173931.fb2 La Bambina Dagli Occhi Di Ghiaccio - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 12

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10

Il caldo era già opprimente di prima mattina e gli abitanti dell'East Village mostravano segni di stanchezza. Era l'ora di punta sulla Prima Avenue. La guida turistica, in piedi accanto all'autista del pullman, indicava i newyorkesi più folkloristici. Ma la maggior parte dei turisti finlandesi si concentrò su uno in particolare. Nonostante quell'uomo indossasse jeans e maglietta, si distingueva dal resto della folla. Il corpo e la testa sembravano di legno, le mani ondeggiavano lungo i fianchi, al ritmo di un metronomo.

Tick, tick, tick.

Portava un borsone di tela grigia, ma il suo peso non intralciava il movimento esatto delle braccia. L'uomo non rallentava per evitare le persone sul marciapiede, seguiva una traiettoria nel suo cervello, una linea retta dove ogni passo era della stessa lunghezza, della stessa velocità.

Erano fermi nel traffico da un'ora, e si annoiavano a morte. L'interprete era malata e la guida turistica americana non aveva ancora capito che nessuno di loro parlava l'inglese. Conoscevano solo la parola turista e qualche insulto sempre utile. Ora erano ammassati su un lato dell'autobus, a guardare l'uomo che camminava come un soldatino meccanico lungo il marciapiede.

Stava per succedere qualcosa.

Il traffico si stava sbloccando, ma il bus procedeva lentamente. L'uomo meccanico svoltò l'angolo e s'incamminò lungo una strada laterale. La maggior parte dei pedoni si scansò, ma due ragazze minute inavvertitamente gli finirono addosso. Attraversando Avenue B, l'uomo prese a calci un cane, ma non intenzionalmente: si era solo trovato sulla sua traiettoria. La padrona del cane lo insulto, e lui la superò senza curarsene. Tagliò la strada al bus e l'autista inchiodò. I passeggeri scoppiarono a ridere. Finalmente qualcosa d'interessante: avevano quasi ucciso una persona. I finlandesi si spostarono dall'altro lato del bus. L'uomo ora camminava sul marciapiede opposto. Prese il cappello da baseball dalla borsa, lo indossò e abbassò la visiera per nascondere la faccia. Poi prese dalla tasca una grande spilla e se la appuntò alla maglietta. Io amo New York. Si fece largo tra i passanti, senza vedere niente, senza sentire nessuno. Tra gli insulti e i gestacci della folla. A quel punto i turisti finlandesi udirono uno scoppio e alcuni si abbassarono per proteggersi. Avevano visto parecchi film in televisione sulle sparatorie di New York.

L'uomo si fermò, e anche l'autobus. Mentre l'autista imprecava contro la gomma bucata, la guida turistica pregò i passeggeri di non allontanarsi. I finlandesi non avevano capito cosa dicesse, ma era chiaro che non avevano alcuna intenzione di muoversi. Dietro gli occhiali da sole, osservavano l'uomo di legno avvicinarsi all'ingresso di un condominio. Una ringhiera delimitava un giardinetto con un'aiuola di margherite. L'uomo si avvicinò alla ringhiera, aprì la borsa e ne estrasse una macchina fotografica. Poi guardò l'orologio.

I finlandesi capirono che anche lui era in attesa. Aspettava che accadesse qualcosa. Aspettarono con lui, senza perderlo di vista in mezzo ai pedoni che si dirigevano verso la metropolitana. Indossavano tutti gli stessi vestiti sportivi, ma l'uomo di legno sembrava non appartenere a quel mondo di persone normali. Guardò l'orologio e i turisti si guardarono l'un l'altro. Non ci sarebbe voluto molto.

L'uomo ruotò tutto il corpo per guardare la porta del condominio, e i turisti si voltarono con lui. La porta si aprì e una donna bionda e slanciata attraversò il giardinetto, muovendosi veloce sui tacchi altissimi. La camicetta era bianca, la gonna azzurra come la giacca ripiegata sul braccio.

La ragazza aprì il cancello e corse sul marciapiede passandosi una mano tra i capelli. Si sbracciò per fermare un taxi.

I finlandesi fissarono quella donna molto attraente, forse una diva della televisione o del cinema. Speravano che fosse un'attrice: era da due giorni che non vedevano una celebrità.

L'uomo si tolse gli occhiali da sole e seguì la bionda. Il sole si rifletté su un oggetto metallico. L'uomo sgusciò tra i pedoni e andò a sbattere contro la ragazza.

Stella urlò: «Fottuti turisti!». I finlandesi restarono interdetti, ma non se la presero. L'uomo puntò la macchina fotografica. Istintivamente Stella si aggiustò i capelli e si mise in posa. A quel punto un taxi si fermò, Stella salì a bordo senza più badare all'uomo di legno.

Lo spettacolo era finito. L'uomo se ne andò. I turisti finlandesi guardarono da un'altra parte, assumendo un'aria contegnosa. A New York bisogna farsi gli affari propri.

Il taxi era intrappolato nel traffico e il nervosismo di Stella aumentava. Bussò sul vetro antiproiettile che la separava dall'autista. Lui non si voltò. Perché avrebbe dovuto? Non parlava inglese, e Stella lo capì quando si mise a gridare: «Niente mancia, sono in un ritardo schifoso».

Il tassista con il turbante annuì, rassicurandola che presto si sarebbero mossi. Era un uomo molto educato, un'altra prova che non fosse nato a New York.

Stella guardò l'orologio per la terza volta, era davvero in ritardo.

«D'accordo, hai vinto!» Sventolò una banconota in modo che il tassista potesse vederla dallo specchietto retrovisore. Pagò la corsa e scese dal taxi a due isolati dall'hotel. La giacca azzurra era piegata con cura sul braccio, così non correva il rischio che un escremento di piccione la insozzasse. Adesso Stella camminava rapidamente sul marciapiede, fendendo la folla. Due donne rallentarono per osservarla, violando una elementare regola di sopravvivenza a New York. Non si fissano le persone. Stella si chiese se l'avessero riconosciuta, dopo tutto aveva avuto una parte in una soap opera.

Continua pure a sognare.

Anche un vecchio signore si fermò a guardarla. Stella gli sorrise.

Sì, sono proprio io, la famosa attrice che non ha detto una sola battuta.

Adesso erano in molti a fissarla. Una coppia di mezza età si fermò e la indicò: bisbigliavano, l'avevano riconosciuta. Quella soap opera era più seguita di quanto pensasse.

Questa gente non ha un lavoro?

Entrò nella hall dell'hotel. Al bancone della reception un ragazzo annoiato non la degnò di uno sguardo e si limitò a porgerle un foglio. Una donna vicino alla porta della sala conferenze leggeva a voce alta un elenco di cognomi. Era arrivata alla lettera R. Stella Small sospirò. L'ordine alfabetico era dalla sua. Era un giorno fortunato.

Si infilò la giacca e si avvicinò al gruppo di aspiranti attrici. Nessuna le prestò attenzione. Gli occhi delle ragazze erano concentrati sul copione. Stella guardò il suo, una riga, sei parole. Che ci voleva a impararle?

Si appoggiò al muro dietro una pianta di felce, lontano dalla calca per evitare che qualcuno stropicciasse o sporcasse il suo vestito portafortuna. Quando chiamarono il suo nome, entrò nella sala e si fermò davanti a un lungo tavolo ricoperto di bottiglie e bicchieri, carte e vassoi. Oltre la tovaglia di lino il regista e il produttore sedevano in compagnia degli assistenti. Non aveva ancora pronunciato la sua battuta, e già tutti la fissavano attoniti, rapiti. Regalò loro il suo sorriso migliore. L'attrice sentì qualcosa di umido che le gocciolava sulla mano. Una spessa striscia di sangue impregnava la manica della giacca. Gocciolava a terra dalla punta delle dita.

«Ma che diav…» Era la battuta sbagliata. Chiuse gli occhi e svenne. La testa picchiò sul pavimento.

Le tende verdi circondavano il letto del pronto soccorso garantendo un po' di privacy alla giovane coppia. Le gambe di Stella Small penzolavano dal bordo del lettino metallico, e il dottore sembrava intimidito mentre le medicava il braccio. La testa del dottore si spostò di lato, improvvisamente distratto da un'ombra dietro le tende. Sembrava la famosa scena di Psycho. La mano che si solleva, poi la tenda spostata di colpo. Il giovane dottore fissava una donna corpulenta con una massa di capelli scuri e un lungo vestito nero che fluttuava come quello di una suora.

Stella aveva sempre sospettato che la sua agente potesse sentire l'odore del sangue anche da lontano. Martha Sutton era una donna formidabile, incline al melodramma e molto più spaventosa di una vera suora.

«Bella entrata.»

«Oh Stella, hai un aspetto magnifico…»

La donna fissò il braccio ferito e le macchie di sangue sui vestiti. Nel linguaggio degli agenti significava pubblicità assicurata.

Il giovane dottore continuò a medicare la ferita. «Non c'è bisogno di punti. È un taglio poco profondo. Non riesco a credere che a provocarlo sia stata una macchina fotografica; anche se ci fosse stato un pezzo di metallo sporgente…»

«Come le ho già spiegato,» lo interruppe Stella «quel turista mi è venuto addosso con la sua stupida macchina fotografica. Ero davanti alla porta di casa, stavo chiamando un taxi…»

«Non lo metto in dubbio.» Il dottore si allontanò dal lettino e disse: «Anche se continuo a pensare che questo taglio sia provocato da un rasoio».

Gli occhi di Martha Sutton s'illuminarono di una luce impercettibile. Sussurrò: «Bella battuta, tesoro, davvero buona».

«Ma è stata una macchina fotografica» protestò Stella.

Martha Sutton indicò un uomo oltre la porta di vetro. «Vedi quel tipo? È un giornalista. Tu vuoi fare carriera, vero?»

«Oh» disse Stella. Due lettere, un mondo di significati. Aveva capito, aveva visto la luce. Ad alta voce disse, in tono drammatico: «Sono stata ferita con un rasoio».

«Così ti voglio» disse Martha Sutton. «Assicurati che il giornalista non sbagli a scrivere il tuo nome.» Fece per andarsene, poi si fermò. «Ti ho fissato un appuntamento per un'altra audizione. Qualcosa di diverso, una stazione di polizia. Ho parlato con un poliziotto di SoHo. Cercano delle attrici bionde: per caso hai una camicia con una grossa "X" sulla schiena?»

Stella annuì. «Qualche bastardo me l'ha rovinata con un pennarello.»

«Splendido, tesoro. I poliziotti lo stanno cercando. Speriamo che non sia successo niente di grave, così con un po' di fortuna vedremo la tua faccia in televisione. Che ne dici? E porta con te quella camicia, farà un grande effetto, te lo giuro.»

«Ma non ce l'ho più» disse Stella. «L'ho buttata nell'immondizia.»

«No, tesoro, non dire così. Adesso guardami negli occhi e dimmi che hai conservato quella camicia.»

Stella capì: non sarebbe stato difficile disegnare una "X" su un'altra camicia.

«Scherzavo. Certo che l'ho tenuta.»

«Così mi piaci…»

Due ore dopo Stella era di nuovo a casa. Si fece una doccia, poi aprì una lattina di birra nella speranza che attenuasse il dolore al braccio. A quel punto, vide un paio di scarpe da ginnastica nascoste sotto un mucchio di vestiti. Scartò l'idea. La sua agente l'aveva riempita di Valium e legare i lacci sarebbe stata un'impresa. Afferrò un paio di sandali da sotto la sedia e si lasciò sprofondare nel divano impolverato. Sfogliò una copia di «Backstage». La pagina delle audizioni non segnalava niente per quel giorno. Eppure le pareva di avere un appuntamento nel pomeriggio. Se l'era scordato. Pazienza. Prese il telecomando e smanettò finché non trovò un programma per bambini. Bene. I cartoni animati non erano impegnativi. Lo schermo del televisore si fece nero, nessun pulsante del telecomando riuscì a farlo tornare come prima. Brutto segno, ma Stella non era completamente demoralizzata, non ancora. Chissà quanto ancora sarebbe durato quel momento di sfortuna?

Qualcosa si stava arrampicando sulla sua gamba. Un mezzo urlo, poi si bloccò e sorrise. Era solo un ragno. Lo scacciò dalla gamba e lo guardò zampettare sul pavimento. Sua madre e sua nonna dicevano sempre che un ragno in casa porta fortuna. Ma quello era davvero troppo grosso. Arrotolò il giornale e spiaccicò il ragno sul pavimento. Si chinò e sollevò la giacca macchiata di sangue. Frugando nelle tasche, trovò un messaggio scritto nella grafia della sua agente. Ecco l'appuntamento, quell'audizione. Lesse l'indirizzo della stazione di polizia di SoHo e l'ora dell'appuntamento. Quel posto era vicino, poteva andarci a piedi, aveva ancora un'ora di tempo.

Il telefono squillò, e Stella ebbe un sussulto. Lasciò che rispondesse la segreteria. La ragazza dell'Ohio era troppo fragile in quel momento per avere a che fare con dei newyorkesi. Fissava la segreteria quando le parole Dipartimento di polizia catturarono la sua attenzione. Sollevò il ricevitore. «Salve, chiama a proposito dell'audizione a SoHo?… No? A Midtown? Pensavo che… Va bene. Mi dispiace, non lo sapevo… Certo che ci sarò.»

Adesso ricordava tutto: Martha l'aveva trascinata fuori dal pronto soccorso, anche se le avevano detto di aspettare l'arrivo della polizia. Se n'era andata in compagnia di un giornalista, la stampa veniva prima della legge. In quale guaio era andata a cacciarsi?

Aveva poco tempo, ma con un po' di fortuna e la collaborazione della metropolitana, sarebbe riuscita a essere puntuale a entrambi gli appuntamenti. Chissà se i colloqui a SoHo seguivano l'ordine alfabetico? Il messaggio di Martha Sutton le ricordava di portare con sé la camicia macchiata. Frugò nell'armadio e nei cassetti. I vestiti erano sparsi ovunque nel piccolo monolocale, e tutti gli sforzi della notte precedente, quando ubriaca aveva dato una ripulita alla stanza, non erano serviti a nulla. Era scoraggiante guardare quel disordine. Si voltò verso la fotografia della mamma e della nonna. Poteva mentire a loro, ma non a se stessa. Stava perdendo il controllo della sua vita.

Nella pila di vestiti trovò una vecchia camicia che faceva al caso suo. Raggiunse la cucina e frugò nei cassetti pieni di cianfrusaglie. Alla fine trovò un pennarello e disegnò quella dannata "X".

Il piano terra della stazione di polizia di SoHo era gremito di attricette di ogni taglia e colore, nonostante fosse stato specificato che la convocazione era riservata alle bionde. Jack Coffey si trovava nell'ingresso e osservava i furgoni dei telegiornali parcheggiati in doppia fila. I reporter affollavano il marciapiede.

Si rivolse al detective Wang: «Cos'hai detto alle agenzie?».

«Quello che mi ha suggerito lei. Che stavamo indagando su episodi di vandalismo in metropolitana.»

Il detective Desotho spense il cellulare, poi si rivolse al tenente: «Una delle agenti ha parlato con i giornalisti. Ha detto che stiamo cercando un maniaco sessuale che ha un debole per le bionde». Guardò i giornalisti che fremevano sulla strada. «Ma nessuno di questi bastardi ha collegato la storia alla Crimini Speciali.»

Il tenente Coffey ringraziò mentalmente l'amministrazione comunale che per risparmiare non aveva fatto mettere un'insegna con il nome della Sezione. «D'accordo, portate le ragazze in ufficio, dieci alla volta, mi raccomando. E nemmeno un accenno alla Crimini Speciali, ci siamo capiti? Non voglio vedere nessuno distribuire biglietti da visita a queste ragazze, non importa quanto sono carine. Prima, però, mandiamo a casa le brune.»

Coffey osservò le attrici che salivano le scale. Desotho non lasciava passare le ragazze con i capelli scuri. Il primo gruppo di bionde seguì il detective Wang al piano superiore. Erano tutte così giovani, così impreparate a ciò che le aspettava.

Pochi minuti dopo, quando il tenente Coffey entrò nell'ufficio, le attrici erano schierate in una fila ordinata, quasi sull'attenti. Il detective Janos recitava la parte del sergente di ferro. Passeggiando avanti e indietro passava in rassegna la truppa. «Se siete qui soltanto per avere il nome sul giornale, sarete accusate di ostacolare un'indagine. E per questo reato è previsto l'arresto.»

Janos aveva un'espressione brutale e la massa corporea di un piccolo pianeta. Le teste bionde scattavano da destra a sinistra seguendo i suoi spostamenti.

«Le nostre celle non sono molto pulite. Ci sono le pulci, milioni di pulci.»

Due ragazze abbandonarono la fila, mentre le altre avevano un'aria indecisa.

«E abbiamo un problema con i pidocchi.» Janos sospirò. «Quindi sarete spogliate e disinfettate con un'apposita doccia…»

Altre bionde abbandonarono la sala finché non ne rimase una sola. Janos la fissò a lungo. Infine lei scoppiò a piangere e corse verso la porta, altre dieci aspettavano il loro turno. Janos urlò: «Le prossime!».