173931.fb2 La Bambina Dagli Occhi Di Ghiaccio - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 10

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8

La luce del mattino inondava l'ufficio. Charles pensò che la temperatura della stanza fosse scesa di qualche grado dall'ultima volta in cui vi si era affacciato. Per il resto, niente era cambiato. Mallory continuava a evitare di posare gli occhi sulla marea di fogli appuntati alla parete di sughero: era terribilmente ordinata, il genere di persona che raddrizza i quadri in casa d'altri. Era seduta davanti ai computer, le tre macchine ronzavano mentre sfogliava le pagine del taccuino di Louis Markowitz. L'unico rumore umano era quello prodotto dalle scarpe di Lars Geldorf che camminava avanti e indietro per la stanza.

Impaziente di cominciare la giornata, il detective in pensione si tolse la giacca e allentò la cravatta. Inutilmente. Ogni tanto Mallory alzava gli occhi e lo vedeva vagare per la stanza, la sua stanza, ispezionando gli scaffali metallici coperti di aggeggi elettronici. Geldorf ostentava un sorriso falso, annuiva con aria competente, anche se non aveva idea dell'utilità di tutte quelle macchine. Erano nuove, lui era vecchio.

Mallory abbandonò la sedia e raggiunse la parete di sughero con le istantanee del delitto. Charles percepì la tensione sul suo volto. Combatteva una piccola guerra interiore, frenava l'istinto di ordinare ogni pezzo di carta in maniera perfetta.

Lars Geldorf le si avvicinò e Charles capì il significato di quel silenzio. Mallory insegnava al vecchio chi comandava. La gerarchia doveva essere ben chiara e Geldorf non avrebbe mai più dovuto chiamarla tesoro. Ma evidentemente quell'uomo le piaceva. Stava usando con lui i suoi modi più gentili.

Ingrandimenti e sotto le Polaroid. «È tutto qui?»

«Affermativo» disse Geldorf. «E allora?»

«Dove sono gli originali?»

«Sono tutti orginali, tesoro.»

«Mallory» lo corresse lei.

«E se ti chiamassi Kathy?»

«Te lo sconsiglio. Mallory può bastare.» Era una minaccia. «Non c'era il fotografo della polizia sulla scena del delitto?»

«Sì, un civile, ma è durato poco.» Geldorf sfiorò le fotografie della donna impiccata, morta da due giorni nella calura di agosto, un'incubatrice di vermi. «Il fotografo si è sentito male e ha fatto cadere la macchina. Non siamo più riusciti a farla funzionare, così ne abbiamo presa una in prestito dal vicino.»

Mallory fissava la foto della corda che pendeva dal lampadario. «Cos'è quella macchia scura sul soffitto?»

«Scarafaggi affamati all'ora di pranzo» rispose Geldorf. «Gli scarafaggi hanno un debole per le cose unte, e qui…» Con le dita ossute indicò un'altra fotografia con una grossa macchia scura sul pavimento della cucina. «Scarafaggi all'assalto di una padella.» Strizzò gli occhi. «Vedi quella roba sul pavimento? Sono salsicce. E altri scarafaggi. Il lampadario della cucina era sul punto di cedere. Vedi l'intonaco? Stava crollando. Probabilmente avevano fatto il nido lassù. Ti mostro gli altri ingrandimenti.»

Geldorf le indicò il materiale raccolto dal medico legale. Esaminò una fotografia con un nugolo di mosche.

«Charles, cosa ne hai fatto delle fotografie degli scarafaggi?»

«Sono appese sotto quelle dei vermi. Mi sembrava l'unico posto sensato.»

«Di che diavolo state parlando?» Mallory non comprendeva quel tipo di logica.

Fu Geldorf a rispondere: «Le mosche sono gli unici insetti utili, sul luogo del delitto intendo. Gli scarafaggi non dicono nulla.»

«Giusto» disse Charles. «Per questo li ho appesi sotto…» Non c'era bisogno di aggiungere altro. Mallory aveva smesso di ascoltare. Si guardava le unghie. Forse aveva trovato un lieve difetto, e la manicure aveva la precedenza sull'entomologia. A quel punto alzò gli occhi: «Se avete finito, io metterei gli scarafaggi in primo piano».

Charles spostò la fotografia delle mosche con le larve e Mallory osservò gli ingrandimenti degli scarafaggi che sbucavano dal soffitto e scendevano lungo la corda diretti verso il cadavere. La fotografia che catturò la sua attenzione era quella del grembiule della vittima, dove una macchia rettangolare aveva attratto alcuni insetti.

Geldorf si avvicinò al muro. «Sembra quasi che nella colluttazione, abbia lasciato cadere la padella cospargendo il pavimento di grasso. Quella sera avevano tolto la corrente, così…»

«Non può essere…» Mallory osservò la padella appoggiata al muro accanto alle altre prove, poi indicò la fotografia del grembiule. «Questo non è uno schizzo d'unto.»

Charles sapeva che stava citando a memoria gli appunti del taccuino di Louis Markowitz: non è uno schizzo. Louis riteneva questo dato importante, al punto da sottolinearlo, ma non diceva perché. I bordi del rettangolo erano ben definiti: non poteva essere il grasso di cottura schizzato sul grembiule.

Mallory si rivolse a Geldorf: «Natalie stava cucinando, forse aspettava qualcuno. Hai interrogato i suoi amici?».

«Non ne aveva» disse Geldorf. «Quando era sposata il marito non le permetteva di lavorare. Non le dava soldi, così lei era quasi sempre a casa. Anche dopo il divorzio probabilmente non ha conosciuto nessuno.» Osservò l'ingrandimento delle salsicce sul pavimento. «Forse stava cucinando per sé.»

Charles notò lo scetticismo di Mallory, poi contò le salsicce. Quell'estate spesso toglievano la corrente e sicuramente il frigorifero ne risentiva: Natalie Homer era una donna sola, non avrebbe mai comprato tanto cibo solo per sé. Chi stava aspettando? Si rivolse a Geldorf. «Natalie non aveva rapporti con la sua famiglia d'origine, vero?»

«Sì» disse Geldorf. «Un anno dopo il matrimonio, la sorella ha smesso di parlarle. Ma questo non c'è nel rapporto, come lo sai?»

«È tipico delle donne maltrattate. Dipendenza, isolamento.» Charles si voltò verso Mallory. «Probabilmente il marito la picchiava.»

«Indovinato» disse Geldorf. «Almeno, così mi ha detto Natalie.»

Il tono di Mallory si fece sospettoso: «Hai parlato con lei?».

«Certo che l'ho fatto. Due, anche tre volte alla settimana.»

«Ieri sera ti ho detto che qualcuno la seguiva.» Charles si portò al centro della parete e indicò dei fogli. «Queste sono le denunce.» Le staccò dalla parete. Erano cinque.

«Tutto cominciò subito dopo il divorzio.» Geldorf si allungò per prendere una spessa busta che giaceva in mezzo alle altre prove. «Qui ci sono le altre.»

«E dopo che è morta?» Mallory fissava la busta. «Tutte queste denunce e non avete trovato l'uomo che la seguiva?»

«Non è mai riuscita a vederlo in faccia» disse Geldorf. «La prima volta abbiamo pensato che fosse paranoica. Voglio dire, certo che gli uomini la seguivano, era piuttosto attraente…»

Nessuna delle immagini appese al muro poteva confermarlo. Natalie, da morta, era soltanto una maschera grottesca.

«Era bellissima.» Geldorf si piegò sullo scatolone che aveva portato quel mattino. Da un sacchetto di carta estrasse un plico di fotografie. «Non mi sembrava che queste c'entrassero con le prove.» Sollevò il ritratto di una donna sorridente con lunghi capelli biondi. Gli occhi di Natalie erano grandi e azzurri.

Mallory appese con estrema precisione le fotografie alla parete, tutte alla stessa distanza. «Queste foto sono state scattate da un professionista.»

Anche Charles era d'accordo. La luce era perfetta, e lei sembrava in posa davanti all'obiettivo.

«La pista del fotografo non ha portato da nessuna parte» disse Geldorf.

Mallory non aprì la busta delle denunce. Si limitò a saggiarne il peso. «Natalie deve aver trascorso parecchio tempo alla centrale. Molto tempo. Quando vi siete convinti che non era paranoica? E cosa avete fatto a quel punto?»

«Abbiamo cercato l'ex marito e gli abbiamo detto di stare lontano da lei. Era un tipo ostinato, non ha mai ammesso nulla.»

«E dopo l'omicidio?»

«L'abbiamo interrogato, ma aveva un alibi. Era ad Atlantic City, a sposare la seconda signora Homer. Si chiamava Jane. Non hanno mai lasciato la stanza, a sentire quelli dell'albergo. Ma quanto costa comprarsi un alibi da una cameriera? E la dichiarazione della seconda moglie, Jane, non ha alcun valore. Sposati da due giorni, e il bastardo era già riuscito a intimidirla.»

Mallory non lo ascoltava più, fissava la parete. Poi prese una busta di plastica appesa al muro e cominciò a leggerne il contenuto.

«Sono sette messaggi» spiegò Geldorf. «Tutti uguali. Natalie li trovava sotto la porta di casa quando tornava dal lavoro. Fai attenzione, tesoro…» disse, vedendo che Mallory estraeva i fogli dal sacchetto. «Quella carta è molto fragile e le scritte sono in matita.»

Charles aspettava la reazione di Mallory, ma lei continuò a fissare il foglio, ipnotizzata dalle parole: Oggi ti ho toccato.

Le mani in tasca, impettito, Geldorf guardava le fotografie del luogo del delitto. «Il fotografo che ha fatto cadere la macchina non è stato l'unico a sentirsi male, quella notte. Anche l'agente che ha trovato il corpo, un ragazzo, non ricordo se si chiamava Parris o Loman…»

Mallory smise di leggere. Ora Geldorf si era guadagnato la sua attenzione.

Geldorf continuò: «Non siamo più riusciti a farlo entrare nell'appartamento. Un'ora dopo, alla centrale, stava ancora battendo i piedi per terra per liberarsi dagli scarafaggi. Se li sentiva addosso… E quell'odore terribile, non potete immaginare. Ma sapete qual era la cosa peggiore? Il ronzio. Lo si sentiva già sul pianerottolo, ma quando ho aperto la porta, era talmente forte… C'erano migliaia di mosche». Chiuse gli occhi: «Ancora adesso, le sento ronzare. Tutte quelle mosche, migliaia e migliaia…».

Il sergente Riker entrò nell'ufficio con i sacchetti della colazione. «Mi sono perso qualcosa?»

Riker attirò Geldorf in cucina con la promessa di panini e caffè. Dopo aver posato le borse sul tavolo, frugò nei sacchetti alla ricerca di un toast con pancetta e uova. Era talmente unto da provocare un infarto solo a guardarlo. Sistemò i pacchetti su una tovaglia rosa, l'unico vezzo in quella cucina ipertecnologica.

Dopo aver trascritto il numero di telefono del negozio, lo passò a Geldorf. «Perdi questo e morirai di fame.» Mentre lui e Mallory lavoravano segretamente al caso di Sparrow, Geldorf avrebbe dovuto badare a se stesso.

«Perché non è andato Deluthe a prendere da mangiare? A cosa serve un assistente?»

Geldorf sorrise. «Mallory l'ha spedito alla ricerca dei fascicoli personali sul conto dei poliziotti presenti sulla scena del delitto Homer.»

«Questo dovrebbe tenerlo occupato.» Il minimo che poteva capitare a una recluta era passare le ore in coda agli uffici. Diede una tazza di caffè a Geldorf. «So che da sei anni ti dedichi a casi irrisolti. Il lavoro ti manca, vero?»

«Vero, e mi piace tenere…» Geldorf guardava la porta della cucina, poi si irrigidì. Riker intuì che era arrivata Mallory. Ogni volta che lei entrava in una stanza, anche Duck Boy reagiva allo stesso modo.

Mallory posò dei documenti vicino alla tazza di caffè. Riker sfogliò le denunce. Natalie Homer era stata una frequentatrice assidua della centrale di polizia. Proprio come Kennedy Harper.

«È passato del tempo fra queste due denunce» disse Mallory mostrando due moduli all'ex poliziotto.

«Il pervertito le ha dato un po' di respiro, ma due settimane dopo, eccolo di nuovo. Da quel momento ha cominciato a trovare i biglietti sotto la porta e a ricevere telefonate: ma non le parlava, e niente rantoli o roba del genere. Credo che volesse solo ascoltare la sua voce» disse Geldorf.

Riker pescò nelle tasche fiammiferi e sigarette. «L'ex marito era in città in quelle due settimane?»

«Sì, non è mai mancato al lavoro, neanche un giorno, lavorava in un ufficio postale. Ma secondo me era colpevole.»

Riker prese una sigaretta dal pacchetto malconcio. «Quindi non hai seguito altre piste…»

«È stato Erik Homer, non c'è dubbio» insistette Geldorf. «Se solo quel bastardo non avesse tirato le cuoia un anno dopo l'omicidio. Un attacco di cuore.»

Mallory posò sul tavolo un altro documento. «Questa è la dichiarazione dell'ex marito. C'è solo una riga sul figlio di Natalie. Quanti anni aveva il bambino quando è morta?»

«Sei o sette. Il padre aveva la custodia. Dopo il divorzio Natalie non ha più potuto vedere suo figlio.»

Gli occhi di Mallory incrociarono quelli di Riker. Lui annuì, stavano pensando la stessa cosa: il figlio di Natalie adesso doveva avere ventisei o ventisette anni. L'età più probabile per un serial killer. Il detective accese la sigaretta e guardò la spirale di fumo che si avvicinava al soffitto. «Dov'è adesso il ragazzo?»

Geldorf scosse la testa. «Dopo la morte del padre, la matrigna lo ha affidato alla sorella di Natalie, una donna intrattabile, che detesta i poliziotti. Infatti non ha collaborato.»

«Non mi stupisce che ce l'abbia con la polizia.» Riker cercò sul bancone qualcosa da utilizzare come portacenere. «Tutto questo tempo e neppure un indizio sull'omicidio della sorella. Non posso biasimarla.»

«D'accordo» disse Geldorf. «Ma la sorella di Natalie non ha mai preso il bambino in custodia, credo che l'abbia rifilato a qualche altro parente. Le ho chiesto di dire al ragazzo che non avrei mollato. Poi l'ho lasciata in pace.»

Riker guardava Mallory. Pensava anche lei la stessa cosa? Lars Geldorf aveva creato un serial killer.

Il vecchio Geldorf rivolse un ghigno prima all'uno, poi all'altra. «So cosa avete in mente. Credete che il ragazzo sia cresciuto con idee malsane in testa, che sia lui l'assassino di Sparrow.» Scosse la testa. «E come avrebbe scoperto i dettagli? Solo l'assassino poteva rivelargli di quella ciocca di capelli in bocca. Francamente, non mi vedo Erik Homer che confida una cosa del genere al figlio.»

Mallory avvicinò la sedia al tavolo. «Quindi non hai mai parlato con il ragazzo.»

«No, non ce n'era bisogno.» Geldorf si alzò dalla sedia. «Torno subito.»

Quando la porta del bagno si chiuse, Mallory diede a Riker la dichiarazione, vecchia di vent'anni, sul caso Natalie Homer. Era controfirmata da una recluta di nome Harvey Loman. «Come si chiama il tenente Loman? Harvey?»

Prima che Riker potesse rispondere Cristo, sì che si chiama Harvey, Charles comparve nella stanza: «Ho scoperto perché Natalie si era fatta fare quelle foto. Per il suo book». Diede a Riker la fotocopia di un articolo di giornale. «L'ho trovato in biblioteca, è l'unico pezzo in cui si parla della morte di Natalie Homer.»

I giornalisti non si erano certo sforzati a trovare un titolo originale: Suicidio. Riker saltò le prime righe e lesse l'articolo in un fiato. «Natalie Homer lavorava come cameriera in un bar dalle sei fino alla chiusura. Tutti i mercoledì pomeriggio andava agli spettacoli di un teatro di Broadway e imparava a memoria le battute. Era troppo povera per permettersi dei corsi di recitazione, così ha riferito la sua padrona di casa. Per il resto trascorreva le sue giornate tra un'agenzia teatrale e l'altra, ma non le hanno mai assegnato una parte. Ogni giorno, ricordava a se stessa che era ancora viva e ancora decisa a farcela a New York. Secondo la padrona di casa, era una ragazza molto determinata, una che lavorava sodo, sempre stanca. L'hanno trovata alla fine di una giornata come tante, appesa a una corda.»

Mallory aspettava il detective Janos all'indirizzo che le aveva fornito, insieme alla promessa che lo avrebbe trovato interessante. Janos non aveva voluto aggiungere altri dettagli in presenza del tenente Coffey. Accanto all'edificio c'era un cantiere polveroso con una toilette mobile grande più o meno quanto una bara. Una truppa di bambini era in coda davanti alla porta. Una donna dall'aspetto affaticato ringraziò i muratori. I ragazzi facevano una "pausa gabinetto" durante una passeggiata naturalistica nei dintorni dell'East Village, nonostante la flora fosse limitata a pochi alberi spelacchiati, mezzi morti per il caldo, l'inquinamento e gli escrementi. La fauna non offriva molto di più: uno scoiattolo morto e un piccione che zoppicava sul marciapiede. I bambini rimasero impressionati dalla stazza e dall'espressione brutale del detective della Omicidi. Ridacchiavano, puntando le dita come pistole, e per gioco si facevano scudo l'un l'altro.

«Salve, Mallory.» Il detective Janos la raggiunse davanti alla porta di un magazzino convertito in un cinema-teatro d'essai. «Avevi ragione. Tutti vogliono entrare nel mondo dello spettacolo. Kennedy Harper faceva il turno serale, così aveva la giornata libera per le audizioni.»

«Aveva un agente?»

«Non ne aveva bisogno. In città trovi audizioni pubbliche a ogni angolo.» Le diede una pagina strappata da una vecchia copia di «Backstage». «Heller ha trovato un foglio come questo nella spazzatura, un foglio strappato. Forse l'audizione non era andata troppo bene.» Passò a Mallory un giornale arrotolato. «Questo è l'ultimo numero.»

Le pagine centrali riportavano date e indirizzi di audizioni diverse. «Ce ne sono almeno cinque al giorno.»

«No, se togli gli indirizzi fuori città e le chiamate per cantanti e ballerini, ne rimangono al massimo due. Sono appena stato a un'audizione. C'erano quasi cento attori in coda su Spring Street. Credo che l'assassino abbia trovato in questo modo Sparrow e Kennedy. Tra le persone in coda ha scelto le bionde che gli piacevano di più.»

«Tre su tre» commentò Mallory. Natalie Homer, Kennedy Harper e Sparrow: tutte e tre aspiranti attrici.

«Sì, e credo tu abbia ragione a voler lavorare su tutti e tre i casi in contemporanea, ma Coffey non te lo permetterà. Il capo crede sia meglio lavorare sui delitti recenti. Diventerebbe una belva se scoprisse che sono stato qui.» Ciò che Janos intendeva era piuttosto chiaro: non ci sarebbero stati altri incontri clandestini. Si voltò verso la finestra malandata dell'Hole in the Wall Theater. «Un attore nello spettacolo di Sparrow ci ha suggerito di venire qui. Proiettano il video della prova generale a cui ha partecipato anche lei.»

Grazie a un piccolo poster scritto a mano, Le tre sorelle di Čecov aveva un nuovo titolo, La prostituta impiccata. A fianco del cartellone c'era la pubblicità: le prime pagine dei giornali scandalistici che parlavano del caso Sparrow.

Sei famosa Sparrow, ce l'hai fatta.

A questo punto poteva anche morire.

Janos tornò alla macchina e Mallory pagò i tre dollari d'ingresso, poi oltrepassò una tenda ed entrò in una stanza buia che puzzava di fumo e sudore. C'erano una ventina di sedie, ma soltanto due persone guardavano lo schermo. Un uomo si alzò dalla sedia borbottando: «Che razza di boiate…». Non si aspettava certo che La prostituta impiccata fosse un classico. Forse si aspettava qualcosa di forte, nudità, indecenze. Un secondo uomo lo seguì fuori dalla stanza, anche lui aveva un'aria offesa.

Adesso Mallory era sola, e un osservatore attento avrebbe riconosciuto subito la sua espressione: era quella di una bambina ostinata. Sedeva composta, gli occhi incollati allo schermo, concentrata. Aspettava Sparrow. Aveva aspettato per anni.

Una vecchia apparve sul palcoscenico in compagnia di una giovane attrice, molto diversa dalla ragazza in coma all'ospedale. La voce che Mallory udì, suonava familiare.

Sparrow indossava quel costume quando l'avevano trovata appesa al soffitto. L'accento del Sud era scomparso e un bravo chirurgo l'aveva ringiovanita, fin troppo, per la parte di Olga. Erano passati anni dall'ultima volta in cui Mallory l'aveva osservata con attenzione. Ora notò un altro cambiamento, qualcosa che non dipendeva dagli interventi di chirurgia plastica. Sparrow era illuminata dall'interno, un fuoco nuovo. Perfino gli occhi erano tornati quelli di una volta, chiari, brillanti, gli occhi di qualcuno che vede il mondo per la prima volta. Ricominciava, una nuova giovinezza. La notte che l'aveva incontrata per la prima volta, Sparrow era così.

Quanti anni potevo avere, Sparrow? Otto? Nove?

Era inverno, una improvvisa tempesta di neve, e Kathy Mallory, febbricitante, si era rifugiata in una cabina telefonica. In tutta New York, era l'unica cabina che avesse una porta adatta a proteggerla dalla neve. Aveva inserito una moneta nella fessura, niente più che un'abitudine, un rituale al quale si aggrappava.

A mille miglia di distanza, anni prima, una donna morente le aveva scritto un numero di telefono sul palmo della mano. Alla fine di quella giornata terribile solo le ultime quattro cifre erano ancora leggibili. E Kathy aveva obbedito, anche molto dopo che la madre era morta. Ormai aveva dimenticato la ragione di quelle telefonate, ma continuava a inventare numeri per rimpiazzare i tre che mancavano. Ogni volta che rispondeva una voce femminile, la bambina pronunciava le parole di rito: Sono Kathy, mi sono persa. Non conosceva le donne che rispondevano al telefono, e anche quella notte una voce femminile all'altro capo del filo aveva gridato: Dimmi chi sei. Come posso…

Click. Un altro legame spezzato, un'altra donna in lacrime. Un'altra speranza infranta.

Aveva la febbre alta, le tremavano le mani mentre infilava le ultime monete, un'ultima chiamata: Sono Kathy, mi sono persa.

Fra mille donne, solo Sparrow aveva risposto: «Dove sei piccola? Vengo a prenderti». Quella donna aveva il dolce accento del Sud, sembrava la voce di sua madre.

Solo la speranza aveva impedito a Mallory di scivolare nel sonno e morire mentre aspettava che quella donna venisse a prenderla. Le si chiudevano gli occhi quando aveva visto un'ombra avvicinarsi al vetro appannato della cabina. Sparrow correva in suo aiuto sotto la neve. Aveva raccolto la bambina tremante, l'aveva avvolta nella pelliccia sintetica e nel calore del suo corpo profumato. Kathy aveva pensato che la mamma fosse tornata per riportarla a casa, che il suo incubo fosse terminato, per sempre. Quella notte, la tempesta di neve, la testa poggiata sul petto tiepido di una puttana: il momento più bello che Mallory ricordasse.

«La vita non è ancora finita» disse l'attrice sullo schermo.

Si soffocava dal caldo nel piccolo cinema, eppure Mallory rimase al suo posto fino alla fine, nell'oscurità più totale, aspettando di rivedere il video dall'inizio. Per continuare ad alimentare il suo odio nei confronti di Sparrow.

Riker aveva già fatto richiesta perché i due casi confluissero in un'unica inchiesta, ma aveva perso. Avrebbe preferito che se ne occupasse Mallory… Ma non si era ancora presentata. Arrivare in ritardo a un appuntamento non era da lei. Era ossessionata dalla puntualità.

Indossava ancora gli occhiali da sole quando entrò nell'ufficio di Jack Coffey e prese una sedia senza che nessuno la invitasse a sedere. Riker sorrise pensando che l'avesse imparato da lui.

Il tenente Coffey si allungò sulla sedia, guardando l'orologio per sottolineare il suo ritardo. «Riker mi ha detto che lo spaventapasseri ha un debole per le donne bionde, aspiranti attrici.»

«Proprio così. Le vittime sono tutte sosia di Natalie Homer.» Mallory sembrava annoiata. Afferrò un giornale dalla pila ammucchiata in un angolo del tavolo. «Il caso Homer è il punto di partenza per le impiccagioni dello spaventapasseri.»

Il tenente non abboccava, ma il gioco non era ancora finito. Rimase in silenzio, aspettando che Mallory continuasse. Poi cedette e parlò per primo. «Lo spaventapasseri sta copiando il delitto di Natalie Homer, e lo copia male» disse il tenente. «Evidentemente, non è mai stato sulla scena del delitto.»

«Io dico che c'è stato.» Mallory abbassò gli occhiali da sole per osservare un articolo che la interessava.

«Troppe cose non quadrano» disse Coffey. «Tutte quelle candele, il cappio diverso… Sono convinto che lo spaventapasseri non abbia mai visto la scena.»

«Non sono d'accordo» disse una voce con tono amichevole. Coffey ruotò la sedia e si ritrovò a fissare quell'uomo alto la cui testa sfiorava lo stipite della porta. Mal interpretando lo sguardo di sorpresa del tenente, Charles Butler ricambiò lo sguardo e chiese: «Sono in anticipo?».

Il tenente, con tutta probabilità, si chiedeva per quale motivo un civile fosse stato invitato a partecipare alla riunione. Riker si preparò ad assistere a una sfuriata del capo. Mallory l'avrebbe lasciato fare e poi avrebbe sganciato la bomba: la presenza del tenente Loman sul luogo del delitto di Natalie Homer.

Non c'erano sedie libere e Charles Butler, con la sua altezza, faceva sembrare persone e mobili innoque miniature. Si appoggiò alla parete, sperando così di apparire più piccolo. «Le incongruenze sono comprensibili.»

Il tenente sorrideva, con poca convinzione. «Dunque sei d'accordo con Mallory?»

Che sorpresa.

«Del tutto d'accordo» rispose Charles. «Lo spaventapasseri si basa su ricordi di vent'anni fa, probabilmente distorti. Se non altro ha un'idea di quante mosche c'erano sulla prima scena del delitto. Se ho capito bene, le ha portate in un barattolo.»

Coffey squadrò Mallory accusandola di aver violato il segreto d'ufficio, ma prima che potesse aprir bocca, Mallory disse: «È il nostro consulente psicologico. So quanto detesti lo strizzacervelli del dipartimento».

Il tenente annuì. Lo psicologo ufficiale della Crimini Speciali era un vero incompetente, che oltretutto stava antipatico a tutti. Un anno prima aveva offerto quel lavoro a Charles Butler, per poi scoprire che la città di New York non poteva permettersi uno psicologo con più di una laurea. «Peccato che non possiamo permettercelo.»

«Non è un problema.» Mallory tornò ad armeggiare con il mucchio di giornali. «Non può guadagnare altri soldi questo semestre.»

«Giusto» disse Charles. «Per via delle tasse. Sono a vostra totale disposizione, gratis.»

Tanta disponibilità insospettì il tenente.

Mallory piegò l'ultimo giornale della pila. «Qui non c'è niente su Kennedy Harper, e i giornalisti continuano a parlare di gioco sessuale a proposito di Sparrow. Come se si fosse trattato di un incidente. Charles pensa che questo spingerà lo spaventapasseri a commettere altri omicidi. Potrebbe succedere in qualsiasi momento.»

Riker capì che quell'opinione era una novità per il consulente psicologico. «Chiunque legga i giornali penserà che a essere in pericolo siano solo le prostitute» disse. «Dobbiamo organizzare una conferenza stampa.»

«D'accordo» disse Coffey. «Sportivamente, daremo alle aspiranti attrici almeno una possibilità di salvare la pelle.» Si voltò per guardare il regalo che gli aveva fatto Kathy Mallory, il consulente Charles Butler. «Diciamo che hai ragione sullo spaventapasseri, diciamo che è incazzato. Perché allora non chiama la stampa e non racconta come stanno veramente le cose?»

«È una mia impressione, ma credo che voglia mettere alla prova la polizia.»

«E sta già puntando la sua prossima vittima» disse Mallory. «Non c'è tempo da perdere.»

Coffey scosse la testa. «Non possiamo gettare nel panico tutte le donne bionde di New York, solo quelle che corrispondono al profilo delle vittime, e non dobbiamo accennare alla stampa del caso di Natalie Homer.» Si voltò verso Charles Butler. «Altre idee sullo spaventapasseri?»

«Io credo che fosse molto legato a Natalie Homer. Ha ripetuto il suo omicidio due volte.»

«Può darsi, ma è solo una teoria.» Coffey si rivolse ai detective: «Io metto Gary Zappata sulla lista dei sospetti».

Il pugno di Mallory si abbatté sul bracciolo della sedia. «Cosa diavolo…»

«Detective Mallory.» Il tenente sollevò la mano per zittirla. «Lo sapevi che suo padre era un detective? Proprio così, e anche Zappata voleva diventarlo.» Coffey si voltò verso Charles. «E quasi riuscito a farsi licenziare. Per questo il sergente Bell gli ha suggerito di entrare nei pompieri, nella squadra del capo. Così avrebbe potuto portare una pistola e giocare al detective.»

Riker annuì. Era tipico di Bell: cercare di farsi amico un poliziotto psicopatico.

«L'altra notte,» disse Coffey «Zappata è comparso sulla scena del delitto e ha preso in mano la situazione.»

Le unghie rosse di Mallory tamburellavano sul bracciolo. «Sicché Zappata impiccherebbe le donne per fare carriera.»

«Lasciami finire, Mallory.» Non era una richiesta. Coffey le stava ordinando di tapparsi la bocca. «Era presente anche sulla scena del delitto Harper. La sua faccia spicca tra la folla nelle fotografie.»

«Avrà intercettato la radio della polizia» disse Riker.

Il tenente lo ignorò. Si rivolse a Butler: «Dopo che ebbe lasciato la polizia fu giudicato capace di tornare armato di fucile per vendicarsi degli ex colleghi. Questo ti aiuta a inquadrare il personaggio». Coffey frugò tra le carte sul tavolo finché non trovò il rapporto che voleva. «Zappata è entrato in servizio nel momento in cui il pronto intervento riceveva la chiamata a proposito di Sparrow. La caserma dei pompieri si trova a due isolati dalla scena del delitto. Sono sorpreso che il loro cane non abbia fiutato l'incendio prima.»

«Stai dicendo che l'avrebbe impiccata e poi si sarebbe fatto due isolati di corsa fino alla caserma per crearsi un alibi?»

«Sì, Mallory.» Coffey fece una pausa, per sottolineare che qualunque forma di sarcasmo poteva essere considerata insubordinazione. «Quel nodo e una morte lenta gli hanno fatto guadagnare del tempo. Ma voleva che morisse.» Si voltò di nuovo verso Charles. «Secondo il rapporto dei colleghi, ha ostacolato gli altri pompieri che volevano tirare giù Sparrow.»

Riker osservò Mallory. «Potrebbe essere.» Ma in realtà intendeva: Vacci piano, o non riuscirai a far unificare i casi. Quando avrebbe tirato fuori la faccenda di Loman? La rivelazione le avrebbe fatto guadagnare l'attenzione del capo. Incrociò lo sguardo di Mallory, ma lei scosse la testa, poi si voltò verso Coffey. «Come avrebbe fatto Zappata a scoprire i particolari di un delitto di vent'anni fa?»

«Potrebbe avergliene parlato suo padre» disse Coffey. «Considera tutti i dettagli che non quadrano. Sapeva che c'erano delle candele, ma non sapeva quante. Sapeva che c'era un cappio, ma non sapeva di che tipo. Informazioni di terza mano. Vent'anni fa il padre di Zappata può aver avuto qualche contatto con uno dei poliziotti coinvolti. Stiamo verificando…»

«Non c'è stato nessun incendio nell'appartamento di Kennedy Harper. Se Zappata fosse…»

«Forse stava facendo pratica, Mallory. O forse conosceva quella donna. Supponi che abbia ucciso Sparrow solo per sviarci…»

«No» disse Mallory. «Tu vuoi che sia lui. Neanche a me piace quell'idiota, ma c'è un problema con la tua teoria. Sparrow avrebbe potuto metterlo al tappeto con un coltello da cucina.» Pronunciò la frase con una punta di orgoglio verso la sua vecchia nemica. «Anche senza un'arma, quella donna avrebbe potuto fargli molto male. È un osso duro.»

Riker poteva testimoniarlo. Era difficile mettere paura a Sparrow. Era sopravvissuta a un accoltellamento che avrebbe ucciso una donna meno tenace. Quindici anni più tardi dimostrava di essere ancora dura a morire.

A dispetto di quanto dichiarato dal suo medico, era sopravvissuta un'altra notte.

Jack Coffey sorrideva a Mallory: cattivo segno, sempre. «Allora perché Sparrow non ha fatto fuori l'assassino. Non lo sai? Te lo dico io. L'ha aggredita al buio, la lampadina sopra la porta era svitata.»

Riker si guardò le scarpe. Sapeva cosa sarebbe successo. Aveva dimenticato di dirle…

«Ancora una cosa» disse Coffey. «Riker ha richiamato la Scientifica perché rilevasse le impronte sulla lampadina: c'erano quelle di Zappata.»

Riker guardò Mallory. Sorrideva e scuoteva la testa. «E con questo,» disse «non è certo strano trovare le impronte di un pompiere sul luogo di un incendio.»

Bel colpo. Elegante, semplice. Non rimaneva che far incidere il suo nome sulla coppa del vincitore, ma il capo sorrise e disse: «Questa è la mia proposta. Teniamo il movente in sospeso, e anche i sospetti. Ma tu e Riker continuate a occuparvi del caso di Natalie». Allargò le mani come per dire: "Vedete, sono un uomo giusto e leale".

Riker sapeva che Coffey non avrebbe cambiato idea, ma sapeva anche che avrebbe passato la giornata a rimuginare. E se Mallory avesse avuto ragione? Se il killer si stesse preparando a colpire di nuovo?

Mentre sua madre sorseggiava una bibita insieme a un'altra mamma, il bambino si era allontanato, attirato dal ronzare delle mosche intorno al bidone dell'immondizia. Si prese un bello spavento scoprendo quella specie di macchia nera che si muoveva freneticamente sopra qualcosa di piccolo e puzzolente. L'erba di Tompkins Square gli faceva il solletico alle ginocchia. Si chinò per osservare gli insetti ronzanti: cosa stavano mangiando? Forse la loro preda era ancora viva. Il bambino spostò la carne marcia aiutandosi con un bastone. Era un'operazione difficile, la preda era viscida, sicuramente morta. Un po' deluso, continuò a guardare l'ammasso vibrante di zampe, ali, corpi neri e lucidi. Il ronzare degli insetti era infernale, eccitante. Poi il bambino notò un uomo in jeans e cappello da baseball seduto sulla panchina. Non si muoveva. Sembrava morto, come la carne sotto le mosche, ma nessun insetto gli ronzava intorno. Il bambino si avvicinò alla panchina e sentì odore di insetticida. Quel borsone grigio posato per terra conteneva la roba che usava sua madre per ammazzare gli insetti. C'era anche un grosso barattolo di vetro, pieno di mosche. Alcune ronzavano ancora.

Un collezionista.

Bene, adesso il mondo aveva di nuovo un senso. Il bambino collegò l'uomo all'esca di carne putrida nel cestino: in quel modo il collezionista non doveva inseguire le mosche una a una. L'uomo sembrava non averlo notato. Non muoveva gli occhi, restava immobile. Il bambino rimase in attesa di un segno di vita, e dopo un po' decise che era morto stecchito. Per esserne sicuro, gli sfiorò una gamba con il bastone.

Il morto voltò la testa.

Il bambino si mise a gridare. La madre arrivò di corsa, lo strinse a sé e lo portò via. Il bambino, in braccio alla madre, si voltò. Il morto indossava un paio di guanti gialli di gomma, e si era chinato sopra al nugolo ronzante nel cestino spruzzando l'insetticida.

La giovane attrice si era guadagnata un posto a sedere sulla metropolitana infilandosi fra due passeggeri e una valigia. Si preparò al lungo tragitto fino all'East Village. Dopo aver ispezionato la giacca, tolse un lungo capello biondo dal bavero. Il lino azzurro era dello stesso colore di suoi occhi. Era il vestito più costoso che avesse mai avuto. Lo considerava una sorta di portafortuna, anche se non gliene aveva portata granché nelle ultime audizioni. I corpi sudati premevano. Dalla borsa estrasse qualche cartolina e scrisse le solite bugie settimanali alla madre e alla nonna. Prese in prestito una frase scritta su un manifesto pubblicitario appeso ai finestrini, New York è un festival estivo…

Qualcuno la urtò con una sacca di tela.

«Stia attento!» sbraitò da brava newyorkese. Poi alzò lo sguardo e vide i jeans sbiaditi di un uomo a pochi centimetri dalla sua faccia. Puzzava d'insetticida. Abbassò lo sguardo sulle cartoline e scrisse: Amo questa città.

Voleva tornare nell'Ohio.

L'anno precedente si era aggiudicata il lavoro di tutte le aspiranti attrici: cameriera in un fast food. Era stata un'amara sorpresa per la madre e la nonna, entrambe cameriere sedotte e abbandonate da qualche camionista. La nonna aveva risparmiato per mandarla a New York, dove i ristoranti per camionisti non esistevano. Sua madre, le spediva le mance.

L'aria condizionata non funzionava, e l'attrice odiava gli altri passeggeri che le rubavano ossigeno prezioso. Una donna la fissava con aria truce. Un'altra masticava un hamburger. La carne sembrava pulsare, cipolle e rivoli di maionese sgusciavano dal pane umido, e l'odore di fritto si mescolava a quello di sudore e insetticida. Stella rimise la cartolina nella borsa e iniziò a inventarsi una nuova bugia, questa volta per il suo agente. Come spiegare che un'idiota senza nessuna esperienza le aveva soffiato la parte?

Mancava una fermata ad Astor Place, era vicina a casa. La donna con l'hamburger si alzò lasciando sul sedile una macchia di unto. Nessuno occupò il posto. In quel pigia-pigia alzarsi, e allontanarsi dall'uomo in piedi di fronte a lei si annunciava difficoltoso. Sentì un prurito al braccio. Fece per grattarsi e toccò qualcosa di vivo.

Oh, merda!

Una grossa mosca nera. Anzi, una cascata di mosche che ora le pioveva sulla testa, una piaga di proporzioni bibliche. Incredibile, erano quasi tutte morte. Le poche ancora vive le si arrampicavano addosso, stordite.

Sulle gambe.

No!

A quel punto scattò in piedi, scuotendo i capelli. Le mosche cadevano a terra a manciate. Stella urlò, poi anche gli altri passeggeri. Gli insetti scricchiolavano sotto le scarpe mentre saltava per scrollarseli dai vestiti. Quella danza isterica diventò collettiva. Tutti battevano i piedi, agitavano le braccia. Un passeggero staccò inavvertitamente il biglietto attaccato alla schiena di Stella. Il treno frenò, le porte finalmente si aprirono. Il pezzetto di carta e il suo messaggio sparirono, trascinati via dal tacco di una donna.