe stata Betty Hale?»
Charles rimase in silenzio finché non incrociò i suoi occhi. «Non pensi che sarebbe un sollievo per Mallory sapere dove è sepolta sua madre?»
«No, Charles, davvero. Mallory è una creatura forte.»
«E tu non sei curiosa di scoprire dove sia il corpo, Augusta?»
«No.» Medicò la ferita con il contenuto di una boccetta scura.
«Perché sai dov'è. Il Finger Bayou è un dito puntato sul sito della sua tomba, non è così? È per quello che diventasti esecutrice testamentaria, per far cessare l'uso di diserbanti lungo i confini della proprietà. I giacinti d'acqua, crescendo a dismisura, soffocarono il bayou rendendolo impraticabile alle barche. Quindi piantasti degli alberi sulla strada che portava a Casa Trebec, per scoraggiare i visitatori.»
«È una teoria interessante. Nel corso degli anni ho udito ipotesi peggiori.» Rimise il pipistrello nella scatola.
«È nel tuo stile, Augusta. Per te la giustizia ordinaria non era sufficiente, così hai optato per una forma di vendetta molto originale.»
«E quando avrei avuto il tempo per nascondere il corpo? Fu Henry a trovarlo.»
«Lui denunciò il fatto il giorno dopo. Avesti tutta la notte per occuparti del cadavere.»
«Quella notte non udii la folla inferocita, né le grida di Cass, è la verità.»
Fin lì le credeva. «Il linciaggio si consumò in silenzio, ma quella notte maledetta tu sentisti i lamenti del cane, lo vedesti da questa finestra e andasti in suo soccorso. Faresti qualsiasi cosa per aiutare un animale ferito.» La gatta gli aveva rivelato il suo carattere. Benché l'animale rappresentasse una minaccia per i suoi preziosi uccelli, lei lo aveva salvato. E ora stava salvando la vita di un pipistrello che una volta aveva definito "cibo per gufi".
«Charles, stai parlando a vanvera.»
«Come ha detto Mallory, le prove dell'assassinio erano in bella vista. Nessuno tentò di nascondere il delitto. Ma lo sceriffo mi disse che la scala di servizio era stata ripulita. Non credo che Mallory lo sappia. Se l'avesse saputo, avrebbe capito prima di me. Portasti giù il corpo da quelle scale, e poi cancellasti le tue tracce e quelle lasciate da Kathy mentre fuggiva.»
«Lo sceriffo passò al setaccio ogni centimetro della mia proprietà.» Stimolò il pipistrello con un dito finché la bestiola non si risvegliò dal sonno indotto dalle erbe. «Tom fece perfino dragare il Finger Bayou.»
«Nascondesti provvisoriamente il corpo di Cass da qualche parte. Dopo, avesti tutto il tempo per seppellirla in un tratto di terra che lo sceriffo aveva già perlustrato. Probabilmente il cadavere è sepolto sotto qualcosa di pesante che gli impedisce di riaffiorare. Un mucchio di sassi, per esempio. Come quello su cui ti sei arrampicata il giorno in cui hai dato da mangiare all'alligatore.»
«Charles, hai un vero talento nell'inventare storie.»
«Mi chiedo se lo sceriffo apprezzerebbe le mie invenzioni. Credo che sarebbe disposto ad affrontare molte difficoltà pur di scoprire dove è Cass Shelley.»
«Se racconti in giro questa tua storia, causerai a Mallory più dolore di quel che pensi.»
Ah, bel colpo, Augusta! Conosceva i suoi punti deboli.
«Quella all'estremità del Finger Bayou è la tomba di Cass Shelley, vero?»
«Charles, so che non faresti nulla che possa danneggiare Mallory. Quindi terrai questa folle storia per te. Ciascuno di noi ha bisogno di un po' di mistero nella propria vita. E tu ne hai bisogno più di ogni altro.»
Era buio quando Mallory lasciò la casa. Gli uccelli facevano più baccano del solito, quando invece avrebbero dovuto placarsi e prepararsi per la notte. Era passata l'ora in cui Augusta era solita rinchiudere il cavallo nella stalla, ma l'animale stava ancora correndo su e giù nel paddock.
Mentre percorreva il viale delle querce, lo spolverino nero le sbatteva contro gli stivali. Che cosa spaventava gli animali? Provò a chiamare col cellulare l'ufficio dello sceriffo, ma di nuovo non ci fu risposta. Stava camminando sul sentiero che portava al cimitero quando sentì la donna.
Attraversò il cerchio d'alberi, seguendo il suono del pianto. Estrasse la pistola dalla fondina e avanzò circospetta, fermandosi ogni pochi passi.
All'estremità sud, trovò Darlene Wooley inginocchiata che, curva sul corpo di Ira, gli cullava la testa insanguinata fra le braccia.
Ira la lasciava fare. Aveva superato la paura del contatto umano, ma non era ancora morto.
«Così tu saresti il testimone» disse Ira, mentre Mallory si piegava su di lui, per valutare le sue condizioni.
Darlene la guardò. «Era in ritardo per cena. Così sono venuta a prenderlo per…»
«Così tu saresti il testimone» disse ancora Ira.
Mallory fece il numero per le chiamate d'emergenza. Quando il centralino rispose, passò il telefono a Darlene, «Di' loro che hai bisogno di un'ambulanza».
Darlene obbedì e Mallory cominciò a occuparsi delle ferite di Ira. C'erano tutti i segni di un violento pestaggio ma i danni più gravi probabilmente erano interni. Gli ripulì il sangue dalla bocca. Non c'erano denti spezzati, ma aveva una brutta ferita alla testa e un braccio rotto. «Andrà tutto a posto, Ira.» Si avvicinò a un vecchio albero e ne strappò un ramo secco. Poi, servendosi del cavetto del palmare, gli immobilizzò il braccio.
Ira la guardava in silenzio, gli occhi sgranati e colmi di speranza.
Mallory sorrise, accennando a bocca chiusa il motivo che ricordava dalla loro breve infanzia. Anche Ira cominciò a canticchiarlo, mentre Mallory strappava un lembo della sua camicia insaguinata e la madre piangeva al telefono.
Dopo qualche minuto, Darlene, coprendo il cellulare con una mano, le disse: «Sono fuori tutti, ambulanze, autopompe. Una delle fabbriche di prodotti chimici è andata a fuoco e l'incendio si è propagato a un campo di canna da zucchero. Il centralino mi ha collegato alla macchina dello sceriffo».
«Non fare il mio nome.» Mallory avvolse la striscia di stoffa sulla ferita alla testa. Non sentiva nessuna puzza di fumo: l'incendio doveva essere parecchio distante.
Darlene interruppe la comunicazione e chiuse il cellulare. «Lo sceriffo sta uscendo dalla statale. Sarà qui a minuti.»
Mallory controllò le pupille di Ira. Stava tenendo duro. Darlene invece non se la cavava altrettanto bene.
Tentò di confortarla a modo suo. «So chi è stato. Lo farò fuori per te.»
Darlene, confusa, scosse il capo. «No, Kathy.» Ora aveva assunto un tono materno. «Cass non lo vorrebbe, e nemmeno io. Tutto questo deve finire, capisci?» La sua mano si strinse intorno al braccio di Mallory. «Il male non può continuare per sempre. Tutti questi anni, tutto questo male.»
Mallory si alzò. Mentre attraversava il cimitero, Darlene gridò: «Kathy, ti prego, non uccidere nessuno».
Nel tono di quella preghiera, Mallory riconobbe la stessa preoccupazione che aveva avvertito a volte nella voce di sua madre. Controllò la camera del revolver e smise di ascoltare Darlene.
Era diretta a Owltown.
Augusta guardò attraverso il cannocchiale. Stava ammirando il paesaggio? Charles ne dubitava. «Non stai osservando gli uccelli, vero Augusta?»
«Al momento no, ma in generale trovo gli uccelli molto più interessanti degli uomini. Considera il modo in cui fu uccisa Cass: nessuna passione. Dovresti vedere come strappano e dilaniano la carne gufi e falchi. Ma la morte è veloce. Ti volti un attimo, ed è finita.»
«Sono certo che tu non te ne perdi una.» Ma cosa stava guardando?
«Oh, non so. Passo un po' del mio tempo a guardare le stelle. Ma anche lì c'è una certa violenza. L'intero universo si muove sull'onda di una spinta crudele. Io lo osservo e cerco di adattarmi. Dovresti provarci anche tu.»
Ma quella sera il cannocchiale non era rivolto alle stelle. «Augusta, tu non ti limiti a osservare. Tu agisci.»
«Le storie che hai sentito, mio buon Charles,» disse Augusta sorridendo, senza staccare l'occhio dal cannocchiale «sono tutte vere. Io sono un'assassina. Ho ucciso mio padre.»
«Non stavo pensando a quello.»
«Il tuo amico Riker è nei guai. Lo hanno preso e circondato.»
Charles le strappò di mano il cannocchiale. Augusta lo aiutò a mettere a fuoco lo spiazzo dove fino a poche ore prima sorgeva il tendone. Al centro dello spiazzo adesso c'era un grosso camion addobbato con luci colorate. Sopra era sistemata una bara di vetro. Gli ricordò una teca per mettere in mostra un insetto imbalsamato.
Tutto intorno erano riunite un centinaio di persone, che brandivano bottiglie e bicchieri di carta. Le donne, cariche di gioielli vistosi, portavano sgargianti abiti da sera. Anche fra gli uomini c'era chi indossava abiti con paillette, e qua e là spuntavano costumi più adatti al carnevale che a un funerale. Un gruppo di suonatori e un tipo sui trampoli salirono sul camion. Accanto alla bara c'era una sedia, alta e dorata. Malcolm, vestito col suo abito da cerimonia, era seduto su quella specie di trono e indicava il centro della folla. La calca si aprì intorno a Riker, solo e fuori posto nel suo abito grigio.