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Charles si allontanò dal gruppo che discuteva nell'ufficio di Mallory, alla Butler & Company. Edward Slope stava alzando la voce: «Non se ne parla, Riker, non torno in quell'ospedale per i prossimi dieci anni». Esaurita la questione della paziente in coma, tornò a concentrarsi sulle fotografie dell'autopsia di Natalie Homer, molto ingrandite rispetto agli originali. Grazie a Mallory, adesso erano perfettamente nitide e il computer aveva evidenziato alcuni dettagli, anche se Charles sospettava che la ragazza ci avesse messo del suo, interpretando i pixel per creare una versione non proprio obbiettiva della realtà.
«Va bene» ringhiò Riker. «Almeno puoi darmi un secondo parere su queste?» Passò al patologo le radiografie della testa di Natalie.
Slope prese i negativi e li appoggiò al vetro della finestra. «Hai ragione. Sembra che il mio predecessore abbia sbagliato tutto, tranne la causa della morte. Il cranio è fratturato. Non posso dire se abbia perso conoscenza, ma di sicuro l'ha stordita. La frattura è provocata da un oggetto contundente. Potrei giurarlo.»
Poi Riker gli porse l'ingrandimento della mano destra di Natalie. «Questa è la fotografia della bruciatura.»
Il dottor Slope scosse la testa. «Non posso aiutarti. Non c'è modo di sapere se la carne fosse bruciata prima che gli insetti la aggredissero.»
Riker consultò la trascrizione degli appunti di Louis Markowitz. «Guarda qui. Lou dice di sì.»
«È per via degli scarafaggi» disse Charles, imponendosi come moderatore. «Erano ammassati sulla mano del cadavere. Questo indica la presenza di unto, magari una goccia schizzata dalla padella…»
«Ipotesi» disse il patologo. «A me interessano solo i fatti.» Guardò l'orologio. «A meno che non ci sia dell'altro…»
«Per quanto riguarda Sparrow,» disse Riker «forse potresti parlare con il suo dottore…»
«Scordatelo» disse il dottor Slope.
«Sparrow sta morendo» disse Riker. «Ho bisogno di un parere medico.»
«In caso di coma, Charles è l'uomo giusto per te.» Edward Slope si avviò verso la porta dicendo: «Te lo assicuro, nessuno in quell'ospedale ne sa più di lui sul cervello umano».
La porta si chiuse dietro Slope e Riker si lasciò cadere sulla sedia. «Il medico che ha in cura Sparrow odia i poliziotti. Non mi rivolge la parola. Puoi darmi una mano?»
«Edward esagera» disse Charles. «Ho solo pubblicato una ricerca sul coma cerebrale. Comunque, cercherò di ottenere un colloquio con il medico dell'ospedale.»
«Grazie. Mallory non deve saperne niente.»
Riker chiuse gli occhi e mise i piedi sul tavolo. Non aspettava Mallory, c'era tempo per un pisolino. Charles si chiese perché Mallory non dovesse sapere della visita all'ospedale. Avrebbe dovuto nutrire lo stesso interesse di Riker nei confronti della vittima.
Sobbalzarono in sincrono udendo un forte rumore provenire dalla cucina.
«Non puoi lasciarlo solo un attimo» disse Riker.
In cucina trovarono Ronald Deluthe con indosso una replica del grembiule di Natalie Homer. Reggeva una padella. C'erano schizzi dappertutto e pozze d'acqua sul pavimento. Gli ingrandimenti delle foto della scena del delitto erano sparsi sul tavolo bagnato.
«È colpa mia» disse Riker. «Gli ho detto di lavorare a una ricostruzione della scena del delitto.»
Charles guardò uno schizzo d'acqua vicino al fornello. «Quindi questo dovrebbe essere il grasso delle salsicce di Natalie…»
«Sissignore. Guardate.» Deluthe riempì la padella d'acqua, poi mimò una colluttazione: quasi tutto il liquido finì alle sue spalle e il resto su un aggressore immaginario. La mano destra era bagnata, ma tutto il resto era rimasto asciutto. «Non finisce sul grembiule. Non ha usato la padella per difendersi, forse ce l'aveva l'assassino.»
«Potrebbe essere» disse Riker. «Slope ha confermato la frattura del cranio. Forse l'assassino l'ha colpita in testa con la padella. Bel lavoro, ragazzo.»
«Ora pulisci questo casino.» Mallory si era materializzata sulla porta. Squadrò il pavimento bagnato e i rivoli che colavano lungo la parete. Deluthe prese una spugna dal lavandino, si chinò e cominciò a pulire.
«Ti sbagli a proposito della padella» disse Charles. «L'assassino non l'ha mai toccata.» Indicò la padella usata da Deluthe: «Questo è alluminio, e il manico non si scalda».
«E allora?» Deluthe si alzò.
Charles si scusò per un attimo, lasciò la cucina e ritornò con la padella trovata sulla scena del delitto. «Questa è di ferro, e il manico doveva essere rovente. Serviva una presina.» Indicò una delle fotografie sul tavolo. «Vedete i ganci sul muro? Qui, accanto al fornello, le presine sono tutte al loro posto. Ma le salsicce non erano ancora cotte. Vedete qui? Il fuoco è ancora acceso. Qualcuno l'ha interrotta.»
«Giusto» disse Deluthe. «È stata uccisa.»
«Prima, però, è accaduto qualcosa di meno definitivo» disse Charles. «Qualcuno che bussa alla porta. Natalie ha avuto il tempo di appendere la presina al gancio prima di andare ad aprire la porta al suo assassino. Non avrebbe corso il rischio di lasciar bruciare le salsicce, quindi possiamo dedurre che la lotta sia cominciata subito.» Prese la spugna che Deluthe aveva in mano e asciugò una fotografia. «Considerando il numero di salsicce, secondo me hai usato troppa acqua per il tuo esperimento.» Charles guardò la foto del grembiule di Natalie. L'alone scuro era ben definito. Louis Markowitz aveva ragione: non era uno schizzo d'unto, né uno spruzzo. Era una macchia.
Charles indicò gli scarafaggi sulla mano destra di Natalie. «Supponiamo che si sia bruciata la mano. Poi è caduta sbattendo la testa, e ha perso conoscenza. Natalie non ha avuto occasione di usare la padella come arma di difesa, anche se aveva intenzione di farlo. E l'assassino non l'ha mai toccata.»
Deluthe incrociò le braccia. «Come fa a sapere se…»
«Perché il tuo grembiule è asciutto, ma il resto della cucina no.» Charles mise la padella sotto l'acqua e poi la appoggiò sul fornello. «Natalie è di fronte all'assassino. Non fa in tempo a prendere la presina, afferra la padella…» La prese per il manico, la sollevò, e l'acqua schizzò sulla sua mano, sul braccio e sul pavimento. «Si è bruciata la mano con il ferro caldo e con l'unto. Natalie ha lasciato cadere la padella prima di potersi difendere.»
«L'assassino si fa avanti, lei indietreggia» continuò Charles, allontanandosi dall'uomo invisibile. «Natalie scivola su uno schizzo d'unto e cade a faccia in giù.»
Deluthe era scettico. «Come fa a sapere che è caduta, e a faccia in giù, poi!»
«Logico» disse Charles. «Se i dettagli quadrano non può che essere successo così. Posso?» Prese il grembiule, poi lo appoggiò sul pavimento. «Natalie è a terra, non si muove. Probabilmente ha battuto la testa contro il bordo della cucina a gas. La frattura del cranio non può essere stata provocata da una padella, che avrebbe causato un'infossatura sulla superficie del cranio.» Si rivolse a Deluthe. «Hai notato che la mia pozza di unto è più piccola della tua. È coperta dalla pettorina del grembiule.» Indicò la foto. «I bordi della macchia non sarebbero così netti se Natalie avesse lottato, quindi era senza conoscenza quando l'assassino l'ha trascinata sul pavimento.» Charles si abbassò e trascinò il grembiule verso di sé. Quando lo raccolse, la chiazza bagnata aveva la forma e la grandezza della macchia sul grembiule di Natalie Homer.
«E questo è tutto.» Charles si rivolse a Deluthe in tono di scusa. «Sono sicuro che ci saresti arrivato anche tu, ma probabilmente non hai mai cucinato, vero?»
Il pavimento era stato lavato da poco e aveva lo stesso odore dell'obitorio. Riker poteva sentire Charles Butler che parlava con il giovane medico nel corridoio dell'ospedale. Il movimento degli occhi di Sparrow era involontario. Riker lo sapeva, ma forse quell'espressione era una finestra sulla sua mente, su quel poco che ne rimaneva. La tentazione di abbassarle le palpebre era forte, ma si trattenne. Sparrow non era ancora morta. Il detective sedeva accanto al letto, facendo a pezzetti il modulo con cui l'ospedale richiedeva ulteriori dettagli sull'identità della paziente. Conosceva il suo nome completo, ma non l'avrebbe mai rivelato. Pioveva la notte in cui Sparrow glielo aveva detto. Riker le aveva offerto riparo e una tazza di caffè in macchina. Era stata malata, dimagriva a vista d'occhio. Temeva di essere sul punto di morire, e ancora non gli aveva spiegato cosa voleva che scrivessero sulla sua tomba. Avevano riso di quella macabra conversazione.
Sparrow, era tutto ciò che voleva sulla lapide, niente date, nessuna frase.
Solo quel nome scritto a caratteri cubitali, come un manifesto di Las Vegas. Era tipico di Sparrow, immaginare che tutti i visitatori del cimitero avrebbero saputo chi era, chi era stata…
Charles Butler entrò nella stanza e chiuse la porta senza rumore, come se Sparrow potesse in qualche modo essere disturbata. «Avevi ragione su quel dottore. Odia i poliziotti, ma la sta curando al meglio. Fa di tutto per tenerla in vita.» Indicò il supporto accanto al letto. Reggeva un sacchetto di plastica con un liquido che scendeva nelle vene di Sparrow. «È un antibiotico per combattere l'infezione. È intubata perché un polmone ha subito gravi danni. Sembra che questa donna abbia avuto una vita molto difficile. Il dottore pensa che avesse problemi respiratori cronici.»
Riker annuì. «D'inverno era sempre malata.»
«E poi ci sono i danni causati dalla droga e dalla malnutrizione. Considerando che faceva la prostituta, il dottore pensa che una malattia venerea sia la causa dei danni al fegato. Non si tratta soltanto del coma, c'è un insieme di complicazioni.» Appoggiò una mano sulla spalla del detective. «Mi dispiace, davvero.»
Riker fissava Sparrow, la sua amica stava morendo. «Può sentirci? Forse il suo cervello non ha smesso di funzionare.»
«È possibile.» Charles osservò i macchinari vicino al letto e i diagrammi sullo schermo. «In questo momento è come se stesse sognando. Con ogni probabilità, starà sognando quando la morte sopraggiungerà. Niente dolore, niente paura. Ti solleva saperlo?»
«Sì, un po'…» Riker ascoltò il respiro meccanico e osservò i tubi che bucavano il corpo di Sparrow.
«Dobbiamo andare» disse Charles. «Ho promesso a Mallory che ti avrei portato a Brooklyn in tempo.»
«D'accordo, arrivo subito.» La scatola di fazzoletti di carta sul comodino era vuota. Riker mise il libro sul letto, poi cercò un fazzoletto nelle tasche.
«Forse posso tirarti su il morale» disse Charles. «Ho scoperto qualcosa su William Heart, il fotografo che ha fatto cadere la macchina fotografica sulla scena del delitto Homer. Ho chiamato una galleria che…» Si fermò. Prese il libro e lo sfogliò. «Hai finito di leggerlo?»
«Non ho neppure cominciato.» Riker tamponò la saliva che colava dalle labbra di Sparrow.
«Non posso biasimarti, è scritto da cani.» Charles osservò la donna nel letto. «Immagino che Mallory fosse una bambina quando incontrò Sparrow. Doveva avere, quanto, dieci anni? Meno?»
Riker si irrigidì. Aveva bisogno di bere. Non voleva mentire, ma non poteva ammettere la verità, e quel lungo silenzio era già abbastanza eloquente.
Charles guardò il libro che aveva in mano: «Ho trovato la collana completa di questi western. Li ho letti tutti, ieri notte».
Il fazzoletto cadde a terra. Riker chiuse gli occhi e sperò che la sua voce non lo tradisse: «Ti ci saranno voluti cinque minuti».
«Di più, li ho letti due volte. Continuo a non capire perché Kathy li leggesse in continuazione.»
Charles non stava parlando della Mallory che conosceva, ma della piccola Kathy, una bambina che non aveva mai incontrato. Era già cresciuta quando Lou Markowitz gliela presentò, una poliziotta. Il giorno che si incontrarono, Mallory arrivò nel bar per la consueta colazione con il padre adottivo. Charles si era alzato bruscamente dalla sedia, ansioso di dimostrarsi un gentiluomo. L'aveva guardata per tutta la durata della colazione, aveva fissato i suoi meravigliosi occhi verdi e aveva sorriso, pieno d'imbarazzo ogni volta che lei si ricordava di guardarlo. Ogni singolo gesto di Charles, il cibo che si era rovesciato addosso, il bicchiere che aveva fatto cadere, dicevano una sola cosa: Ti amo da morire, Mallory.
«I suoi gusti in fatto di libri mi lasciano a dir poco perplesso» disse Charles. «Anche all'età di dieci anni doveva essere decisamente più intelligente della media.»
Solo il libraio poteva aver rivelato a Charles la passione della bambina per i western. Ma Riker non poteva credere che John Warwick, l'uomo più paranoico del mondo, si fosse confidato con uno sconosciuto. Ma allora come aveva fatto Charles a scoprire che Kathy conosceva Sparrow?
Charles sfogliò ancora le pagine del libro. «Hai deciso cosa fare? Lo darai a Mallory o lo distruggerai?»
Il detective sorrise, rassegnato, e non scherzava del tutto quando disse: «Charles, tu sei un uomo pericoloso».
«Oh, no, credimi, ho già bruciato le mie copie. Non ti preoccupare. Le ho buttate nel camino, ieri notte. Credo che Louis abbia fatto lo stesso quando Kathy era piccola. Non voleva prove che collegassero sua figlia con una ladruncola ossessionata dai western. Credo che l'infanzia di Mallory sia stata davvero diversa, più avventurosa di quanto pensassi. Così Louis distrusse tutti i suoi libri? Eccetto l'ultimo?»
Riker annui. Meno informazioni passava a Charles, meno probabilità lui avrebbe avuto di riuscire a collegare gli elementi. «Non posso dirti altro sui libri western.»
«Soprattutto sull'ultimo» disse Charles. «Ti stai appellando al diritto di non rispondere, o qualcosa del genere?»
Riker impiegò qualche minuto a digerire la frase. Esisteva ancora qualcuno che non sapesse che lui aveva rubato il libro dalla scena del delitto? Ecco il problema con i crimini commessi d'impulso. Nessuna pianificazione, nessuna idea di come coprire le tracce. E aveva ancora in mano il corpo del reato. Qualsiasi mezza tacca avrebbe fatto di meglio.
«Credo che non saprò mai cosa Mallory trovasse in quelle storie…»
Charles osservò il disegno. In copertina c'era lo sceriffo Peety in sella a un cavallo, due pistole pronte a sparare e il riflesso del sole sul distintivo dorato. «Kathy credeva agli eroi?» domandò.
Riker alzò le spalle. Una volta Lou Markowitz aveva detto che Kathy si identificava con i ladri di bestiame e i banditi che assaltavano le diligenze.
Un'infermiera entrò nella stanza per lavare Sparrow. I due uomini se ne andarono. Mentre percorrevano il corridoio diretti al parcheggio, Charles raccontò a Riker Una capanna ai confini del mondo, un libro della serie che il detective non aveva letto. All'inizio del libro, Wichita Kid era stato morso da un lupo rabbioso, un secolo prima che inventassero il vaccino. Alla fine, il fuorilegge giaceva privo di sensi in una baracca in fiamme, circondata da una folla di contadini con torce e forconi. Un predicatore sosteneva che la donna intrappolata con lui nell'incendio fosse una strega, causa della siccità che stava decimando i raccolti.
«Lascia che indovini» disse Riker salendo in macchina. «Il predicatore riesce a far piovere. L'acqua spegne le fiamme e la siccità è soltanto un brutto ricordo. I contadini sono contenti, decidono di non uccidere la donna, e il predicatore compie un altro miracolo e guarisce Wichita.»
«Niente del genere» disse Charles. «Nel libro successivo, Wichita Kid è ancora avvolto dalle fiamme. Non ha via di scampo.»
Riker sapeva come uscire da una situazione del genere, ma non lo avrebbe confessato a nessuno adesso che Sparrow stava morendo. Gli era mancata tanto negli ultimi due anni, e adesso pregava per lei, anche se non era ancora morta, non del tutto.
La Mercedes stava imboccando il ponte di Brooklyn quando Charles chiese: «Come ha fatto Louis a beccare Kathy nel negozio di Warwick?».
Riker guardava fuori dal finestrino. Sparami, adesso spara. «Un colpo di fortuna.»
Ripensò alla sera in cui avevano inseguito la bambina sul marciapiede: li aveva seminati. E Riker aveva riso nel vedere Lou Markowitz, decisamente sovrappeso, che ansimava abbracciato a un lampione, convinto che il cuore lo stesse tradendo.
«Poi la vedemmo nella vetrina di Warwick.» Una manina che si allungava sullo scaffale per rubare il libro. Aveva appena seminato due poliziotti, aveva corso come un fulmine, eppure non era stanca. Solo gli occhi avevano un'aria affaticata, gli occhi assonnati di un bambino alla fine di una giornata faticosa.
«A quel punto, io e Lou ci precipitammo nel negozio. Lou disse al proprietario di non far entrare altri clienti. Ma Kathy era sparita. Tu ci sei stato, no? Non c'è modo di uscire dal negozio senza essere visti.» Poi avevano notato lo sguardo terrorizzato del libraio. Lou aveva sorriso.
Il mistero della fuga di Kathy non era stato risolto quella notte e neppure la notte successiva. «Per una settimana, quando non era in servizio, Lou continuò a sorvegliare il negozio e a leggere i western di Kathy.» Aveva instaurato un rapporto di fiducia con il libraio. «Alla fine Warwick gli confessò come Kathy avesse fatto a scappare quella sera. Un sistema ingegnoso. Mentre parlavamo con il libraio, Kathy si era arrampicata sullo scaffale, agile come una scimmia, silenziosa come una nuvola di fumo. Si era arrampicata fino in cima, nascondendosi fra lo scaffale e il soffitto, ti rendi conto?»
«Il libraio la vide?»
«Sì, ma non la tradì. Aveva paura dei poliziotti, ma non lo fece. Per tutto il tempo in cui Lou aveva parlato con il libraio, Kathy era rimasta ad ascoltare in cima allo scaffale.» Il detective alzò le spalle. «Fregati da una ragazzina di dieci anni.»
A quel punto Lou Markowitz si era reso conto con chi avesse a che fare, non una bambina come le altre, ma una persona fatta e finita. La soprannominò L'Artista della Fuga. Kathy aveva conquistato il rispetto di Lou, e anche il suo cuore.
Anche se gli avrebbe fatto bene, Riker non poteva raccontare la storia della più grande fuga di Kathy. Allora la sua mente volò oltre il ponte di Brooklyn, fino a Sparrow, per dirle che non stava morendo da sola.
Sparrow, i segreti mi stanno avvelenando.
Mallory osservò la Mercedes di Charles scomparire all'orizzonte mentre il suo collega scivolava sul sedile anteriore della berlina. «È questo.» Indicò un edificio dal lato opposto della strada. La sorella di Natalie Homer viveva in una zona di Brooklyn affacciata su Prospect Park. Sembrava che Susan Qualen se la passasse piuttosto bene. «Meglio se la blocchiamo per strada» suggerì Mallory. In questo modo non avrebbe potuto sbattere loro la porta in faccia. «I vicini dicono che va a correre nel parco, tutti i giorni alla stessa ora.»
«Dev'essere una fanatica.» Riker si asciugò il sudore dalla fronte. «Si ucciderà con questo caldo.»
La porta d'ingresso dell'edificio si aprì e una donna in pantaloncini e maglietta comparve sulla rampa di scale. La sorella di Natalie era alta, bionda, e aveva un viso familiare. Prima che potesse raggiungere il marciapiede, i due detective erano scesi dall'auto e avanzavano mostrando il distintivo.
«Signorina Qualen? Sono il detective Mallory e questo…»
Il viso della donna s'incupì. «Andatevene.»
Riker disse. «Signorina, ci dispiace crearle…»
«Ho letto della vostra ultima impiccagione dai giornali» tagliò corto Susan Qualen. «Questa volta vi è andata male, non siete riusciti a coprire tutto…»
«Mi ascolti,» disse Riker «a volte non possiamo rivelare i dettagli…»
«Questa l'ho già sentita. Vent'anni fa la polizia ha raccontato ai giornalisti che mia sorella si era suicidata.»
«I poliziotti non le hanno detto molto, vero?» Lentamente Mallory si avvicinò alla donna. «Le hanno detto soltanto che si trattava di omicidio, ma lei sapeva della corda.» Nessun poliziotto poteva aver rivelato a Susan il particolare della ciocca di capelli infilati nella bocca di Natalie.
Mallory si fece ancora più vicina. Nervosa, Susan? «Allora, come ha fatto a collegare la morte di sua sorella con quella di una prostituta impiccata?»
«Leggo i giornali.»
Mallory scosse la testa. «No, sta mentendo. Tutti i particolari riportati dalla stampa, come ha fatto a collegarli…»
«Non ho niente da dire». Susan Qualen fece per scendere le scale.
«Ferma.» Mallory le bloccava la strada con un braccio.
«Il mio avvocato mi ha proibito di parlare con voi.»
«No» disse Mallory. «È quello che dicono le persone che non hanno parlato con un avvocato. L'omicidio di sua sorella è un caso ancora aperto, e lei deve parlarci.»
Riker si avvicinò alla donna. Il suo tono era amichevole. «Abbiamo riscontrato alcune discrepanze nell'omicidio di Natalie. Crediamo che il figlio possa aiutarci a risolverle. Dov'è?»
«E come faccio a saperlo?» disse Susan Qualen.
«Ho letto una dichiarazione della matrigna. Sostiene che lei l'ha preso con sé dopo la morte del padre. Un anno dopo l'omicidio di Natalie.» Il tono di Riker diceva Tranquilla, siamo qui per aiutarti.
«Ma c'è un problema…» cominciò Mallory minacciosa.
«Vede,» interruppe Riker «il bambino non tornò mai a scuola dopo la morte della madre. Alla fine delle vacanze…»
«La famiglia si sarà trasferita.»
«No, signorina Qualen» disse Mallory. «La matrigna vive sempre allo stesso indirizzo. Ha detto a un poliziotto, Lars Geldorf, che lei aveva preso il bambino. Perché avrebbe dovuto mentire?»
Susan Qualen era confusa. Era una bugiarda dilettante, e non ricordava i particolari di una bugia tanto lontana nel tempo.
Riker sorrise alla donna, come se fossero due vecchi amici. «Ci sarebbe di grande aiuto se ci dicesse cosa è successo al figlio di Natalie.»
«Che fine ha fatto?» Mallory aveva compiuto il breve passo dall'accusa all'attacco. «Avanti! Cosa ha fatto al bambino?»
Susan Qualen abbandonò la sua gelida compostezza e cercò di scappare giù dalle scale. Riker l'afferrò per un braccio, ma Susan si divincolò e cominciò a correre. Riker non si mosse: «Adesso interroghiamo la madre adottiva, così potremo inchiodarla e sbatterla in cella per un po'. Non sarà divertente, ma è legale».
Mallory osservò la donna che scappava sul marciapiede, facendosi largo fra i passanti. Avrebbe potuto raggiungerla senza problemi, ma Riker le suggerì di non muoversi. «Fidati» disse. «Sarà più divertente a modo mio.»
Quando sentì quel rumore, William Heart si accucciò. Non gli piaceva avere a che fare con gli esseri umani e faceva di tutto per evitarlo. Il peggio era quando qualcuno bussava alla porta, il suono di una trappola che si chiude. Stava lì, in silenzio, quasi non respirava, ma il visitatore non se ne sarebbe andato. Poi sentì la voce del padrone di casa che diceva: «È lì dentro. Se si aspetta che venga ad aprire, può star lì una giornata intera. Bussi più forte.»
Lo sconosciuto era più educato, non bussava forte, ringraziava il padrone di casa. Adesso il visitatore parlava alla porta chiusa: «Buongiorno signor Heart. Alla galleria mi hanno dato il suo indirizzo».
La voce composta lo rassicurò, per un attimo pensò a un potenziale cliente. William aprì la porta e si trovò di fronte una specie di personaggio delle fiabe. Quell'uomo aveva la corporatura, i vestiti e il portamento di un principe, ma gli occhi di una rana e il naso di Capitan Uncino. Le spalle erano minacciose, e parevano espandersi ogni secondo di più. Quando William indietreggiò, Charles interpretò questo movimento come un invito a entrare. Si fermò accanto al divano, e fece per sedersi. Dopo una rapida occhiata, aveva deciso che le sedie erano troppo fragili. «Posso?»
William annuì, e il principe ranocchio si accomodò.
«Mi chiamo Charles Butler.» William sorrise controvoglia mentre Butler gli porgeva il biglietto da visita.
«Il suo agente mi ha detto che lei si occupa di fotografie di delitti.»
«No, lo facevo tempo fa, ora non più.»
Butler fissava la radio sul tavolino. William si chiese se fosse in grado di riconoscere una radio della polizia. Si schiarì la gola. «Cioè, non lavoro più per la polizia. Mi occupo d'incidenti d'auto, roba simile…»
«Sì, conosco i suoi lavori, forti contrasti, luce accecante, ombre scure. E crudeltà di ogni genere.»
Il fotografo era indeciso se fuggire o svenire. L'aveva sottovalutato: Charles Butler era un collezionista d'arte e non uno sprovveduto, ma le qualifiche sul biglietto da visita avevano a che fare con la psicologia. E a William non piacevano gli strizzacervelli.
«Mi piacerebbe vedere i suoi primi lavori» disse Butler. «Le foto dei delitti: in particolare mi interessa quello di Natalie Homer. Forse il nome non le dice niente. È successo vent'anni fa. I giornali lo definirono un suicidio mediante impiccagione.»
«Non ho quelle foto. Capisce, non ho potuto fare quel lavoro. La macchina fotografica si era rotta.»
Butler non gli credeva. William si sentì soppesato, ma intravide un po' di compassione nello sguardo di Butler.
Disse: «È una foto che la maggior parte delle persone preferirebbe dimenticare». Era vero. Solo una ristretta cerchia di demoni amava il genere, e Butler non sembrava tra quelli.
«Quindi ha scattato almeno una fotografia.»
William si sfregò le mani sudate, poi vide comparire sul tavolino accanto al divano un libretto di assegni e un'elegante stilografica. Si rilassò, era solo una questione di soldi, un affare come un altro.
«Quella fotografia mi interessa in modo particolare» disse Charles e aprì il libretto degli assegni. «Ci tengo molto.» Guardò William e il sorriso si aprì, allentando la tensione. Poi sganciò la bomba: «Conosceva Natalie, vero?».
William non avrebbe potuto parlare, nemmeno se avesse voluto.
Butler continuò. «Signor Heart, lei vive qui da una vita, vero? Me l'ha detto il suo padrone di casa. Mi ha detto anche che lei ha ereditato quest'appartamento da sua madre. E questo edificio si trova a un isolato di distanza da quello dove morì Natalie. Dev'essere stato difficile fotografare il cadavere di una donna che conosceva.»
«Io non… conoscevo quella donna.» William aveva paura. Quell'uomo non gli credeva. Con un tono da confessionale disse: «Viveva qui da poco tempo: non le ho mai rivolto la parola».
Butler capì che aveva perso il controllo.
«Mi capitava di vederla per strada. Era talmente bella, era fuori posto qui, Dio, era così bella.» Il suo sorriso gli ricordava le madonne dipinte e le statuette che affollavano l'appartamento quando sua madre era ancora viva. La bella Natalie nei suoi lunghi vestiti estivi.
William studiò la faccia di Butler, cercando di capire se aveva parlato troppo. «Non ero l'unico. Tutti si voltavano a guardarla. Tutti quegli uomini, potevano solo guardarla.»
«E quando morì, fu chiamato a fare le fotografie» disse quel visitatore che leggeva i pensieri. «La nausea non arriva all'istante. Quindi c'era tutto il tempo di scattare almeno una fotografia prima di vomitare. Lei è un bravo fotografo, credo sia stato un gesto istintivo…»
Sapeva anche che si era sentito male.
«D'accordo, ora gliela dò.» William era sollevato. Butler era uno di quei clienti che gli permettevano di pagare l'affitto, uno di quei pazzi che collezionavano souvenir macabri, un maniaco che non avrebbe mai voluto incontrare fuori da una galleria d'arte.
Entrò in camera da letto e chiuse la porta a chiave. Quando ricomparve, aveva la fotografia in mano.
Quando Charles se ne andò, William notò che la cifra dell'assegno era molto più alta di quanto avessero pattuito. Osservò il suo appartamento, la miseria che lo circondava. Si spaventò al pensiero che Butler potesse non essere un pazzo, ma un uomo caritatevole. Chiuse la porta e tornò in camera. Si sdraiò sul letto e fissò la parete. Tutte le notti, prima di spegnere la luce, vedeva un muro di fotografie tutte uguali, la stessa faccia, la corda, gli insetti. Quella fotografia era il miglior lavoro che avesse mai fatto. Le mosche gli ronzavano ancora nel cervello. Una nuvola nera circondava la Madonna degli Scarafaggi.